N. 424 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 1993
N. 424 Ordinanza emessa il 6 aprile 1993 dal tribunale di sorveglianza de L'Aquila nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Strangio Sebastiano Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di benefici per gli appartenenti alla criminalita' organizzata o per i condannati per determinati delitti - Ammissibilita' ai benefici solo in caso di collaborazione con la giustizia - Prospettata violazione del principio di irretroattivita' delle norme penali sfavorevoli con incidenza sulla funzione rieducativa della pena. (Legge 12 luglio 1991, n. 203, art. 2, primo comma). (Cost., artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma).(GU n.35 del 25-8-1993 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento chiamato all'udienza del 6 aprile 1993 instaurato ai sensi degli artt. 677 e 678 del c.p.p. e legge n. 663/1986 nei confronti di Strangio Sebastiano nato a S. Luca (Reggio Calabria) il 13 dicembre 1960 detenuto nella Casa Circondariale di Teramo. FATTO E DIRITTO Premesso: che con istanza del 28 novembre 1992 Strangio Sebastiano ha chiesto di essere ammesso alla liberazione condizionale; che lo Strangio e' detenuto nella casa circondariale di Teramo in espiazione della pena di anni 17 di reclusione inflittagli dalla corte di appello di Milano il 9 novembre 1982 (passata in giudicato il 26 ottobre 1984) per violazione, tra l'altro, del disposto dell'art. 630 del c.p. verificatasi nel giugno 1980 (inizio pena 15 luglio 1980 fine pena attuale 19 maggio 1994); che lo Strangio ha motivato la sua richiesta sia con riguardo alla sussistenza del requisito del sicuro ravvedimento sia in ordine all'impossibilita' di adempiere alle obbligazioni civili nascenti da reato ed ha evidenziato inoltre di aver fruito della concessione di giorni 1030 di liberazione anticipata; che dalle informazioni di polizia agli atti, risulta che lo Strangio e' inserito a pieno titolo nel clan "Nirta-La Maggiore" ('ndrangheta) e che lo stesso non ha collaborato ne' collabora con la giustizia; che in data 18 dicembre 1992 il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Como, rispondendo ad una richiesta d'informazioni circa l'eventuale collaborazione fornita dall'istante ha significato che: "Strangio Sebastiano all'epoca dei fatti, e sentito dopo il suo arresto, confesso' di aver custodito, con Murdaca Sebastiano, l'ostaggio Meroni Luigi in un appartamento di Limbiate. Non fece altre chiamate di correo e non forni' altri elementi utili allo svolgimento delle indagini. E' probabile che il predetto possa dare indicazioni atte a consentire la cattura di Strangio Antonio e di fornire indicazioni in ordine all'uccisione di Gattellaro Agata e Suraci Govanni (la prima coimputata nel procedimento penale per sequestro di persona"; che dalla lettura della sentenza di primo grado si evince: a) che all'istante furono concesse solo "le attenuanti generiche in considerazione della giovane eta', dell'incensuratezza, della confessione resa e del trattamento umano (se cosi' si puo' dire) riservato all'ostaggio"; b) che l'istante fu assolto per insufficienza di prove all'accusa di aver dato ospitalita' nella sua casa di Limbiate al fratello Giuseppe, cosi' aiutandolo a sottrarsi ad un mandato di cattura emesso il 16 maggio 1980 per un altro sequestro di persona (formula dubitativa dovuta all'assenza dagli atti di una prova circa la conoscenza da parte dell'istante nella qualita' di ricercato del fratello); che dalle numerose relazioni comportamentali agli atti, la condotta penitenziaria dello Strangio risulta rispettosa, operosa e collaborativa; che nelle stesse lo Strangio e' descritto come sensibile, maturo, cosciente del reato commesso, disponibile al dialogo, critico sia nei confronti della sua vicenda personale sia verso la realta' socio-ambientale in cui e' vissuto; che ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge 12 luglio 1991, n. 203, la liberazione condizionale puo' essere concessa agli autori del reato di cui all'art. 630 del c.p. solo ricorrendo i presupposti di cui all'art. 4- bis della legge n. 354/1975 e succesive modificazioni; che dall'art. 4, primo comma, della legge n. 203/1991 si evince che la norma di cui al predetto art. 2, primo comma, della legge n. 203/1991 opera retroattivamente; che il citato art. 4-bis, novellato dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, subordina la predetta concessione alla cosiddetta "collaborazione con la giustizia"; che pertanto allo stato lo Strangio potrebbe essere ammesso alla liberazione condizionale solo ove risultasse la sua "collaborazione con la giustizia" ai sensi dell'art. 58- ter della legge n. 354/1975; Ritenuto: che ai sensi dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione "nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso"; che dalla predetta disposizione discendono alcuni principi, tra i quali quello della irretroattivita' della legge penale meno favorevole al reo, intesa sia come previsione legale della fattispecie di reato sia come previsione legale della pena; che il rapporto di esecuzione della sanzione penale, nella sua dinamicita', realizzazione dell'art. 27 della Costituzione, e' caratterizzato dal verificarsi di fattispecie modificative in attuazione di norme che, influendo sulla qualita' e quantita' della pena da scontare, piu' che sulle modalita' di esecuzione della stessa, appaiono avere natura sostanziale; che la Corte di cassazione ha affermato che le disposizioni, che pongono limitazioni all'applicazione di norme di favore per i condannati in relazione a determinate figure di reato, devono ritenersi norme di diritto sostanziale speciale e contra reum; che coerentemente allora il legislatore, con l'art. 4 della legge n. 203/1991, sia pur limitatamente all'ipotesi di cui all'art. 2, secondo comma, stessa legge, ha riconosciuto, anche in relazione al regime della pena, la valenza del principio della irretroattivita' della norma penale meno favorevole; che inoltre, in subjecta materia, il principio della irretroattivita', dando al condannato certezza in ordine alla potenziale idoneita' del suo comportamento corretto e partecipativo quale presupposto per la concessione di misure lato sensu alterna- tive, contribuisce al perseguimento della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27 della Costituzione; che pertanto il tribunale ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 12 luglio 1991, n. 203 - in relazione all'art. 25, secondo comma, della Costituzione - nella misura in cui subordina retroattivamente la concessione della liberazione condizionale alla collaborazione con la giustizia; Rilevato: che ai sensi dell'art. 27 della Costituzione la pena, pur avendo anche la funzione intimidatrice e remuneratrice, deve tendere alla rieducazione del condannato; che con la sentenza n. 204/1974 la Corte ha riconosciuto il diritto del condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato, al fine di accertare se in effetti la quantita' di pena espiata abbia assolto positivamente al fine rieducativo; che il legislatore, come detto, ha subordinato l'ammissibilita' della liberazione condizionale dei condannati quale lo Strangio alla esistenza del presupposto della "collaborazione con la giustizia"; che l'individuo e conseguentemente la finalita' rieducativa della pena a cui lo stesso e' stato condannato, non possono essere strumentalizzati per fini di politica criminale e di prevenzione generale; che pertanto appare di dubbia costituzionalita' - in relazione all'art. 27, terzo comma, della Costituzione - l'affermazione del principio della superiorita' dei fini perseguiti mediante la collaborazione su quello rieducativo, con il sacrificio di quest'ultimo ove non siano stati conseguiti i primi; che il principio costituzionale di cui all'art. 27 della Costituzione, sarebbe rispettato solo ove si accedesse alla conclusione secondo cui, per gli autori di alcuni gravissimi reati, non potrebbe esservi rieducazione che prescinda dalla "collaborazione", la quale sarebbe presupposto minimo necessario del processo di rivisitazione dei propri valori; che invece non pare possa escludersi aprioristicamente che, chi non abbia fornito o non fornisca collaborazione, non possa conseguire, nel corso della detenzione, la finalita' rieducativa che e' propria della pena mentre per converso, e' possibile collaborare con la giustizia per fini del tutto estranei alla rieducazione; che percio' alimenta egualmente sospetti di incostituzionalita' una norma che escluda che i progressi compiuti dal condannato nella rieducazione, non riconducibili pero' alla collaborazione con la giustizia, possano essere valutati al fine di ritenerne il sicuro ravvedimento; che dunque il tribunale ritiene non manifestamente infondata nei termini prospettati la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 12 luglio 1991, n. 203, in relazione all'art. 27, terzo comma, della Costituzione; che infine il tribunale ritiene rilevanti entrambe le questioni poiche' la norma che si sottopone al vaglio di costituzionalita' impedisce di esaminare nel merito l'istanza;
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 12 luglio 1991, n. 203, in relazione agli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione; Dispone la sospensione del presente procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata alla parte ed al suo difensore, al procuratore generale presso la corte di appello de L'Aquila, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. L'Aquila, addi' 6 aprile 1993 Il presidente: VERINI Il magistrato estensore: ROMANO Depositato in cancelleria il 10 aprile 1993. Il collaboratore di cancelleria: AROMATARIO 93C0814