N. 437 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 maggio 1993

                                N. 437
 Ordinanza  emessa  il 19 maggio 1993 dal tribunale di sorveglianza di
 Milano nel procedimento di sorveglianza  avverso  l'applicazione  del
 regime detentivo, sul reclamo di Mellone Ferdinando
 Ordinamento  penitenziario  -  Condannati  per  determinati  reati  -
 Assoggettabilita', con decreto ministeriale, ad un regime  carcerario
 particolarmente  restrittivo  -  Insussistenza  di garanzie idonee ad
 assicurare  un  regolare  contraddittorio  delle  parti  cosi'   come
 stabilito per analoghe misure dall'art. 14-ter, o.p. - Ingiustificata
 disparita'  di  trattamento con incidenza sul diritto di difesa e sul
 principio della tutela giurisdizionale in considerazione anche  della
 mancata previsione di mezzi di impugnazione.
 (Legge  26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, secondo comma, e succes-
 sive modifiche).
 (Cost., artt. 3, 24 e 113).
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Con l'intervento del pubblico ministero in persona del dott. Bardi
 ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Premesso che il detenuto Mellone Ferdinando nato il 28 giugno 1951
 a  Gioia  Tauro,  ristretto  presso  casa  circondariale  Milano,  in
 espiazione dei seguenti titoli detentivi:
      1)  corte assise Como 23 gennaio 1986 (anni 21 di reclusione per
 art. 575 del c.p., es. p.r. Como n. 11/88);
      2) tribunale di Pisa 17 maggio 1991 (anni 13 di  reclusione  per
 art.  71-74  stupefacenti,  es.  p.r.  Pisa n. 152/1992), con istanza
 proposta in data  22  febbraio  1993,  ha  proposto  reclamo  avverso
 l'applicazione  del  regime detentivo di cui all'art. 41-bis, secondo
 comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354,  introdotto  dall'art.  19
 del  d.l.  8  giugno  1992,  n. 306, convertito nella legge 7 agosto
 1992, n. 356;
    Premesso che l'interessato, ritualmente citato ai sensi  dell'art.
 14- ter o.p., e' comparso all'odierna udienza e che l'amministrazione
 penitenziaria  ritualmente  avvisata,  ha trasmesso la documentazione
 richiesta, senza depositare memorie;
    Viste le conclusioni del p.g. e del difensore di cui al verbale in
 udienza;
(GU n.35 del 25-8-1993 )
                           OSSERVA IN FATTO
    Il reclamo proposto dal Mellone concerne il  decreto  ministeriale
 25  novembre  1992 in forza del quale, in data 27 novembre 1992, egli
 veniva sottoposto al regime previsto  dall'art.  41-  bis  cit.,  con
 conseguente modificazione del trattamento penitenziario:
      1)  non sara' consentito partecipare al sorteggio mensile per la
 designazione dei detenuti e degli internati (artt. 9, 12 e  27  della
 legge n. 354/1975);
      2) saranno consentiti colloqui con i famigliari e conviventi con
 frequenza  complessivamente  non superiore a due al mese. Non saranno
 consentiti colloqui con persone diverse dai congiunti, dai conviventi
 e dai difensori, salvo per il comprovato di atti giuridici (art.  18,
 primo comma, e art. 35, primo comma, del d.P.R. n. 431/1976);
      3)  sara'  consentito  un solo colloquio telefonico mensile alle
 condizioni di legge;
      4) non sara' consentita corrispondenza epistolare e  telegrafica
 non sottoposta a visto di controllo da parte della direzione;
      5)  non  sara' consentita la permanenza all'aria aperta per piu'
 di due ore al giorno;
      6) saranno sospesi i colloqui premiali;
      7)  sara'  consentito  il possesso, l'acquisto, la ricezione dei
 generi ed oggetti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui
 cio' non comporta pericoli per la  sicurezza.  In  particolare  sara'
 consentita  la ricezione soltanto di due pacchi mensili nei limiti di
 peso gia'  stabilito  che  possono  contenere  esclusivamente  abiti,
 biancheria e indumenti intimi;
      8)  non  sara'  consentita la ricezione dall'esterno di somme in
 peculio superiore all'ammontare mensile stabilito ai sensi  dell'art.
 54,  sesto  comma, del d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 e invio di somme
 all'esterno, fermo restando  il  pagamento  di  spese  inerenti  alla
 difesa  legale  e  il  pagamento di multa o di ammende (art. 25 della
 legge n. 354/1975);
      9) non sara' consentito lo svolgimento di attivita'  artigianali
 per  proprio  conto  e per conto terzi (c.d. lavoro a domicilio, art.
 20, ottavo comma, della legge n. 354/1975).
    Le sopracitate disposizioni hanno efficacia sino  al  24  novembre
 1993.
    A  fondamento  del  reclamo  il  detenuto  assume che detto regime
 compromette il proprio stato di salute, gia' debilitato.
    Il reclamo proposto appare identico  a  quello  gia'  proposto  da
 altri  detenuti,  per  i  quali questo tribunale con ordinanze del 17
 marzo 1993 (Ercolano Salvatore) e 7 aprile 1993 (Nuvoleta Lorenzo) ha
 ritenuto di sollevare, dinanzi alla Corte  costituzionale,  questione
 di    legittimita'   costituzionale;   identico   e',   infatti,   il
 provvedimento amministrativo oggetto del reclamo, adottato, ai  sensi
 dell'art.  41-  bis  o.p.,  dal  Ministro di grazia e giustizia il 20
 luglio 1992.
    In  relazione  al  reclamo  de  quo,  appare   dunque   necessario
 richiamare  coerentemente  le stesse considerazioni gia' svolte nella
 citata  ordinanza  del  17  marzo  1993,  prospettando  la   medesima
 questione di legittimita' costituzionale.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Preliminare  appare  la questione della ammissibilita' del reclamo
 ai  sensi  dell'art.  14-   ter   o.p.   avverso   il   provvedimento
 ministeriale.
    Il  dato  dal quale occorre partire e' quello relativo all'assenza
 di una specifica disposizione legislativa che preveda la facolta'  di
 reclamo  avanti  alla  magistratura  di  sorveglianza  da  parte  del
 detenuto, avverso il provvedimento amministrativo di applicazione del
 regime detentivo di cui all'art. 41- bis o.p.
    A fronte della mancanza di un'espressa disposizione normativa  che
 contempli  la  possibilita'  di un controllo giurisdizionale ad opera
 della  Autorita'  Giudiziaria  ordinaria  nei   confronti   dell'atto
 ministeriale sospensivo delle regole trattamentali, occorre stabilire
 se  possa applicarsi in via analogica la disciplina dettata dall'art.
 14- ter o.p.  per  il  reclamo  avverso  il  regime  di  sorveglianza
 particolare di cui all'art. 14- bis o.p.
    Ritiene questo collegio che non possa farsi ricorso, per analogia,
 alla  procedura  contemplata  dal  citato  art.  14- ter o.p., stante
 l'impossibilita'  di  assimilare,  quanto  alla  ratio  legis  ed  ai
 presupposti,  il  regime  di sorveglianza particolare ex art. 14- bis
 o.p. a quello di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p.
    In  proposito,  deve  osservarsi  come  certamente diverse sono le
 finalita' cui tendono i due istituti della sorvegianza particolare  e
 della sospensione delle normali regole del trattamento penitenziario.
    Mentre  il primo risponde all'evidente intento di garantire, da un
 lato,  la  tutela  della  sicurezza  e  dell'ordine  nelle   carceri,
 assicurando   comunque   il   normale   svolgimento  delle  attivita'
 trattamentali volte  al  perseguimento  della  finalita'  rieducativa
 della pena, e, d'altro lato, la convivenza pacifica e paritaria tra i
 reclusi,  il  regime  previsto dal citato art. 41-bis, secondo comma,
 o.p., il quale sostanzialmente riproduce  l'abrogato  art.  90  o.p.,
 mira  a  tutelare esigenze estranee al governo interno degli istituti
 ed  inerenti,  invece,  alla  situazione  esterna  agli  stessi,  che
 potrebbe essere compromessa da iniziative di persone ristrette.
    Non  deve  dimenticarsi, infatti, che l'occasio legis determinante
 l'emanazione del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, successivamente
 convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, il quale ha  introdotto
 il  secondo  comma  dell'art.  41-  bis  o.p.,  fu  proprio una grave
 situazione di emergenza esterna.
   Peraltro, l'intento del legislatore  di  utilizzare  il  regime  di
 sospensione  delle  regole  trattamentali  non come strumento teso ad
 assicurare  l'ordine  all'interno  degli  istituti   di   pena,   ma,
 piuttosto,  come  mezzo  di contrasto di situazioni di grave pericolo
 per l'ordine pubblico, e' espressamente richiamato dal comma  secondo
 dell'art.  41- bis o.p. il quale fa riferimento a "motivi di ordine e
 di sicurezza pubblica" e attribuisce al  Ministro  degli  interni  il
 potere  di  richiedere  l'adozione  del  provvedimento di sospensione
 delle regole trattamentali.
    Anche la diversa collocazione sistematica degli artt.  14-  bis  e
 41-  bis o.p. depone per una sostanziale diversita' dei due istituti:
 invero, mentre il primo e' inserito nel  capo  terzo  concernente  le
 modalita'  del  trattamento,  il  secondo  si  trova  nel capo quarto
 relativo al regime penitenziario.
    Se certamente diversi debbono configurarsi, per le ragioni sin qui
 esposte, la ratio ed i presupposti del provvedimento di  sorveglianza
 particolare  applicato  nei  casi previsti dalle lettere a), b) e c),
 dell'art. 14-bis, primo comma o.p., rispetto a quelli del  regime  di
 cui  al  secondo comma dell'art. 41- bis o.p., nondimeno quest'ultimo
 si differenzia, nei suoi presupposti, dalla  fattispecie  di  cui  al
 quinto comma dell'art. 14- bis o.p.
    Mentre  nella ipotesi di cui al primo comma dell'art. 14- bis o.p.
 gli elementi dai quali desumere la pericolosita' sociale dei detenuti
 da  sottoporre  al  regime  di  sorveglianza  particolare  ineriscono
 esclusivamente  alla  condotta  inframuraria,  il  quinto comma della
 norma medesima subordina l'applicazione delle  restrizioni  detentive
 all'esistenza  di comportamenti, sintomatici di pericolosita', tenuti
 non solo in costanza di detenzione ma anche in liberta'.
    Tuttavia anche quest'ultima fattispecie e' sostanzialmente diversa
 da quella introdotta dall'art. 19 della legge n. 356/1992: invero  la
 sottoposizione  al  regime  di  cui  all'art.  41-  bis o.p. riguarda
 esclusivamente "i detenuti per taluno dei delitti  di  cui  al  comma
 primo dell'art. 4- bis legge 26 luglio 1975, n. 354", con riferimento
 ai  quali  il  legislatore  pare  aver  sancito  una  presunzione  di
 pericolosita' sociale in relazione al mero titolo di reato.
    L'ipotesi   di   applicazione   della   sorveglianza   particolare
 introdotta al quinto comma dell'art. 14- ter o.p. si  fonda,  invece,
 su    precedenti   penitenziari   o   altri   comportamenti   tenuti,
 indipendentemente  dalla  natura  dell'imputazione,   in   stato   di
 liberta',  con l'espressa esclusione del mero riferimento alla natura
 del reato per il quale il detenuto e' indagato o ha  subito  condanna
 (cfr.  in tal senso Cassazione, sezione prima, sentenza del 7 ottobre
 1987).
    Sulla base delle considerazioni fin  qui  esposte  ritiene  questo
 collegio   che,   non   potendosi   applicare  in  via  analogica  il
 procedimento previsto dall'art.  14-  ter  o.p.  per  le  ipotesi  di
 sorveglianza  particolare,  occorre verificare se il provvedimento di
 sospensione delle regole trattamentali ex art. 41-bis, secondo  comma
 o.p.  sia  sottoponibile al controllo giurisdizionale avanti ad altre
 autorita' giudiziarie.
    Ci si puo' chiedere se sia ravvisabile la giurisdizione in materia
 del magistrato di sorveglianza.
    In proposito va in primo luogo osservato che  non  e'  rinvenibile
 alcuna  norma  che attribuisca al detenuto la facolta' di instaurare,
 con  le  garanzie  del  contraddittorio,  dinanzi  al  magistrato  di
 sorveglianza,  un  procedimento  giurisdizionale avente ad oggetto il
 provvedimento di cui all'art. 41- bis o.p. cosi' come il  legislatore
 ha  invece previsto all'art. 69 o.p., richiamando la procedura di cui
 all'art. 14- ter o.p., per i reclami avanzati in materia di lavoro  e
 di esercizio del potere disciplinare.
    Come e' noto, il magistrato di sorveglianza, in qualita' di organo
 monocratico,   esercita   una   funzione   diretta   a  sovrintendere
 l'esecuzione delle  pene,  tramite  l'attivita'  di  vigilanza  sulla
 organizzazione  degli  istituti di prevenzione e di pena (consistente
 anche nel prospettare al Ministero le esigenze dei  vari  servizi)  e
 della  custodia nei confronti degli imputati, assicurando il rispetto
 delle norme imposte da leggi e regolamenti.
    In capo al magistrato di sorveglianza e' ravvisabile, pertanto, un
 potere di controllo sulla legalita' dell'azione della amministrazione
 penitenziaria sia periferica che centrale.
    Se le doglianze dedotte dal detenuto sottoposto al regime  di  cui
 al  secondo comma dell'art. 41- bis o.p., nell'ambito di detto potere
 di  vigilanza,  ben  possono  essere  prospettate  al  magistrato  di
 sorveglianza  nella  forma del reclamo, cosi' come previsto dall'art.
 35 o.p., tuttavia non appare configurabile,  nell'esercizio  di  tale
 potere sancito dall'art. 69, primo e secondo comma o.p., alcuna forma
 di tutela giurisdizionale.
    Tale norma nulla stabilisce in ordine alle modalita' con cui viene
 concretamente    esercitata   la   funzione   di   vigilanza,   salva
 l'indicazione di un generico potere di  prospettazione  al  Ministero
 delle  necessita' di volta in volta emergenti in relazione ai servizi
 penitenziari volti ad attuare il trattamento rieducativo.
    A fronte del silenzio del  legislatore,  il  quale  non  introduce
 alcun  mezzo di impugnazione specifico da esperire dinanzi all'organo
 monocratico, il suddetto potere di controllo certamente non assume la
 veste dell'atto giurisdizionale,  bensi'  di  un'attivita'  meramente
 amministrativa, seppure promanante da una autorita' giudiziaria.
   Se  quindi  il  detenuto  sottoposto al regime penitenziario di cui
 all'art. 41-bis, secondo comma o.p., il quale  si  ritenga  leso  dal
 provvedimento   penitenziario,   non   dispone  di  alcuno  strumento
 giurisdizionale  da  esperire   davanti   all'autorita'   giudiziaria
 ordinaria, resta da accertare se rimane per il detenuto reclamante la
 facolta'  di  adire l'autorita' giudiziaria amministrativa, secondo i
 principi generali che regolano la giustizia amministrativa.
    E' da ricordare, in proposito, che,  nella  vigenza  dell'art.  90
 della  legge  26  luglio  1975, n. 354, il quale disciplinava analogo
 potere ministeriale di sospensione delle regole del  trattamento,  il
 t.a.r.  affermava  il  proprio  difetto  di giurisdizione sui reclami
 proposti dai detenuti avverso l'atto amministrativo di sottoposizione
 al regime di cui all'art. 90 o.p. (t.a.r. Lazio sezione  I,  sentenza
 13  settembre  1984,  n. 771). In particolare il t.a.r. osservava che
 "gli effetti del riparto di giurisdizione  fra  giudice  ordinario  e
 giudice  amministrativo,  cio'  che  conta  non  e' la qualificazione
 giuridica che l'istante conferisce alla posizione soggettiva  di  cui
 chiede  tutela, ma la reale consistenza di detta posizione cosi' come
 risulta disciplinata dalle fonti di normazione .." non potendo  "  ..
 dubitarsi  che  i  provvedimenti  ministeriali che hanno disposto nei
 confronti dei ricorrenti la sospensione delle regole del  trattamento
 carcerario  (art. 90 della legge 26 luglio 1975, n. 354), incidono in
 via  immediata  e  diretta   su   posizioni   giuridiche   soggettive
 qualificabili  come diritti di liberta' costituzionalmente garantiti.
 Nei  confronti  delle  determinazioni  impugnate  i   ricorrenti   si
 presentano  quindi  come titolari di diritti soggettivi inviolabili i
 quali, proprio per la loro inerenza alla persona umana e  per  essere
 costituzionalmente     garantiti     innanzitutto    nei    confronti
 dell'autorita' pubblica, per  definizione  non  sono  degradabili  ad
 interessi  legittimi  .. nei loro confronti sono infatti ipotizzabili
 forme di restrizione  nei  casi  e  con  le  procedure  garantistiche
 espressamente  previsti  dalla  legge, ma mai la loro degradazione ad
 interessi legittimi, la quale  presuppone  poteri  ablatori  in  capo
 all'amministrazione di cui quest'ultima certamente non dispone".
    Le  considerazioni  riportate paiono a questo tribunale pienamente
 condivisibili. Non vi e',  infatti,  chi  non  veda  come  il  regime
 penitenziario  di  cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p. incida
 non certo su posizioni  di  mero  interesse  legittimo  e  come  tali
 tutelabili  in  via esclusivamente amministrativa, bensi' sui diritti
 essenziali della persona  umana  (in  primo  luogo  il  diritto  alla
 liberta'  personale  ed,  inoltre,  anche  i diritti alla liberta' di
 espressione e di comunicazione) riconosciuti dalla  Costituzione,  la
 cui  compressione  non  puo'  mai  determinare l'affievolimento degli
 stessi ad interessi legittimi.
    Se, quindi,  la  posizione  giuridica  soggettiva  su  cui  incide
 direttamente   l'atto   amministrativo   ministeriale  rientra  nella
 categoria dei diritti soggettivi, ne deriva, in ossequio al  criterio
 del   riparto   della  giurisdizione,  il  difetto  di  giurisdizione
 dell'Autorita'  Giudiziaria  amministrativa  in  ordine  ai   reclami
 avanzati  dai  detenuti  sottoposti  al  regime  penitenziario di cui
 all'art. 41- bis o.p.
    Ritiene questo collegio che la mancata previsione di un  mezzo  di
 impugnazione  avverso  il  provvedimento  emesso  ai  sensi dell'art.
 41-bis,  secondo  comma   o.p.,   contrasti   con   alcuni   principi
 costituzionali  e, che, pertanto, detta norma debba essere sottoposta
 al vaglio della Corte costituzionale.
    Va  in  primo  luogo  affermata  la  rilevanza  della  prospettata
 questione di legittimita' costituzionale ai fini della decisione.
    Invero, il giudizio instaurato avanti a questo tribunale ha,  come
 fine  essenziale,  quello  di consentire un controllo di legittimita'
 dell'operato dell'amministrazione penitenziaria che ha sottoposto  il
 detenuto Mellone Ferdinando al regime trattamentale di cui al secondo
 comma dell'art. 41- bis o.p.
    Orbene,  l'eventuale  pronuncia  di  illegittimita' costituzionale
 della norma richiamata nella parte in cui non prevede la possibilita'
 per il detenuto di impugnare il provvedimento ministeriale sospensivo
 delle regole del trattamento, consentirebbe  a  questo  tribunale  di
 esaminare  il  merito  del reclamo e quindi di pronunciarsi in ordine
 alla legittimita' del provvedimento di  cui  il  detenuto  chiede  la
 disapplicazione.
    Quanto  alla  non  manifesta infondatezza della questione, ritiene
 questo tribunale che il secondo comma dell'art. 41- bis  o.p.  appaia
 in contrasto con i seguenti principi costituzionali:
      1)  art.  3  della  Costituzione  laddove  a situazioni eguali -
 detenuti che si vedono comprimere i propri diritti personali a fronte
 di maggiori esigenze di sicurezza e di controllo della  pericolosita'
 di  volta  in  volta  individuate  -  non  corrisponderebbero  eguali
 garanzie giurisdizionali.
    Invero, mentre il provvedimento dell'amministrazione penitenziaria
 che dispone il regime di  sorveglianza  particolare  consistente,  ai
 sensi  dell'art.  14-quater  o.p.,  in restrizioni dell'esercizio dei
 diritti dei detenuti e delle regole del  trattamento,  e'  sottoposto
 alla  giurisdizione  del  tribunale  di  sorveglianza  attraverso  la
 proposizione del reclamo previsto dall'art. 14- ter o.p. assistito da
 tutta  una  serie  di  garanzie  idonee  ad  assicurare  un  regolare
 contraddittorio  delle parti, l'atto amministrativo di sottoposizione
 al regime penitenziario di cui al secondo  comma  dell'art.  41-  bis
 o.p.  che  pure,  si e' visto, incide in misura gravemente repressiva
 sui diritti essenziali  dell'individuo  costituzionalmente  tutelati,
 sfugge  a  qualsiasi  tipo  di  controllo di legalita' in ordine alla
 conformita' dello stesso alla legge, non consentendo a colui  che  vi
 e' sottoposto, di dolersi dell'eventuale illegittimita';
      2)  art.  24  comma  primo della Costituzione secondo cui "tutti
 possono agire in giudizio per la tutela dei  propri  diritti",  norma
 che  deve  essere letta insieme all'invocato principio di eguaglianza
 di cui costituisce una specificazione (Corte costituzionale, sent. n.
 55/1974).
    Il diritto alla tutela giurisdizionale sancito da tale  norma  "va
 annoverato   fra   i   principi   supremi   del   nostro  ordinamento
 costituzionale in cui e' intimamente connesso con lo stesso principio
 di  democrazia  l'assicurare  a  tutti  e   sempre,   per   qualsiasi
 controversia, un giudice ed un giudizio" (cosi' ha affermato la Corte
 costituzionale nella sentenza n. 18/1982).
    Nel  caso  che qui occupa, e' pacifico, come piu' volte ricordato,
 che il provvedimento ministeriale di sottoposizione al regime di  cui
 all'art.  41-  bis  o.p.  incide  su  posizioni giuridiche soggettive
 qualificabili come diritti e, come  tali,  oggetto  di  indefettibile
 tutela   giurisdizionale   intesa   come  possibilita'  di  esercizio
 dell'azione processuale e, una volta  instaurato  il  giudizio,  come
 possibilita'  di  vedersi  assicurata  la facolta' di difesa sotto il
 duplice profilo della difesa tecnica, e del  rispetto  del  principio
 del contraddittorio;
      3)  art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, secondo
 cui "contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa
 la tutela giurisdizionale dei diritti  e  degli  interessi  legittimi
 dinanzi  agli  organi della giurisdizione ordinaria o amministrativa.
 Tale tutela giurisdizionale non puo'  essere  esclusa  o  limitata  a
 particolari  mezzi  di  impugnazione  o  per determinate categorie di
 atti".
    La norma, che costituisce puntuale specificazione ed  applicazione
 di  quanto  disposto in termini generali dal primo comma dell'art. 24
 della  Costituzione  e  che  deve  essere  letta  in  connessione  al
 principio  di eguaglianza, garantisce la giurisdizione dell'autorita'
 giudiziaria ordinaria in materia di diritti  soggettivi  dei  singoli
 che si ritengano lesi da un atto della pubblica amministrazione.
    Corollari  del  principio  di  cui  al  primo comma sono i divieti
 sanciti dal successivo secondo comma.
    La regola della indefettibilita' della tutela  prevista  dall'art.
 113  della  Costituzione non pare rispettata nel caso di specie posto
 che avverso il provvedimento ministeriale che applica  nei  confronti
 del  singolo detenuto il regime penitenziario di cui al secondo comma
 dell'art. 41- bis o.p., incidente, si ripete, sui diritti  soggettivi
 del  medesimo,  la  legge  non  attribuisce al recluso alcun mezzo di
 impugnazione avanti all'autorita' giudiziaria ordinaria,  laddove  la
 magistratura  di  sorveglianza  e'  pacificamente  riconosciuta quale
 giudice naturale della situazione giuridica sostanziale del  detenuto
 nei  suoi  rapporti  con  l'Amministrazione  penitenziaria, allorche'
 l'operato di questa venga ad incidere sui suoi diritti soggettivi.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis, secondo comma, della
 legge  26  luglio  1975,  n.  354  e  successive  modificazioni,  per
 violazione degli artt. 3, 24, primo comma, 113, primo e secondo comma
 della Costituzione nei sensi di cui in motivazione;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende il procedimento di cui sopra;
    Dispone  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata all'interessato, al difensore, alla direzione  della  casa
 circondariale  di  Milano,  al  procuratore generale della Repubblica
 presso la corte d'appello di Milano, al Presidente del Consiglio  dei
 Ministri,  nonche' comunicata al Presidente della Camera dei deputati
 ed al Presidente del Senato.
      Milano, addi' 19 maggio 1993
                        Il presidente: LEOPARDI
                                      L'estensore: (firma illeggibile)
    Depositato nella cancelleria il 22 maggio 1993.
         Il collaboratore di cancelleria: (firma illeggibile)

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