N. 21 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 giugno 1993
N. 21 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 28 giugno 1993 (della procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta) Restituzione, da parte della Camera dei deputati per mancata osservanza dei termini di cui all'art. 344, primo comma, del c.p.p., degli atti relativi alla richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta nei confronti del deputato Gianfranco Occhipinti per concorso nel reato di turbata liberta' degli incanti pluriaggravato - Asserita non spettanza alla Camera della facolta' di restituire gli atti relativi a richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di un deputato senza adottare una decisione di merito, ancorche' negativa o, quantomeno, una decisione interlocutoria. Subordinatamente, richiesta alla Corte di remissione a se stessa della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 344, primo comma, del c.p.p., in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma, 112 e 109 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il termine entro cui il p.m. deve richiedere l'autorizzazione a procedere contro un parlamentare indagato sia stabilito a pena di decadenza dall'esercizio dell'azione penale. (Cost., artt. 68, secondo comma, 107, quarto comma, 108, secondo comma, e 112).(GU n.31 del 28-7-1993 )
Ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale ex artt. 134 della Costituzione, 37, primo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 D.C.C. 16 marzo 1956. Il procuratore della Repubblica esaminati agli atti del procedimento penale iscritto al n. 1573/A/92 contro Occhipinti Gianfranco, deputato al Parlamento nazionale, in ordine ai reati di cui agli artt. 353, 319 e 321 del c.p. OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO 1. - Premessa. Ai fini di compiuta intelligenza, occorre brevemente delineare l'iter del procedimento penale sopramenzionato e il suo oggetto. In seguito alle rivelazioni del collaborante Leonardo Messina circa la composizione e le attivita' illecite dell'organizzazione mafiosa denominata "Cosa Nostra", con precipuo riferimento all'ambito territoriale nisseno-ennese, e in esito all'attivita' di polizia giudiziaria volta a verificare la fondatezza delle suesposte dichiarazioni, venne instaurato autonomo procedimento penale concernente l'episodio specifico della manipolazione della gara di appalto per la costituzione dell'istituto tecnico per geometri di Caltanissetta. Il cennato collaborante, dopo avere ricostruito per grandi linee il sistema di controllo illecito degli appalti in Sicilia, per quanto a sua conoscenza, aveva infatti dichiarato specificamente di essere stato incaricato, dalla organizzazione mafiosa di cui era parte, di manomettere una delle buste contenenti le offerte di partecipazione, sottraendo il certificato antimafia. Un'altra busta era stata manipolata - sempre secondo le dichiarazioni del collaborante - da altro coindagato. La gara era stata aggiudicata, secondo quanto "concordato" dalla stessa organizzazione, alla ditta dei fratelli Anzalone, "avvicinata" a Cosa Nostra. L'impresa aveva poi sborsato a titolo di tangente e secondo accordi venali precedenti la somma di L. 238 milioni, in parte destinata alla organizzazione territoriale di Cosa Nostra e in parte destinata ai "politici" e in particolare anche all'on. Occhipinti che, fra l'altro, aveva presieduto la seduta di gara, come peraltro e' stato ammesso in sede di interrogatorio al g.i.p. dal titolare della ditta aggiudicataria. L'ufficio disponeva quindi lo stralcio degli atti con la conseguente iscrizione del parlamentare nel registro Mod. 21, relativamente ai reati in epigrafe, inviando la richiesta di autorizzazione a procedere di cui in atti (susseguente ad altra analoga richiesta inoltrata nell'ambito di altro separato e autonomo procedimento penale a carico dello Occhipinti, per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa). Mentre quest'ultima richiesta era stata accolta, il sig. Ministro di grazia e giustizia, nel trasmettere alla Camera dei deputati gli atti concernenti la richiesta di procedimento oggetto del presente ricorso, rilevava la tardivita' della stessa, con riferimento al termine previsto dall'art. 344 del c.p.p. La giunta per le autorizzazioni a procedere investiva dapprima il sig. Presidente della Camera della questione circa la "ricevibilita'" della richiesta, vedendosi indi restituiti gli atti per competenza. Veniva, in esito alla restituzione degli atti, deliberata dalla Camera dei deputati la restituzione dell'incarto all'a.g. procedente per non avere questo p.m. osservato il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. 2. - Ammissibilita' del conflitto. a) profilo soggettivo. Questo p.m. ritiene, anzitutto, che si sia configurata la fattispecie del conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato. Al riguardo e per quanto attiene al profilo soggettivo, mette conto di notare che il p.m. ricorrente e' organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene, secondo la previsione stabilita dall'art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Sul punto e' sufficiente notare come il pubblico ministero territorialmente competente per le indagini, nonostante che sia inserito in una struttura gerarchicamente ordinata, nell'esercizio dell'azione penale sia il titolare esclusivo. Ne' tale tesi sembra confutabile seriamente, sol che si consideri che: 1) il procuratore generale della Repubblica presso il distretto della corte di appello ha funzioni di sorveglianza e non puo' essere considerato l'organo di esternazione definitiva degli atti rientranti nell'attribuzione del procuratore della Repubblica; 2) il Ministro di grazia e giustizia e' titolare dell'azione disciplinare e svolge funzioni di sorveglianza ed ispettive sul procuratore della Repubblica ma non ha alcuna facolta' nell'esercizio dell'azione penale se si eccettano i casi previsti dagli artt. 9 e 10 del c.p., nella specie non pertinenti. Ne' la sua attribuzione concernente profili organizzativi degli uffici giudiziari puo' valere a ritenerlo come organo esprimente la volonta' definitiva del pubblico ministero. 3) il procuratore nazionale antimafia, pur avendo poteri di direttiva, di coordinamento e di impulso, non e' certo un organo che puo' configurare un'attribuzione a dichiarare definitivamente la volonta' del procuratore della Repubblica, nelle determinazioni inerenti l'esercizio dell'azione penale; 4) il consiglio superiore della magistratura ha competenza solo nelle materie indicate nell'art. 105 della Costituzione. Orbene, poiche' nella fattispecie la richiesta di autorizzazione a procedere si configura come condizione di procedibilita' dell'azione penale, non appare dubbio che il pubblico ministero ricorrente sia da individuarsi come l'organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene, ne' e' di ostacolo la circostanza che il pubblico ministero non e' organo della giurisdizione, giacche' quel che qui rileva e' il carattere diffuso della titolarita' dell'esercizio dell'azione penale. D'altronde il carattere giurisdizionale dell'organo non e' elemento essenziale per la proposizione del conflitto; b) profilo oggettivo. Parimenti pacifica deve ritenersi la configurazione della fattispecie del conflitto di attribuzione legittimante l'investitura della Corte, sotto il profilo oggettivo. Invero, la Camera dei deputati, nel restituire gli atti senza una deliberazione plausibile e fondata, si e' arrogata anzitutto una prerogativa che spetta al pubblico ministero invadendo e impedendo l'attribuzione propria di quest'organo che si traduce nell'obbligo di esercitare l'azione penale, sia pure in taluni casi condizionatamente alla verificazione di determinate ipotesi. Da un lato, quindi, il Parlamento ha debordato dall'ambito di attribuzione conferito dalla Carta costituzionale e, dall'altro lato, ha finito per paralizzare l'esercizio dell'azione penale, al di fuori da qualsivoglia previsione normativa. Nell'ordinamento, infatti, non e' previsto che la Camera dei deputati possa restituire gli atti all'a.g. senza adottare una decisione di merito, ancorche' negativa o, quantomeno, una decisione interlocutoria. Inoltre, e' fuor di dubbio che la delimitazione delle reciproche sfere di attribuzioni qui considerate discenda da norme constituzionali, con particolare riferimento, da un canto, all'art. 68, secondo comma della Costituzione e, dall'altro canto, agli artt. 107, quarto comma, 108, secondo comma, e 112 della Costituzione. Nella specie, infatti, occorre stabilire l'esatta delimitazione di attribuzioni relative a prerogative costituzionali di entrambi gli organi in questione (p.m. e Camera dei deputati). Ne consegue l'ammissibilita' della configurazione del conflitto anche sotto l'aspetto oggettivo. Va, per completezza, evidenziato che nella fattispecie in questione non vi e' alcun altro rimedio processuale per sbloccare la situazione di stati venutasi a creare. In particolare, non e' ipotizzabile il ricorso alla disciplina prevista dall'art. 345 del c.p.p. della riproponibilita' dell'azione penale, giacche' la giunta ha ritenuto perentorio (sia pure illegittimamente come si dira' piu' oltre) il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. e, quindi, non e' ragionevole pensare che detto organo, sia per la sua qualificazione collegiale immutabile, sia per l'assenza di nuovi fatti sopravvenuti prospettabili, possa rivedere la sua precedente deliberazione. Ne' altrimenti e' possibile riproporre la richiesta, potendosi agevolmente prevedere l'opposizione della eccezione circa comportamenti elusivi, in capo a questo pubblico ministero, dell'obbligo di esercitare tempestivamente l'azione penale. Ne' avrebbe senso richiedere al g.i.p. in sede l'archiviazione per mancanza della condizione di procedibilita' e ripropone, indi la richiesta di autorizzazione. E cio', anzitutto, per il formalismo di una tale soluzione, che sarebbe peraltro altrettanto elusiva, come la precedente, del carattere asseritamente perentorio del termine, nonche', in secondo luogo, per il dispendio di energia processuali e, soprattutto, per il rischio che un'eventuale fine anticipata della legislatura sortisca la decadenza della richiesta. Non resta dunque che adire la Corte costituzionale, come unico rimedio processuale. Ne deriva che il conflitto appare ammissibile anche sotto quest'ultimo profilo. 3. - Ragioni del conflitto. a) carattere non perentorio del termine di cui all'art. 344 del c.p.p. Nel merito, e' a dirsi che il termine di cui all'art. 344, primo comma, del c.p.p. non puo' considerarsi come perentorio. Secondo una nozione comune, infatti, e' perentorio il termine trascorso infruttuosamente il quale decade il potere di compiere il relativo atto. L'art. 173 primo comma, del c.p.p. prevede che "i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge". Orbene, il termine di trenta giorni dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato entro cui deve esercitarsi l'azione penale nei confronti del parlamentare non e' espressamente stabilito a pena di decadenza. Ma la decadenza, come sanzione dell'inosservanza del predetto termine, non e' neppure indirettamente ricavabile dal sistema. Al riguardo, e' noto che la perentorieta' implicita - per cosi' dire - del termine e' desumibile dalla inammissibilita' dell'atto compiuto dopo la scadenza del termine medesimo. Di tale inammissibilita', invero, non v'e' traccia nel sistema processuale, sia con riferimento al carattere irretrattabile e obbligatorio dell'azione penale, in generale, che esclude, in mancanza di limitazioni espresse, la possibilita' di ricostruire la perentorieta' del termine in esame in via sistematica; sia con riferimento alla diversa disciplina stabilita negli artt. 343 e 344 del c.p.p. Appare evidente, dalla comparazione di queste due ultime norme, che, qualora la inosservanza del termine fosse stata assimilata alle fattispecie contemplate dall'art. 343 del c.p.p. (atti da compiersi con la richiesta), sarebbe stata prevista anche nell'art. 344 del c.p.p. la sanzione della "inutilizzabilita'" degli atti compiuti, salvo poi a circoscrivere tale inutilizzabilita' ai fini della delibazione sul fumus persecutionis ovvero ad estenderla all'intera richiesta. Dunque, nessuna sanzione processuale diversa da quella generale prevista dall'art. 124 del c.p.p. e' specificamente o genericamente desumibile nella materia di che trattasi. Da qui l'erroneita' della soluzione adottata dalla Camera dei deputati, che avrebbe dovuto per converso valutare il fumus persecutionis ritenendo meramente ordinatorio il termine de quo, anziche' adottare la soluzione qui contestata; b) autonomia del procedimento sulla turbativa d'asta e sulla corruzione rispetto a quello sull'associazione mafiosa. Momento iniziale della iscrizione. L'Occhipinti era stato, come si e' sopra accennato, in precedenza iscritto nel registro mod. 21 per il reato di cui agli artt. 110 e 416- bis del c.p. E' innegabile che tra quest'ultimo procedimento e l'altro, oggetto del presente ricorso, instaurato per i reati di turbativa d'asta e di corruzione vi e' un rapporto di autonomia ancorche' entrambi siano connessi. Invero, va osservato che anzitutto tra i temi di prova dei suindicati procedimenti non vi e' assoluta coincidenza, la partecipazione all'associazione mafiosa dell'indagato trovando in altri elementi e, segnatamente, nello scambio elettorale il fondamento suo proprio. In secondo luogo, bene si e' proceduto alla diversa iscrizione nel registro mod. 21 in un momento cronologico diverso. Al riguardo, e' appena il caso di osservare che l'art. 335 del c.p.p. indica come presupposti della iscrizione la sussistenza di una notizia di reato e l'attribuibilita' del reato ad un soggeto. Cosa debba intendersi per notizia di reato e' nozione che, a tacer d'altro, discende dal disposto di cui all'art. 347 del c.p.p., laddove assume il profilo di fatto penalmente rilevante individuato nei suoi elementi essenziali. Mentre la notizia di reato e' attribuibile ad un soggetto quando, in relazione ad essa, e' identificata la persona nei cui confronti vengono svolte indagini. Da qui consegue la considerazione che non puo' parlarsi tecnicamente di notizia di reato tutte le volte che un fatto viene rivelato puramente e semplicemente da una fonte, ancorche' si tratti di collaborante. E' cio' perche' la verificazione preliminare dell'accadimento storico e' intimamente legata a valutare se vi sia una notizia di reato. Nella fattispecie, se e' vero che il collaborante aveva fatto le sue propalazioni sull'appalto in questione nel corso degli interrogatori, non c'e' dubbio che la "notizia di reato" in quanto tale si e' cristallizata soltanto a seguito dell'investigazione preliminare della polizia giudiziaria, volta a identificare i soggetti sottoposti (fra l'altro in concorso) ad indagine e ad acquisire gli atti dell'appalto in guisa di verificazione del fatto storico medesimo. Tutto questo si e' realizzato con l'informativa di reato della polizia giudiziaria resa in data 16 dicembre 1992. Solo da quel momento poteva quindi legittimamente procedersi all'iscrizione dell'Occhipinti nel registro mod. 21. 4. - Questione di legittimita' costituzionale. a) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 344, primo comma, del c.p.p. in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma, 112 e 119 della Costituzione, nella parte in cui si prevede che il termine entro cui il pubblico ministero deve richiedere l'autorizzazione a procedere contor un parlamentare indagato sia stabilito a pena di decadenza dall'esercizio dell'azione penale. Questo p.m. intende sollecitare, in linea subordinata e nell'ipotesi di inammissibilita' del proposto conflitto di attribuzione ovvero di successiva dichiarazione dell'attribuzione della Camera dei deputati, il potere di ufficio della Corte, ex artt. 37, quinto comma, e 23, terzo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, di sollevare la questione di legittimita' costituzionale in rubrica cennata. Al riguardo e' a dirsi che, ove si dovesse ritenere - alla stregua di canoni ermeneutici corretti e contrariamente a quanto sopra argomentato - che il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. sia previsto a pena di decadenza, non v'e' dubbio che appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del medesimo art. 344, primo comma, del c.p.p. in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25 e 68, secondo comma, 112 e 119 della Costituzione. Sul punto, si sollecitano i poteri di ufficio della Corte che - com'e' noto - puo' rimettere a se stessa, in via preliminare, la questione di legittimita' costituzionale (per un precedente analogo v. l'ordinanza n. 73/1965), al pari di qualsiasi organo giurisdizionale. Nel merito di tale questione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, questo p.m. sottopone all'attenzione della Corte le seguenti considerazioni. 1) Disparita' di trattamento tra cittadini indagati titolari di identiche situazioni soggettive. Il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. pone il parlamentare in una posizione procedimentale assolutamente privilegiata rispetto alla generalita' dei cittadini, per i quali e' ritenuto sufficiente il solo presidio della previsione dei termini per le indagini preliminari. Ne' puo' ritenersi peculiare la posizione del parlamentare, almeno fino al punto da prevedere un cosi' ristretto termine di trenta giorni. Per quest'ultima considerazione, si rinvia anche al successivo punto 4. 2) Violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge. Attraverso la previsione di un termine breve e peraltro incompatibile con la necessaria completezza della investigazione preliminare, il parlamentare indagato, viene, di fatto, sottratto al giudice naturale precostituito per legge che e' il giudice ordinario; il che appare essere un corollario della fattispecie descritta al punto 1). Poiche' tale sottrazione non trova una giustificazione sul piano costituzionale, dove peraltro non e' previsto alcun termine per la richiesta di autorizzazione a procedere, si tratta di una vulnerazione del principio sopra richiamato, sotto specie di una manifestazione irragionevole della discrezionalita' del legislatore. 3) Violazione del principio stabilito dall'art. 68, secondo comma, della Costituzione. La Costituzione non prevede, come si e' detto sopra, nella sede della disciplina propria delle immunita', alcun collegamento delle indagini con un termine entro cui si debba chiedere l'autorizzazione a procedere. Sicche', il codice di procedura penale, prevedendo un termine - si badi, un termine - ha finito per snaturare, senza valide ragioni di rilevanza costituzionale, l'istituto della autorizzazione a procedere che e' stato concepito - com'e' noto - a presidio delle prerogative politiche del parlamentare non gia' dell'interesse alla rapida definizione del procedimento penale, interesse che non e' strutturalmente collegato alla sfera di immunita' del parlamentare. 4) Violazione del principio della obbligatorieta' dell'azione penale. L'obbligatorieta' dell'azione penale soffre una vistosa limitazione, allorche' la complessita' degli accertamenti, peraltro doverosi in quanto necessario corredo della notizia di reato, non consenta oggettivamente di osservare il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. Tanto piu' che non sussiste un interesse pubblico meritevole di tutela, come ad es. nell'ipotesi del termine previsto per la proposizione della querela. Giova osservare, al riguardo che, nel bilanciamento degli interessi, l'accertamento della responsabilita' penale del parlamentare appare senz'altro, a sommesso avviso di questo p.m., posziore rispetto all'interesse che pure sussiste alla tempestiva definizione del procedimento rigurdante il parlamentare. Ma quest'ultimo interesse e' comune se non alla generalita' dei cittadini certamente a varie altre categorie di persone indagate quando per la preminente funzione pubblica e di rilevanza costituzionale o per la peculiarita' della posizione sociale, economica, civile, religiosa, il decorso del tempo in pendenza di indagini finisce per incidere negativamente sulla sfera morale del soggetto (si pensi ai magistrati, ai ministri di culto, ai responsabili dell'ordine pubblico, agli alti vertici militari, e cosi' via). Il caso dei magistrati e' paradigmatico nel senso della inerenza ad una funzione costituzionalmente protetta della incidenza negativa della permanenza delle indagini sulla sfera morale e sulla immagine dell'indagato. Sicche' anche per questa via appare ingiustificata la previsione del termine soltanto con riferimento al parlamentare indagato. Quest'ultimo profilo va logicamente connesso al profilo indicato al punto 1). 5) Violazione del principio della disponibilita' diretta della p.g. da parte del p.m. Ove si ritenesse perentorio, il termine di cui all'art. 344 del c.p.p. sarebbe foriero di un ulteriore discriminazione che va a incidere sui rapporti tra p.m. e polizia giudiziaria, giacche' mentre la polizia giudiziaria potrebbe indagare indefinitivamente sul parlamentare, essendo obbligata a riferire "senza ritardo" e non piu' "entro quarantotto ore" secondo la nuova formulazione dell'art. 347 del c.p.p., il pubblico ministero sarebbe invece costretto ad osservare un termine non solo breve ma, di fatto, inferiore a quello (non piu' previsto) consentito alla polizia giudiziaria. Con l'ulteriore conseguenza di un'anomalia nel principio di diretta disponibilita' della polizia giudiziaria da parte del pubblico ministero, principio che implica una posizione subordinata della polizia giudiziaria al pubblico ministero non soltanto da un punto di vista ordinamentale ma anche sotto il profilo funzionale.
P. Q. M. Solleva conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato per le ragioni indicate nella superiore parte motiva e chiede che lo stesso sia dichiarato ammissibile con le conseguenti statuizioni. Chiede, in subordine, che la Corte voglia rimettere a se stessa d'ufficio la prospettata questione di legittimita' costituzionale. Si allegano in copia autentica i seguenti atti: 1) richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del parlamentare Occhipinti Gianfranco; 2) nota del sig. Presidente della Camera dei deputati e stralcio dal resoconto parlamentare; 3) informativa di notizia di reato della squadra mobile di Caltanissetta ed allegati. Caltanissetta-Roma, addi' 28 aprile 1993 Il procuratore della Repubblica aggiunto: GIORDANO Il sostituto procuratore della Repubblica: PATRONO 93C0726