N. 276 SENTENZA 28 maggio - 10 giugno 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro - Esercizio del  diritto  di  sciopero  nei  servizi  pubblici
 essenziali  -  Ipotesi  di sciopero di carattere economico-politico -
 Mancata applicazione in tema di preavviso  minimo  e  di  indicazione
 della  durata  dello  sciopero  -  Analogia dello sciopero economico-
 politico con quello economico-contrattuale - Non fondatezza.
 
 (Legge 12 giugno 1990, n. 146, art. 2, settimo comma).
 
 (Cost., art. 40).
(GU n.25 del 16-6-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco   GUIZZI,   prof.   Cesare   MIRABELLI,  prof.  Fernando
    SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  7,
 della  legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto
 di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia  dei
 diritti  della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della
 Commissione di garanzia dell'attuazione della  legge),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  9  novembre  1992  dal  Pretore  di Torino nel
 procedimento civile vertente tra F.N.L.E. -  C.G.I.L.  regionale  del
 Piemonte  ed  altra  e  la  s.p.a.  E.N.E.L.,  iscritta al n. 789 del
 registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 54, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti  gli atti di costituzione della F.N.L.E. - C.G.I.L. ed altra
 e della s.p.a. E.N.E.L. nonche' l'atto di intervento  del  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 30 marzo 1993 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi gli avvocati Massimo D'Antona, Giuseppe  Ferraro  e  Luciano
 Ventura  per  la  F.N.E.L.  -  C.G.I.L.  ed altra, Giovanni Gentile e
 Mattia Persiani per la  s.p.a.  E.N.E.L.  e  l'Avvocato  dello  Stato
 Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un procedimento promosso, ai sensi dell'art. 28
 della legge 20  maggio  1970,  n.  300,  dalla  F.N.L.E.  -  C.G.I.L.
 comprensorio  di Torino e la F.N.L.E. - C.G.I.L. regionale per sentir
 dichiarare antisindacale il  comportamento  tenuto  dall'E.N.E.L.  in
 occasione  dello  sciopero attuato il 25 settembre 1992 con preavviso
 comunicato il 22 settembre 1992, il Pretore di Torino, con  ordinanza
 del  9 novembre 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 40 Cost.,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 7,  della
 legge  12 giugno 1990, n. 146, "nella parte in cui non prevede che le
 disposizioni  dello  stesso articolo in tema di preavviso minimo e di
 indicazione della durata dello sciopero non si applichino, oltre  che
 ai casi di astensione dal lavoro in difesa dell'ordine costituzionale
 o  di  protesta  per  gravi  eventi  lesivi  dell'incolumita' e della
 sicurezza  dei  lavoratori,  anche  nelle  ipotesi  di  sciopero   di
 carattere economico-politico".
    Il  18 settembre 1992 le tre confederazioni sindacali proclamarono
 uno sciopero generale, articolato per  regioni,  contro  la  "manovra
 economica"  preannunciata  dal  Governo  e  poi disposta col d.-l. 19
 settembre 1992, n. 384.  Le  segreterie  sindacali  territoriali  del
 Piemonte  programmarono  l'astensione dal lavoro per il 25 settembre.
 Per quanto riguarda gli elettrici, l'ENEL - Compartimento di  Torino,
 formalmente  preavvisato  in  data  22  settembre,  provvide,  con un
 comunicato affisso nelle apposite bacheche in data  23  settembre,  a
 segnalare  ai  propri  dipendenti l'illegittimita' dello sciopero per
 mancato rispetto del preavviso  di  almeno  dieci  giorni  prescritto
 dall'art.  2,  comma  5,  della  legge  n.  146  del  1990.  Tuttavia
 l'organizzazione  sindacale  territoriale  della  CGIL  confermo'  lo
 sciopero  per  il  25  settembre.  Di cio' l'Ente diede notizia nello
 stesso giorno alla Commissione di garanzia di cui all'art.  12  della
 legge  citata,  la  quale, con delibera generale del 1› ottobre 1992,
 invito' le organizzazioni sindacali "ad assicurare in  ogni  caso  di
 sciopero  che  interessi  i  pubblici  servizi  essenziali  anche  il
 rispetto dei termini previsti per le proclamazioni di sciopero e  per
 le  comunicazioni  agli  utenti".  Pertanto  in  data 13 ottobre 1993
 l'ENEL comunicava alla F.N.L.E. - C.G.I.L.  Piemonte  l'applicazione,
 nella  misura minima, delle sanzioni collettive ordinate dall'art. 4,
 comma 2, della legge n. 146, e precisamente  la  sospensione  per  un
 mese   dei  contributi  sindacali  e,  nei  confronti  del  dirigente
 sindacale  responsabile  della  proclamazione  dello   sciopero,   la
 sospensione per lo stesso periodo dei permessi retribuiti.
    Il  comunicato  dell'ENEL  ai dipendenti, affisso prima della data
 stabilita  per  lo  sciopero,  e  la  successiva  applicazione  delle
 sanzioni  previste  dalla  legge  al  sindacato  promotore sono stati
 denunciati al  pretore  dalle  suddette  organizzazioni  territoriali
 della  C.G.I.L.  come  condotte  antisindacali  per  due  motivi.  a)
 Premesso che nella specie e' stata assicurata  la  piena  continuita'
 del  servizio sicche' nessun danno e' stato cagionato agli utenti, si
 sostiene che l'obbligo del preavviso di dieci giorni non  sarebbe  un
 limite  legale  del diritto di sciopero nel senso dell'art. 40 Cost.,
 bensi' una garanzia a tutela dell'interesse dei  terzi  utenti:  come
 tale non avrebbe ragion d'essere quando in concreto si sia provveduto
 ugualmente    alla    salvaguardia    dei   diritti   della   persona
 costituzionalmente protetti, nella quale consiste  essenzialmente  la
 ratio  della  legge  n. 146. b) Ammesso che si tratti di un limite in
 senso  proprio  del  diritto  di  sciopero,  esso   deve   intendersi
 applicabile  solo  allo  sciopero  per  fini  contrattuali, non anche
 quando il diritto  di  sciopero  sia  esercitato  come  strumento  di
 partecipazione dei lavoratori alla formazione della volonta' politica
 dello Stato.
    Il giudice a quo ha escluso la rilevanza di tali argomenti sul pi-
 ano  interpretativo, il preavviso di dieci giorni essendo chiaramente
 imposto dalla legge  come  condizione  inderogabile  di  legittimita'
 dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, eccettuati soltanto i
 casi  indicati  nel  comma  7  dell'art. 2, nessuno dei quali ricorre
 nella specie. Ha pero' ravvisato nel secondo argomento una ragione di
 non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 2, comma 7, sollevata d'ufficio nei termini
 sopra riferiti. A suo avviso, poiche' la garanzia costituzionale  del
 diritto  di  sciopero esige una disciplina dell'esercizio del diritto
 che non ne pregiudichi l'effettivita',  l'obbligo  del  preavviso  e'
 incompatibile  anche  con  lo  sciopero economico-politico, diretto a
 premere sulla  pubblica  autorita'  per  ottenere  l'adozione  di  un
 provvedimento  favorevole  oppure  la revoca o la modificazione di un
 provvedimento  ritenuto  sfavorevole  agli  interessi  economici  dei
 lavoratori.  In questo caso la possibilita' di intervento tempestivo,
 senza la remora del preavviso, e ferme le cautele necessarie  per  la
 tutela dei diritti degli utenti, e' una condizione della capacita' di
 pressione dello sciopero.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale si sono
 costituite entrambe le organizzazioni sindacali ricorrenti  chiedendo
 che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,  in subordine,
 fondata.
    Le ricorrenti sviluppano i motivi del ricorso proposto al  pretore
 ai  sensi  dell'art.  28  della  legge n. 300 del 1970, presentandoli
 anzitutto come motivi di irrilevanza  della  sollevata  questione  di
 legittimita'   costituzionale.   In  primo  luogo  viene  ripresa  la
 distinzione tra garanzie degli utenti, previste dalla  legge  n.  146
 del  1990,  una  delle quali e' l'obbligo del preavviso, e limiti del
 diritto di sciopero ai sensi dell'art. 40 Cost.: poiche' i lavoratori
 hanno rispettato questi limiti, attenendosi  alle  indicazioni  della
 giurisprudenza costituzionale, essi si sono contenuti nell'ambito del
 diritto  di sciopero, cosi' che il pretore avrebbe dovuto riconoscere
 la non sanzionabilita' dell'omissione del  preavviso  di  legge  alla
 stregua  di  un  criterio analogo alla scriminante dell'esercizio del
 diritto. Da un altro punto di vista, ove l'obbligo del preavviso  sia
 ritenuto  un limite del diritto di sciopero, l'inapplicabilita' nella
 specie della norma sanzionatoria di cui all'art. 4,  comma  2,  della
 legge  n.  146,  e quindi l'inammissibilita' della questione in esame
 per  difetto  di  rilevanza,  sono  affermate  dalle  ricorrenti  sul
 riflesso  che  l'art.  4 riguarda soltanto il caso in cui il rispetto
 del limite risulti uno strumento essenziale per la  salvaguardia  dei
 diritti fondamentali degli utenti, caso che nella specie non ricorre.
    Nel  merito  le  ricorrenti  aderiscono  al motivo di impugnazione
 della  norma  denunciata  svolto  nell'ordinanza  di   rimessione   e
 incentrato sull'argomento che lo sciopero economico-politico, essendo
 uno  strumento di partecipazione dei lavoratori alla formazione delle
 decisioni  di  politica  economica  che  toccano  i  loro   specifici
 interessi,  non  puo' essere disciplinato alla medesima stregua dello
 sciopero per fini contrattuali.
    3. - Si e' pure  costituito  l'ENEL  -  Compartimento  di  Torino,
 chiedendo  che  la  questione sia dichiarata inammissibile o comunque
 infondata. Nella memoria di costituzione e nella memoria  integrativa
 depositata  nell'imminenza  dell'udienza  pubblica  sono  dedotti tre
 motivi di inammissibilita'.
    Col   primo  motivo  si  obietta  che  il  giudice  remittente  ha
 trascurato di verificare in concreto se  l'osservanza  del  preavviso
 avrebbe  impedito  l'efficace  attuazione dello sciopero. Se si fosse
 fatto carico  di  questa  verifica  avrebbe  potuto  cogliere  indici
 contrari  alla pretesa indilazionabilita' dello sciopero, da un lato,
 nel fatto che il provvedimento contestato era un decreto-legge per la
 cui  conversione  il  Parlamento   aveva   tempo   sessanta   giorni,
 dall'altro, nel fatto che la Confederazione nazionale degli elettrici
 della  CISL, tutti i sindacati regionali della UIL, tranne quello del
 Piemonte, e la grande maggioranza degli  stessi  sindacati  regionali
 CGIL  si  erano  conformati  all'obbligo di preavviso di dieci giorni
 rinviando l'attuazione dello sciopero al 2 ottobre 1992.
    Il secondo motivo di  inammissibilita'  e'  desunto  dal  tipo  di
 sentenza  prospettata  nell'ordinanza  di  rimessione. Trattandosi di
 sentenza additiva, essa invaderebbe la sfera delle  scelte  riservate
 alla discrezionalita' del legislatore: l'eventuale accoglimento della
 questione  privilegerebbe  una  soltanto  delle  soluzioni possibili,
 mentre la tesi che lo sciopero  economico-politico  possa  avere  una
 valenza  diversa  dallo  sciopero  per  fini contrattuali non implica
 logicamente che  debba  avere  la  medesima  valenza  dello  sciopero
 proclamato    per    la    difesa    dell'ordine   costituzionale   o
 dell'incolumita' e della sicurezza dei lavoratori.
    Il terzo motivo e' desunto dalla  natura  della  norma  impugnata:
 "l'eventuale    pronuncia   additiva   della   Corte   costituzionale
 comporterebbe l'estensione allo sciopero  politico-economico  di  una
 norma  che,  derogando  alla  disciplina  contenuta  nel  primo comma
 dell'art. 2 della legge n. 146 del 1990, e'  norma  eccezionale".  Di
 qui  l'inammissibilita'  della  questione,  perche'  col ricorso alla
 Corte si mirerebbe a superare il divieto, posto  dall'art.  14  delle
 preleggi,  di  estensione  delle  norme eccezionali a casi diversi da
 quelli in esse considerati.
    Nel merito l'ENEL osserva  che  l'argomento  con  cui  il  giudice
 remittente  postula l'equiparazione dello sciopero economico-politico
 allo sciopero di difesa dei  valori  supremi  indicati  nel  comma  7
 dell'art.  2 oblitera del tutto la ratio di questa norma eccezionale.
 Nei casi previsti  dall'ultimo  comma  dell'art.  2  lo  sciopero  e'
 proclamato  a  difesa  di  valori,  quali  l'ordine  costituzionale e
 l'incolumita' e la sicurezza dei lavoratori, che sono necessariamente
 riferiti a tutta la  collettivita',  onde  sono  stati  valutati  dal
 legislatore  come  preminenti  anche  rispetto  a quelli espressi nei
 diritti degli utenti costituzionalmente garantiti. Invece lo sciopero
 economico-politico rientra pur sempre nella categoria dello  sciopero
 economico, identificata - secondo la giurisprudenza di questa Corte -
 dalla  funzione  di  sostegno "di tutte le rivendicazioni riguardanti
 gli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme poste
 sotto il titolo III della  parte  I  della  Costituzione".  A  questa
 definizione  si  e'  adeguato  il  legislatore del 1990 ai fini della
 delimitazione  dei  casi  di  sciopero  legittimo  non   soggetti   a
 bilanciamento  con  i diritti degli utenti e pertanto esonerati dalle
 disposizioni dell'art. 2 in tema  di  preavviso  e  di  durata  dello
 sciopero.
    4.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
    Inammissibile,   perche'   lo   sciopero   a   difesa  dell'ordine
 costituzionale o dell'incolumita' e della sicurezza dei lavoratori e'
 una nozione ontologicamente distinta da quella di sciopero economico-
 politico,  per  cui  un  eventuale   trattamento   differenziato   di
 quest'ultimo  potrebbe  essere modellato in vari modi alternativi, la
 scelta dei quali spetta al legislatore.
    Nel  merito  l'Avvocatura  osserva  che,  dato  il  fine  indicato
 nell'art. 2, comma 5, della legge n. 146, sintetizzabile nella tutela
 dei diritti fondamentali dei cittadini, non puo' dirsi irrazionale la
 scelta  del  legislatore di assimilare lo sciopero economico-politico
 allo sciopero economico per quanto riguarda gli obblighi di preavviso
 e di indicazione della durata dell'agitazione. La possibilita' per le
 varie categorie di cittadini di utilizzare gli strumenti di pressione
 sulla pubblica autorita', di cui ciascuna variamente dispone, incluso
 l'esercizio a questo scopo del  diritto  di  sciopero  da  parte  dei
 lavoratori,    non    puo'    certo    essere   promossa   a   valore
 costituzionalmente preminente, alla pari di quelli riconosciuti dalla
 norma impugnata.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Torino mette in dubbio la conformita'  all'art.
 40  Cost.  dell'art.  2, comma 7, della legge 12 giugno 1990, n. 146,
 portante norme sull'esercizio del diritto  di  sciopero  nei  servizi
 pubblici   essenziali,  "nella  parte  in  cui  non  prevede  che  le
 disposizioni dello stesso articolo in tema di preavviso minimo  e  di
 indicazione  della durata dello sciopero non si applichino, oltre che
 ai casi di astensione dal lavoro in difesa dell'ordine costituzionale
 o di protesta  per  gravi  eventi  lesivi  dell'incolumita'  e  della
 sicurezza   dei  lavoratori,  anche  nelle  ipotesi  di  sciopero  di
 carattere economico-politico".
    2.1.  -  Da  entrambe  le   parti   costituite   in   giudizio   e
 dall'Avvocatura  dello  Stato  sono  state  sollevate preliminarmente
 numerose eccezioni di  inammissibilita',  nessuna  delle  quali  puo'
 essere accolta.
    Le  organizzazioni  sindacali ritengono la questione inammissibile
 anzitutto perche', non potendo le  modalita'  procedurali  prescritte
 dalla  legge  n.  146 considerarsi propriamente limiti del diritto di
 sciopero nel senso dell'art. 40  Cost.,  il  pretore  avrebbe  dovuto
 accogliere  il  ricorso  applicando  all'omissione  del preavviso una
 esimente analoga a quella di cui all'art. 51 cod. pen. , sul riflesso
 che il diritto di sciopero  e'  stato  esercitato  correttamente  nei
 limiti  indicati  dalla giurisprudenza costituzionale per lo sciopero
 nei pubblici servizi; in secondo luogo perche', pur  ammesso  che  si
 tratti  di  limite  in  senso  proprio,  il  preavviso deve ritenersi
 obbligatorio solo nel caso  in  cui  risulti  indispensabile  per  la
 salvaguardia  degli  utenti,  caso  non  ricorrente nella specie, non
 avendo lo  sciopero  determinato  irregolarita'  nell'erogazione  del
 servizio grazie alle precauzioni adottate dagli stessi lavoratori.
    La   prima   eccezione   si   fonda  su  una  pretesa  distinzione
 dell'obbligo di  preavviso,  in  quanto  modalita'  procedurale,  dai
 limiti   del   diritto  di  sciopero  previsti  dall'art.  40  Cost.,
 chiaramente contrastata, oltre che da evidenti  difficolta'  logiche,
 dalla  lettera  dell'art.  1,  comma 2. La legge considera le "regole
 (sostanziali) da rispettare" e "le procedure da seguire  in  caso  di
 conflitto  collettivo" alla stessa stregua, come due ordini di limiti
 del  diritto  di  sciopero  strumentali  alla salvaguardia del nucleo
 essenziale dei diritti degli utenti indicati nel comma precedente.
    La seconda eccezione e' in realta'  un'eccezione  di  merito,  che
 prospetta  una  sentenza interpretativa di rigetto, e come tale sara'
 esaminata piu' avanti.
    2.2. - L'ENEL deduce tre  motivi  di  inammissibilita'.  Il  primo
 ravvisa  un  difetto  di motivazione sulla rilevanza della questione,
 avendo il giudice remittente  omesso  di  accertare  in  concreto  se
 l'osservanza  del  preavviso  avrebbe  impedito l'efficace attuazione
 dello sciopero. Ma l'ordinanza di rimessione non mira a una  sentenza
 che  esoneri  dal  preavviso lo sciopero economico-politico quando si
 verifichi  in  concreto  l'esigenza  di  immediata  attuazione   come
 condizione  di effettivita' dello sciopero, bensi' a una sentenza che
 esoneri incondizionatamente dal  preavviso  anche  questa  specie  di
 sciopero,  estendendo  ad  essa  il  medesimo  trattamento  dei  casi
 eccettuati dalla norma impugnata. La  rilevanza  della  questione  e'
 quindi  indipendente dalle circostanze di fatto che l'ENEL rimprovera
 al giudice remittente di non avere appurato.
    Col secondo motivo, proposto anche dall'Avvocatura dello Stato, si
 eccepisce che la richiesta  sentenza  additiva  interferirebbe  nella
 sfera  delle  scelte  riservate alla discrezionalita' legislativa. In
 contrario va osservato che, nei termini in cui e' stata sollevata, la
 questione non implica una scelta  tra  una  pluralita'  di  soluzioni
 possibili:  nell'ipotesi  di  sciopero  economico-politico il giudice
 remittente  ritiene   l'obbligo   di   preavviso   costituzionalmente
 illegittimo  per  se  stesso,  quale  che  ne sia il termine, sicche'
 l'unica soluzione idonea ad armonizzare la norma impugnata con l'art.
 40 Cost. e', a suo avviso, l'eliminazione dell'obbligo.
    In terzo luogo, la questione sarebbe inammissibile perche' diretta
 a estendere una norma eccezionale a un caso diverso da quelli in essa
 contemplati. Ma e' facile replicare che il divieto dell'art. 14 delle
 preleggi  puo'  costituire  un  ostacolo  a   un'ipotetica   sentenza
 interpretativa   fondata   sull'analogia,   non  a  una  sentenza  di
 accoglimento.  D'altro  lato,  il  comma  7  dell'art.   2   non   e'
 propriamente  una  norma eccezionale. In relazione all'art. 40 Cost.,
 esso  delimita  l'ambito  normativo  dell'obbligo  di  preavviso   in
 corrispondenza  alla  natura  degli interessi tra i quali la legge ha
 operato il bilanciamento che giustifica questo  limite  all'esercizio
 del diritto di sciopero.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Va  disattesa anzitutto l'interpretazione prospettata dalla difesa
 delle organizzazioni  sindacali:  l'enunciazione  dello  scopo  della
 legge,   inserita   all'inizio   del   secondo   comma   dell'art.  1
 ""contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con  il  godimento
 dei  diritti  della  persona,  costituzionalmente tutelati, di cui al
 comma  1"),  fornirebbe  argomento  per  ritenere  che  il  preavviso
 previsto dall'art. 2, comma 1 e 5, non e' dovuto quando i lavoratori,
 prima  di  attuare  lo  sciopero, adottino misure tali da escludere a
 priori ogni pregiudizio ai diritti degli utenti.
    In realta' un giudizio a priori di innocuita'  (per  l'utenza)  di
 uno  sciopero  attuato senza preavviso non e' mai possibile; ne' vale
 opporre gli esempi dello sciopero dei letturisti, degli addetti  alle
 fatturazioni  o  ai distacchi degli allacciamenti agli utenti morosi,
 trattandosi di casi non soggetti alla legge  n.  146,  la  quale  non
 riguarda  tutti  i  dipendenti  delle  aziende  erogatrici, ma solo i
 dipendenti  addetti  alle  attivita'  di  erogazione  del   servizio.
 Lasciando  da  parte  questo  tipo  di considerazioni, la prospettata
 interpretazione non regge di fronte alla lettera della legge.  L'art.
 1,  comma  2, precisa che, per il raggiungimento dello scopo indicato
 nell'incipit del comma, "la  presente  legge  dispone  le  regole  da
 rispettare   e   le   procedure  da  seguire  in  caso  di  conflitto
 collettivo", dove la congiunzione "e" significa  chiaramente  che  le
 une e le altre sono concorrenti, non alternative. Le prime consistono
 nelle  misure, previste dall'art. 2, che le imprese erogatrici devono
 predisporre  (in  conformita'  dei   contratti   collettivi   e   dei
 regolamenti  di  servizio concordati con le rappresentanze sindacali-
 aziendali) e i lavoratori aderenti allo  sciopero  devono  osservare,
 per  assicurare agli utenti le prestazioni indispensabili; le seconde
 si riassumono essenzialmente nell'obbligo dei lavoratori, e per  essi
 dei  sindacati  promotori  dello  sciopero,  di dare un preavviso non
 inferiore a dieci giorni, indicando  la  durata  dell'astensione  dal
 lavoro, al fine (in primo luogo, ma non esclusivamente) di consentire
 alle imprese la predisposizione delle dette misure.
    L'autonomia  dell'obbligo  di  preavviso  rispetto  al  compito di
 predisporre  le  misure  occorrenti  per  assicurare  le  prestazioni
 indispensabili,    gia'    sancita    dai    codici    sindacali   di
 autoregolamentazione dello sciopero presi a modello  dalla  legge  n.
 146, risulta sia dalla diversa incidenza soggettiva (l'uno incombendo
 ai lavoratori, l'altro alle imprese), sia dalla non coincidenza delle
 rispettive  finalita' ai sensi del comma 1 e del comma 5 dell'art. 2.
 Tanto poco i lavoratori possono dispensarsi dal preavviso ritenendolo
 assorbito da altre misure da essi giudicate idonee a scongiurare ogni
 pregiudizio per gli utenti (con cio' sostituendo il proprio  giudizio
 contingente  a valutazioni legali tipiche e, comunque, trascurando le
 ulteriori funzioni affidate dalla legge al  preavviso),  che  non  e'
 consentito  disporne  nemmeno  alla contrattazione collettiva, se non
 nel senso di un allungamento del termine legale.
    4. - Fermo che, eccettuati i due casi previsti dall'art. 2,  comma
 7,   lo   sciopero  nei  pubblici  servizi  essenziali  e'  sempre  e
 incondizionatamente soggetto all'obbligo di preavviso non inferiore a
 dieci giorni, il giudice a quo reputa tale obbligo incompatibile  con
 la  garanzia  costituzionale  dell'art.  40  nell'ipotesi di sciopero
 economico-  politico,  nella  quale  la  possibilita'  di  attuazione
 immediata   dell'astensione   collettiva  dal  lavoro,  senza  remore
 dilatorie, e' da lui reputata una condizione di  effettiva  capacita'
 di  pressione  dello  sciopero.  A suo avviso, lo sciopero economico-
 politico, in quanto  connotato  dalla  funzione  di  pressione  sugli
 organi  di  formazione  della  volonta'  politica,  non  puo'  essere
 disciplinato diversamente  dagli  altri  casi  di  sciopero  politico
 elevato  a diritto soggettivo, quali appunto i casi individuati dalla
 norma impugnata.
    A parte il rilievo che tale valutazione coinvolge l'art. 3  Cost.,
 non  richiamato  nell'ordinanza  di  rimessione,  va osservato, da un
 lato, che l'art. 40 Cost.  garantisce  le  condizioni  giuridiche  di
 effettivita'  dello sciopero nei limiti segnati dal bilanciamento con
 altri interessi di maggiore rilievo costituzionale, dall'altro che lo
 sciopero economico-politico non e' connotato soltanto dalla  funzione
 politica teste' definita, ma anche dalla qualita' delle pretese degli
 scioperanti,   tipicamente   afferenti   all'uno  o  all'altro  degli
 interessi economici dei lavoratori contemplati nel titolo  III  della
 parte  I  della Costituzione. Da questo punto di vista, ai fini della
 ponderazione con i diritti della persona salvaguardati  dall'art.  1,
 comma  1, della legge n. 146 del 1990, lo sciopero economico-politico
 e' avvicinabile allo sciopero economico-contrattuale.  L'analogia  di
 natura  degli  interessi, a sostegno dei quali lo sciopero nell'una e
 nell'altra ipotesi viene proclamato, giustifica l'assoggettamento  di
 entrambe  alla  disciplina  dell'art.  2  anche  per  quanto concerne
 l'obbligo di preavviso e di indicazione della durata  dell'astensione
 dal lavoro, tenuto conto che la forza di pressione dello sciopero nei
 pubblici  servizi  essenziali  si  esplica  piu'  attraverso il danno
 inflitto  agli  utenti  che  attraverso  il   danno   arrecato   alle
 amministrazioni o alle imprese erogatrici.
    Di  tutt'altra natura sono gli interessi difesi dai lavoratori nei
 casi previsti dall'ultimo comma dell'art. 2: poiche' ineriscono  alla
 persona   e   a   interessi   fondamentali  della  collettivita',  il
 bilanciamento con i diritti degli utenti di cui all'art. 1, comma  1,
 della   legge   deve   avere   un   esito  diverso  e  meno  incisivo
 sull'esercizio del diritto di sciopero.
    Le organizzazioni sindacali obiettano che lo  sciopero  economico-
 politico  e'  uno  strumento  di  partecipazione  dei lavoratori alla
 formazione delle decisioni di politica  economica  che  toccano  loro
 specifici  interessi,  e  come tale non puo' essere disciplinato alla
 medesima stregua dello sciopero per fini contrattuali.  Va  replicato
 che,  secondo  la  giurisprudenza  di questa Corte (sent. n.  290 del
 1974), la valutazione quale "mezzo idoneo a favorire il perseguimento
 dei fini di cui all'art. 3, secondo comma, Cost." e' per se' sola  un
 criterio di riconoscimento dello sciopero politico come liberta', non
 come  diritto  soggettivo. Dalla categoria dello sciopero politico lo
 sciopero  economico-  politico  e'  stato   enucleato   come   specie
 appartenente   all'area   normativa  dell'art.  40  Cost.,  e  quindi
 qualificato come diritto soggettivo, non in relazione  all'art.    3,
 secondo  comma, Cost., ma in ragione dell'omogeneita' di natura delle
 rivendicazioni degli scioperanti con quelle sostenute dallo  sciopero
 economico-contrattuale,  le  une  e le altre essendo funzionali "alla
 realizzazione  di  quel  vario  complesso   di   beni   che   trovano
 riconoscimento  e tutela nella disciplina costituzionale dei rapporti
 economici" (sent. n. 1 del 1974).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2,  comma  7,  della  legge  12 giugno 1990, n. 146 (Norme
 sull'esercizio  del  diritto  di  sciopero   nei   servizi   pubblici
 essenziali   e   sulla   salvaguardia   dei   diritti  della  persona
 costituzionalmente  tutelati.  Istituzione   della   Commissione   di
 garanzia  dell'attuazione  della  legge),  sollevata,  in riferimento
 all'art. 40 della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza
 in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 maggio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: MENGONI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 10 giugno 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0666