N. 370 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 febbraio 1993

                                N. 370
  Ordinanza emessa il 19 febbraio 1993 dal tribunale di Firenze
  nel procedimento civile vertente tra Bianchi Corrado e Le
  Assicurazioni generali S.p.a.
 Previdenza e assistenza sociale - Assicurazione generale obbligatoria
    - Facolta' del lavoratore di avvalersi del diritto  di  opzione  a
    continuare  il  rapporto di lavoro fino al sessantacinquesimo anno
    (nella fattispecie fino al  sessantacinquesimo  anno  di  eta')  -
    Ritenuta eslcusione della possibilita' dei dirigenti di esercitare
    il  suddetto diritto di opzione non essendo ad essi applicabile la
    normativa di cui alla  legge  n.  604/1966  e  300/1970  circa  la
    stabilita'  del  posto  di  lavoro  - Ingiustificata disparita' di
    trattamento di situazioni  analoghe  e  incidenza  sulla  garanzia
    previdenziale    -   Riferimento   alle   sentenze   della   Corte
    costituzionale   nn.   137/1986,    498/1988    e    309/1992    -
    (Riproposizione,   con   piu'   precisa  indicazione  delle  norme
    impugnate  ed  integrazione  della   motivazione,   di   questione
    (dichiarata dalla Corte non fondata con sentenza n. 309/1992) gia'
    sollevata dallo stesso giudice nel corso dello stesso processo).
 (C.C., art. 2118, comb. disp.; d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, art.
    6,  quarto  comma,  convertito,  con modificazioni, nella legge 25
    febbraio 1982, n. 54; legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 10).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.29 del 14-7-1993 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta a  ruolo
 il 27 agosto 1991 e segnata al n. r.g. 643/1991, discussa all'udienza
 del  19  febbraio  1993,  promossa  da  Bianchi avv. Corrado (avv. O.
 Mazzotta e avv. G. Solimeno) contro le Assicurazioni Generali  S.p.a.
 (avvocati professori P. Fanfani e S. Magrini)
    Il  pretore  del  lavoro  di  Firenze ha respinto, con sentenza 28
 febbraio 1991, la domanda di Bianchi Corrado, dipendente della S.p.a.
 Assicurazioni Generali  con  qualifica  di  dirigente,  volta  a  far
 dichiarare    l'illegittimita'    del    recesso    intimatogli   per
 raggiungimento del limite di eta', nonostante l'opzione esercitata ai
 sensi dell'art. 6 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con
 modificazioni, in legge 25 febbraio 1982, n. 54.
    Questo  tribunale,  investito  dell'appello,  con   ondinanza   22
 novembre  1991  ha  sollevato  d'ufficio  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 6, primo comma, del d.l. 22 dicembre  1981,
 n.  791  (Disposizioni  in  materia  previdenziale),  convertito, con
 modificazioni, in legge 25 febbraio 1982, n. 54,  per  contrasto  con
 gli artt. 3 e 38 della Costituzione.
    Il  tribunale,  fatta ricognizione del diritto vivente, costituito
 dalla consolidata giurisprudenza della  Corte  di  cassazione  (Cass.
 2193/87; 5968/87; 5084/88; 6197/90; 11437/90, cui adde Cass. 7 agosto
 1991,  n.  8620;  Cass.  29  novembre 1991 n. 12819 e Cass. 22 aprile
 1992,  n.  4833),  che  riconosce  il  diritto  di  opzione  previsto
 dall'art. 6, primo comma citato anche ai dirigenti, ed individuata la
 ratio   della   norma  in  questione  nella  volonta'  di  soddisfare
 l'interesse del lavoratore a raggiungere la massima contribuzione  di
 anzianita',  cui  e'  strumentale  la  possibilita'  di continuare il
 rapporto di lavoro, ha ritenuto contraddittoria con tale finalita'  e
 con l'attribuito diritto di opzione la successiva affermazione, della
 medesima  consolidata  giurisprudenza, che assoggetta il rapporto del
 dirigente, anche dopo l'opzione, alla medesima disciplina quo  antea,
 di  libera  recedibilita', la quale non assicurando la stabilita' del
 rapporto, renderebbe priva di effetti l'opzione esercitata.
    Il tribunale rilevava poi la diversita' di trattamento  (donde  la
 rilevanza   del   profilo   d'incostituzionalita'  ex  art.  3  della
 Costituzione posto altresi' a base dell'ordinanza di rimessione)  con
 l'analoga  fattispecie  prevista  dall'art.  4 della legge 9 dicembre
 1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di
 lavoro), secondo cui le lavoratrici, anche in possesso dei  requisiti
 per  aver  diritto  alla  pensione  di  vecchiaia,  possono optare di
 continuare a prestare la propria opera fino  agli  stessi  limiti  di
 eta'  previsti  per  gli  uomini,  con la conseguenza che l'esercizio
 dell'opzione  comporta  la  garanzia   della   stabilita',   prevista
 dall'art.  18  della  legge  20 maggio 1970, n. 300, quale che sia la
 dimensione dell'impresa, derivandone in capo al datore  l'obbligo  di
 giustificare  il  recesso  ai sensi dell'art. 3 della legge 15 luglio
 1966, n. 604 (Cass. 23 novembre 1990, n. 11311).
    L'insufficienza  della  disciplina  convenzionale,  anche  se  non
 espressamente  menzionata  (art.  40 contratto nazionale normativo ed
 economico per i dirigenti delle imprese assicurative, stipulato il 29
 giugno 1988, che prevede a favore del dirigente, in caso di  opzione,
 la corresponsione di una somma pari ai contributi volontari necessari
 per  raggiungere  il massimo della contribuzione) era presupposta dal
 Tribunale nel rilievo secondo cui nell'arco di  tempo  che  va  dalla
 data   del   recesso   a   quella   del  raggiungimento  del  massimo
 contributivo, il dirigente rimane privo e della  retribuzione  e  del
 trattamento di quiescenza.
    La  Corte,  con  sentenza  18  giugno-1›  luglio  1992, n. 309, ha
 dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  6,  primo  comma,  del  d.l.  22  dicembre  1981,  n. 791
 (Disposizioni   in   materia    previdenziale),    convertito,    con
 modificazioni, in legge 25 febbraio 1982, n. 54, nei limiti in cui e'
 stata posta dal tribunale.
    La  Corte  ha innanzitutto rilevato che non e' impugnato il quarto
 comma dell'art. 6 in questione, che, prevedendo  la  deroga  al  solo
 art.  11  della legge 15 luglio 1966, n. 604, non incide sull'art. 10
 stessa legge, che esclude il rapporto  dirigenziale  dalla  normativa
 sul recesso giustificato.
    Ha  quindi  ritenuto  che  non  sussiste irrazionale disparita' di
 trattamento  tra  lavoratori  subordinati  con  qualifica  diversa  e
 dirigenti, perche' le due categorie non sono affatto omogenee.
    Ha pero' escluso, dall'altra parte, che la disposizione denunciata
 sia  irrazionale  per  mancanza  di  effetti  utili,  in  quanto, "in
 presenza della effettuata opzione, non puo' negarsi la  nullita'  del
 licenziamento intimato solo per ragioni di eta'".
    Riassunta  la  causa,  il  Bianchi  ha  riproposto la questione di
 legittimita' costituzionale per i profili "suggeriti" dalla Corte. La
 convenuta si e' opposta.
    Il tribunale ritiene la questione non manifestamente infondata.
    Si pone  innanzitutto  un  problema  di  ricognizione  del  quadro
 normativo alla luce della sentenza n. 309/1992.
    Non  vi  e'  dubbio che la Corte parta dalla premessa, comune alla
 consolidata  giurisprudenza   di   legittimita'   sopra   richiamata,
 dell'applicabilita'  dell'art. 6, primo comma, della legge n. 54/1982
 anche  ai  dirigenti.  Cio'  risulta  sia  dal   riferimento,   senza
 contestazioni,  alla  conforme  giurisprudenza  evocata dal tribunale
 (viceversa, ove la Corte non condivida la premessa,  se  ne  dissocia
 apertamente;  vedi  ad  es.  sentenza  4-11  maggio 1992, n. 210, sul
 contratto a tempo parziale), sia dal  successivo  ragionamento  sulla
 coerenza degli effetti.
    A  tale  riguardo,  il  passo  sopra  riportato  (punto 3.1. della
 sentenza), sembrerebbe suscettibile  di  risolvere  la  questione  in
 senso  favorevole  al dirigente. Infatti affermare che il recesso del
 datore  motivato  per  ragioni  di  eta'  e'  nullo,  ove  sia  stata
 esercitata  opzione,  significa attribuire all'opzione esercitata una
 influenza sulla disciplina del rapporto, nel senso di trasformare  il
 potere  di recesso datoriale da libero a causale; anche se il rilievo
 causale e' puramente negativo: il  recesso  puo'  essere  liberamente
 esercitato per altre cause ed anche senza causa, ma non per la causa,
 anche  occulta,  "raggiungimento del limite di eta' per la pensione".
 Il recesso nullo per tale causa non potrebbe  essere  successivamente
 rinnovato con la medesima giustificazione.
    Il passo citato e' viceversa semplicemente ricognitivo dello stato
 della   giurisprudenza   di   legittimita'  sul  punto,  secondo  cui
 l'esercizio dell'opzione da parte del dirigente "comporta la  perdita
 della  facolta'  datoriale  di  collocare  a riposo il dipendente per
 raggiunto limite di eta'" (Cass. 7 settembre  1988,  n.  5084;  Cass.
 4833/92 cit., ecc.).
    Nonostante  il  descritto  approdo  interpretativo,  il  tribunale
 ritiene che residui un dubbio di legittimita' costituzionale, perche'
 l'affermazione circa la nullita' del licenziamento del  dirigente  e'
 derivata    in    via    meramente   deduttiva   dall'interpretazione
 onnicomprensiva dell'art. 6, primo comma,  della  legge  n.  54/1982,
 nonostante  il  permanente  ostacolo  testuale costituito dagli artt.
 2118 del cod. civ. che consente senza limitazione alcuna  il  recesso
 ad  nutum  del  dirigente, 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che
 esclude i dirigenti dalla disciplina  del  recesso  giustificato,  6,
 quarto  comma,  della legge n. 54/1982 che non disciplina gli effetti
 dell'opzione del dirigente.
    E' pertanto  pertinente  il  rilievo  secondo  cui  la  norma  che
 disciplina  gli  effetti  dell'opzione  e' contenuta nel quarto comma
 dell'art. 6 in questione, in base al quale  l'esercizio  dell'opzione
 comporta  l'applicabilita'  della  legge  15  luglio 1966, n. 604, in
 deroga all'art. 11 della legge stessa (secondo  cui  le  disposizioni
 della  legge n. 604/1966 non si applicano nei riguardi dei prestatori
 di  lavoro  che  siano  in  possesso dei requisiti di legge per avere
 diritto  alla  pensione  di  vecchiaia).  Ma  l'inapplicabilita'   ai
 dirigenti  della legge 15 luglio 1966, n. 604, e' stabilita nell'art.
 10 della 604. Pertanto oggetto dell'eccezione  deve  essere,  non  il
 comma  6  dell'art. 1 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito,
 con modificazioni, in legge 25 febbraio 1982, n. 54, perche'  non  e'
 in  discussione  l'interpretazione  di  tale  norma  che  attribuisce
 all'espressione    "gli    iscritti    all'assicurazione     generale
 obbligatoria" portata onnicomprensiva, anche dei dirigenti, bensi' il
 quarto comma, nella parte in cui stabilisce che si applicano a favore
 dei  lavoratori  che esercitano l'opzione le disposizioni della legge
 n. 604/1966 in deroga all'art. 11, e non anche all'art.  10.  Vengono
 altresi'  in  considerazione  l'art.  2118 del cod. civ. che consente
 tuttora il recesso ad nutum, senza alcuna limitazione, del dirigente,
 e l'art. 10 della legge n. 604/1966 che  esclude  i  dirigenti  dalla
 disciplina del recesso giustificato.
    Circa  la non manifesta infondatezza di siffatto dubbio, i profili
 nuovi, rispetto alla precedente ordinanza, sono costituiti, oltre che
 dalle norme oggetto dell'eccezione, dalle seguenti  motivazioni:  non
 viene  in considerazione in questa sede una ipotetica parita' globale
 di trattamento tra dirigenti e altre categorie di prestatori  d'opera
 subordinati,  perche'  il Tribunale non contesta che la categoria dei
 dirigenti e' affatto disomogenea rispetto alle altre e la  disciplina
 dei  relativi  rapporti  di lavoro e' nettamente differenziata (Corte
 costituzionale 6 luglio 1972, n. 121).
    Quelli che vengono in rilievo sono invece due diversi profili:
      1)    irrazionalita'    della    disciplina,    come     vivente
 nell'interpretazione   consolidata,   per   contraddittorieta'  degli
 effetti indicati nel quarto comma rispetto allo scopo (previdenziale)
 che il legislatore si prefigge al primo comma, la cui interpretazione
 onnicomprensiva non e' in discussione. A tale riguardo si deve notare
 come l'obiettivo previdenziale, essendo presidiato da apposite  norme
 costituzionali, e' suscettibile di una tutela specifica che supera la
 disciplina   sostanziale   del   rapporto   (in   tal   senso   Corte
 costituzionale  3-8  maggio  1990,  n.   226,   che   ha   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  6, primo comma, in esame
 nella  parte  in  cui  non   prevede   la   sua   applicazione   agli
 autoferrotranvieri,   nonostante   la  specialita'  della  disciplina
 sostanziale del relativo rapporto);
      2) in secondo luogo una tutela selettiva e' prevista nel  nostro
 ordinamento  anche  per  il dirigente, in rapporto a taluni specifici
 valori  che  si  ritengono  meritevoli  di  tutela  anche  nei   suoi
 confronti, come riconosciuto nella stessa sentenza n. 309/1992 (punto
 3, cpv. 4) ed in relazione alla natura dei vizi che affliggono l'atto
 di  recesso:  cosi'  non  e'  dubbio che un recesso privo della forma
 scritta (ora prescritta dall'art. 2, quarto  comma,  della  legge  15
 luglio 1966, n. 604, come novellata dall'art. 2 della legge 11 maggio
 1990, n.  108), e' inidonea a risolvere il rapporto; analogamente per
 la  tutela  procedimentale contro i licenziamenti disciplinari (Cass.
 28 novembre 1991, n. 12758). In tutti questi  casi  la  nullita'  del
 recesso  produce  non  il  mutamento della disciplina sostanziale del
 rapporto,   convertendo   la   eventuale   stabilita'   convenzionale
 obbligatoria  in  stabilita'  reale,  ma semplicemente la mancanza di
 efficacia risolutiva sul rapporto, che  prosegue  con  le  reciproche
 originarie   obbligazioni.   Viceversa,   in  caso  di  licenziamento
 discriminatorio, l'art.  3  della  legge  11  maggio  1990,  n.  108,
 espressamente   immuta   la   disciplina  sostanziale  del  rapporto,
 stabilendo l'estensione ai dirigenti della  disciplina  dell'art.  18
 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
    Ne'  il  problema  puo' essere risolto sulla base della disciplina
 contrattuale. Il rapporto del dirigente, sottratto dall'art. 10 della
 legge n. 604/1966 alla disciplina legale del  recesso  causale,  gode
 attualmente  di  una  disciplina  convenzionale che ha esteso anche a
 tale categoria di lavoratori  il  principio  di  giustificatezza  del
 recesso  medesimo,  con  correlativi  oneri di comunicazione a carico
 dell'imprenditore e  conseguente  previsione  del  pagamento  di  una
 "indennita'"  in caso i motivi addotti non siano giustificati (per il
 caso in esame artt. 31, 32, 37, 39 contratto 29 giugno 1988 cit.). Ma
 la disciplina convenzionale, stante la  sua  autonomia,  deve  essere
 assunta non solo nei limiti in cui e' posta (Cass. 26 settembre 1991,
 n.  10043),  ma  anche  conseguenzialmente ai suoi presupposti, e non
 puo' essere contaminata con altri  principi  che  derivino  da  fonte
 diversa.  In  particolare,  se  il  contratto  in  esame  prevede  il
 raggiungimento dell'eta' pensionabile  come  giustificato  motivo  di
 recesso,  con  la  sola conseguenza del pagamento di "una somma lorda
 che, detratte le imposte,  sia  pari  ai  contributi  che  lo  stesso
 dovrebbe  versare  all'I.N.P.S.  per raggiungere, con la prosecuzione
 volontaria  nell'assicurazione  i.v.s.,   l'anzianita'   contributiva
 massima  .."  (art.  40  del  c.c.n.l.,  citato), il recesso per tale
 ragione non puo' essere qualificato  senza  giustificato  motivo,  al
 fine  di  cumulare agli effetti contrattualmente previsti all'art. 40
 anche  quelli  indennitari  previsti  all'art.  39  per  il   recesso
 ingiustificato.  Ma  tale qualificazione di recesso giustificato col-
 lide con la qualificazione legale di nullita' del receso per  carenza
 di  giustificatezza,  e  pertanto  la  disciplina  civilistica  della
 nullita'  dell'atto  dovrebbe  prevalere   su   quella   contrattuale
 contrastante.
    Nel  caso in esame viene dunque in considerazione non una generica
 e globale tutela contro il licenziamento, ma la coerenza  del  quarto
 comma rispetto all'obiettivo della tutela previdenziale stabilito dal
 primo comma anche per i dirigenti.
    A   tale   riguardo   l'insufficienza  della  normativa  legale  e
 contrattuale e' di tutta evidenza: per l'art. 5,  secondo  comma  del
 d.P.R.  31  dicembre  1971,  n.  1432  "non  possono  essere  versati
 contributi volontari per i periodi successivi alla data di decorrenza
 della  pensione  diretta  liquidata   a   carico   dell'assicurazione
 obbligatoria  per  invalidita',  vecchiaia e superstiti"; pertanto il
 dirigente che sia stato licenziato, nonostante  l'opzione,  e  voglia
 impiegare  le somme ricevute a norma dell'art. 40 del contratto sopra
 ricordato per il loro scopo  di  contribuzione  volontaria,  ai  fini
 dell'art.  1,  primo  comma,  della  n.  54/1982,  non percepisce nel
 frattempo ne' retribuzione ne' pensione: situazione che al  Tribunale
 appare tale da frustrare la possibilita' offerta dal primo comma e da
 impedire nei fatti l'esercizio dell'opzione.
    In  conclusione:  o  si  dice  che il comma primo non si appica ai
 dirigenti, ed allora la  disciplina  dell'opzione  recupera  una  sua
 compiuta  razionalita'  sistematica  (ma  tale  corno del dilemma non
 viene posto a base dell'eccezione, stanti le premesse univoche  sopra
 ricordate  sull'interpretazione,  in senso onnicomprensivo, dell'art.
 6, primo comma, sicche' la presente  ordinanza  non  realizza,  sotto
 tale  profilo,  una motivazione perplessa); o si afferma che il comma
 primo si riferisce a tutti gli assicurati, compresi i  dirigenti,  ed
 allora  l'esercizio  dell'opzione  non  puo'  essere priva di effetto
 adeguato allo scopo; tale effetto potra'  anche  consistere  non  nel
 totale  mutamento  della disciplina del rapporto in tema di recesso e
 nel suo  assoggettamento  alla  disciplina  globale  della  legge  n.
 604/1966 e conseguentemente della legge n.  300/1970 e della legge n.
 108/1990,  ma solo nel negare efficacia al recesso che risulti in se'
 motivato  per   ragioni   dell'eta',   anche   reiterato,   dal   che
 conseguiranno  gli  effetti  sistematici  sopra  esemplificati.  Tale
 risultato, tuttavia, non puo' essere raggiunto in via  interpretativa
 sulla  base  della normativa vigente, perche' vi osta l'attuale testo
 delle norme richiamate, il che spiega  il  carattere  contraddittorio
 del  diritto  vivente, che riconosce un diritto (art. 6, primo comma)
 ma non i mezzi per conseguirlo.  Tale  situazione,  contrastante  con
 l'art.  38  della  Costituzione,  dovra'  essere rimossa da una fonte
 avente  valore  normativo  che  incida  su  tali  norme  in   maniera
 vincolante per il giudice.
    Per i motivi esposti il Tribunale ritiene rilevante in causa e non
 manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale
 del  combinato  disposto  degli  artt.  2118 del cod. civ., 6, quarto
 comma,  del  d.l.  22  dicembre  1981,  n.  791,   convertito,   con
 modificazioni,  in  legge  25  febbraio  1982, n. 54 (Disposizioni in
 materia previdenziale), e 10 della legge  15  luglio  1966,  n.  604,
 nella  parte  in cui consente il licenziamento per limiti di eta' del
 dirigente che abbia esercitato l'opzione prevista dall'art. 6,  primo
 comma, della legge n. 54/1982.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 e segg. della Costituzione e 25 della legge 11
 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante  in  causa  e  non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
 artt. 2118 del cod. civ., 6, quarto  comma,  del  d.l.  22  dicembre
 1981,  n.  791,  convertito,  con modificazioni, in legge 25 febbraio
 1982, n. 54 (Disposizioni in materia previdenziale), e 10 della legge
 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui consente il  licenziamento
 per  limiti  di  eta'  del  dirigente  che abbia esercitato l'opzione
 prevista dall'art. 6, primo comma, della legge n. 54/1982;
    Dispone la sospensione del presente  giudizio  e  la  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  ed  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
      Firenze, addi' 19 febbraio 1993
                         Il presidente: AVETA
   Il giudice relatore: DE MATTEIS
                                                 L'assistente: MARTINI
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