N. 361 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 luglio 1991- 12 giugno 1993
N. 361 Ordinanza emessa l'11 luglio 1991 (pervenuta alla Corte costituzionale il 12 giugno 1993) dal tribunale amministrativo regionale per la Puglia, secondo sezione di Lecce, sul ricorso proposto da Peluso Ermanno contro U.S.L. BR/4 - Brindisi. Impiego pubblico - Stato giuridico del personale delle UU.SS.LL. - Medici in posizione non apicale - Collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' come il restante personale medico delle UU.SS.LL. - Mancata previsione del trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta' come per i dirigenti civili dello Stato - Mancata previsione dell'applicabilita' del predetto beneficio (introdotto, per il personale medico, con la legge 19 febbraio 1991, n. 50) anche al personale cessato dal servizio prima del 21 febbraio 1991 - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni analoghe - Incidenza sul principio dell'assicurazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 134 e 207 del 1986, 531 e 761 del 1989 e 186/1990. (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53; d.l. 27 dicembre 1989, n. 413, art. 1, comma 4-quinquies, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 37; legge 19 febbraio 1991, n. 50, art. 3). (Cost., artt. 3 e 38, secondo comma).(GU n.28 del 7-7-1993 )
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2063 del 1990, proposto da Peluso Ermanno, rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto Sticchi-Damiani, contro la unita' sanitaria locale BR/4 - Brindisi, in persona del presidente del c.d.g., rappresentata e difesa dall'avv. Carlo De Carlo, per l'annullamento, previa sospensione, della deliberazione n. 846 del 18 luglio 1990 del comitato di gestione della U.S.L. BR/4, avente ad oggetto: "Prof. dott. Ermanno Peluso, nato il 27 agosto 1925, primario di nefrologia di ruolo della u.s.l.: collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta'", nonche' di ogni altro atto presupposto, connesso e, comunque, conseguenziale; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della U.S.L. BR/4; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza dell'11 luglio 1991 la relazione del dott. Luigi Costantini e uditi, altresi', gli avv.ti E. Sticchi-Damiani e C. De Carlo, rispettivamente, per il ricorrente e per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanti segue. F A T T O Il ricorrente dott. Peluso - primario di ruolo della divisione di nefrologia presso il presidio ospedaliero "A. Di Summa" di Brindisi - e' nato il 27 agosto 1925 e, quindi, in data 28 agosto 1990 compie il sessantacinquesimo anno di eta'. Con deliberazione n. 189 del 22 febbraio 1990 il comitato di gestione della u.s.l. BR/4 disponeva il collocamento a riposo, a decorrere dal 28 agosto 1990, per raggiunti limiti di eta', del dott. Peluso il quale compie il sessantacinquesimo anno di eta' in data 27 agosto 1990. Tale provvedimento veniva impugnato con il ricorso n. 1185/1990, che, con ordinanza n. 824/1990, adottata nella camera di consiglio del 1 giugno 1990, questo tribunale ne sospendeva la sua efficacia, facendo, comunque, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione. Senonche' consuccessiva deliberazione n. 846 del 18 luglio 1990 il comitato di gestione della U.S.L. BR/4, confermava quanto precedentemente disposto conla delibera n. 189 del 22 febbraio 1990, attesa la non sussistenza delle condizioni di "eccezionalita'" previste dall'art. 108 del r.g.o.a., tali da non consentire il trattamento in servizio oltre il limite dei 65 anni. Da cio', il ricorrente ha proposto il presente gravame, sostenendo la illegittimita' del provvedimento per i seguenti motivi: 1. - Violazione e falsa applciazione dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979. Violazione e falsa interpretazione e applicazione dell'art. 108 del r.g.o.a.. Violazione di legge. Difetto di motivazione. Eccesso di potere, in quanto l'interpretazione che in materia e' stata prospettata dalla giurisprudenza, secondo un orientamento ormai consolidato, e' nel senso che l'art. 53, secondo comma, del d.P.R. n. 761/1979 abbia inteso salvaguardare le posizioni di quel personale, che in forza di particolari previsioni relamentari, per far cosneguire il diritto o comunque l'aspettativa di essere mantenuto in servizio oltre l'eta' fissata in via generale dal primo comma del medesimo art. 53. 2. - Difetto assoluto di motivazione sotto altro profilo. Falsa ed erronea presupposizione in fatto e in diritto. Falsa ed errata interpretazione ed applicazione dell'art. 108 r.g.o.a. Eccesso di potere e violazione di legge, per essersi l'amministrazione resistente limitata ad affermare che "non sussistono le condizioni di eccesionalita' previste dalla norma regolamentare (art. 108) .. tali da consentire il trattanimento in servizio oltre il limite di sessantacinque anni". Da qui, appunto, l'assoluta carenza motivazionale, atteso che, l'avverbio "eccezionalmente" contenuto nella prima parte del secondo comma dell'art. 108, va interpretato alla luce delle previsioni di cui alla seconda parte della stessa norma, la quale sibordina la permanenza in servizio alla sussistenza delle "condizioni generali di capacita' fisica ed intelletturale" che "grantiscano un proficuo rendimento". 3. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma IV-quinquiesdella legge n. 37 del 28 febbraio 1990 di concessione del d.l. 27 dicembre 1989, n. 413. Eccesso di potere per falsa ed erronea presupposizione, in quanto la U.S.L. BR/4 non ha tenuto conto che le norme in epigrafe richiamate hanno esteso ai dirigenti civili dello Stato ed alle categorie di personale ad essi equiparati, nonche' ai dipendenti che godono di trattamenti commisurati o rapportati a quelli dei dirigenti. Infatti, egli sostiene che l'art. 47 della legge istitutiva del ss.ss.nn. n. 833 del 23 dicembre 1978, al primo comma contiene una enunciazione di principio, nel senso, cioe', che lo stato giuridico ed economico del personale delle uu.ss.ll. e' disciplinato secondo i principi generali comuni del rapporto di pubblico impiego e quindi anche da tutte le norme che, come quella da ultimo menzionata, estendono indisciminatamente un beneficio ad una intra categoria di pubblici impiegati. 4. - Violazione e mancata applicazione dell'art. 1, terzo comma, della legge 15 febbraio 1958, n. 46, violazione di legge, in quanto l'art. 1, terzo comma, della legge n. 46/1958 dispone che il provvedimento di collocamento a riposo "ha effetto dal primo giorno del mese successivo a quello di compimento del limite di eta'". Tale principio, applicabile in via generale a tutti i dipendenti pubblici, realizza, nella fattispecie, l'illegittimo collocamento a riposo, a decorrere dal 28 agosto 1990, del dott. Peluso, atteso che egli compira' il sessantacinquesimo anno di eta' solo in data 28 agosto 1990. 5. - Illegittimita' costituzionale della legge 37 del 28 febbraio 1990, art. 1, comma IV-quinquies per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, in quanto la differente portata della norma che consegue l'incremento della base contributiva previdenziale da quelle che prevedono in via generale un superiore limite di eta' per il collocamento a riposo assume in indubbio rilievo al fine precipuo di valutarne la compatibilita' con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Infatti, non puo' essere giustificato un differente trattamento in considerazione della peculiarita' delle carriere o di contingenze che rendono possibile agevolare posizioni di impiego. La u.s.l. resistente, costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame. Alla camera di consiglio dell'11 luglio 1991 la parte ricorrente ha insistito per l'adozione del provvedimento cautelare di sospensione della delibera impugnata. Il collegio, con ordinanza n. 1284/1991, ha disposto la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale, a seguito della decisione dell'incidente di costituzionalita' sollevata con la presente ordinanza. D I R I T T O I. - Il collegio ritiene che vanno sottoposti al giudizio incidentale di costituzionalita' (primo motivo di ricorso) l'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali), l'art. 1, comma quarto-quinquies, del d.l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37 e l'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50 (disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente), per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione della Repubblica, in quanto: a) il collocamento a riposo e' obbligatorio ed e' eseguito l'dufficio, indipendentemente da ogni altra cuasa al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', per il personale sanitario e tecnico laureato, amministrativo, di assistenza religiosa e professionale (art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979); b) i sovraintendenti sanitari, i direttori sanitari ed i primari restano in servizio sino al compimento del settantesimo anno di eta', qualora alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio 1964, n. 336 occupavano un posto di ruolo nelle funzioni ivi indicate (art. 5 del d.l. n. 402/1982); c) solo i dirigenti civili dello Stato, in servizio alla data del 1 ottobre 1974, che, al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non hanno raggiunto il numero di anni di servizio tale da far conseguire il massimo del trattamento di quiescenza possono rimanere in servizio, previa istanza, sino al conseguimento di tale trattamento massimo, e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta' (art. 1, comma quarto-quinquies della legge n. 413/1990, con richiamo delle norme relative al personale della scuola); d) solo i primari ospedalieri di ruolo che non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione, possono chiedere di essere trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita', e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta', purche' in servizio alla data del 21 febbraio 1991 (artt. 1 e 3 della legge 19 febbraio 1991, numero 50). II. - Cio' premesso, osserva il collegio che la questione di legittimita' delle predette norme si appalesa rilevante ai fini della decisione del gravame introduttivo del giudizio. Il ricorrente, infatti, non rientra nella categoria del personale che puo' beneficiare della norma di cui all'art. 5 del d.l. n. 402/1982 (convertito con modificazioni dalla legge n. 627 del 1982), in quanto alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio 1964, n. 336 non occupava un posto di ruolo (Consiglio di Stato, sez. quinta, 1 febbraio 1990, n. 58) nella qualifica di sanitario ospedaliero in posizione apicale (Corte costituzionale 5/9 giugno 1986, n. 134) Consiglio di Stato, sez. quinta, 10 gennaio 1990, nn. 11 e 12). Inoltre, il ricorrente compie il sessantacinquesimo anno di eta' prima della entrata in vigore della legge n. .. del 1991 (21 febbraio 10991), che, per espressa previsione dell'art. 3, primo comma, non ha effetti retroattivi, ne' consente la riammissione in servizio ai sensi dell'art. 59 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761. Il collegio peraltro precisa che il ricorrente viene collocato a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' senza aver maturato un quarantennio di servizio effettivo utile a pensione. III. - Valutata la rilevanza della questione di costituzionalita' ai fini della decisione del ricorso, il collegio ne ritiene sussistente anche la non manifesta infondatezza. Muove appunto dalla osservazione che il legislatore ha recentemente perseguito l'indirizzo di prolungare l'eta' del collocamento a riposto sino al settantesimo anno di eta' per categorie sempre piu' numerose di pubblici dipendenti, senza pero' disciplinare in modo organico e razionale la materia, al fine, soprattutto, di evitare situazioni di disparita' di trattamento. Significativi a tal proposito, appaiono i seguenti testi normativi: 1) la legge 28 febbraio 1990 n. 37 (art. 1, comma quarto- quinquies) per i dirigeti dello Stato; 2) la legge 7 agosto 1990, n. 239, riguardante il collocamento a riposo fuori ruolo dei docenti universitari; 3) la legge della regione Calabria, approvata il 18 ottobre 1989, ed impugnata dal Governo dinanzi alla Corte costituzionale e riteuta conforme ai precetti costituzionali, con la sentenza del 4/12 aprile 1990, n. 186; 4) la legge 19 febbraio 1991, n. 50, riguardante il personale medico dipendente. Una prima sostanziale disarmonia al regime del collocamento a riposo del personale pubblico e' stata introdotta con il d.l. 27 dicembre 1989, n. 413 (recante: "Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonche' in materia di pubblico impiego"), che e' stato convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37. Invero, proprio in sede di conversione il Parlamento ha approvato un emendamento al testo del d.l. volto ad estendere ai soli dirigenti dello Stato la norma di cui all'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, e all'art. 10, sesto comma, del d.l. 6 novembre 1989, n. 2357, convertito con modificazioni dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417. Ad avviso del collegio, con la norma predetta, si e' determinata una palese, ingiustificata e traumatica rottura dell'unitario regime normativo che accomunava i dirigenti civili dello Stato ed il rimanente personale dei vari comparti del pubblico impiego, e cio', non tanto e non solo in ordine all'eta' massima per il collocamento a riposo, quanto, soprattutto, in relazione al trattamento economico di quiescenza godibile. La ratio della normativa riguardante il personale della scuola fu individuata dalla Corte costituzionale con la senteza n. 207 del 9-24 luglio 1986 nella quale si legge: "le disposizioni di cui al secondo e terzo comma di cui all'art. 15 della legge n. 477/1973, costituiscono un regime transitorio: poiche', infatti, anteriormente alla legge de qua i professori delle scuole secondarie venivano collocati a riposo a 70 anni, il legislatore nel momento in cui abbassava il limite di eta' a 65 anni ha ritenuto, dettando i due surriportati commi, di disciplinare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina". La medesima ratio non e' indivisibile nella disposizione di cui all'art. 1, comma quarto-quinquies, del d.l. n. 413/1989, dal momento che i dirigenti civili dello Stato, al pari della generalita' dei pubblici dipendenti, venivano collocati a riposo (anche anteriormente al primo ottobre 1974) al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'. Ne' puo' argomentarsi che altre categorie di pubblici dipendenti godono di un analogo trattamento di favore (magistrati e docenti universitari). Per queste ultime categorie, infatti, il legislatore non e' intervenuto con norme che disciplinano il collocamento a riposo in ragione dell'anzianita' utile al trattamento di quiescenza, bensi' con norme che prevedono un maggiore limite di eta' in via generale, riconoscendo da un lato la peculiarita' della funzione (giurisdizionale o di docenza superiore) e dall'altro l'esigenza di non disperdere in settore tanto delicato della vita pubblica, un patrimonio di indubbio valore sul piano della esperienza professionale. Analoga ratio non puo' rinvenirsi nella norma di cui all'art. 1, comma quarto-quinquies, del d.l. n. 413/1989. La finalita' della disposizione e' esplicitamente quella di consentire l'incremento della base stipendiale pensionabile, dal momento che con l'art. 10, comma .., del d.l. n. 357/1989 (norma parimenti estesa ai dirigenti civili dello Stato) si e' disposto che il servizio utile da prendere in considerazione, insieme con il servizio effettivo, ai sensi dell'art. 40 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini della permanenza in servizio prevista dall'art. 15, secondo e terzo comma, della legge n. 477/1973, deve intendersi comprensivo di tutti i servizi e periodi riscattati, computati e ricongiunti per il trattamento di quiescenza con provvedimento formale. La norma di cui al d.l. n. 413/1989 ha, dunque, introdotto una disciplina in favore dei dirigenti civili dello Stato che al compimento dei 65 anni non hanno maturato 40 anni di servizio utile a pensione e che, quindi, godrebbero senza tale disciplina, di un trattamento di quiescenza inferiore rispetto a quello previsto in relazione al massimo del servizio valutabile. La differenza portata dalla norma, che consente l'incremento della base contributiva ai fini previdenziali, da quelle che prevedono in via generale un superiore limite di eta' per il collocamento a riposo, assume in indubbio rilievo ai fini di saggiarne la conformita' ai precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione. Nell'ipotesi in cui si determinano legislativamente limiti generali differenti di collocamento a riposo, ha insegnato il giudice delle leggi che ben puo' giustificarsi un differenziato trattamento, in considerazione della peculiarita' delle carriere o di contingenze che giustificano sacrifici o agevolazioni di posizioni di impiego (Corte costituzionale 9 giugno 1986, n. 134). Nell'ipotesi in cui si pongono, invece, norme che tedono a incrementare la base contributiva non puo', a giudizio di questo collegio, giustificarsi, la previsione immotivata di trattamenti differenziati solo con riferimento alla gerarchia della carriera, atteso che l'esigenza di assicurare un adeguato trattamento prevideziale di fine rapporto e' garantito dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione a tutti i lavoratori, per cui eventuali differenziazioni non possono rimettersi alla mera discrezionalita' del legislatore. A tal proposito il collegio non ignora che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 761 del 19/27 luglio 1989, ha dichiarato non fondato il sospetto di incostituzionalita' della norma contenuta all'art. 4 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, ritenendo che: a ragione non viene estesa a tutto il settore del pubblico impiego la disposizione dell'art. 15 della legge n. 477/1973, che ha natura transitoria ed e' collegata ad una peculiare contingenza; che si tratta di una norma derogatoria che non puo' essere assunta a metro di legimmita' della regola generale dettata in una determinata materia. Tanto premesso, diventa quindi obiettivamente sospetta la legittimita' costituzionale delle norme che disciplinano il collocamento a riposo del personale dipendente delle unita' sanitarie locali, e cio' proprio alla luce delle disposizioni che disciplinano (dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 469/1989) l'incremento della base contributiva per i dirigenti civili dello Stato. Non vi e' dubbio, infatti, che con la previsione di una norma di favore per i dirigenti civili dello Stato viene a determinarsi una palese disparita' di trattamento, del tutto ingiustificata nella disciplina dei rappporti di pubblico impiego. Lo stato economico e giuridico dei dirigenti civili dello Stato, disciplinato dalla legge 30 giugno 1972, ha, infatti, lasciato inalterato il trattamento di quiescenza, regolato in modo uguale per tutti i dipendenti dello Stato dalla legge n. 1092/1973. A cio' va aggiunto che la stessa categoria della dirigenza statale presenta al suo interno non poche posizioni anomale, dal momento che, al possesso della qualifica dirigenziale, non sempre consegue necessariamente lo svolgimento delle relative funzioni, per cui la qualifica dirigenziale viene a costituire sostazialmente una progressione automatica della ex carriera direttiva. Tale contesto della realta' normativa evidenzia, vieppiu' che l'art. 1, comma quarto-quinquies del d.l. n. 413/1989, nel limitare il beneficio alla sola categoria dei dirigenti civili dello Stato, produce un ingiustificato privilegio in violazione degli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione. Sul piano della coerenza dell'ordinamento giuridico e dell'unitarieta' della pubblica amministrazione, globalmente considerata, appare incomprensibile la ratio che presiede alla estensione ad una sola categoria di personale statale di una norma (l'art. 15 della legge n. 477/1973) che considerava un particolare settore della p.a. (personale docente e non docente della scuola, senza distinzione di qualifiche), senza che analoga posizione venga concessa, senza esclusione di altre categorie altrattato meritevoli, anche i sanitari delle unita' sanitarie locali ed in particolare ai primari, che istituzionalmente (art. 7 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128), oltre alla responsabilita' organizzativa di una complessa unita' divisionale, hanno anche una elevata funzione didattica, di preparazione e perfezionamento tecnico-professionale del personale da loro dipendente, nonche' di promozionale di iniziative di ricerca scientifica. Del resto, la stessa Corte costituzionale, con riferimento a norme che disciplinano il servizio utile a conseguire un adeguato trattamento economico di quiescenza ha ritenuto che non puo' reputarsi conforme ai principi costituzionali una disciplina che discrimini in relazione alla qualifica o al grado posseduto (codice civile n. 154 del 13 maggio 1984, n. 531 dell'11 dicembre 1989). IV. - Il sospetto di incostituzionalita' delle norme che disciplinano il collocamento a riposo del personale sanitario si appalesa ancora di piu' dopo la promulgazione della legge n. 50 del 1991, in quanto il predetto testo normativo espressamente trova applicazione solo dal 21 febbraio 1991 e non riguarda il personale collocato a riposo antecedentemente. La predetta normativa, infatti, ha un contenuto piu' favorevole per la categoria dei primari rispetto alla normativa dei dirigenti statali in quanto considera, al fine del collocamento a riposo, solo il servizio effettivo (art. 1), purtuttavia, a differenza della normativa riguardante il personale dirigente dello Stato e di quella riguardante il personale docente universitario (legge n. 239/1990), non fa salve le situazioni per le quali esistano giudizi pendenti e non consente di usufruire dell'istituto della riammissione in servizio ai sensi dell'art. 59 del d.P.R. n. 761/1979. La legge n. 50/1991, pertanto, anziche' sanare una gia' evidente situazione di disparita' di trattamento, ha ulteriormente accentuato la posizione di deteriorita' proprio a danno dei primari collocati a riposto prima del 21 febbraio 1991, presi in mezzo fra coloro, piu' anziani d'eta', che possono beneficiare della legge 10 maggio 1964, n. 336, e coloro, piu' giovani d'eta', che possono beneficiare della medesima legge n. 50/1991. V. - Cio' premesso, il collegio ritiene che vanno sottoposti al giudizio incidentale di costituzionalita' l'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali), l'art. 1, comma quarto-quinquies del d.l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37, e l'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50 (disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente), per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione della Repubblica. Il Collegio ritiene, pertanto, che ricorrono i presupposti normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Va, quindi, disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della sopra prospettata questione di costituzionalita'.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza in relazione agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, sulla questione di costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, (stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali), dell'art. 1, comma quarto-quinquies, del d.l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37, e dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50 (disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente), in quanto non vengono estesi i benefici contenuti nelle predette disposizioni al personale con qualifica di primario ospedaliero collocato a riposo prima del 21 febbraio 1991; Sospende il giudizio promosso con il ricorso n. 2075/1990; Ordina l'immediata rimessione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Lecce, nella camera di consiglio dell'11 luglio 1991. Il presidente: CATONI L'estensore: COSTANTINI 93C0709