N. 21 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 giugno 1993

                                 N. 21
    Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria
 il 28 giugno 1993 (della procura della Repubblica  presso il
 Tribunale di Caltanissetta)
 Restituzione, da parte della Camera dei deputati per mancata
    osservanza dei termini di  cui  all'art.  344,  primo  comma,  del
    c.p.p.,  degli  atti  relativi  alla richiesta di autorizzazione a
    procedere  avanzata  dalla  procura  della  Repubblica  presso  il
    tribunale  di  Caltanissetta nei confronti del deputato Gianfranco
    Occhipinti per  concorso  nel  reato  di  turbata  liberta'  degli
    incanti  pluriaggravato - Asserita non spettanza alla Camera della
    facolta'  di  restituire  gli  atti  relativi   a   richiesta   di
    autorizzazione  a  procedere  nei  confronti  di un deputato senza
    adottare  una  decisione  di   merito,   ancorche'   negativa   o,
    quantomeno,   una   decisione   interlocutoria.  Subordinatamente,
    richiesta alla Corte di remissione a se stessa della questione  di
    legittimita'   costituzionale  dell'art.  344,  primo  comma,  del
    c.p.p., in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, 68,  secondo
    comma,  112  e  109 della Costituzione, nella parte in cui prevede
    che il termine entro cui il p.m. deve richiedere  l'autorizzazione
    a  procedere  contro un parlamentare indagato sia stabilito a pena
    di decadenza dall'esercizio dell'azione penale.
 (Cost., artt. 68, secondo comma, 107, quarto comma, 108, secondo
    comma, e 112).
(GU n.31 del 28-7-1993 )
   Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  fra  poteri  dello Stato
 dinanzi alla Corte costituzionale ex artt.  134  della  Costituzione,
 37, primo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 D.C.C. 16 marzo
 1956.
    Il   procuratore   della   Repubblica   esaminati  agli  atti  del
 procedimento  penale  iscritto  al  n.  1573/A/92  contro  Occhipinti
 Gianfranco,  deputato  al Parlamento nazionale, in ordine ai reati di
 cui agli artt. 353, 319 e 321 del c.p.
                     OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
    1. - Premessa.
    Ai fini di compiuta  intelligenza,  occorre  brevemente  delineare
 l'iter del procedimento penale sopramenzionato e il suo oggetto.
    In  seguito  alle  rivelazioni  del  collaborante Leonardo Messina
 circa la composizione e  le  attivita'  illecite  dell'organizzazione
 mafiosa denominata "Cosa Nostra", con precipuo riferimento all'ambito
 territoriale  nisseno-ennese,  e  in  esito  all'attivita' di polizia
 giudiziaria  volta  a  verificare  la  fondatezza   delle   suesposte
 dichiarazioni,   venne   instaurato   autonomo   procedimento  penale
 concernente l'episodio specifico della manipolazione  della  gara  di
 appalto  per  la  costituzione  dell'istituto tecnico per geometri di
 Caltanissetta. Il cennato collaborante, dopo  avere  ricostruito  per
 grandi  linee  il  sistema  di  controllo  illecito  degli appalti in
 Sicilia, per  quanto  a  sua  conoscenza,  aveva  infatti  dichiarato
 specificamente  di  essere  stato  incaricato,  dalla  organizzazione
 mafiosa di cui era parte, di manomettere una delle  buste  contenenti
 le  offerte  di  partecipazione, sottraendo il certificato antimafia.
 Un'altra busta era stata manipolata - sempre secondo le dichiarazioni
 del  collaborante  -  da  altro  coindagato.  La   gara   era   stata
 aggiudicata, secondo quanto "concordato" dalla stessa organizzazione,
 alla  ditta  dei  fratelli  Anzalone,  "avvicinata"  a  Cosa  Nostra.
 L'impresa aveva poi sborsato a titolo di tangente e  secondo  accordi
 venali precedenti la somma di L. 238 milioni, in parte destinata alla
 organizzazione  territoriale  di  Cosa Nostra e in parte destinata ai
 "politici"  e  in  particolare  anche  all'on.  Occhipinti  che,  fra
 l'altro,  aveva  presieduto la seduta di gara, come peraltro e' stato
 ammesso in sede di interrogatorio al g.i.p. dal titolare della  ditta
 aggiudicataria.
    L'ufficio   disponeva   quindi  lo  stralcio  degli  atti  con  la
 conseguente  iscrizione  del  parlamentare  nel  registro  Mod.   21,
 relativamente   ai  reati  in  epigrafe,  inviando  la  richiesta  di
 autorizzazione a procedere di  cui  in  atti  (susseguente  ad  altra
 analoga  richiesta inoltrata nell'ambito di altro separato e autonomo
 procedimento penale a  carico  dello  Occhipinti,  per  il  reato  di
 partecipazione ad associazione mafiosa).
    Mentre  quest'ultima richiesta era stata accolta, il sig. Ministro
 di grazia e giustizia, nel trasmettere alla Camera dei  deputati  gli
 atti  concernenti  la  richiesta di procedimento oggetto del presente
 ricorso, rilevava la tardivita'  della  stessa,  con  riferimento  al
 termine previsto dall'art. 344 del c.p.p.
    La  giunta per le autorizzazioni a procedere investiva dapprima il
 sig. Presidente della Camera della questione circa la "ricevibilita'"
 della richiesta, vedendosi indi restituiti gli atti per competenza.
    Veniva, in esito alla restituzione degli  atti,  deliberata  dalla
 Camera  dei deputati la restituzione dell'incarto all'a.g. procedente
 per non avere questo p.m. osservato il termine di  cui  all'art.  344
 del c.p.p.
    2. - Ammissibilita' del conflitto.
       a) profilo soggettivo.
    Questo   p.m.  ritiene,  anzitutto,  che  si  sia  configurata  la
 fattispecie del conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato.
    Al riguardo e per quanto  attiene  al  profilo  soggettivo,  mette
 conto  di  notare  che  il  p.m.  ricorrente  e'  organo competente a
 dichiarare definitivamente la volonta'  del  potere  cui  appartiene,
 secondo  la  previsione  stabilita  dall'art.  37, primo comma, della
 legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Sul  punto  e'  sufficiente  notare  come  il  pubblico  ministero
 territorialmente  competente  per  le  indagini,  nonostante  che sia
 inserito in una struttura  gerarchicamente  ordinata,  nell'esercizio
 dell'azione  penale  sia  il titolare esclusivo. Ne' tale tesi sembra
 confutabile seriamente, sol che si consideri che:
      1) il procuratore generale della Repubblica presso il  distretto
 della  corte di appello ha funzioni di sorveglianza e non puo' essere
 considerato l'organo di esternazione definitiva degli atti rientranti
 nell'attribuzione del procuratore della Repubblica;
      2) il Ministro di grazia e  giustizia  e'  titolare  dell'azione
 disciplinare  e  svolge  funzioni  di  sorveglianza  ed ispettive sul
 procuratore della Repubblica ma non ha alcuna facolta' nell'esercizio
 dell'azione penale se si eccettano i casi previsti dagli artt. 9 e 10
 del c.p., nella  specie  non  pertinenti.  Ne'  la  sua  attribuzione
 concernente profili organizzativi degli uffici giudiziari puo' valere
 a  ritenerlo  come  organo  esprimente  la  volonta'  definitiva  del
 pubblico ministero.
      3) il procuratore nazionale  antimafia,  pur  avendo  poteri  di
 direttiva,  di coordinamento e di impulso, non e' certo un organo che
 puo' configurare  un'attribuzione  a  dichiarare  definitivamente  la
 volonta'  del  procuratore  della  Repubblica,  nelle  determinazioni
 inerenti l'esercizio dell'azione penale;
      4) il consiglio superiore della magistratura ha competenza  solo
 nelle materie indicate nell'art. 105 della Costituzione.
    Orbene, poiche' nella fattispecie la richiesta di autorizzazione a
 procedere  si configura come condizione di procedibilita' dell'azione
 penale, non appare dubbio che il pubblico ministero ricorrente sia da
 individuarsi come l'organo competente a dichiarare definitivamente la
 volonta' del potere cui appartiene, ne' e' di ostacolo la circostanza
 che il pubblico ministero non e' organo della giurisdizione, giacche'
 quel che  qui  rileva  e'  il  carattere  diffuso  della  titolarita'
 dell'esercizio    dell'azione   penale.   D'altronde   il   carattere
 giurisdizionale  dell'organo  non  e'  elemento  essenziale  per   la
 proposizione del conflitto;
       b) profilo oggettivo.
    Parimenti   pacifica   deve   ritenersi  la  configurazione  della
 fattispecie del conflitto di attribuzione legittimante  l'investitura
 della  Corte,  sotto  il  profilo  oggettivo.  Invero,  la Camera dei
 deputati, nel restituire gli atti senza una deliberazione  plausibile
 e  fondata,  si  e'  arrogata anzitutto una prerogativa che spetta al
 pubblico ministero invadendo e impedendo  l'attribuzione  propria  di
 quest'organo  che  si  traduce  nell'obbligo  di  esercitare l'azione
 penale, sia pure in taluni casi condizionatamente alla  verificazione
 di  determinate  ipotesi.  Da  un  lato,  quindi,  il  Parlamento  ha
 debordato  dall'ambito  di   attribuzione   conferito   dalla   Carta
 costituzionale   e,   dall'altro  lato,  ha  finito  per  paralizzare
 l'esercizio  dell'azione  penale,  al  di   fuori   da   qualsivoglia
 previsione  normativa. Nell'ordinamento, infatti, non e' previsto che
 la Camera dei deputati  possa  restituire  gli  atti  all'a.g.  senza
 adottare  una  decisione di merito, ancorche' negativa o, quantomeno,
 una decisione interlocutoria.
    Inoltre, e' fuor di dubbio che la delimitazione  delle  reciproche
 sfere   di   attribuzioni   qui   considerate   discenda   da   norme
 constituzionali, con particolare riferimento, da un  canto,  all'art.
 68,  secondo comma della Costituzione e, dall'altro canto, agli artt.
 107, quarto comma, 108, secondo  comma,  e  112  della  Costituzione.
 Nella  specie,  infatti,  occorre stabilire l'esatta delimitazione di
 attribuzioni relative a prerogative costituzionali  di  entrambi  gli
 organi in questione (p.m. e Camera dei deputati).
    Ne  consegue  l'ammissibilita'  della configurazione del conflitto
 anche sotto l'aspetto oggettivo.
    Va,  per  completezza,  evidenziato  che  nella   fattispecie   in
 questione  non vi e' alcun altro rimedio processuale per sbloccare la
 situazione di  stati  venutasi  a  creare.  In  particolare,  non  e'
 ipotizzabile  il  ricorso  alla disciplina prevista dall'art. 345 del
 c.p.p. della riproponibilita' dell'azione penale, giacche' la  giunta
 ha  ritenuto perentorio (sia pure illegittimamente come si dira' piu'
 oltre) il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. e,  quindi,  non  e'
 ragionevole  pensare  che detto organo, sia per la sua qualificazione
 collegiale immutabile, sia per l'assenza di nuovi fatti  sopravvenuti
 prospettabili,  possa  rivedere  la sua precedente deliberazione. Ne'
 altrimenti  e'   possibile   riproporre   la   richiesta,   potendosi
 agevolmente    prevedere    l'opposizione   della   eccezione   circa
 comportamenti  elusivi,  in  capo  a   questo   pubblico   ministero,
 dell'obbligo  di  esercitare  tempestivamente  l'azione  penale.  Ne'
 avrebbe senso  richiedere  al  g.i.p.  in  sede  l'archiviazione  per
 mancanza  della  condizione  di  procedibilita'  e ripropone, indi la
 richiesta di autorizzazione. E cio', anzitutto, per il formalismo  di
 una tale soluzione, che sarebbe peraltro altrettanto elusiva, come la
 precedente,  del  carattere  asseritamente  perentorio  del  termine,
 nonche', in secondo luogo, per il dispendio di energia processuali e,
 soprattutto, per il rischio che un'eventuale  fine  anticipata  della
 legislatura sortisca la decadenza della richiesta.
    Non  resta  dunque  che  adire la Corte costituzionale, come unico
 rimedio processuale. Ne deriva che il  conflitto  appare  ammissibile
 anche sotto quest'ultimo profilo.
    3. - Ragioni del conflitto.
       a) carattere non perentorio del termine di cui all'art. 344 del
 c.p.p.
    Nel  merito,  e' a dirsi che il termine di cui all'art. 344, primo
 comma, del c.p.p. non puo' considerarsi come perentorio. Secondo  una
 nozione   comune,   infatti,   e'  perentorio  il  termine  trascorso
 infruttuosamente il quale decade il potere di  compiere  il  relativo
 atto.  L'art.  173  primo comma, del c.p.p. prevede che "i termini si
 considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi  previsti
 dalla  legge".  Orbene,  il termine di trenta giorni dalla iscrizione
 nel registro delle  notizie  di  reato  entro  cui  deve  esercitarsi
 l'azione  penale  nei confronti del parlamentare non e' espressamente
 stabilito a  pena  di  decadenza.  Ma  la  decadenza,  come  sanzione
 dell'inosservanza del predetto termine, non e' neppure indirettamente
 ricavabile  dal  sistema.  Al  riguardo, e' noto che la perentorieta'
 implicita -  per  cosi'  dire  -  del  termine  e'  desumibile  dalla
 inammissibilita'  dell'atto  compiuto  dopo  la  scadenza del termine
 medesimo. Di tale inammissibilita',  invero,  non  v'e'  traccia  nel
 sistema  processuale, sia con riferimento al carattere irretrattabile
 e obbligatorio dell'azione  penale,  in  generale,  che  esclude,  in
 mancanza  di  limitazioni espresse, la possibilita' di ricostruire la
 perentorieta' del termine  in  esame  in  via  sistematica;  sia  con
 riferimento  alla  diversa disciplina stabilita negli artt. 343 e 344
 del c.p.p. Appare evidente, dalla comparazione di queste  due  ultime
 norme,   che,   qualora  la  inosservanza  del  termine  fosse  stata
 assimilata alle fattispecie  contemplate  dall'art.  343  del  c.p.p.
 (atti  da  compiersi  con la richiesta), sarebbe stata prevista anche
 nell'art. 344 del c.p.p. la sanzione della "inutilizzabilita'"  degli
 atti  compiuti,  salvo  poi a circoscrivere tale inutilizzabilita' ai
 fini della delibazione sul fumus persecutionis ovvero  ad  estenderla
 all'intera richiesta. Dunque, nessuna sanzione processuale diversa da
 quella generale prevista dall'art. 124 del c.p.p. e' specificamente o
 genericamente  desumibile  nella  materia  di  che  trattasi.  Da qui
 l'erroneita' della soluzione adottata dalla Camera dei deputati,  che
 avrebbe dovuto per converso valutare il fumus persecutionis ritenendo
 meramente  ordinatorio  il  termine  de  quo,  anziche'  adottare  la
 soluzione qui contestata;
       b) autonomia del procedimento sulla turbativa  d'asta  e  sulla
 corruzione  rispetto  a  quello  sull'associazione  mafiosa.  Momento
 iniziale della iscrizione.
    L'Occhipinti era stato, come si e' sopra accennato, in  precedenza
 iscritto  nel  registro  mod. 21 per il reato di cui agli artt. 110 e
 416- bis del c.p. E' innegabile che tra quest'ultimo  procedimento  e
 l'altro,  oggetto  del  presente  ricorso,  instaurato per i reati di
 turbativa d'asta e di corruzione  vi  e'  un  rapporto  di  autonomia
 ancorche' entrambi siano connessi. Invero, va osservato che anzitutto
 tra  i  temi  di prova dei suindicati procedimenti non vi e' assoluta
 coincidenza, la partecipazione all'associazione mafiosa dell'indagato
 trovando in altri elementi e, segnatamente, nello scambio  elettorale
 il  fondamento  suo  proprio.  In secondo luogo, bene si e' proceduto
 alla  diversa  iscrizione  nel  registro  mod.  21  in   un   momento
 cronologico  diverso. Al riguardo, e' appena il caso di osservare che
 l'art. 335 del c.p.p. indica come  presupposti  della  iscrizione  la
 sussistenza  di una notizia di reato e l'attribuibilita' del reato ad
 un soggeto. Cosa debba intendersi per notizia  di  reato  e'  nozione
 che,  a  tacer d'altro, discende dal disposto di cui all'art. 347 del
 c.p.p., laddove assume  il  profilo  di  fatto  penalmente  rilevante
 individuato  nei suoi elementi essenziali. Mentre la notizia di reato
 e' attribuibile ad un soggetto  quando,  in  relazione  ad  essa,  e'
 identificata la persona nei cui confronti vengono svolte indagini. Da
 qui  consegue la considerazione che non puo' parlarsi tecnicamente di
 notizia di reato tutte le volte che un fatto viene rivelato puramente
 e semplicemente da una fonte, ancorche' si tratti di collaborante. E'
 cio' perche' la verificazione preliminare dell'accadimento storico e'
 intimamente legata a valutare se vi sia una notizia di  reato.  Nella
 fattispecie,  se  e'  vero  che  il  collaborante  aveva fatto le sue
 propalazioni sull'appalto in questione nel corso degli interrogatori,
 non c'e' dubbio che la "notizia  di  reato"  in  quanto  tale  si  e'
 cristallizata  soltanto  a  seguito  dell'investigazione  preliminare
 della polizia giudiziaria, volta a identificare i soggetti sottoposti
 (fra l'altro in  concorso)  ad  indagine  e  ad  acquisire  gli  atti
 dell'appalto  in  guisa  di verificazione del fatto storico medesimo.
 Tutto questo si  e'  realizzato  con  l'informativa  di  reato  della
 polizia  giudiziaria  resa  in  data  16  dicembre 1992. Solo da quel
 momento  poteva  quindi  legittimamente   procedersi   all'iscrizione
 dell'Occhipinti nel registro mod. 21.
    4. - Questione di legittimita' costituzionale.
       a)  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 344,
 primo comma, del c.p.p. in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25,
 68, secondo comma, 112 e 119 della Costituzione, nella parte  in  cui
 si  prevede  che  il  termine  entro  cui  il pubblico ministero deve
 richiedere  l'autorizzazione  a  procedere  contor  un   parlamentare
 indagato sia stabilito a pena di decadenza dall'esercizio dell'azione
 penale.
    Questo   p.m.   intende   sollecitare,   in  linea  subordinata  e
 nell'ipotesi  di   inammissibilita'   del   proposto   conflitto   di
 attribuzione  ovvero  di  successiva  dichiarazione dell'attribuzione
 della Camera dei deputati, il potere di ufficio della Corte, ex artt.
 37, quinto comma, e 23, terzo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87,
 di sollevare la questione di legittimita' costituzionale  in  rubrica
 cennata.
    Al riguardo e' a dirsi che, ove si dovesse ritenere - alla stregua
 di  canoni  ermeneutici  corretti  e  contrariamente  a  quanto sopra
 argomentato - che il termine di  cui  all'art.  344  del  c.p.p.  sia
 previsto  a  pena  di  decadenza,  non  v'e'  dubbio  che  appare non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del  medesimo  art.  344, primo comma, del c.p.p. in riferimento agli
 artt. 3, primo comma, 25  e  68,  secondo  comma,  112  e  119  della
 Costituzione.
    Sul  punto,  si  sollecitano i poteri di ufficio della Corte che -
 com'e' noto - puo' rimettere a se  stessa,  in  via  preliminare,  la
 questione  di  legittimita' costituzionale (per un precedente analogo
 v.  l'ordinanza  n.   73/1965),   al   pari   di   qualsiasi   organo
 giurisdizionale.
    Nel   merito   di   tale   questione,  ritenuta  rilevante  e  non
 manifestamente infondata, questo p.m. sottopone all'attenzione  della
 Corte le seguenti considerazioni.
    1)  Disparita'  di  trattamento tra cittadini indagati titolari di
 identiche situazioni soggettive.
    Il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. pone il parlamentare  in
 una posizione procedimentale assolutamente privilegiata rispetto alla
 generalita'  dei  cittadini,  per  i quali e' ritenuto sufficiente il
 solo  presidio  della  previsione  dei  termini   per   le   indagini
 preliminari.   Ne'   puo'   ritenersi   peculiare  la  posizione  del
 parlamentare,  almeno  fino  al punto da prevedere un cosi' ristretto
 termine di trenta giorni. Per quest'ultima considerazione, si  rinvia
 anche al successivo punto 4.
    2) Violazione del principio del giudice naturale precostituito per
 legge.
    Attraverso   la   previsione   di  un  termine  breve  e  peraltro
 incompatibile con  la  necessaria  completezza  della  investigazione
 preliminare,  il parlamentare indagato, viene, di fatto, sottratto al
 giudice naturale precostituito per legge che e' il giudice ordinario;
 il che appare essere un corollario  della  fattispecie  descritta  al
 punto  1). Poiche' tale sottrazione non trova una giustificazione sul
 piano costituzionale, dove peraltro non e' previsto alcun termine per
 la  richiesta  di  autorizzazione  a  procedere,  si  tratta  di  una
 vulnerazione  del  principio  sopra  richiamato,  sotto specie di una
 manifestazione irragionevole della discrezionalita' del legislatore.
    3) Violazione del principio stabilito dall'art. 68, secondo comma,
 della Costituzione.
    La Costituzione non prevede, come si e' detto  sopra,  nella  sede
 della  disciplina  propria  delle immunita', alcun collegamento delle
 indagini con un termine entro cui si debba chiedere  l'autorizzazione
 a  procedere.  Sicche',  il codice di procedura penale, prevedendo un
 termine - si badi, un termine - ha finito per snaturare, senza valide
 ragioni di rilevanza costituzionale, l'istituto della  autorizzazione
 a  procedere  che e' stato concepito - com'e' noto - a presidio delle
 prerogative politiche del parlamentare non gia'  dell'interesse  alla
 rapida  definizione  del  procedimento  penale,  interesse che non e'
 strutturalmente collegato alla sfera di immunita' del parlamentare.
    4) Violazione  del  principio  della  obbligatorieta'  dell'azione
 penale.
    L'obbligatorieta'    dell'azione   penale   soffre   una   vistosa
 limitazione, allorche' la complessita' degli  accertamenti,  peraltro
 doverosi  in  quanto  necessario  corredo della notizia di reato, non
 consenta oggettivamente di osservare il termine di cui  all'art.  344
 del  c.p.p.  Tanto  piu'  che  non  sussiste  un  interesse  pubblico
 meritevole di tutela, come ad es. nell'ipotesi del  termine  previsto
 per  la proposizione della querela. Giova osservare, al riguardo che,
 nel   bilanciamento    degli    interessi,    l'accertamento    della
 responsabilita' penale del parlamentare appare senz'altro, a sommesso
 avviso  di  questo  p.m.,  posziore  rispetto  all'interesse che pure
 sussiste alla tempestiva definizione del procedimento  rigurdante  il
 parlamentare.  Ma  quest'ultimo  interesse  e'  comune  se  non  alla
 generalita' dei cittadini  certamente  a  varie  altre  categorie  di
 persone  indagate  quando  per  la  preminente funzione pubblica e di
 rilevanza  costituzionale  o  per  la  peculiarita'  della  posizione
 sociale,  economica,  civile,  religiosa,  il  decorso  del  tempo in
 pendenza di indagini finisce per incidere negativamente  sulla  sfera
 morale del soggetto (si pensi ai magistrati, ai ministri di culto, ai
 responsabili  dell'ordine  pubblico,  agli  alti  vertici militari, e
 cosi' via). Il caso dei magistrati e' paradigmatico nel  senso  della
 inerenza  ad una funzione costituzionalmente protetta della incidenza
 negativa della permanenza delle indagini sulla sfera morale  e  sulla
 immagine   dell'indagato.   Sicche'   anche  per  questa  via  appare
 ingiustificata la previsione del termine soltanto con riferimento  al
 parlamentare  indagato.  Quest'ultimo profilo va logicamente connesso
 al profilo indicato al punto 1).
    5)  Violazione  del  principio  della disponibilita' diretta della
 p.g. da parte del p.m.
    Ove si ritenesse perentorio, il termine di cui  all'art.  344  del
 c.p.p.  sarebbe  foriero  di  un  ulteriore  discriminazione che va a
 incidere sui rapporti tra p.m. e polizia giudiziaria, giacche' mentre
 la  polizia  giudiziaria  potrebbe  indagare  indefinitivamente   sul
 parlamentare, essendo obbligata a riferire "senza ritardo" e non piu'
 "entro  quarantotto  ore" secondo la nuova formulazione dell'art. 347
 del  c.p.p.,  il  pubblico  ministero  sarebbe  invece  costretto  ad
 osservare  un termine non solo breve ma, di fatto, inferiore a quello
 (non  piu'  previsto)  consentito  alla  polizia   giudiziaria.   Con
 l'ulteriore  conseguenza  di  un'anomalia  nel  principio  di diretta
 disponibilita'  della  polizia  giudiziaria  da  parte  del  pubblico
 ministero,  principio  che  implica  una  posizione subordinata della
 polizia giudiziaria al pubblico ministero non soltanto da un punto di
 vista ordinamentale ma anche sotto il profilo funzionale.
                               P. Q. M.
    Solleva conflitto di attribuzione fra poteri dello  Stato  per  le
 ragioni  indicate nella superiore parte motiva e chiede che lo stesso
 sia dichiarato ammissibile con le conseguenti statuizioni. Chiede, in
 subordine, che la Corte voglia rimettere a  se  stessa  d'ufficio  la
 prospettata questione di legittimita' costituzionale.
    Si allegano in copia autentica i seguenti atti:
      1)  richiesta  di  autorizzazione  a procedere nei confronti del
 parlamentare Occhipinti Gianfranco;
      2) nota del sig. Presidente della Camera dei deputati e stralcio
 dal resoconto parlamentare;
      3) informativa di notizia  di  reato  della  squadra  mobile  di
 Caltanissetta ed allegati.
       Caltanissetta-Roma, addi' 28 aprile 1993
          Il procuratore della Repubblica aggiunto: GIORDANO
                    Il sostituto procuratore della Repubblica: PATRONO
 93C0726