N. 440 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 febbraio 1993
N. 440 Ordinanza emessa il 18 febbraio 1993 dal tribunale amministrativo regionale della Calabria sul ricorso proposto da Vero Sergio contro unita' sanitaria locale n. 18 di Catanzaro. Sanita' pubblica - Medici dipendenti dal S.S.N. - Divieto di prestazione d'attivita' professionale presso case di cura private convenzionate, anche se effettuata in reparti non convenzionati - Irrazionalita' - Disparita' di trattamento rispetto ai medici liberi professionisti che possono prestare la loro attivita' sia presso le UU.SS.LL. che in strutture private non convenzionate e rispetto al sanitario che svolge il suo lavoro all'interno di cliniche private convenzionate al di fuori di ogni contatto con il S.S.N. - Lesione del diritto alla salute - Limitazione al diritto al lavoro. (Legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, settimo comma). (Cost., artt. 3, 32 e 35).(GU n.36 del 1-9-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal dott. Sergio Vero, rappresentato e difeso dall'avv. Enzo Paolini, presso il cui studio, in Cosenza, viale della Repubblica, n. 110, e' elettivamente domiciliato, contro l'unita' sanitaria locale n. 18 di Catanzaro, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti R. Di Lieto e A. Forte; per l'annullamento della delibera di revoca dell'autorizzazione a pre- stare attivita' di consulenza presso la Casa di cura privata, ammessa dalla U.S.L. n. 18 di Catanzaro, in data 26 novembre 1992. Visto il ricorso con i relativi allegati; Designato alla camera di consiglio del 18 febbraio 1993 la dott.ssa Concetta Anastasi e uditi, altresi', l'avv. M. Paolini per il ricorrente e gli avv.ti R. Di Lieto e A. Forte per l'amministrazione intimata; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con ricorso depositato in data 28 gennaio 1993, il dott. Sergio Vero ha impugnato - chiedendone l'annullamento, previa concessione della sospensione degli effetti - la deliberazione indicata in epigrafe, con cui la U.S.L. n. 18 di Catanzaro gli ha revocato l'autorizzazione a prestare attivita' di consulenza presso casa di cura privata, nonche' tutti gli atti propedeutici e conseguenziali o comunque connessi. Premette in fatto il ricorrente, medico specialista in radiologia nonche' dipendente del servizio sanitario nazionale, di aver prestato attivita' di consulenza presso una casa di cura privata fino al 31 dicembre 1992, in virtu' di una convenzione, all'uopo sottoscritta, tra la predetta casa di cura e la U.S.L. n. 18 di Catanzaro, ai sensi dell'art. 35 del d.P.R. n. 761/1979. Successivamente, in seguito all'entrata in vigore della legge n. 412/1991, la U.S.L. n. 18 di Catanzaro, con la delibera impugnata, e' intervenuta revocando la preesistente autorizzazione all'espletamento della predetta attivita' di consulenza, in attuazione del divieto stabilito con l'art. 4, settimo comma della legge n. 412/1991, che disciplina i casi di incompatibilita' fra l'esercizio della libera professione del sanitario ed il rapporto di lavoro dipendente dal servizio sanitario nazionale. A sostegno del proprio ricorso, il dott. Sergio Vero deduce, in via principale, la illegittimita' della delibera impugnata, per eccesso di potere e solleva - in via subordinata - questione di legittimita' costituzionale del settimo comma dell'art. 4 della legge n. 412/1991, in relazione agli artt. 3, 32 e 35 della Costituzione. Nella camera del consiglio del 18 febbraio 1993, il collegio, ha accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, motivando per relationem con riferimento alla presente ordinanza. L'amministrazione intimata si e' costituita in giudizio. D I R I T T O La disposizione di legge, asseritamente viziata costituzionalmente, e' stata indicata espressamente anche con riferimento alle disposizioni della Costituzione che si assumono vio- late, ai sensi dell'art. 23, lettera a) e b), della legge n. 87/1953. Il presente giudizio non e' suscettibile di essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale eccepita, posto che dalla risoluzione della questione stessa dipende l'accoglimento o meno del ricorso proposto. La questione e' non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 32 e 35 della Costituzione. La norma di cui al settimo comma dell'art. 4 della legge n. 412/91 - che qui si sospetta di incostituzionalita' - esclude la possibilita' per i medici ospedalieri del Servizio sanitario nazionale di esercitare la libera professione in case di cura pri- vate, convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. La disposizione di cui al comma settimo dell'art. 4 della legge n. 412/91 prevede, in altro passaggio, che il medico dipendente del Servizio sanitario nazionale, possa esercitare la libera professione al di fuori dell'orario di lavoro all'interno delle strutture pubbliche ovvero "all'esterno delle stesse", cioe', in altri termini, anche nelle case di cura non convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. La previsione legislativa sembra essere in contrasto con il principio della parita' di trattamento fra il sanitario, che presta la propria attivita' libero professionale in strutture pubbliche oppure in strutture private non convenzionate, e quello che presta la propria attivita' professionale in strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, cui si pone un divieto. Il corpo normativo, nel quale la disposizione legislativa asseritamente incostituzionale e' inserita, e' ispirato alla realizzazione del principio relativo al divieto di "duplicazione" del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale. Tuttavia, nel caso disciplinato dalla norma de qua, mancano del tutto i presupposti per la realizzazione della "duplicazione" predetta, poiche' l'attivita' libero-professionale del sanitario non viene realizzata con soggetto privato nonche' "iure privatorum". Inoltre, e' da rilevare che, anche in strutture private convenzionate, esistono reparti, unita' di degenza, settori non convenzionati. La norma de qua vieta anche l'espletamento dell'attivita' professionale del medico che potrebbe operare in settori non convenzionati di strutture private convenzionate. In realta', l'esistenza o meno di una convenzione fra una casa di cura privata ed il Servizio sanitario nazionale non puo' ritenersi rilevante ai fini dello svolgimento dell'attivita' del sanitario dipendente ospedaliero, perche' la convenzione opera al di fuori della sua sfera - che rimane circoscritta ad un rapporto di locatio operis strettamente di diritto privato ed effettuata con modalita' puramente libere nella disciplina, per cui non e' possibile ritenere che essa sia in grado di invalidare il principio della "unicita'" del rapporto di lavoro. La rilevanza della disposizione - che si assume essere suscettibile di violazione della Costituzione - ha una ulteriore incidenza sul piano piu' generale della tutela del diritto alla sa- lute. Non vi e' dubbio, infatti, che, per le collettivita' stanziate in zone in cui sono particolarmente carenti i servizi forniti dalle strutture pubbliche, un divieto di tal genere priverebbe - di fatto - ogni possibilita' di tutela "alternativa" della salute, rispetto a quella fornita dal Servizio sanitario nazionale, posto che, in molte zone, come quella in cui vive ed opera il ricorrente, quasi tutte le case di cura private sono convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Le suesposte considerazioni consentono di valutare la rilevanza delle censure di anticostituzionalita' svolte. Con riferimento al dedotto contrasto con l'art. 3 della Costituzione - principio di eguaglianza formale - e' opportuno ricordare l'interpretazione che dell'art. 3 ha fornito la Corte costituzionale secondo cui esso mira ad impedire che - a danno dei cittadini - le leggi possano operare discriminazioni arbitrarie, posto che il legislatore (sentenza n. 62/72) puo' disciplinare in modo eguale situazioni eguali ed in modo diverso quelle differenti: sempre che - in contrario - non ricorrono logiche e razionali giustificazioni. In altri termini (sentenza n. 200/1972) la discrezionalita' legislativa trova sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni, volte a giustificare la disparita' di trattamento fra i cittadini. Ad avviso del Collegio remittente, la norma, sospettata di incostituzionalita' dal ricorrente, potrebbe essere suscettibile di presentare sperequazioni illogiche ed irrazionali nella disciplina per le diverse modalita' di espletamento della libera professione del sanitario dipendente del Servizio sanitario nazionale. Le suindicate presunte illogicita' della disposizione legislativa de qua presentano dubbi di illegittimita' costituzionale anche in relazione all'art. 35, primo comma della Costituzione. Infatti, la disparita' di trattamento - qualora si ritenga ingiustificata - fra il sanitario che presta la propria attivita' libero-professionale all'interno delle strutture pubbliche, ovvero anche in strutture private non convenzionate, e fra il sanitario che presta la propria attivita' all'interno di casa di cura privata convenzionata (e magari in settore non convenzionato ovvero intrattenendo un rapporto privatistico con il paziente, al di fuori di ogni contatto - sia pure indiretto - con il Servizio sanitario nazionale) si traduce in una limitazione - da parte del legislatore - del diritto al lavoro, che la Costituzione garantisce. E' ancora opportuno esaminare un ulteriore profilo di sospetta illegittimita' della disposizione di cui al comma settimo dell'art. 4 della legge n. 412/1991, in relazione all'art. 32 della Costituzione, posto che il divieto de quo, se si ritiene ingiustificato, ha delle inevitabili ripercussioni per la collettivita', in ordine alla tutela del diritto alla salute del cittadino. La giurisprudenza costituzionale ha considerato la tutela del diritto alla salute come articolato in situazioni giuridiche soggettive diverse: infatti, sotto il profilo della difesa dell'integrita' fisico-psichica della persona umana, il diritto alla salute e' un diritto erga omnes, direttamente tutelabile ed azionabile nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti (sent. nn. 88/1979, 184/1986 e 559 del 1987), mentre, sotto il profilo del diritto a trattamenti sanitari, il diritto alla salute e' soggetto alla "determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione" della relativa tutela da parte del legislatore ordinario (sent. nn. 142/1982, 81/1966, 175/1982, 212/1983, 226/1983, 342/1985 e 1011 del 1988). Il diritto alla salute, inteso come diritto ad ottenere trattamenti sanitari, ha natura programmatica e, quindi, la sua attuazione appartiene al legislatore ordinario, che deve concretare un bilanciamento fra tale diritto ed altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi, che lo stesso legislatore incontra, in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento (sent. nn. 992/1988, 313/1989, 127/1990 e 298 del 1990), senza che questo possa comportare una degradazione della tutela primaria, assicurata dalla Costituzione, ad una puramente legislativa. Il predetto bilanciamento, operato dal legislatore, rimane pero' soggetto al sindacato della Corte costituzionale nelle forme e nei modi propri all'uso della discrezionalita' legislativa, anche rispetto alle cosiddette "prestazioni aggiuntive" (sent. n. 455/1990). In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che il legislatore e' altresi' tenuto - oltre che al predetto bilanciamento degli interessi - anche "ad osservare una ragionevole gradualita' di attuazione, dipendente dalla obiettiva considerazione delle risorse organizzative e finanziarie a disposizione", nello svolgimento delle norme costituzionali sul diritto a trattamenti sanitari (sent. n. 455/1990). Pertanto, il collegio ritiene di dover rimettere alla Corte costituzionale la valutazione sulla logicita' e la razionalita' della norma di cui al settimo comma, art. 4 della legge n. 412/1991 in relazione all'art. 32 della Costituzione, soprattutto con riferimento all'esatta ponderazione che il legislatore ordinario - nell'esercizio della sua discrezionalita' ha effettuato - fra l'interesse tutelato dal diritto alla salute della collettivita' - nella sua funzione programmatica - e gli altri interessi, di rango costituzionale, nonche' la possibilita' reale ed obiettiva di disporre delle risorse necessarie, per la medesima attuazione. La Corte costituzionale valutera', altresi', se il legislatore della norma censurata, ha osservato una ragionevole gradualita' di attuazione, dipendente dalla obiettiva considerazione delle risorse organizzative e finanziarie a disposizione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, settimo comma della legge n. 412/1991 in relazione agli artt. 3, 32 e 35 della Costituzione; Ordina la sospensione del giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la relativa decisione; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. Catanzaro, addi' 18 febbraio 1993 Il presidente: BOZZI Depositata il 21 maggio 1993. Il segretario generale: SICILIA 93C0830