N. 277 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 1993
N. 277 Ordinanza emessa il 19 marzo 1993 dalla pretura di Brescia, sezione distaccata di Gardone Val Trompia nel procedimento penale a carico di Torri Alberto Processo penale - Procedimento pretorile - Giudizio immediato - Decreto di citazione del p.m. - Previsti termini diversi di notifica per l'imputato (notifica del decreto di citazione quarantacinque giorni prima) e per la parte offesa (sola citazione cinque giorni prima) - Lamentata incongruita' del termine con disparita' di trattamento tra le parti processuali a causa del rito scelto discrezionalmente dal p.m. - Conseguente compressione del diritto di difesa, in particolare del diritto alla prova per sostenere la domanda civile nel processo penale. Processo penale - Costituzione di parte civile - Termine di decadenza per liste testimoniali - Irragionevole disparita' di trattamento tra parti processuali (parti civili: giorni sette prima dell'udienza dibattimentale; altre parti fino a due giorni prima) - Incidenza anche sul diritto di difesa - Richiesta di modifica anche dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale. (C.P.P. 1988, artt. 79, terzo comma, 555, terzo comma, e 558, secondo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.25 del 16-6-1993 )
IL PRETORE Visti gli atti del proc. penale n. 84 del reg. gen. affari penali dell'anno 1992; O S S E R V A In fatto e in diritto quanto segue. 1) Svolgimento del processo. A seguito di indagini preliminari il p.m. rinviava a giudizio, dinnanzi a questo pretore, Torri Alberto per rispondere del reato p. e p. dall'art. 589 c.p. per aver cagionato, per eccesso di velocita', la morte della velocipede Falconi Silvia. Le parti offese venivano citate ex art. 558/2 del c.p.c.; in data 15 gennaio 1992 depositavano una lista testimoniale e all'dienza del 17 gennaio 1992 si costituivano parte civile. Alla medesima udienza il difensore dell'imputato eccepiva ex art. 79/3 del c.p.c. la tardivita' dell'istanza istruttoria suddetta. Questo pretore provvedeva con ordinanza del 23 gennaio 1992 con la quale rimetteva gli atti dinnanzi alla Corte costituzionale impugnando gli artt. 555/3 e 558/2 del c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costitusione. La Corte costituzionale con ordinanza del 29 dicembre 1992 dichiarava inammissibile la questione atteso che le norne impugnate avevano, nel giudizio a quo, gia' realizzato la loro funzione in quanto le parti offese si erano costituite parti civili e avevano depositato l'istanza istruttoria esercitando cosi' compiutamente i loro poteri istruttori. La Corte, poi, faceva rilevare che la questione sarebbe stata ammissibile ove fosse stato impugnato l'art. 79/3 del c.p.p. Questo pretore, nel recepire il suggerimento della Corte provvede con la presente ordinanza di cui viene data lettura in dibattimento. 2) Introduzione. Come e' evidente da quanto detto sopra si e' recepito il suggerimento della Corte; anche se, e cio' e' ovvio e inevitabile, la questione avente ad oggetto l'art. 79/3 necessariamente va diacronicamente legata a quella originariamente posta. Invero l'art. 79/3 non puo' essere letto "atomisticamente" ma sistematicamente in riferimento alle norme ad esso correlate, che connotano il diritto alla difesa della parte offesa-parte civile. Sotto tale aspetto non si puo' non rilevare che l'art. 79/3 contiene dei termini di decadenza afferenti all'esercizio dei poteri di deposito delle liste, aspetto questo fondamentale del diritto alla prova. Orbene, mentre l'imputato, alla luce del contemporaneo disposto degli artt. 458/1 - 555/1 e 3, processualmente e di fatto puo' preparare la sua difesa (ed eventualmente depositare le liste) in 43 giorni, la parte offesa, parte civile, stante proprio il disposto degli artt. 558/2, 468/1 e 79/3, ne ha solo 3 (o 7). E' chiaro allora che in tale contesto l'eventuale illegittimita' dell'art. 79/3 del c.p.p. non puo' e non deve essere disgiunta dalla illegittimita' delle norne originariamente impugnate, anch'esse incidenti sui poteri istruttori connotati dall'art. 79/3 del c.p.p. Di qui la necessita' di riproporre anche la questione originaria. Anzi, sotto tale prospettiva, corre l'obbligo di evidenziare che l'ordinanza della Corte, cosi' come motivata, non appare condivisibile per le ragioni che si vengono ad esporre. Invero va evidenziato, in fatto, che la questione era ed e' posta durante gli atti preliminari al dibattimento e segnatamente durante Io svolgimento delle attivita' di cui agli artt. 489 e 491 del c.p.p. Tali norme, come e' noto, impongono che ex officio il giudice del dibattimento controlli la regolare costituzione delle parti. Orbene, in tale contesto, la prima questione prospettata con la precedente ordinanza (omessa previsione che alla parte civile venisse notificato il decreto di citazione in luogo della semplice previsione della citazione) era ed e' ammissibile atteso che, in tal caso, ex art. 178/c, cio' avrebbe comportato la nullita' del decreto di citazione. E' vero che tale nullita', ex art. 179 e 181 del c.p.p., non poteva essere rilevata d'ufficio ma ope exceptionis ma cio' non puo' rilevare circa l'ammissibilita' della questione atteso che, la pronuncia che si chiedeva alla Corte, mirava proprio a consentire alla parte civile di far valer tale fondamentale eccezione, ex art. 184 del c.p.p., potere, invece, non esercitabile nell'attuale sistema normativo. A tal fine puo' essere opportuno osservare che seguendo la logica dell'ordinanza della Corte, giammai la questione, pur essendo a parere di questo giudice fondata (e la Corte di recente ha accolto una questione simile a quella posta da questo pretore con sentenza del 4-17 novembre 1992), potra' essere sollevata. Invero ove la parte offesa non si costituisce non puo' esercitare i poteri di cui agli artt. 79/3 e 468 del c.p.p.; per cui, in tal caso, la questione di legittimita' delineata, non solo sarebbe irrilevante, ma chiaramente e pacificamente inammissibile atteso che, la mancata costituzione di parte civile, non consentirebbe, comunque, l'esercizio dei poteri di cui alle suddette norme (deposito liste, eccezioni di nullita' ecc.). Cio' comunque e' chiaramente "legittimo"; ma seguendo la interpretazione data dalla Corte, tale questione sarebbe inammissibile anche in ipotesi di costituzione e, anzi, proprio in conseguenza della stessa Costituzione. Quindi, - atteso che la questione era stata posta tempestivamente ed era ed e' finalizzata a consentire alla parte civile l'esercizio dello ius exceptionis (anch'esso espressione del diritto alla difesa) altrimenti non esercitabile - la questione era ed e' chiaramente ammissibile. In ordine, poi, alla seconda questione posta (disparita' di trattamento tra l'imputato e parte civile e oggi tra parte civile e responsabile civile in ordine ai ternini minimi di comparizione con trattamento deteriore della parte civile rispetto alle altre parti le quali hanno a disposizione 45 giorni di tempo per preparare le loro difese in luogo dei 5 giorni della parte civile) l'ordinanza della Corte e' frutto di errore "metodologico". Invero, e' pacifico che, nonostante cio', la parte offesa, nel caso di specie, si e' ugualmente costituita parte civile; ma tale fatto ex se non puo' far ritenere inammissibile la questione cosi' come era stata posta (giova ribadire afferente al concreto esercizio del diritto alla difesa nel particolare aspetto fondamentale del tempo necessario e consentito alle parti per preparare le proprie difese). Invero vi e' da rilevare che e' noto che la costituzione di parte civile, in astratto (essendo questa l'unica valutazione da fare per accertare la ammissibilita' della questione) poteva essere finalizzata proprio a far valere la violazione portata all'attenzione della Corte; comunque, sul punto, e nella fase processuale ove si e' verificata la costituzione e ove la questione e' stata posta, ne' la Corte ne' questo pretore erano e sono autorizzati a valutare l'eventuale "tattica" processuale che la parte avrebbe scelto ove la Corte avesse deciso in conformita'; a tal fine e' sufficiente che la questione, ove accolta, avrebbe, in astratto, consentito, alla parte civile, e nonostante la costituzione, di sollevare le relative eccezioni di rito. In secondo luogo, ed in conseguenza di cio', la questione era stata proprio posta, giova ribadire, al fine di garantire alla parte anche sotto questo aspetto, lo ius exceptionis. Cosa che sarebbe stata possibile, ove la Corte avesse deciso in confornita', atteso che, come e' noto, per giurisprudenza costante, lo ius postulandi in iudicio puo' essere esercitato anche al solo scopo di far valere eventuali nullita' di atti. In terzo luogo, ed infine, l'avvenuta costituzione di parte civile non poteva assumere alcun rilievo (come sembra invece secondo la Corte) in ordine al concreto esercizio dei poteri istruttori (che era poi la seconda questione posta all'attenzione della Corte). Cio' per l'assorbente considerazione che la costituzione di parte civile ex art. 74 del c.p.p., come si evince anche dall'art. 78 del c.p.p., non e' atto di esercizio del diritto alla prova; per cui essa, in riferimento a questo, non puo' assumere alcun valore. Ne consegue che, in ordine alla questione posta e afferente alla disparita' dei termini minimi di comparizione, l'avvenuta costituzione non poteva esplicare alcun effetto. Quindi si deve concludere che la questione come era stata posta allora, era ammissibile atteso che l'operata costituzione, per le ragioni suddette, alcun valore poteva, in astratto, assumere sugli eventuali vizi afferenti al rapporto processuale instauratosi anche con la parte civile. 3) Oggetto del giudizio. Con la presente ordinanza viene portata all'attenzione della Corte l'art. 555/3 e 558/2 e 79/3 in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui non prevedono: a) che alla parte offesa venga notificato il decreto di citazione a giudizio; b) che anche per la parte offesa decorrano, come per l'imputato, ternini minimi di comparizione di giorni 45; c) nella parte in cui l'art. 79/3 faccia esclusivo rinvio ai termini ai cui all'art. 468 del c.p.p. e non anche a quelli di cui all'art. 567/2 del c.p.p. 4) Sulla non manifesta infondatezza della questione. La questione, come sopra delineata, a parere di questo giudicante non e' manifestatamente infondata. E' opportuno, preliminarmente, evidenziare l'assetto normativo costituzionale, parametro di valutazione delle norme impugnate. Come e' noto l'art. 3 della Costituzione impone, per la parte che qui interessa, identita' di disciplina normativa per identita' di situazioni disciplinate (cfr. Corte costituzionale 25 giugno 1981, n. 111). L'art. 24 della Costituzione (peraltro anch'esso espressione del piu' generale principio di uguaglianza) impone ed esige che, qualunque sia la forma di tutela del proprio diritto scelta, da essa non possono derivare delle deminutio sostanziali alla tutela stessa. Particolare aspetto di essa risulta essere il diritto alla prova (cfr. Corte costituzionale 22 marzo 1971, n. 55) fondamentale per poter adeguatamente sostenere in giudizio le proprie domande. E' ovvio che limitazioni a tale diritto alla difesa, cosi' come connotato dall'art. 24 della Costituzione sono, non solo inevitabili, ma anche legittime (cfr. Corte costituzionale 5 luglio 1973, n. 106, proprio in riferimento a termini processuali perentori); cio' rientra nella logica: il processo e' attivita' disciplinata, per cui l'esercizio del diritto, in quanto si entrinsechi in azioni, deve necessariamente svolgersi secondo i "binari" tracciati dalle norme processuali. Ma e' dal pari ovvio che qualunque limitazione sostanziale, non obiettivamente giustificata dalle esigenze processuali, sarebbe, comunque, per cio' stesso illegittima. E' fondamentale osservare, che proprio il disposto degli artt. 3 e 24 come sopra connotati, proprio in riferimento a termini di decadenza, impongono e esigono, altresi', sia la obiettiva oongruita' del termine che deve comunque consentire l'esercizio dei relativi poteri, sia la necessita' che essi riguardino tutte le parti processuali. Orbene, cio' premesso, e delineati in tali termini i parametri costituzionali di riferimento, si puo' ora passare a trattare il caso di specie. Analiticamente, in ordine alla questione sub 3/ a, le norme impugnate violano l'art. 3 della Costituzione. Invero va evidenziato che ex artt. 429/4, 456/3 e 464 c.p.p. (questi ultimi applicabili anche a giudizi innanzi al pretore) il decreto di citazione emesso dal g.u.p. o dal g.i.p. va notificato alla parte offesa, mentre quello emesso dal p.m. per giudizi immediati dinnanzi al pretore non va notificato alla suddetta parte sulla base del contemporaneo disposto appunto degli artt. 555/3 e 558/2. Tale diversita' di disciplina ridonda in disparita' di trattamento per la parte offesa. Invero pur in presenza di atti strutturalmente e diacronicamente identici (quali indubbiamente sono i decreti di citazione emessi dal g.i.p. o dal p.m.), - atteso che sono entrambi diretti ad evocare in giudizio l'imputato e a contestare a questi il fatto concreto sul quale dovra' essere giudicato - il legislatore ha connotato in modo diverso il correlato diritto della parte offesa ad essere avvisata del dibattimento; nel primo caso prevedendo la notifica del decreto di citazione, nel secondo semplicemente con la citazione. Tali disparita' di trattamento e' ancor piu' evidente ove si ponga mente che essa e' in funzione di una scelta di rito operata discrezionalmente ed insindacabilmente dal titolare dell'azione penale; per comprendere cio' puo' essere di pregio un esempio. Cosi' ove il p.m. ritenga di richiedere per un episodio configurante ipotesi criminosa di cui all'art. 590 del c.p. un decreto penale (cosa astrattamente possibile atteso che il reato in questione puo' essere punito con la sola pena pecuniaria) e l'imputato faccia opposizione il relativo decreto di citazione a giudizio emesso dal g.i.p. va notificato anche alla parte offesa; a contrario nell'ipotesi in cui il p.m. rinvii a giudizio, per lo stesso fatto, direttamente dinnanzi al pretore competente, la parte offesa ha semplicemente diritto ad essere citata ex art. 558/2 del c.p.p. Si deduce da tutto cio' che la connotazione di un diritto processuale (quale indubbiamente e' il diritto della parte offesa ad essere informata compiutamente sui fatti di cui e' causa onde consentirle di esercitare in concreto ed adeguatamente i poteri riconosciutele dalla legge) della parte offesa e' subordinata ad una scelta del p.m., giova ribadire insindacabile. Cio' dimostra, vieppiu', la arbitrarieta' della disciplina dettata dalle norne qui impugnate. Ma vi e' di piu'. Mentre il provvedimento emesso ex art. 429 del c.p.p. viene pronunciato in contradditorio delle parti (anche della parte offesa ex art. 419, la quale, quindi, e' completamente informata, anteriormente al dibattimento ed in sede di udienza preliminare, dei fatti potenzialmente lesivi del suo diritto nonche' delle indagini fino ad allora espletate dal p.m.), il provvedimento emesso ex art. 555 del c.p.p., nonostante che sia pronunciato inaudita altera parte, non e' notificato; con la conseguenza che, astrattamente, in tal caso, la parte offesa potrebbe essere a conoscenza dei fatti concreti, potenzialmente lesivi del suo diritto, solo cinque giorni prima del dibattimento. ex art. 558/2 del c.p.p. Tali disparita' di trattamento, dopo quanto detto sopra, e' evidente che viene ad incidere sulla posizione della parte offesa la quale, in caso di decreto di citazione emesso dal g.i.p. e' tempestivamente e compiutamente a conoscenza dei fatti sin ab origine mentre nel caso di decreto emesso dal p.m. tale conoscenza e' posticipata a cinque giorni prima del dibattimento. Quindi si deve concludere e ribadire che gli artt. 555/3 e 558/2 del c.p.p., nei limiti in cui non prevedano che il decreto di citazione a giudizio venga notificato anche alla parte offesa, realizza, se posti in relazione alle correlate norme di cui agli artt. 429/4, 456, 464 c.p.p., una disparita' di trattamento tra le parti offese a seconda del rito scelto dal titolare dell'azione penale. Tale disparita' e' chiaramente irragionevole atteso che la diversita' del rito non puo' giustificare la diversa connotazione di un diritto fondamentale della parte quale quello di essere compiutamente avvisata dei fatti di cui si procede. Come tale essa configura una violazione al precetto di cui all'art. 3 della Costituzione che impone, sul punto, un adeguamento della prima alla seconda. 5) Segue .. Piu' complesso e' il discorso in merito alla prospettazione sub 3/ b. A tal fine e' necessario in limine, per la parte che qui interessa, enucleare l'assetto normativo nel quale si inquadra l'atto di costituzione di parte civile ex art. 74 c.p.p. La funzione del suddetto atto, come e' noto, e' quella di consentire alla parte offesa dal fatto-reato di richiedere, ai sensi degli artt. 1218 e 2043 e segg. c.c., il risarcimento dei danni, da esso conseguenti. Dogmaticamente esso costituisce estrinsecazione del piu' generale diritto alla difesa atteso che la tutela della situazione soggettiva, con il suddetto atto, viene realizzata nel processo penale. Tale atto, poi, va inquadrato e sistematicamente collegato, col disposto degli artt. 76 e 79 del c.p.p. dai quali si evince che, nei giudizi pretorili (atteso che ivi non e' prevista l'udienza preliminare), la costituzione, puo' avvenire solo dopo che il p.m. abbia esercitato, con la notifica del decreto di citazione a giudizio, l'azione penale e prima dell'apertura del dibattimento. In coerenza, poi, con tale assetto normativo, il legislatore ha statuito che, mentre la sentenza di proscioglimento del g.i.p. non fa stato nel giudizio civile, quella dibattimentale di merito ha tale efficacia (almeno per quanto asserisce all'an debeatur ) ex artt. 651 e 652 del c.p.p. E' in tale quadro normativo che va letto ed interpretato il disposto dell'art. 558/2; esso, nelle intenzioni del legislatore, ha la funzione di rendere edotta la parte offesa del rinvio a giudizio dell'imputato onde consentirle di esercitare i poteri di cui all'art. 74 del c.p.p. Orbene, col presente provvedimento, viene impugnata proprio la suddetta norma. E' evidente che tale giudizio non riguarda la congruita' del termine ivi fissato; invero cio' rientra nella discrezionalita' del legislatore. Invece il suddetto termine viene impugnato sotto una diversa prospettiva: la disparita' di trattamento, tra il termine minimo di comparizione concesso all'imputato ex art. 555/3 (45 giorni) e quello concesso, dalla suddetta norma, alla parte offesa-parte civile (5 giorni). Sul punto, giova ribadire - una volta prevista la possibilita' di esercitare l'azione civile nel processo penale ed una volta attribuita alla sentenza di merito efficacia di cosa giudicata nel processo civile (subordinato, questa, esclusivamente all'adempimento al precetto di cui all'art. 558/2 del c.p.p.) - alla parte offesa, ex art. 24 della Costituzione vanno concesse tutte le possibilita' difensive iniziali che vengono riconosciute all'imputato. Invero, nel momento in cui la parte offesa si costituisce parte civile, propone ex art. 99 del c.p.c. una domanda nei confronti dell'imputato; e' evidente e conseguenziale, allora, che in forza del principio del contradditorio, tipico principio del processo civile (e comunque non ultroneo a quello penale), - costituente espressione del piu' generale diritto alla difesa, - la parte offesa-parte civile debba avere, una volta avuto compiutamente conoscenza dei fatti sui quali l'imputato deve rispondere, fatti potenzialmente lesivi del suo diritto, lo stesso tempo concesso a questi per preparare e adeguatamente sostenere le sue domande civili nel processo penale. Cio' e' imposto non solo dall'art. 3 della Costituzione ma anche dal successivo art. 24. Cio' e' ancora piu' vero ove si ponga mente che nel caso in cui il p.m. abbia rinviato a giudizio l'imputato ai sensi dell'art. 555 del c.p.p., la parte offesa-parte civile, al fine di tutelare adeguatamente il suo diritto potenzialmente leso dal fatto- reato, ha una sola via: quella di esercitare l'azione civile nel processo penale stante proprio il disposto dall'art. 652 del c.p.p. Se cio' e' vero, allora, la parte civile non puo' e non deve subire, ex art. 24 della Costituzione, in conseguenza della scelta operata (appunto perche' essa e' quasi imposta), delle deminutio rispetto alla tutela civile (ovviamente compatibilmente con la struttura e la finalita' del processo penale); quindi deve avere quantomeno le stesse possibilita' di partenza dell'imputato, sua controparte. Cio' impone ed esige, ex artt. 3 e 24 della Costituzione che essa abbia, gli stessi termini minimi di comparizione dell'imputato; termini la cui funzione e' proprio quella di consentire una adeguata e reciproca difesa tra le due parti (parte civile-attore e imputato-convenuto). E' il caso di far rilevare che una tale estensione non e' certo incompatibile con la struttura e la finalita' del processo penale, ma anzi costituisce espressione di un principio al quale il legislatore del 1989 si e' attenuto quale quello di un processo di parti. Un'ultima osservazione si impone per corroborare la prospettazione qui proposta. Come e' noto, anche nel nuovo processo penale pretorile, vige il principio iudex debet iudicare secundum probata et alligata partium. Orbene se tale principio viene calato nel sistema dell'attuale processo si deve concludere che, mentre l'imputato ha sostanzialmente 45 giorni di tempo per cercare e trovare prove a discarico, la parte offesa-parte civile, stante il contemporaneo disposto degli artt. 558/2 e 79/3 del c.p.p. ne potrebbe avere in astratto solo 5. E' evidente allora che la norma qui impugnata viene a creare una disparita' di trattamento in ordine al concreto esercizio del diritto alla prova; cio' costituisce indubbiamente una violazione al precetto di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione. 6) .. Segue. Dopo quanto detto sopra e' evidente la illegittimita' dell'art. 79/3. Invero dal tenore letterale della norma si evince che essa contiene un termine di decadenza dal deposito delle liste (atto di esercizio del diritto alla prova) facendo esclusivo riferimento al termine finale di cui all'art. 468 del c.p.p. Il meccanismo della norma e' chiaro: se la costituzione di parte civile ex art. 76 avviene prima del termine di cui all'art. 468 la parte civile potra' depositare le liste testimoniali; se, invece, avviene dopo il suddetto termine, ferma restando la validita' e ammissibilita' dell'operata costituzione, la parte civile non potra' piu' depositare le liste testimoniali. E' pacifico che tale norma trovi applicazione, come evidenziato nel giudizio a quo dalla difesa dell'imputato nonche' dal p.m. di udienza, anche nel rito dinnanzi al pretore. Invero cio' lo si desume dal fatto che trattasi di norma generale non derogata da alcuna di quelle previste dagli artt. 549 e segg. c.p.p. Orbene, delineato in tal modo il contenuto e l'ambito della succitata norma, essa e' chiaramente incostituzionale per le considerazioni che si verranno ad esporre. Innanzitutto, stante proprio il disposto dell'art. 558/2 del c.p.p., in astratto (unica valutazione da fare per valutare l'ammissibilita' della questione) la parte offesa-parte civile potrebbe avere avuto conoscenza del rinvio a giudizio quando il termine di cui all'art. 468 (norma alla quale il 79/3 fa rinvio) era gia' scaduto. E' evidente allora, traendo una prima conclusione, che il termine previsto dall'art. 79/3 determina una discrasia se collegato a quello previsto dall'art. 558/2; discrasia che, in astratto, potrebbe non consentire il rispetto del termine di cui all'art. 468 del c.p.p. Cio' chiaramente costituisce una evidente violazione sia dell'art. 3 della Costituzione, nella prospettiva del principio di ragionevolezza, sia dell'art. 24 della Costituzione, atteso che non consentirebbe, comunque, in taluni casi, l'adempimento del suddetto precetto. Ma v'e' di piu'; tale discrasia e' ancor piu' grave ove il disposto dell'art. 79/3 venga posto in relazione al termine di cui all'art. 567/2 del c.p.p. Invero la suddetta norma costituisce proprio l'alter ego dell'art. 468 del c.p.p. per il giudizio dinnanzi al pretore. Orbene la discrasia e' chiara: mentre le altre parti possono depositare le liste testimoniali, ex art. 567/2, fino a due giorni prima del dibattimento, la parte civile deve depositarle entro 7 giorni prima. E' chiara allora, da una parte, la disparita' di trattamento fra le parti atteso che sono disciplinati in maniera difforne i termini di decadenza dalla prova, e, dall'altra, la violazione del diritto alla difesa atteso che le altre parti, rispetto alla parte civile, hanno a loro disposizione "piu' tempo" per preparare le proprie difese. Quindi si deve concludere che l'art. 79/3 del c.p.p., nei limiti in cui non faccia riferimento anche al termine di cui all'art. 567/2 del c.p.p. e' incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Si impone, pertanto, il relativo adeguamento. Ma un'altra fondamentale osservazione si impone, necessaria a comprendere che, pur cosi' adeguato, il disposto dell'art. 79/3 (con sentenza sostanzialmente additiva), la disciplina complessiva sarebbe, comunque, irragionevole. Infatti si deve osservare che il disposto dell'art. 79/3, cosi come ipoteticamente modificato dalla Corte costituzionale, lascerebbe comunque (e giustamente) inalterata la struttura della norma; per cui la parte offesa-parte civile dovra' comunque, non solo, depositare le liste prima dei due giorni di cui all'art. 567/2, ma dovra' anche costituirsi entro tale termine. Cio' lo si desume da due fondamentali considerazioni; innanzitutto dal tenore letterale dell'art. 79/3 ove si afferma "se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine .." per cui la norma chiaramente pone, come condictio sine qua non della ammissibilita' del deposito della lista, costituzione di p.c. In secondo luogo cio' lo si desume proprio dall'art. 468/1 (al quale su tale punto il 567/2 fa rinvio) che dispone che solo le parti sono legittimate a proporre e a depositare le liste testimoniali; e' chiaro che tale termine va ovviamente inteso in senso formale. Da cio' consegue, traendo una prima conclusione, che costituisce condizione di ammissibilita' del deposito della lista, ex art. 567/2, la costituzione di parte civile. E' chiaro, allora, che essa andra' operata fuori udienza per cui l'atto puo' ritenersi valido ed efficace solo al momento della notifica di esso all'imputato (ed eventualmente alle altre parti). Orbene, se tale sistema (che sarebbe conseguente alla declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 79/3) viene collegato all'attuale disposto dell'art. 558/2 del c.p.p. si avrebbe la logica conseguenza che, in astratto, la parte offesa avrebbe solo 3 giorni per notificare l'atto di costituzione e depositare, conseguentemente, le liste testimoniali. In sede di valutazione di tale assetto normativo, e' evidente che il termine consentito (che giova ribadire afferisce ad un atto di esercizio del diritto alla prova) e' impossibile oggettivamente da adempiere atteso che, comunque, in tre giorni la parte civile non riuscirebbe chiaramente a notificare l'atto di costituzione (tralasciando poi tutti quegli adempimenti che sono prodromici allo svolgimento di tale attivita'). E' evidente allora che il termine fissato dall'art. 558/2, se posto in relazione anche al disposto dell'art. 79/3 e 567/2, e intrinsecamente incongruo e, come tale, irragionevole. Cio' viene detto proprio per evidenziare che la modifica dell'art. 79/3, con rinvio al termine di cui all'art. 567/2 del c.p.p., risultera' conforme al sistema costituzionale solo ove venga modificato anche il disposto dell'art. 558/2 del c.p.p. cosi' come prospettato al punto 5 della presente ordinanza. Infatti, in tal caso, il termine di decadenza - inteso non solo come termine finale ma anche come termine iniziale e, quindi, come tempo necessario allo svolgimento di attivita' giuridiche (nel caso di specie deposito lista testi) - di cui all'art. 567 de, c.p.p. sarebbe identico per tutte le parti ma nello stesso momento saranno identiche le posizioni di partenza: l'imputato avra' a disposizione 43 giorni di tempo per depositare le liste, lo stesso termine avra' sostanzialmente la parte civile. A contrario ove la corte si limitasse a modificare il solo art. 79/3, imponendo il rinvio anche al termine di cui all'art. 567/2, senza modificare il correlato termine di cui all'art. 558/2 (termine iniziale per lo svolgimento dell'attivita' in questione), la parita' di trattamento, intesa come identita' di possibilita' iniziale, nonche' la necessita' di garantire a tutte le parti e nella stessa misura il diritto alla difesa (nel particolare aspetto del diritto alla prova di cui l'atto di deposito delle liste costituisce una estrinsecazione), verrebbe frustrato. Sul punto non si puo' non ribadire che limitare la questione solo al disposto dell'art. 79/3 significherebbe, sostanzialmente, attribuire all'imputato 43 giorni di tempo per presentare le proprie difese mentre alla parte civile solo 3 giorni (con l'ulteriore aggravio che, nel suddetto termine, la parte civile dovra' anche notificare l'atto di costituzione). 7) Conclusioni. E' evidente in conclusione, che le questioni poste all'attenzione della Corte sono complesse ma indubbiamente collegate. Invero solo mediante l'adeguamento di tutte le norme, impugnate nelle forme e nei limiti indicate nella presente ordinanza, potranno garantire perfetta osmosi tra il sistema normativo ordinario ed il sistema costituzionale; per puro scrupolo si fa comunque notare che mentre le questioni sub) 3/ B e sub) 3/ C sono strettamente legate quella sub) 3/ A e' relativamente autonoma atteso che la Corte potra' non ritenere incostituzionale il disposto dell'art. 555 e incostituzionali le altre norme ma non potra' certamente ritenere infondata una delle due questioni sub) 3/ B e C atteso che, in tal caso, si verra' comunque a creare disorganicita' del sistema (con il rischio di eventuali e successive questioni). A questo punto corre l'obbligo di evidenziare, come si evince chiaramente dal presente provvedimento, che esso e' in piena sintonia con il sistema delineato dalla legge n. 81/87 e dal d.P.R. n. 447/1988. Invero, come e' noto, due sono i principi cardine ai quali il nuovo processo si conforma: e' un processo di parti nel quale le prove vengono acquistate esclusivamente in dibattimento. E' evidente e conseguenziale, allora, che a tutte le parti vadano riconosciuti gli stessi poteri iniziali soprattutto quando, come nel caso di spe- cie, essi afferiscono al diritto alla prova; per cui una disciplina difforme su tale punto, in merito a termini di decadenza e/o termini minimi di comparizione, costituisce, non solo altrettante ipotesi di illegittimia' costituzionale, ma ancor piu' altrettante antinomie del sistema normativo. A questo punto si potrebbe obiettare che l'operata estensione alla parte civile di poteri e facolta' dell'imputato non sono conformi al sistema positivo; in altri termini si potrebbe obiettare che nel processo penale l'imputato e la parte offesa assumono posizioni di- verse; per cui sotto tale prospettiva si puo' pur ritenere legittima una diversa disciplina in merito ai termini minimi. Cio' per l'evidente ragione che la parte offesa non e' processualmente parte; lo diviene solo con la costituzione; per cui solo da tale momento puo' ritenersi titolare di diritti e poteri processuali. Tale prospettazione non e' di pregio. E' pacifico che la parte offesa, prima della costituzione, formalmente non sia parte; ma e' altrettanto evidente, dallo stesso sistema normativo attuale, che essa risulta essere, prima della costituzione, titolare di diritti e poteri. A tal fine e' sufficiente por mente proprio al disposto dell'art. 558/2 del c.p.p.: esso mira chiaramente a rendere edotta la parte offesa del rinvio a giudizio dell'imputato al fine di consentirle l'esercizio dei diritti e dei poteri previsti dal sistema; segnatamente proprio quelli di costituirsi parte civile e di depositare le liste testimoniali al fine di sostenere le proprie domande civili in dibattimento. Ne consegue che essa parte offesa deve necessariamente ritenersi parte in senso sostanziale e quindi, come tale, deve godere delle stesse possibilita' e degli stessi limiti dell'imputato. 8) Sulla rilevanza della questione. Le questioni come sopra esposte sono rilevanti ai fini del decidere il caso di specie. Invero, in merito a quelle sub 3/ A e 3/ B, ove la corte ritenesse di aderire alle prospettazioni di questo pretore il decreto di citazione a giudizio, emesso nel procedimento de quo, sarebbe nullo ai sensi degli artt. 178/C e 180 del c.p.p.; si imporrebbero, cosi', i provvedimenti conseguenziali. A confurtare cio' non puo' essere di pregio l'eventuale osservazione che, sulla base del principio tempus regit actum, il decreto di citazione de quo, al momento in cui e' stato emesso, era legittimo ed il rapporto processuale si e' validamente costituito; con la logica conseguenza che cio' non puo' venir meno sulla base della sentenza della Corte costituzionale la quale, non avrebbe alcun rilievo pratico sul processo. Tale prospettazione e' infondata atteso che, come e' noto, la sentenza della Corte costituzionale e' una sostanziale sentenza di annullamento, e quindi, deve necessariamente avere efficacia retroattiva e i suoi effetti non possono essere limitati da un principio, come quello suddetto afferente a tutt'altra ipotesi quale quella della abrogazione di una norma ad opera di un'altra norma. In altri termini le norme qui impugnate, ove la Corte ritenesse di aderire alle prospettazioni di questo pretore, sono invalide sin ab origine; per cui non possono e non debbono legittimare la validita' e l'efficacia degli atti posti in essere sulla base di esse; essi, quindi, andrebbero valutati alla luce dell'art. 555/3 del c.p.p. secondo la lettura qui proposta. Ne' miglior sorte puo' avere, al fine di valutare la rilevanza della questione, l'eventuale osservazione che con l'avvenuta costituzione di parte civile nonche' con l'avvenuto deposito delle liste testimoniali, eventuali vizi del decreto di citazione e/o della citazione della parte offesa sarebbero, per cio' stesso, sanati ex artt. 183/8 e 184/1. Anche tale prospettazione non e' di pregio. Invero, a tacer d'altro, non spetta, in tale fase, ne' alla Corte ne' tanto meno a questo pretore, accertare la configurabilita' di tale fattispecie atteso che trattasi di un giudizio di merito che come tale e' ultroneo al controllo di legittimita' della Corte. Comunque, anche ove si volessero configurare, in astratto, tali ipotesi, esse suppongono, la declaratoria di nullita' del decreto di citazione a giudizio e, quindi, la questione sarebbe, per cio' stesso, rilevante anche in considerazione che tale sussunzione potrebbe divenire motivo di impugnazione della sentenza. Quindi, anche sotto tale prospettiva, la questione come sopra posta e' rilevante ai fini della decisione del giudizio a quo. Ancor piu' rilevante e' la questione sub 3/ C. Invero, ove la corte ritenesse di aderire alla prospettazione di questo pretore, la eccezione proposta dalla difesa dell'imputato nel giudizio a quo, sarebbe da rigettare. Atteso che la lista testimoniale e' stata depositata comunque due giorni prima del dibattimento; quindi nel rispetto del termine di cui all'artt. 567/3 del c.p.p.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. della legge n. 81/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 555/3, 558/2 e 79/3 del c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 24 della Cosituzione nei limiti di cui a parte motiva; Sospende il giudizio in corso; Dispone la trasmissione dei relativi atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per gli avvisi e le notifiche di cui all'art. 23/4 della legge n. 81/1953. Gardone V.T., addi' 19 marzo 1993 Il pretore: (firma illeggibile) 93C0610