N. 355 SENTENZA 11 giugno - 28 luglio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Sanita'  pubblica  - Riordino della disciplina in materia sanitaria a
 norma  dell'art.  1  della  legge  23  ottobre   1992,   n.   421   -
 Organizzazione   delle   UU.SS.LL.   -  Attribuzione  delle  relative
 competenze al presidente  della  giunta  regionale  invece  che  alla
 regione  -  Conferimento  dei  poteri  sostitutivi  al Ministro della
 sanita' invece che  al  Consiglio  dei  Ministri  -  Definizione  dei
 presidi   ospedalieri   che   operano   in  strutture  di  pertinenza
 dell'universita', facolta'  di  medicina  come  ospedali  di  rilievo
 nazionale  -  Previsione  di  un  atto  di  indirizzo e coordinamento
 disciplinante diversi oggetti riservati alla competenza  regionale  -
 Mancata  previsione  di  una  adeguata  disciplina  volta  a  rendere
 graduale il passaggio al sistema di finanziamento previsto nel d.lgs.
 n. 502/1992 - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
 
 (D.Lgs.  30 dicembre 1992, n. 502, artt. 3, sesto e dodicesimo comma,
 4, terzo comma, 8, quarto comma, e 13, primo comma).
 
 (Cost., artt. 76, 77, 116, 117 e 118).
 
 Sanita' pubblica - Riordino della disciplina in materia  sanitaria  a
 norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n.  421 - Adozione, ad
 opera  del Governo, di un piano sanitario nazionale avente il compito
 di determinare livelli uniformi di assistenza sanitaria  -  Lamentata
 violazione del diritto alla salute ed alla assistenza sanitaria - In-
 influenza    di    tale    contrasto   sulla   sfera   di   autonomia
 costituzionalmente garantita alle regioni  -  Inammissibilita'  della
 questione.
 
 (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1).
 
 (Cost., artt. 32 e 38).
 
 Sanita'  pubblica  - Riordino della disciplina in materia sanitaria a
 norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre  1992,  n.    421  -  Regole
 organizzative  per la ristrutturazione delle UU.SS.LL. - Esistenza di
 disposizioni  di  estremo  dettaglio  -  Lamentata  violazione  delle
 competenze  regionali che per la Valle d'Aosta sono di tipo esclusivo
 - Esclusione, in  considerazione  della  derogabilita'  delle  citate
 norme di dettaglio - Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3).
 
 (Cost.,  artt. 76, 77, 116, 117 e 118; statuto speciale regione Valle
 d'Aosta, artt. 2, 3 e 4).
 
 Sanita' pubblica - Riordino della disciplina in materia  sanitaria  a
 norma  dell'art.  1  della legge 23 ottobre 1992, n.  421 - Lamentata
 inosservanza dei principi contenuti nella legge di delega  n.  421  -
 Esclusione - Non fondatezza della questione.
 
 (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502).
 
 (Cost., artt. 76 e 77).
 
 Sanita'  pubblica  - Riordino della disciplina in materia sanitaria a
 norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n.    421  -  Prevista
 subordinazione  degli  interventi  pubblici  in materia alle esigenze
 finanziarie di bilancio - Accentramento nella persona  del  direttore
 generale  dei  poteri  che  in  base  alla  legge  delega  andrebbero
 distribuiti fra i  diversi  organi  di  gestione  delle  UU.SS.LL.  -
 Previste   limitazioni   alla   partecipazione   delle   regioni   al
 procedimento di individuazione degli ospedali di rilievo nazionale  -
 Norme disciplinanti l'esercizio della libera professione intramuraria
 da  parte  dei  medici,  nonche'  l'individuazione  dei posti letto -
 Prevista collaborazione da parte delle Universita' alla  elaborazione
 dei  piani  sanitari regionali - Previsione di un unico organismo per
 tutto il territorio regionale con funzioni di presidio multizonale  -
 Facolta'   per   le   regioni   di   prevedere  forme  di  assistenza
 differenziate  -  Previsto  intervento sostitutivo del Ministro della
 sanita' nel caso di mancato accordo fra Stato e regioni -  Previsione
 di   un   decreto  ministeriale  di  indirizzo  e  coordinamento  non
 contemplato  dalla  legge  delega  -   Lamentata   violazione   delle
 competenze  regionali  in  materia - Esclusione - (D.Lgs. 30 dicembre
 1992, n. 502, artt. 1; 3, sesto comma; 4, primo e  decimo  comma;  6,
 primo,  terzo  e  quarto comma; 7, primo, e quarto comma; 8, quinto e
 sesto comma; 9; 10, terzo e quarto  comma;  e  14,  primo  e  secondo
 comma).
 
 (Cost.,  artt.  76, 77, 116, 117, 118 e 119; statuto speciale regione
 Valle d'Aosta, artt. 3 e 4).
 
 Sanita' pubblica - Riordino della disciplina in materia  sanitaria  a
 norma  dell'art.  1  della  legge 23 ottobre 1992, n.  421 - Prevista
 adozione di un piano sanitario  nazionale  vincolante  anche  per  le
 regioni  a  statuto  speciale,  e  comprendente  anche  gli indirizzi
 relativi alla formazione di base del personale - Previsione di  norme
 per   l'erogazione  delle  prestazioni  assistenziali  in  regime  di
 convenzione in contrasto con la legge delega - Previsto  utilizzo  di
 una  parte (1%) del Fondo sanitario nazionale per il finanziamento di
 iniziative centrali - Lamentata violazione delle competenze regionali
 - Esclusione - Manifesta infondatezza delle questioni.
 
 (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, artt. 1, terzo comma, lett.  e); 8;
 12, secondo comma, n. 2).
 
 (Cost., artt. 76, 77, 116, 117 e 118; statuto speciale regione  Valle
 d'Aosta, artt. 2, lett.  a); 3, lettere  h), i), e  l); e 4)
 
(GU n.32 del 4-8-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici:  prof.  Giuseppe  BORZELLINO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
 Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio  BALDASSARRE,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi   MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
 Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,
 prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale del decreto legislativo 30
 dicembre   1992,   n.  502  (Riordino  della  disciplina  in  materia
 sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n.  421),
 promossi  con  ricorsi  delle Regioni Valle d'Aosta, Campania, Emilia
 Romagna, Liguria, Lombardia, Toscana, Umbria e Veneto, notificati  il
 28  e  29 gennaio 1993, depositati in cancelleria il 4 e l'8 febbraio
 successivi ed iscritti ai nn. 7, 10, 11, 12, 13,  14,  15  e  16  del
 registro ricorsi 1993;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi gli avvocati Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta,
 Valerio Onida  per  le  Regioni  Campania,  Emilia  Romagna,  Umbria,
 Liguria,  Lombardia, Toscana e Veneto e l'Avvocato dello Stato Sergio
 Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con distinti ricorsi, regolarmente notificati  e  depositati,
 le   Regioni   Valle  d'Aosta,  Campania,  Emilia  Romagna,  Liguria,
 Lombardia, Toscana, Umbria e  Veneto  hanno  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  nei  confronti  di  varie  disposizioni
 contenute nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502  (Riordino
 della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a norma dell'art. 1 della
 legge 23 ottobre 1992, n. 421).
    In particolare, con il primo ricorso la Regione Valle  d'Aosta  ha
 impugnato  gli artt. 1, 3, 4, 7, 8, 9 e 10 (commi terzo e quarto) per
 violazione degli artt. 32, 38 (commi terzo e quarto), 76,  77  e  116
 della  Costituzione, nonche' per violazione degli artt. 2, lettera a)
 (ordinamento degli enti dipendenti dalla Regione)  e  3,  lettera  h)
 (previdenza  e  assicurazioni  sociali), i) (assistenza e beneficenza
 pubblica)  ed  l)  (igiene  e  sanita',  assistenza   ospedaliera   e
 profilattica),   nonche'   dell'art.   4  (esercizio  delle  funzioni
 amministrative  nelle  stesse  materie  nelle  quali  la  regione  ha
 potesta'  legislativa),  del proprio Statuto (legge costituzionale 26
 febbraio 1948, n. 4).
    Gli altri sette ricorsi, di contenuto sostanzialmente  identico  e
 proposti   da  regioni  a  statuto  ordinario,  hanno  contestato  la
 legittimita' costituzionale degli artt. 1,  3,  4,  6  (commi  primo,
 terzo e quarto), 7, 8, 9, 10 (comma terzo), 12, 13, 14 (commi primo e
 secondo)  in riferimento agli artt. 117, 118, 119, nonche' agli artt.
 3, 32 e 76 della Costituzione.
    2. - L'art. 1 e' impugnato dalla Regione Valle d'Aosta sotto  vari
 profili,  dedotti  nel ricorso e sviluppati nella successiva memoria.
 In  primo  luogo,  la  disposizione  impugnata   subordinerebbe   gli
 interventi  pubblici nella materia in esame alle esigenze finanziarie
 di bilancio, cosi' ledendo il diritto dei  cittadini  alla  sicurezza
 sociale, di cui la sanita' sarebbe una componente essenziale (art. 38
 della  Costituzione),  nonche'  lo  stesso diritto alla salute di cui
 all'art.  32  della  Costituzione. E tale previsione sarebbe altresi'
 illegittima per violazione degli artt. 76 e 77,  primo  comma,  della
 Costituzione  perche'  la legge di delega n. 421 del 1992 imponeva al
 legislatore  delegato  di  perseguire  l'obiettivo   non   solo   del
 contenimento   della   spesa   sanitaria,  ma  anche  della  migliore
 efficienza del servizio sanitario nazionale a garanzia del cittadino,
 con esplicito riferimento all'art. 32 della Costituzione.
    Ne',  sempre  secondo  la  ricorrente,  la  nuova   normativa   di
 contenimento  della spesa pubblica potrebbe giustificarsi, cosi' come
 in passato, per il suo carattere contingente. Il  suo  aggiungersi  a
 una  lunga  serie  di  precedenti provvedimenti legislativi, che gia'
 avevano compresso la  spesa  sanitaria,  renderebbe  la  disposizione
 impugnata  irragionevole,  in  quanto  subordinerebbe  la  spesa e la
 programmazione sanitaria esclusivamente a ragioni di bilancio.
    La Regione Valle d'Aosta lamenta, poi, che l'art. 1, quinto comma,
 non preveda per le regioni a statuto speciale procedure differenziate
 per l'approvazione del piano sanitario nazionale e, inoltre,  che  il
 quarto  comma  dello  stesso  articolo  demandi  al  piano  sanitario
 nazionale  gli  indirizzi  relativi  alla  formazione  di  base   del
 personale,  cosi' venendo ad incidere sulle competenze amministrative
 della regione in  una  materia  attribuita  alla  propria  competenza
 primaria.
    Con  riferimento  all'art.  3,  che  contiene  la  normativa sulla
 organizzazione  delle  unita'  sanitarie  locali,  la  Regione  Valle
 d'Aosta  lamenta  il  carattere di dettaglio di detta normativa. Come
 tale, detto articolo sarebbe invasivo sia della competenza  regionale
 primaria  in  materia  di  ordinamento  degli  enti  dipendenti dalle
 regioni, data la nuova configurazione della unita'  sanitaria  locale
 come  ente strumentale della regione (art. 3, primo comma), sia della
 competenza  concorrente  in  materia  di  assistenza  e   beneficenza
 pubblica,  igiene, sanita', assistenza ospedaliera e profilattica. Ed
 anche la configurazione della nuova normativa come riforma economico-
 sociale non potrebbe giustificare la normativa di dettaglio,  perche'
 soltanto le "norme fondamentali" delle riforme economico-sociali sono
 in grado di vincolare la potesta' legislativa regionale.
    La Regione Valle d'Aosta rileva, infine, la violazione del proprio
 Statuto,  che  non  consentirebbe  poteri  sostitutivi, nonche' della
 legge di delega (art. 1, lettera u) che consente  poteri  sostitutivi
 solo  da parte del Consiglio dei ministri e previa diffida, mentre il
 sesto e tredicesimo comma dell'articolo  in  esame  prevedono  poteri
 sostitutivi  del  Ministro  della  sanita'  esercitabili senza previa
 diffida.
    L'art. 4  del  decreto  legislativo  impugnato  prevede,  per  gli
 ospedali   di  rilievo  nazionale  e  di  alta  specializzazione,  la
 costituzione  in  azienda  ospedaliera,   organizzata   come   unita'
 sanitaria  locale:  conseguentemente le censure rivolte al precedente
 art. 3 si estendono all'articolo in esame. L'art. 4  viene  impugnato
 anche  perche'  il  potere  decisorio in merito all'istituzione delle
 aziende ospedaliere sarebbe riservato all'autorita' centrale. In  tal
 modo,   secondo   la  ricorrente,  si  vincolerebbe  illegittimamente
 l'attivita' amministrativa regionale e si violerebbe,  altresi',  sia
 la  legge  di  delega  (la  quale  non consentirebbe di esautorare le
 regioni ed impone di far salve le competenze e le attribuzioni  delle
 autonomie  speciali),  sia  la regola statutaria del parallelismo tra
 funzioni legislative e amministrative (a seguito della previsione, in
 materia  di competenza regionale, di un potere statale di istituzione
 di aziende ospedaliere). La previsione di un mero potere  propositivo
 delle regioni circa la istituzione delle aziende ospedaliere sarebbe,
 altresi',  contraddittoria  con  la previsione di un rilevante carico
 regionale per gli oneri derivanti  dai  costi  delle  stesse  aziende
 (variabile dal 30 all'80 per cento).
    L'art.  7  del  decreto  impugnato  prevede un unico organismo per
 tutto il territorio regionale con funzioni di presidio multizonale di
 prevenzione, disciplinandone  nel  dettaglio  la  organizzazione.  La
 ricorrente  ritiene  che  tale articolo violi sia la legge di delega,
 poiche' questa non  prevederebbe  l'unicita'  dell'organismo  per  la
 gestione  dei  presidi  multizonali  di  prevenzione,  sia  la  sfera
 statutaria delle competenze amministrative regionali.
    L'art. 8 del decreto impugnato disciplina i rapporti con i  medici
 di  medicina  generale,  i  pediatri  di  libera scelta e le farmacie
 pubbliche  e  private,   nonche'   l'erogazione   delle   prestazioni
 specialistiche.    Tale    disciplina    sarebbe   costituzionalmente
 illegittima, sia perche' l'erogazione delle prestazioni assistenziali
 e' materia non prevista dalla legge di delega, sia,  ancora,  perche'
 sarebbe violata la esclusivita' delle competenze amministrative nelle
 materie attribuite alla competenza legislativa della Regione stessa.
    Con  riferimento  all'art.  9  del decreto impugnato, che da' alla
 regione la possibilita' di prevedere, con una decorrenza rinviata  al
 1  gennaio  1995,  forme  differenziate  di assistenza (concorso alla
 spesa e rinuncia delle prestazioni in forma  diretta  e  ordinaria  a
 favore  di mutue volontarie), la Regione Valle d'Aosta ritiene che le
 limitazioni  enunciate  nell'articolo  impugnato  non  trovino  alcun
 supporto nella legge di delega.
    L'art.  10  del  decreto  n.  502 del 1992, nello stabilire in via
 ordinaria il metodo della verifica e revisione della  qualita'  delle
 prestazioni,  allo  scopo  di  garantire la qualita' dell'assistenza,
 prevede (terzo comma) l'adozione di un  decreto  del  Ministro  della
 sanita'  con il quale saranno stabiliti i contenuti e le modalita' di
 utilizzazione degli  indicatori  di  efficienza  e  di  qualita'.  La
 regione  ricorrente censura tale previsione perche' introdurrebbe una
 anomala forma di controllo sull'attivita'  amministrativa  regionale,
 potendo,  tutt'al  piu',  spettare  al  Ministro il potere di dettare
 direttive. Anche nei confronti della disposizione in esame la Regione
 Valle d'Aosta ripete la censura di violazione della legge di  delega,
 perche'  questa  non prevede tale potere ministeriale, definito dalla
 stessa Regione come atto di indirizzo e coordinamento.
   Infine, con riferimento al quarto comma dell'articolo in esame,  la
 Regione  Valle d'Aosta censura la previsione di un potere sostitutivo
 attribuito al  Ministro  della  sanita'  anziche'  al  Consiglio  dei
 ministri,  come  richiesto  dall'art.  1,  lettera u), della legge di
 delega.
    3.  -  Le  sette  regioni  a  statuto  ordinario  sopra   indicate
 (Campania,  Emilia  Romagna,  Liguria,  Lombardia,  Toscana, Umbria e
 Veneto) hanno impugnato vari  articoli  e  svolto  argomentazioni  in
 parte coincidenti con quelle della Regione Valle d'Aosta.
    Prima di entrare nel merito delle singole questioni, le ricorrenti
 sostengono  la  illegittimita'  dell'intero decreto impugnato perche'
 emanato senza il previsto parere della Conferenza Stato-regioni (art.
 1, primo comma), che, infatti, si fa notare, non  e'  menzionato  nel
 preambolo del decreto medesimo.
    La  totale  delegificazione  della  disciplina  delle  prestazioni
 sanitarie garantite ai cittadini prevista dall'art. 1 del decreto  n.
 502  del  1992 sarebbe illegittima sotto molteplici profili. In primo
 luogo, perche' contrastante con il diritto costituzionale alla salute
 previsto dall'art. 32  della  Costituzione  e  con  il  principio  di
 legalita'   sostanziale:   violazione,  quest'ultima,  che  lederebbe
 l'autonomia  regionale  perche'   accompagnata   da   una   esclusiva
 responsabilita'  delle  singole  regioni per i disavanzi delle unita'
 sanitarie locali. In secondo luogo, perche'  in  contrasto  con  due,
 distinti,  criteri direttivi della legge di delega: quello del libero
 accesso alle cure e alla gratuita' del servizio nei limiti e  secondo
 i  criteri previsti dalla normativa vigente in materia (art. 1, primo
 comma), che escluderebbe la legittimita' di libere determinazioni del
 Governo, nonche' quello previsto dall'art. 1, lettera g), secondo  il
 quale  con  i  decreti  delegati,  e  quindi con atti legislativi, si
 debbono  definire  i  principi  relativi  ai  livelli  di  assistenza
 sanitari uniformi e obbligatori.
    Con   riferimento   all'art.   3   del   decreto   che  disciplina
 l'organizzazione delle unita' sanitarie locali, le Regioni ricorrenti
 lamentano che, mentre l'art. 1, primo comma, della  legge  di  delega
 prevede  che  il  provvedimento  delegato  si  limiti  a  "definire i
 principi organizzativi delle unita' sanitarie  locali"  (lettera  d),
 nonche'  "i  principi  relativi  ai  poteri  di gestione spettanti al
 direttore  generale"  (lettera  f),  facendo  salva   la   competenza
 regionale  in  materia  di "organizzazione dell'assistenza sanitaria"
 (lettera c), il decreto delegato  contiene,  invece,  una  disciplina
 estremamente dettagliata e minuziosa dell'organizzazione delle unita'
 sanitarie  locali,  nonostante queste siano definite enti strumentali
 della regione.
    Lo stesso art. 3 affida,  poi,  tutti  i  poteri  di  gestione  al
 direttore  generale,  mentre  la  legge  di delega presupporrebbe una
 pluralita' di organi di gestione e  una  distribuzione  dei  relativi
 poteri.  Inoltre,  la  disposizione  in esame detterebbe per ciascuno
 degli organi delle unita' sanitarie locali,  analiticamente  indicati
 nella  legge  di  delega,  una  minuziosa  disciplina  organizzativa,
 relativa alle modalita'  di  nomina,  ai  requisiti  richiesti,  alle
 eventuali  cause  di  incompatibilita'  e  di  ineleggibilita',  alle
 modalita' di sostituzione, alla  natura  dei  compiti  e  dei  poteri
 attribuiti,  nonche',  in  taluni casi, alle modalita' di svolgimento
 degli stessi. Pertanto, le ricorrenti lamentano che l'esorbitanza dai
 principi della delega comporti  lesione  delle  loro  competenze,  le
 quali  sarebbero  ridotte  soltanto  alla determinazione degli ambiti
 territoriali delle unita' sanitarie locali e  alla  fissazione  della
 disciplina  transitoria,  osservando che tale disciplina di dettaglio
 non puo' essere configurata come avente natura dispositiva e cedevole
 dinanzi a disposizioni regionali differenti. Solo una pronuncia della
 Corte   costituzionale   potrebbe   attribuire   tale   natura   alle
 disposizioni denunciate.
    Particolari  censure  sono rivolte al sesto comma dell'articolo 3,
 sia perche', invece di prevedere genericamente  la  competenza  della
 regione,  indica  l'organo  regionale  competente  (Presidente  della
 Giunta), sia perche' istituisce un potere  sostitutivo  del  Ministro
 della  sanita',  anziche'  del  Consiglio  dei Ministri, senza previa
 diffida, come e' invece richiesto dalla  legge  di  delega  (art.  1,
 lettera u).
    L'art.  4  del decreto impugnato disciplina le aziende e i presidi
 ospedalieri in attuazione dei criteri contenuti  nell'art.  1,  primo
 comma,  lettera  n),  della legge n. 421 del 1992. Il procedimento di
 individuazione  degli  ospedali  di  rilievo  nazionale  e  di   alta
 specializzazione, che si conclude con una deliberazione del Consiglio
 dei ministri, conseguente a una proposta formulata dal Ministro della
 sanita' "sulla base" delle indicazioni pervenute dalle Regioni, viene
 ritenuto invasivo delle competenze regionali perche' alle indicazioni
 delle  regioni  si  attribuisce carattere di semplice indicazione non
 vincolante.  Cio'   consentirebbe   al   Governo   di   ignorare   la
 programmazione  regionale  nella  concessione dello status di azienda
 ospedaliera, tanto piu' che lo stesso art. 4, primo comma,  consente,
 fuori  da ogni previsione della delega, che, dopo la prima attuazione
 del decreto, si possono trasformare in aziende "ulteriori"  ospedali.
 Secondo   le  regioni,  quest'ultima  disposizione,  in  particolare,
 aprirebbe la strada a un indiscriminato scorporo  degli  ospedali  di
 ogni  dimensione  dalla struttura gestionale complessiva del servizio
 sanitario.
    L'illegittimita' delle  disposizioni  contenute  nell'art.  4  del
 decreto  legislativo  n.  502  del  1992  per  violazione dei criteri
 enunciati dall'art. 1, primo comma, lettera n),  della  legge  delega
 viene dedotta dalle Regioni ricorrenti sotto ulteriori profili.
    La  delega,  facendo  riferimento ai policlinici universitari, non
 prevederebbe la possibilita' di costituire in aziende ospedaliere,  a
 richiesta  dell'universita',  i  presidi  ospedalieri  che operano in
 strutture di pertinenza dell'universita' ovvero quei presidi  in  cui
 insiste  la  prevalenza  del  percorso formativo del triennio clinico
 della facolta' di medicina e chirurgia, cosi' come disposto,  invece,
 dall'art.  4,  terzo  comma,  del  decreto  delegato.  Inoltre,  sono
 ritenute lesive dell'autonomia regionale la  previsione  secondo  cui
 nelle  aziende  ospedaliere  di  questo tipo il direttore generale e'
 nominato d'intesa con l'universita' (art. 4, sesto comma), nonche' la
 precisa indicazione dell'organo (la  Giunta  regionale)  preposto  al
 commissariamento dell'azienda ospedaliera.
    Per  gli  ospedali  costituiti  in  aziende  ospedaliere  l'art. 4
 richiama gran parte della disciplina organizzativa  prevista  per  le
 unita'   sanitarie   locali.   Vengono,  pertanto,  estese  a  queste
 disposizioni  le   censure   delle   ricorrenti   circa   il   tenore
 eccessivamente  minuzioso  di  quella  disciplina. In particolare, si
 denunciano le disposizioni relative agli  spazi  per  la  professione
 intramuraria  e  alle  camere a pagamento, che prevederebbero vincoli
 rigidi e quantitativamente determinati.
    Con riferimento all'art. 6, le  ricorrenti  lamentano  che  mentre
 l'art.  1,  primo  comma,  lettera o), della legge delega si limita a
 stabilire che l'apporto all'attivita' assistenziale della facolta' di
 medicina deve essere regolato "secondo le modalita'  stabilite  dalla
 programmazione  regionale", la disposizione in esame, al primo comma,
 prevede molto piu' incisivamente che "le universita'  contribuiscono,
 per  quanto  di  competenza,  alla  elaborazione  dei  piani sanitari
 regionali", configurando,  ad  avviso  delle  regioni,  un  improprio
 intervento   concorrente   delle   universita'  nella  programmazione
 dell'assistenza sanitaria.  Inoltre,  il  terzo  comma  dello  stesso
 articolo,   pur   prevedendo   che   la   formazione   del  personale
 infermieristico  "avviene   in   sede   ospedaliera",   dispone   che
 l'ordinamento didattico dei relativi corsi di formazione sia definito
 con  decreti  interministeriali,  ai sensi dell'art. 9 della legge n.
 341 del 1990 (Riforma degli ordinamenti didattici universitari) e che
 il rilascio dei relativi diplomi sia a firma del  responsabile  della
 scuola  e  del  rettore  dell'universita'  competente.  Le regioni si
 dolgono di essere state spogliate, ad opera di  queste  disposizioni,
 delle  competenze  proprie  relative  alla  materia  della formazione
 professionale  e  denunciano  la  violazione  della  delega  che   si
 limiterebbe   a  richiedere  la  regolamentazione  del  rapporto  tra
 servizio sanitario nazionale  e  universita'  per  la  formazione  in
 ambito  ospedaliero del personale sanitario e per la specializzazione
 post-laurea (art. 1, primo comma, lettera o).
    Infine, le ricorrenti denunziano la previsione di un altro  potere
 sostitutivo   attribuito   al  Ministro  della  sanita'  anziche'  al
 Consiglio dei ministri (quarto  comma)  e  ritengono  illegittimo  il
 potere  dei  Ministri  della  sanita'  e  dell'universita' di fornire
 congiuntamente "gli indirizzi  per  la  corretta  applicazione  degli
 accordi" che regolano i rapporti tra regioni e universita', in quanto
 configurerebbe  una  sorta  di  potesta'  di  indirizzo priva di base
 legale.
    Riguardo all'art. 7, le ricorrenti lamentano la  violazione  della
 legge  di  delega,  poiche'  quest'ultima  non  avrebbe  previsto  la
 istituzione  di  un  nuovo  organismo  unico  a  livello   regionale,
 organizzato  come una unita' sanitaria locale, ma si sarebbe limitata
 a prevedere la riorganizzazione, su base dipartimentale, dei  presidi
 multizonali  di  prevenzione (art. 1, lettera s). Illegittima sarebbe
 anche l'attivita' di indirizzo e coordinamento, affidata ai  Ministri
 della  sanita' e dell'ambiente dal quarto comma della disposizione in
 esame, in quanto priva di ogni base nella legge di delega e di  alcun
 criterio per il suo esercizio.
    Dell'art.  8  le  ricorrenti  impugnano  i  commi quarto, quinto e
 sesto: il quarto comma,  perche'  prevede  un  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento   senza   alcuna   indicazione  di  criteri,  anche  se
 adottabile d'intesa con la Conferenza Stato-regioni; i commi quinto e
 sesto (che regolano  le  prestazioni  specialistiche,  erogate  anche
 tramite  professionisti  mediante  corrispettivi,  predeterminati nei
 criteri generali con decreto ministeriale) perche' prevedono  che  il
 Ministro,   nell'emanazione   del   decreto   sopra  indicato,  possa
 provvedere direttamente, in caso di mancata intesa con la  Conferenza
 Stato-regioni,  con un intervento sostitutivo contrastante con quanto
 disposto dall'art. 1, primo comma, lettera u), della legge di delega.
    L'art. 9 e' impugnato dalle ricorrenti, le quali  sostengono  che,
 pur  se  tale articolo riconosce formalmente alle regioni la facolta'
 di prevedere forme differenziate di assistenza, in  sostanza  rimette
 nelle  mani  del  Ministro  della  sanita'  la  determinazione  della
 struttura essenziale del servizio sanitario  in  quanto  allo  stesso
 sono  affidate  la definizione delle quote di risorse destinabili per
 la gestione di tali forme di assistenza e la fissazione dei requisiti
 soggettivi e dei criteri per  il  trasferimento  delle  quote  stesse
 (art. 9, comma secondo).
    In  relazione  all'art.  10  le  regioni ricorrenti definiscono il
 decreto  ministeriale  ivi  previsto  come  atto   di   indirizzo   e
 coordinamento  e,  pertanto,  ne  assumono l'illegittimita' in quanto
 risulterebbe privo di una sufficiente base legislativa. Tale  censura
 e'  poi  estesa  dalle  ricorrenti  al  decreto ministeriale previsto
 dall'art. 14, primo comma, del decreto impugnato per  la  definizione
 di  un  sistema  di  indicatori  di  qualita'  dei  servizi  e  delle
 prestazioni sanitarie concernente i diritti dei cittadini. Lo  stesso
 articolo  sarebbe,  poi,  illegittimo  poiche' il suddetto potere non
 risulterebbe previsto nella legge di delega.
    Le regioni impugnano, inoltre, gli articoli 12 e  13  del  decreto
 legislativo  n.  502 del 1992, i quali attengono, rispettivamente, al
 fondo sanitario nazionale e all'autofinanziamento regionale.  Poiche'
 le  disposizioni  impugnate  affidano al CIPE, e cioe' al Governo, la
 determinazione delle risorse finanziarie da ripartire fra le regioni,
 addossando invece alle regioni il ripiano degli  eventuali  disavanzi
 di   gestione   delle   unita'   sanitarie  locali  e  delle  aziende
 ospedaliere, con totale esonero di  interventi  finanziari  da  parte
 dello  Stato, ne conseguirebbe una lesione dell'autonomia finanziaria
 delle regioni: la effettiva possibilita', da parte di queste  ultime,
 di  fronteggiare  gli  oneri  relativi alla spesa sanitaria, infatti,
 verrebbe messa completamente alla merce' delle decisioni del Governo,
 considerato che  le  disposizioni  impugnate  non  garantirebbero  la
 effettiva corrispondenza fra finanziamenti e costi.
    Ne',   continuano   le   ricorrenti,   la  totale  responsabilita'
 finanziaria delle regioni si accompagna con nuovi poteri regionali di
 disciplina e di governo del  settore  sanitario,  giacche'  lo  Stato
 continuerebbe  a  determinarne  gli  aspetti  piu' rilevanti sotto il
 profilo finanziario, quali la disciplina del personale dipendente,  i
 rapporti  con i professionisti non dipendenti e la determinazione dei
 livelli   di   assistenza.   Da   qui   discende   la   censura    di
 incostituzionalita'  delle  disposizioni impugnate nella parte in cui
 non  distinguono  fra  disavanzi  derivanti  da   fatti   interamente
 governati   dagli  organi  centrali  o  con  strumenti  di  carattere
 nazionale  e  disavanzi  imputabili  alle  regioni.  Infatti,   fanno
 rilevare  ancora  le  ricorrenti,  il  nuovo sistema di finanziamento
 della spesa sanitaria si fonda sulla quota capitaria (art. 12,  terzo
 comma),  la  quale  viene  determinata  sulla  base  di un sistema di
 coefficienti  parametrici,  in  relazione  ai  livelli  uniformi   di
 prestazioni  sanitarie in tutto il territorio nazionale, determinati,
 come si e' gia' accennato, dal CIPE su proposta  del  Ministro  della
 sanita'  e  sentita  la  Conferenza Stato-regioni. Ne consegue che le
 disposizioni impugnate non garantirebbero che vi sia  una  necessaria
 corrispondenza  fra  le  prestazioni da erogare e le quote capitarie.
 Inoltre, aggiungono le ricorrenti, occorre considerare che  le  quote
 capitarie  sono  "teoriche",  nel senso che sono calcolate su modelli
 organizzativi non necessariamente corrispondenti a  quelli  realmente
 esistenti, i quali normalmente comportano maggiori spese, non essendo
 possibile   un   adeguamento  immediato  ai  (meno  onerosi)  modelli
 capitari. Di qui consegue che il  disavanzo  delle  unita'  sanitarie
 locali  sarebbe, nel tempo breve, un'ipotesi molto probabile, di modo
 che  quello  che  gravera'  sui  bilanci  regionali   sara'   l'onere
 inevitabile - almeno per molto tempo - derivante dalla differenza fra
 la  spesa  effettivamente  necessaria  per  garantire  i  livelli  di
 assistenza   imposti   dallo  Stato  e  l'entita'  del  finanziamento
 assicurato alla regione dallo Stato medesimo.
    Sempre  nell'ambito  del  sistema  di  finanziamento,  le  regioni
 rivolgono,  infine, una censura specifica alla disposizione contenuta
 nell'art. 12, secondo comma, dove si prevede che la quota dell'1% del
 fondo sanitario nazionale possa essere utilizzata anche per attivita'
 di sperimentazione. Ad  avviso  delle  regioni,  questa  disposizione
 prefigurerebbe  una forma di gestione diretta da parte dello Stato di
 funzioni del servizio nazionale, in contrasto con le previsioni della
 legge di delega (art. 1, primo comma, lettere c) e t).
    4. - La Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  costituitasi  in
 tutti  i  giudizi,  nel  chiedere il rigetto dei ricorsi medesimi, ha
 esposto negli atti d'intervento argomenti simili o identici a  quelli
 svolti in due memorie depositate in prossimita' dell'udienza.
    Prima  di  affrontare  le singole questioni, l'Avvocatura generale
 dello Stato richiama l'attenzione sul fatto che il decreto  impugnato
 e'  un  passaggio  fondamentale  della difficile, e per certi aspetti
 dolorosa, manovra economica, resa ancor piu' necessaria dagli accordi
 di Maastricht. Inoltre, la stessa osserva che il decreto medesimo  si
 e'   mosso   seguendo  le  indicazioni  emerse  nel  lungo  dibattito
 parlamentare iniziato nel 1987 (e non  concluso  per  la  fine  della
 legislatura  quando  ne  era  ormai  prossima  l'emanazione) e che il
 decreto impugnato si  ripromette  di  dare  finalmente  efficacia  ed
 efficienza al servizio sanitario nazionale.
    Sull'eccezione   preliminare  relativa  al  mancato  parere  della
 Conferenza  Stato-regioni,   l'Avvocatura   dello   Stato   nega   la
 circostanza  in  fatto,  richiamandosi all'estratto del verbale della
 seduta della Conferenza del 17 dicembre 1992, da cui risulta  che  in
 quella   sede  e'  stato  illustrato  un  documento  approvato  dalla
 Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province  autonome  e
 ne  e'  stata  consegnata  copia al Ministro della sanita', che si e'
 impegnato a proporre emendamenti, poi  effettivamente  presentati  in
 sede di Consiglio dei ministri.
    Riguardo   all'art.   1  l'Avvocatura  dello  Stato  nega  che  la
 disposizione impugnata a'ncori i livelli di assistenza sanitaria alle
 sole esigenze finanziarie, sia perche' detta disposizione,  al  primo
 comma, fa esplicito riferimento agli obiettivi di tutela della salute
 individuati  a  livello  internazionale,  sia  perche'  i  livelli di
 assistenza devono, comunque, salvaguardare il  "minimo"  imposto  dal
 rispetto dell'art. 32 della Costituzione.
    Circa  la presunta violazione della riserva di legge, l'Avvocatura
 dello Stato, premesso che l'art. 32 della  Costituzione  non  prevede
 tale  riserva, fa presente che il decreto delegato non avrebbe potuto
 fissare direttamente  i  livelli  di  assistenza  sanitaria,  poiche'
 questi,  ferma la misura minima di prestazioni da assicurare a tutela
 del  diritto  fondamentale  alla  salute,  devono  poter  variare  in
 relazione alle mutevoli disponibilita' finanziarie.
    Con   riguardo  alle  censure  mosse  all'art.  3  in  materia  di
 organizzazione delle  unita'  sanitarie  locali,  l'Avvocatura  dello
 Stato  replica  alle  stesse sostenendo che le norme denunziate hanno
 natura di principi, come richiesto dalla legge di delega,  e  che  il
 ravvisato  grado  di dettaglio della disciplina troverebbe fondamento
 nell'esigenza di salvaguardare le esigenze di uniformita' sull'intero
 territorio nazionale. Nella memoria  relativa  al  giudizio  promosso
 dalla  Regione  Valle  d'Aosta,  l'Avvocatura  dello  Stato sostiene,
 invece, che la normativa dettata per la  nuova  organizzazione  delle
 unita'  sanitarie  locali  e'  riconducibile  alle norme fondamentali
 delle riforme economico-sociali, poiche' e' necessario che le  unita'
 sanitarie   locali,   le   quali  sono  le  principali  articolazioni
 territoriali del servizio sanitario, siano  organizzate  con  criteri
 uniformi. La disposizione impugnata, comunque, non sarebbe lesiva dei
 poteri  regionali,  considerato  che  l'art. 3, quinto comma, riserva
 alle Regioni  la  definizione  delle  modalita'  organizzative  e  di
 funzionamento delle unita' sanitarie locali.
    In relazione all'eccezione di eccesso di delega riguardo ai poteri
 di  gestione  delle  unita' sanitarie locali, che il decreto delegato
 accentra in capo al  direttore  generale,  l'Avvocatura  dello  Stato
 osserva che il principio della pluralita' degli organi di gestione e'
 stato  eliminato  in sede di approvazione parlamentare, essendo stato
 contrastato duramente nel corso dei lavori preparatori.
    Quanto al potere ministeriale di sostituirsi al direttore generale
 della unita' sanitaria locale nella ricostituzione del  collegio  dei
 revisori,  l'Avvocatura dello Stato nega che tale potere possa essere
 considerato un potere sostitutivo, giacche' e' previsto che la nomina
 ministeriale  venga  meno  all'atto   dell'insediamento   dell'organo
 nominato dal direttore generale.
    Con  riferimento  alla  disciplina  delle  aziende  e  dei presidi
 ospedalieri  prevista  dall'art.  4,  l'Avvocatura  dello  Stato   fa
 presente  che  la  procedura  contestata  dalle  regioni si riferisce
 esclusivamente ai casi in cui sussiste un "rilievo  nazionale"  della
 struttura    ospedaliera   (rilievo   che   giustifica   l'intervento
 governativo), tanto che tale procedimento non e' prescritto  per  gli
 ospedali  centro  di  riferimento della rete dei servizi di emergenza
 per i quali e'  sufficiente  la  determinazione  regionale  (art.  4,
 quarto comma).
    Nella  memoria  relativa  al giudizio promosso dalla Regione Valle
 d'Aosta,  la   stessa   Avvocatura   da'   un'interpretazione   della
 disposizione  impugnata  che  escluderebbe le censure sollevate dalle
 regioni in ordine all'ipotesi che il  Ministero  possa  autonomamente
 "aziendalizzare"  gli  ospedali  sulla  base  di semplici indicazioni
 delle regioni. Secondo l'Avvocatura, infatti, il potere  ministeriale
 sarebbe  condizionato  dalla  previa indicazione regionale e, solo in
 caso  di  inerzia  delle  regioni  stesse,  il   Ministero   potrebbe
 prescindere dalle indicazioni delle regioni.
    Per  quanto riguarda, poi, il riconoscimento del rilievo nazionale
 e dell'alta specializzazione ai fini delle  costituzione  in  azienda
 dei  presidi  ospedalieri  in  cui insiste la prevalenza del percorso
 formativo  del  triennio  clinico  della  facolta'  di   medicina   e
 chirurgia,  l'Avvocatura  dello  Stato  sottolinea  la  necessita' di
 assicurare  alla  funzione   formativa   degli   specializzandi   una
 collocazione   omogenea   a   quella   prevista   per  i  policlinici
 universitari, i quali sono autonomi rispetto  alle  unita'  sanitarie
 locali.
    In  relazione  alla  disciplina  analitica  dettata  per la libera
 professione  intramuraria,  l'Avvocatura  dello  Stato  sostiene   la
 opportunita' di una disciplina particolareggiata a fini di tutela del
 personale  medico,  personale  che,  dopo  l'entrata  in vigore delle
 disposizioni in materia di incompatibilita' nel settore medico  (art.
 4,  settimo comma, della legge n. 412 del 1991), e' soggetto a limiti
 rigorosi  nell'esercizio  della  libera  professione.   Agli   stessi
 obiettivi  sarebbe  ispirata la previsione della soglia minima del 6%
 di posti letto per la istituzione di camere a  pagamento,  mentre  la
 previsione  del tetto massimo del 12% sarebbe finalizzata a garantire
 la gratuita' del servizio ai cittadini.
    Con riferimento ai rapporti tra servizio  sanitario  nazionale  ed
 universita' disciplinati dall'art. 6, l'Avvocatura dello Stato oppone
 alle  censure  delle  regioni  la piena legittimita' dell'articolo in
 esame,  negando,  in   primo   luogo,   che   la   previsione   della
 partecipazione   delle   universita'  alla  programmazione  sanitaria
 significhi affermazione di una potesta' concorrente di queste ultime.
 Tale disposizione, infatti, rappresenterebbe solo l'espressione di un
 momento partecipativo nel  procedimento  di  programmazione.  Quanto,
 poi,  alla  formazione  del  personale  infermieristico, l'Avvocatura
 osserva che, a seguito della legge n. 341 del 1990, questa  e'  stata
 inserita  nell'ordinamento universitario, con conseguente sottrazione
 al campo della formazione professionale, anche in conformita' con  le
 direttive   della  Organizzazione  Mondiale  della  Sanita'  e  delle
 Comunita' europee adottate in materia.
    Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, la previsione di  un  unico
 organismo   regionale   di   gestione   dei  presidi  multizonali  di
 prevenzione, contenuta nell'art. 7, troverebbe giustificazione  nella
 funzione  di coordinamento tecnico dei servizi delle unita' sanitarie
 locali e in quella di consulenza e di supporto a comuni,  province  e
 altre  amministrazioni  pubbliche,  di  cui  all'art. 1, primo comma,
 lettera s) della legge n. 421 del 1992.  Inoltre,  l'esigenza  di  un
 organismo di gestione che realizzi lo scorporo dalle unita' sanitarie
 locali  dei presidi multizonali di prevenzione sarebbe stata da tempo
 avvertita, essendo gia' contenuta nell'art. 14 del disegno  di  legge
 camera n. 1492 del 1987.
   L'Avvocatura  dello  Stato da' una lettura riduttiva dell'art. 8 in
 tema di disciplina delle  prestazioni  assistenziali,  in  base  alla
 quale  la  disposizione in esame si limiterebbe a definire il modello
 dei  rapporti  tra   servizio   sanitario   nazionale   e   strutture
 convenzionate  senza  alcuna  compressione dei poteri regionali e nel
 rispetto della legge di delega (la quale,  alla  lettera  e,  prevede
 espressamente la revisione e il superamento dell'attuale regime delle
 convenzioni).   Quanto   alla  determinazione  dei  requisiti  minimi
 contenuta nel quarto comma, l'atto di indirizzo  e  coordinamento  si
 spiegherebbe   con   l'esigenza   di  uniformita'  delle  prestazioni
 sanitarie.
    Con riferimento all'art. 9  (forme  differenziate  di  assistenza)
 l'Avvocatura  dello  Stato nega che la disposizione in esame violi la
 legge  di  delega,  perche',  a  suo  avviso,  avrebbe  dato   fedele
 attuazione al contenuto precettivo delle lettere l) e m).
    Le  norme  relative agli indicatori di efficienza e di qualita' di
 cui agli artt. 10 e 14,  presuppongono,  secondo  l'Avvocatura  dello
 Stato,  l'autonomia organizzativa e funzionale delle unita' sanitarie
 locali e rappresenterebbero l'unico strumento attraverso il quale  lo
 Stato  puo'  verificare il conseguimento degli obiettivi definiti dal
 piano sanitario nazionale. Inoltre, sempre ad avviso dell'Avvocatura,
 la previsione di un sistema nazionale di indicatori non precluderebbe
 la individuazione di ulteriori indicatori  funzionali  alle  esigenze
 locali.
    Il sistema di finanziamento del servizio sanitario disegnato dagli
 artt.   12   e   13   del  decreto  si  giustificherebbe,  ad  avviso
 dell'Avvocatura dello Stato, con il ruolo  di  centralita'  assegnato
 alla regione dal sistema delineato dal decreto legislativo n. 502 del
 1992, giacche' sulla base dell'art. 5 dello stesso decreto le regioni
 disporrebbero  della  gestione  economico-finanziaria  e patrimoniale
 delle unita' sanitarie locali. In altri termini,  l'Avvocatura  dello
 Stato  nega  che  i livelli uniformi di prestazioni sanitarie vengano
 definiti in maniera discrezionale dal Governo e senza idonee garanzie
 di  copertura   dei   loro   costi.   Pertanto,   qualsiasi   lesione
 dell'autonomia  finanziaria  delle  ricorrenti  sarebbe  esclusa  dal
 rilievo che  i  disavanzi  che  l'art.  13  impone  alle  regioni  di
 ripianare  deriverebbero da libere scelte regionali nelle prestazioni
 rese o sarebbero conseguenti a un'organizzazione dei servizi  diversa
 da  quella  assicurata  a  livello nazionale o avrebbero carattere di
 anormalita', in quanto riferibili a disfunzioni di  carattere  locale
 interamente   riconducibili  ai  poteri  delle  regioni  (e  province
 autonome) in termini di regolazione, di vigilanza e di controllo.  Ad
 ogni  modo,  le  disposizioni  impugnate  conferirebbero alle regioni
 efficaci  strumenti  per   il   reperimento   delle   nuove   risorse
 eventualmente   necessarie   al  ripiano  dei  deficit  delle  unita'
 sanitarie locali e delle aziende ospedaliere.
    Infine, con riferimento all'art. 12, secondo comma (1%  del  fondo
 sanitario  al  Ministero),  l'Avvocatura  dello  Stato osserva che le
 attivita' sostenute da  tali  finanziamenti  riguardano  soltanto  la
 ricerca  e  la  sperimentazione,  con  conseguente esclusione di ogni
 attivita' di natura assistenziale.
    1. - Le Regioni Valle d'Aosta, Campania, Emilia-Romagna,  Liguria,
 Lombardia,  Toscana,  Umbria  e  Veneto  con  distinti  ricorsi hanno
 sollevato   numerose   questioni   di   legittimita'   costituzionale
 concernenti il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino
 della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a norma dell'art. 1 della
 legge 23 ottobre 1992, n. 421). Poiche' tali questioni riguardano  lo
 stesso  atto  legislativo e sono fra loro oggettivamente connesse, e'
 opportuno riunire i  relativi  giudizi  per  deciderli  con  un'unica
 sentenza.
    2.  -  Non  fondata  e'  la  questione,  sollevata dalle Regioni a
 statuto ordinario ricorrenti,  diretta  a  colpire  l'intero  decreto
 legislativo,  sul  presupposto  che, per la sua approvazione, non sia
 stata seguita la procedura prevista dalla legge  delega  n.  421  del
 1992   e,   piu'  precisamente,  non  sia  stato  sentito  il  parere
 obbligatorio della Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato,
 le regioni e le province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  come
 risulterebbe  anche dalla mancata menzione dello stesso nel preambolo
 del decreto legislativo.
    La dedotta violazione degli artt. 76  e  77,  primo  comma,  della
 Costituzione  non e' avvenuta in fatto, come puo' agevolmente dedursi
 dall'estratto verbale della seduta della Conferenza Stato-regioni del
 17 dicembre 1992, depositato in giudizio dall'Avvocatura dello  Stato
 e  non contestato dalle ricorrenti. Infatti, durante quella seduta e'
 stato illustrato un documento sulla proposta governativa  di  decreto
 legislativo,  redatto  dai  presidenti delle regioni e delle province
 autonome riuniti in conferenza, del quale il Consiglio  dei  ministri
 ha  tenuto  conto  in  sede  di approvazione del decreto legislativo,
 tanto  che  ha  apportato  modifiche  suggerite  dalle  regioni  alla
 proposta inviata a queste ultime per il parere.
    3.   -   Fondate   sono,  invece,  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale sollevate da tutte  le  regioni  a  statuto  ordinario
 ricorrenti  nei  confronti degli artt. 3, sesto comma (prima e decima
 proposizione), e 4, ottavo comma (terza proposizione), nella parte in
 cui, determinando l'attribuzione di specifiche funzioni alle regioni,
 individuano l'organo interno all'amministrazione regionale competente
 a esercitare  quelle  funzioni:  segnatamente,  il  Presidente  della
 Giunta,  su  conforme delibera della Giunta medesima, nel primo caso;
 la Giunta regionale, nel secondo caso.
    E', infatti, giurisprudenza  costante  di  questa  Corte  (v.,  ad
 esempio,  sentt.  nn.  355  e  353  del  1992  e 407 del 1989) che la
 ripartizione delle funzioni regionali fra i vari organi interni della
 regione stessa rientra, salvo ovviamente il  rispetto  dell'art.  121
 della  Costituzione,  nella  materia  "organizzazione  interna  della
 regione",  che  la  Costituzione  riserva  allo  Statuto   regionale.
 Pertanto,     le     disposizioni    impugnate    vanno    dichiarate
 costituzionalmente illegittime nella parte in cui dispongono  che  le
 competenze  ivi  determinate  sono  esercitate,  rispettivamente, dal
 Presidente della Giunta regionale, su conforme delibera della  Giunta
 medesima, e dalla Giunta regionale, anziche' dalla Regione.
    4.  -  Del  pari  fondate  sono  le questioni di costituzionalita'
 sollevate da tutte le ricorrenti nei confronti dell'art. 3,  sesto  e
 tredicesimo  comma,  nella  parte  in  cui  sono  previsti interventi
 sostitutivi attuati dal Ministro della sanita'.
    L'art. 3, sesto comma, del decreto legislativo  n.  502  del  1992
 prevede  che,  qualora  il  Presidente  della  Giunta  regionale,  su
 conforme delibera della Giunta, non abbia provveduto alla nomina  del
 direttore   generale   dell'unita'   sanitaria   locale  nel  termine
 perentorio di sessanta giorni, lo stesso potere e' esercitato in  via
 sostitutiva  dal  Ministro  della  sanita'  con  proprio  decreto. Al
 tredicesimo comma, lo  stesso  art.  3  stabilisce  che,  qualora  il
 direttore  generale  dell'unita'  sanitaria  locale  non proceda alla
 ricostituzione del collegio dei revisori dei conti, sciolto a seguito
 di decadenza, dimissioni o decesso  di  uno  o  piu'  componenti,  il
 Ministro  della sanita', su segnalazione del Commissario del Governo,
 provvede a costituirlo in via straordinaria. Ambedue le  disposizioni
 indicate si rivelano in evidente contrasto con l'art. 1, primo comma,
 lettera  u), della legge delega n. 421 del 1992, il quale prevede che
 soltanto  il  Consiglio  dei   ministri   possa   esercitare   poteri
 sostitutivi previa diffida ad adempiere, nel caso di inerzia da parte
 delle  regioni  nell'esercizio  di  competenze  ad esse spettanti. Le
 suddette disposizioni vanno, pertanto, dichiarate  costituzionalmente
 illegittime per violazione dell'art. 76 della Costituzione.
    5.  -  Inammissibile  e'  la  censura  prospettata dalle regioni a
 statuto ordinario ricorrenti nei confronti dell'art. 1 per i  profili
 relativi  alla  pretesa  violazione dell'art. 32 della Costituzione e
 del  principio   di   legalita'   sostanziale   per   effetto   della
 "delegificazione"  operata  dalla  disposizione  impugnata  la'  dove
 affida al piano sanitario nazionale, adottato dal Governo, il compito
 di  determinare,  fra  l'altro,  i  livelli  uniformi  di  assistenza
 sanitaria.
    Il   prospettato   contrasto   con  le  norme  costituzionali  che
 assicurano  a  ogni  cittadino  il  diritto  alla  salute  e   quello
 all'assistenza  non ha, infatti, alcuna influenza, neppure indiretta,
 sulla sfera di autonomia costituzionalmente garantita  alle  regioni,
 di  modo  che,  in  conformita'  a un costante orientamento di questa
 Corte  (v.,  per  tutte,  sent.  n.  407  del  1992),  va  dichiarata
 l'inammissibilita'  della relativa questione. Identica conclusione si
 impone, poi, riguardo  alla  asserita  violazione  del  principio  di
 legalita'  sostanziale  in  conseguenza della attribuzione al Governo
 del potere di determinare i livelli uniformi di assistenza  sanitaria
 in  rapporto  al volume delle risorse a disposizione. In tal caso, la
 presunta  lesione  dell'autonomia  regionale,  dovuta  all'ipotizzato
 vincolo  a  carico delle regioni di ripianare i disavanzi di bilancio
 delle unita' sanitarie locali, va semmai collegata  all'art.  13  del
 decreto  legislativo n. 502 del 1992, oggetto peraltro di un'autonoma
 questione, e non gia' all'art. 1 ora esaminato.
                        Considerato in diritto
    Per gli stessi motivi gia' espressi  in  relazione  al  primo  dei
 profili  considerati  in questo punto della motivazione va dichiarata
 l'inammissibilita' della  questione  sollevata  dalla  Regione  Valle
 d'Aosta nei confronti dell'art. 1, per violazione degli artt. 32 e 38
 della  Costituzione,  sulla  base di un'interpretazione dell'articolo
 impugnato, peraltro non condivisibile, che  fa  dipendere  totalmente
 gli   interventi   pubblici   in  materia  sanitaria  dalle  esigenze
 finanziarie di bilancio.
    6. - Manifestamente  infondata  e',  invece,  la  censura  che  la
 Regione  Valle  d'Aosta  ha  rivolto  all'art.  1, nella parte in cui
 prevede l'adozione di un piano sanitario nazionale  vincolante  anche
 per  le  regioni a statuto speciale. La ricorrente, infatti, non puo'
 lamentare  che  la  disposizione  in  esame  non  assicuri  procedure
 differenziate  di interventi nell'iter di formazione del suddetto pi-
 ano a favore delle regioni ad autonomia speciale,  poiche'  in  detta
 materia  non  v'e'  alcuna  norma  che  differenzi  l'autonomia delle
 regioni  a  statuto  speciale  da  quella  delle  regioni  a  statuto
 ordinario.
    7.  -  Manifestamente  infondata  e', pure, la questione sollevata
 dalla Regione Valle d'Aosta in riferimento  all'art.  4  del  proprio
 Statuto speciale, nei confronti dell'art. 1, terzo comma, lettera e),
 il  quale,  nel  ricomprendere  tra  i  contenuti del piano sanitario
 nazionale  "gli  indirizzi  relativi  alla  formazione  di  base  del
 personale",    interferirebbe    illegittimamente    con   competenze
 amministrative costituzionalmente assicurate alla ricorrente.  Nessun
 dubbio  puo' sussistere, infatti, sulla rispondenza alla ripartizione
 costituzionale delle competenze di una previsione che, nel delimitare
 le potesta' statali in materia sanitaria, ne  circoscrive  i  confini
 alla    predisposizione    degli    indirizzi,    nell'ambito   della
 programmazione nazionale degli interventi, al fine  di  orientare  la
 successiva attivita' regionale.
    8.  -  Non fondate sono le questioni che tutte le ricorrenti hanno
 sollevato nei confronti dell'art. 1 del decreto  legislativo  n.  502
 del  1992,  per  violazione  degli  artt. 76 e 77, primo comma, della
 Costituzione, in riferimento all'art. 1,  primo  comma,  lettera  g),
 della legge di delega n. 421 del 1992.
    Come  si  e' gia' accennato nel precedente punto n. 5, presupporre
 che  l'art.  1  del  decreto   legislativo   impugnato   imponga   il
 contenimento  della  spesa  pubblica  come  unico  obiettivo  per  la
 determinazione dei livelli  uniformi  di  assistenza  sanitaria  -  e
 percio'  si  metta in contrasto con la legge delega, la quale prevede
 una molteplicita' di obiettivi, pur con il  vincolo  della  "coerenza
 con  le  risorse  stabilite dalla legge finanziaria" - non risponde a
 una   corretta   interpretazione   della   disposizione    esaminata.
 Quest'ultima,  infatti,  anche  se mantiene la prescrizione contenuta
 nella  legge  delega  relativa  alla   coerenza   delle   prestazioni
 assicurate  con l'entita' del finanziamento stabilito per il servizio
 sanitario nazionale, impone  altresi'  di  rapportare  i  livelli  di
 assistenza  agli  obiettivi  di  tutela  della  salute  individuati a
 livello internazionale, oltreche' di prevedere livelli di  assistenza
 che siano comunque garantiti a tutti i cittadini.
    Ne'  si puo' condividere la prospettazione delle regioni a statuto
 ordinario ricorrenti, secondo  la  quale  la  totale  delegificazione
 della  materia,  realizzata  con  la previsione di un piano nazionale
 adottato dal Governo, si porrebbe in contrasto sia con  la  direttiva
 rappresentata  dal  libero  accesso  alle  cure e dalla gratuita' del
 servizio prestato nei limiti previsti dalle norme  vigenti,  sia  con
 quella  costituita  dal  vincolo  che  i principi relativi ai livelli
 uniformi di assistenza sanitaria devono essere direttamente stabiliti
 dal decreto legislativo medesimo. Premesso che, se  pure  nell'ambito
 invalicabile   dei   confini   dati  dalle  possibilita'  applicative
 desumibili  dalle  norme  di  delega,  il  legislatore  delegato   ha
 un'indiscutibile  liberta'  di interpretazione e di scelta fra le al-
 ternative ad esso offerte (v., ad esempio, sentt. nn. 141 del 1993  e
 4 del 1992), non si puo' certo affermare che le disposizioni delegate
 abbiano ecceduto dai confini fissati dalla legge di delega.  Sotto un
 profilo,  infatti,  poiche'  quest'ultima  richiede  che  il  decreto
 legislativo determini i "principi" in relazione ai quali stabilire  i
 livelli  di  assistenza  uniformi e obbligatori, e non gia' i livelli
 stessi, la fissazione dei principi ricordati nel capoverso precedente
 e l'indicazione del criterio relativo alla  considerazione  dei  dati
 epidemiologici  e  clinici costituiscono elementi sufficienti ai fini
 del rispetto della  legge  di  delega  e  della  delimitazione  della
 discrezionalita'   del   Governo   nella  predisposizione  del  piano
 sanitario nazionale. Sotto l'altro profilo, poi, tenendo conto che il
 vincolo al legislatore delegato di stabilire  direttamente  norme  in
 materia  obbedisce  alla  ratio  che  siano  predisposti  al  livello
 legislativo  adeguati  limiti  per  le  fonti   secondarie,   occorre
 sottolineare  che  il  riferimento  della  legge di delega alle norme
 vigenti in relazione al libero accesso alle cure e alla gratuita' dei
 servizi  contiene  gia'  un'indicazione  sufficiente  al  fine  della
 definizione della discrezionalita' governativa sugli oggetti indicati
 in  vista dell'adozione del ricordato piano nazionale. Tutto cio' in-
 duce a concludere che il silenzio del legislatore delegato sul  punto
 non  puo'  esser considerato come un'evasione dai vincoli imposti dal
 legislatore in sede di delega.
    9. - Nei termini appresso indicati non e' fondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  che tutte le ricorrenti hanno sollevato
 nei confronti dell'art. 3 del decreto legislativo n.  502  del  1992,
 adducendo che quest'ultimo, nel dettare le nuove regole organizzative
 per  la  ristrutturazione  delle unita' sanitarie locali, conterrebbe
 disposizioni  di  estremo  dettaglio,  in violazione dei limiti delle
 competenze regionali - che per la Valle d'Aosta sono  addirittura  di
 tipo  esclusivo  (art.  2,  lettera  a,  dello Statuto speciale) - in
 materia di ordinamento degli enti dipendenti (nel caso,  strumentali)
 delle regioni (artt. 116, 117 e 118 della Costituzione).
    Questa  Corte  ha  affermato  costantemente  che  le  disposizioni
 dirette a porre i principi concernenti l'organizzazione delle  unita'
 sanitarie  locali  vanno  considerate  come  norme fondamentali delle
 riforme economico-sociali (v., ad esempio, sentt. nn. 274 e  107  del
 1988). E, nell'ambito di questo orientamento ha precisato che neppure
 una  riforma  economico-sociale  puo'  integralmente  estromettere le
 regioni dalle materie di loro competenza (sent. n. 219  del  1984)  e
 che  le  eventuali  disposizioni  di  dettaglio  che  accompagnino le
 predette norme fondamentali sono tali da vincolare l'esercizio  delle
 competenze  regionali  soltanto ove siano legate con i principi della
 riforma  da  un  rapporto  di   coessenzialita'   e   di   necessaria
 integrazione (v. sent. n. 99 del 1987).
    Dall'esame  delle molteplici norme contenute nell'impugnato art. 3
 qualificabili senza alcun dubbio, come riconosce la stessa Avvocatura
 dello  Stato,  quali  norme  di   dettaglio,   risulta   che   alcune
 disposizioni  sono organicamente legate ai principi affermati al fine
 di definirne piu' precisamente il senso (ad esempio, la  prescrizione
 che   il  rapporto  di  lavoro  del  direttore  generale,  di  quello
 amministrativo e di quello sanitario sia a  tempo  pieno  concorre  a
 determinare   la   natura  dei  rispettivi  uffici),  altre,  invece,
 stabiliscono requisiti minimi, rispondenti a un interesse  nazionale,
 che  le  regioni  debbono  rispettare  (ad  esempio,  le  norme sulla
 ineleggibilita' e sull'incompatibilita' dei direttori generali),  pur
 rimanendo  libere,  in certi casi, di fissarne di ulteriori e diversi
 (ad  esempio,  le  ipotesi  di  sostituzione  o  di  risoluzione  del
 contratto   dei   suddetti  direttori).  Vi  sono,  tuttavia,  alcune
 disposizioni di dettaglio che non rivestono ne'  l'uno,  ne'  l'altro
 dei  menzionati  caratteri,  ma sono poste dal legislatore statale al
 fine di soddisfare l'esigenza  di  una  piu'  sollecita  operativita'
 delle  nuove regole organizzative. Queste sono, piu' precisamente, le
 norme sull'indicazione di chi deve sostituire il  direttore  generale
 in  caso di assenza o di impedimento e le norme che fissano il limite
 massimo possibile per l'assenza o l'impedimento ovvero il termine per
 la cessazione dall'incarico  del  direttore  sanitario  e  di  quello
 amministrativo.  Tali norme, a causa della ratio che le ispira, hanno
 un carattere dispositivo verso  le  regioni,  nel  senso  che  queste
 ultime nell'esercizio delle loro competenze possono derogare ad esse,
 fermo   restando  il  vincolo  della  congruita'  delle  disposizioni
 regionali  rispetto  al  principio  sotteso  alle   disposizioni   di
 dettaglio adottate in via dispositiva dallo Stato (v.  sentt. nn. 192
 del 1987 e 153 del 1985).
    10.  -  Non  fondata  e'  la  questione  sollevata dalle regioni a
 statuto ordinario ricorrenti nei confronti dell'art. 3, sesto  comma,
 del decreto legislativo n. 502 del 1992 per violazione degli artt. 76
 e 77, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 1, primo
 comma, lettera d), della legge di delega n. 421 del 1992.
    L'assunto  delle  ricorrenti,  secondo  il  quale  la disposizione
 impugnata,  nell'accentrare  tutti  i  poteri  ivi   menzionati   nel
 direttore  generale,  contrasterebbe  con  la  legge  di  delega, che
 all'art. 1, lettera d), fa riferimento a una pluralita' di organi  di
 gestione delle unita' sanitarie locali, con conseguente distribuzione
 fra  questi  stessi di quei poteri, e' basato sull'elemento letterale
 che la norma di delega parla di "organi di gestione", al plurale. Ma,
 come  ha  osservato  l'Avvocatura  dello  Stato,   tale   espressione
 grammaticale  e'  legata  alla  circostanza  che  il disegno di legge
 presentato dal Governo in Parlamento per l'approvazione  delle  norme
 di  delega prevedeva originariamente, oltre al direttore generale, il
 consiglio di amministrazione dell'unita' sanitaria  locale.  Ma,  una
 volta che quest'ultimo organo e' stato eliminato dal testo definitivo
 della  legge  a  seguito  del dibattito parlamentare sulla stessa, il
 fatto che sia erroneamente rimasta la predetta locuzione  al  plurale
 non   puo'  essere  interpretato  come  indicativo  dell'esigenza  di
 prevedere, in sede di esercizio del potere delegato,  una  pluralita'
 di organi di gestione.
    11.   -  Non  fondata  e'  la  questione  sollevata  da  tutte  le
 ricorrenti,  in  riferimento  agli  artt.  76,  117   e   118   della
 Costituzione  e  degli artt. 2 e 3 dello Statuto della Valle d'Aosta,
 nei confronti dell'art. 4, primo comma, del  decreto  legislativo  n.
 502  del  1992,  nella  parte  in cui limita a un potere di proposta,
 peraltro eventuale, la partecipazione delle regioni  al  procedimento
 relativo alla individuazione degli ospedali di rilievo nazionale e di
 quelli  di alta specializzazione da costituire in aziende ospedaliere
 con decreto del Ministro della sanita'.
    La  scelta  del  legislatore  statale  di  separare  dalle  unita'
 sanitarie  locali  gli ospedali di rilievo nazionale e quelli di alta
 specializzazione, nonche' i policlinici universitari -  conseguita  a
 una  valutazione  negativa  dei  rapporti  intercorsi tra le predette
 istituzioni  nella   precedente   esperienza   -   non   interferisce
 illegittimamente   sui   poteri   di  organizzazione  dell'assistenza
 sanitaria riservati alle regioni  (v.  anche  art.  1,  primo  comma,
 lettera  c,  della  legge  delega  n. 421 del 1992), poiche', come ha
 correttamente rilevato l'Avvocatura dello Stato,  il  Ministro  della
 sanita',  oltre  ad  essere  condizionato  dalla  proposta regionale,
 quando questa sia stata presentata, interviene in un campo  connotato
 dall'interesse  nazionale  ed  esercita  il proprio potere unicamente
 sulla base della verifica della sussistenza  dei  requisiti  indicati
 nello stesso art. 4.
    12.  -  Fondata e', invece, la questione sollevata dalle regioni a
 statuto ordinario ricorrenti, in riferimento  agli  artt.  76  e  77,
 primo  comma,  della  Costituzione,  nei confronti dell'art. 4, terzo
 comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992, nella  parte  in  cui
 prevede  la  costituzione  in  aziende  di ospedali diversi da quelli
 determinati nella legge di delega n. 421 del 1992.
    Nel  delegare  al  Governo  la  definizione  dei  criteri  per  la
 individuazione  degli  ospedali  da scorporare dalle unita' sanitarie
 locali e da costituire in aziende, l'art. 1, primo comma, lettera n),
 della  legge  n.  421  del  1992,  delimita  tale  possibilita'  agli
 "ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, compresi i
 policlinici  universitari",  e  agli  "ospedali  che  in ogni regione
 saranno destinati a centro di riferimento della rete dei  servizi  di
 emergenza".  In  difformita'  da  cio',  il  legislatore  delegato ha
 previsto ulteriori  ipotesi,  la'  dove  (art.  4,  terzo  comma)  ha
 inserito  nella  stessa  categoria  sia  i presidi ospedalieri in cui
 insiste  la  prevalenza  del  percorso formativo del triennio clinico
 della facolta' di medicina e chirurgia, sia, sempreche' sia richiesto
 dall'universita' interessata, i presidi ospedalieri  che  operano  in
 strutture di pertinenza dell'universita' stessa. Tale difformita' non
 e'  soltanto  formale, ma incide altresi' sulla ratio che ha ispirato
 la legge delega, a  cui  deve  essere  commisurato  il  giudizio  sul
 rispetto  da  parte del legislatore delegato dei limiti ad esso posti
 (v., da ultimo, sentt. nn. 141 e 41  del  1993).  Infatti,  la  legge
 delega ha inteso creare un sistema chiuso per gli ospedali di rilievo
 nazionale, nel senso che di questi ultimi ha individuato precisamente
 la  tipologia  prevedendo per essi il conferimento della personalita'
 giuridica  (con  conseguente  autonomia  di  bilancio,   finanziaria,
 gestionale  e  tecnica),  mentre  per  tutti  gli  altri  presidi  ha
 prescritto   semplicemente   che   siano   informati   al   principio
 dell'autonomia  economico-finanziaria,  oltreche' a ulteriori criteri
 di buon andamento gestionale e di efficienza finanziaria.
    13. - In conseguenza delle pronunzie rese nei punti nn.  9,  11  e
 12,   restano   assorbiti   gli  ulteriori  profili  di  legittimita'
 costituzionale sollevati dalle ricorrenti nei confronti dell'art.  4,
 primo,  terzo e sesto comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992,
 nonche'  nei  confronti  dell'art.  4,  decimo  comma,  limitatamente
 all'espresso  richiamo  alla  disciplina  disposta  dall'art.  3  del
 medesimo decreto legislativo.
    14. - Non fondata e' la questione di  legittimita'  costituzionale
 che  tutte  le  ricorrenti  rivolgono all'art. 4, decimo comma, nella
 parte in cui regola l'esercizio della libera professione intramuraria
 da parte dei medici e l'individuazione dei posti letto  da  destinare
 alle camere a pagamento.
    Le disposizioni impugnate stabiliscono che all'interno dei presidi
 ospedalieri  e  delle  aziende  siano  riservati  spazi  adeguati per
 l'esercizio della libera professione inframuraria  e  una  quota  non
 inferiore  al  6  per cento e non superiore al 12 per cento dei posti
 letto per l'istituzione di camere a pagamento. Lo stesso comma,  alle
 disposizioni  immediatamente  seguenti,  si  preoccupa  di  prevedere
 soluzioni  alternative  in  caso  di  assoluta   impossibilita'   nel
 reperimento   di   spazi   interni  per  l'esercizio  della  predetta
 professione  e  di  precisare  che  le  camere  a  pagamento  possono
 riferirsi   sia   a  ricoveri  disposti  nell'ambito  dell'assistenza
 pubblica, sia a ricoveri richiesti in regime di libera professione.
    Contrariamente   a   quanto   suppongono   le   ricorrenti,   tali
 disposizioni   non   interferiscono   illegittimamente   sulle   loro
 competenze in materia di assistenza sanitaria, poiche' non sono norme
 di dettaglio. Queste ultime, infatti, possono cosi'  qualificarsi  in
 quanto  richiedono  soltanto un'attivita' di materiale esecuzione (v.
 sent. n. 177 del 1988) o in quanto precludono  qualsiasi  spazio  per
 l'intervento  della  legge  regionale (v. sent. n. 70 del 1981). Cio'
 non avviene nel caso di specie, nel quale alle regioni  e'  lasciata,
 nell'ambito della loro potesta' di organizzazione del servizio, tanto
 l'individuazione  e  la determinazione degli "spazi adeguati", quanto
 la fissazione, entro il limite minimo e massimo definito dallo Stato,
 della precisa percentuale dei posti letto da destinare alle camere  a
 pagamento.  Ne'  e'  inutile  sottolineare,  al  fine  di corroborare
 l'esclusione della loro qualificazione come norme di  dettaglio,  che
 le  disposizioni  impugnate disciplinano un punto rilevante nel nuovo
 sistema  dell'assistenza,  poiche'  esse  sono mosse dall'esigenza di
 garantire concretamente  che  i  medici  possano  svolgere  attivita'
 libero-professionale   all'interno  dell'ospedale,  sia  al  fine  di
 controbilanciare le nuove regole in materia di  incompatibilita'  nel
 settore  medico (art. 4, settimo comma, della legge n. 412 del 1992),
 sia al fine di permettere che le aziende ospedaliere, dotate di piena
 autonomia finanziaria, possano effettivamente  beneficiare  di  nuove
 entrate (v. art. 4, settimo comma, lettera e, del decreto legislativo
 n. 502 del 1992).
    15. - Non fondate sono le questioni di legittimita' costituzionale
 sollevate  dalle regioni a statuto ordinario ricorrenti nei confronti
 dell'art. 6, primo e terzo comma, del decreto  legislativo  impugnato
 per  violazione  degli  artt.  117  e 118 della Costituzione, nonche'
 degli artt. 76 e 77, primo comma, della  Costituzione,  in  relazione
 all'art. 1, lettera o), della legge di delega n. 421 del 1992.
    La  prima censura deriva da una cattiva lettura dell'art. 6, primo
 comma, il quale, nel disporre che "le universita' contribuiscono, per
 quanto  di  competenza,  alla   elaborazione   dei   piani   sanitari
 regionali", non stabilisce alcuna confusa concorrenza tra universita'
 e   regioni   nella  predisposizione  dei  piani,  ma,  come  risulta
 chiaramente dalla stessa lettera della disposizione  "per  quanto  di
 competenza"),   prevede   una  partecipazione  dell'universita'  alla
 programmazione regionale - nelle forme della  leale  cooperazione  e,
 quindi,  nel  rispetto  delle  rispettive  competenze  -  al  fine di
 prevenire conflitti e di fissare forme positive di collaborazione fra
 l'una e l'altra istituzione.
    Anche l'art. 6, terzo comma, non sottrae affatto alle  regioni  le
 competenze  loro spettanti in materia di formazione professionale del
 personale infermieristico, ne', tantomeno, si pone in  contrasto  con
 l'art. 1, lettera o), della legge delega n. 421 del 1992, il quale si
 limita a stabilire che il rapporto tra servizio sanitario nazionale e
 universita'  per  la  formazione  in ambito ospedaliero del personale
 sanitario  e  per  le  specializzazioni   post-laurea   deve   essere
 disciplinato  secondo le nuove modalita', da determinare nel rispetto
 delle attribuzioni proprie  dell'universita'  e  in  armonia  con  la
 programmazione nazionale.
    La  disposizione  impugnata, nello stabilire che la formazione del
 personale sanitario infermieristico, tecnico e  della  riabilitazione
 avviene  in  sede  ospedaliera  e nel prevedere, nel contempo, che il
 relativo ordinamento didattico e' definito con decreto  del  Ministro
 della  universita'  di  concerto  con quello della sanita' (v. art. 9
 della legge n. 341 del  1990)  e  che  i  diplomi  sono  firmati  dal
 responsabile  della  scuola e dal rettore delle universita', persegue
 una duplice finalita': innanzitutto, mira ad integrare  le  attivita'
 formative  di  iniziativa  universitaria con quelle organizzate dalle
 regioni attraverso le strutture pubbliche operanti nell'ambito  delle
 loro competenze; in secondo luogo, attraverso il coinvolgimento delle
 unita'  sanitarie  locali,  tende ad attribuire, in via esclusiva, al
 personale dipendente  dalle  strutture  presso  le  quali  si  svolge
 l'attivita'   didattica,  la  titolarita'  dei  corsi  d'insegnamento
 finalizzati alla formazione del personale infermieristico, tecnico  e
 della riabilitazione.
    A parte talune oscurita' lessicali, e' comunque certo che anche in
 tal  caso si tratta di una ipotesi di collaborazione, formalizzata in
 appositi  protocolli  d'intesa,  che  avviene  nel   rispetto   delle
 reciproche  competenze delle due istituzioni coinvolte. E se, dunque,
 appare con cio' coerente che i corsi siano affidati al personale  del
 ruolo  sanitaio  dipendente  dalle strutture ospedaliere interessate,
 allo stesso modo lo e' la previsione che l'ordinamento didattico (nel
 quale sono inseriti i corsi), che e'  di  livello  universitario,  al
 pari  dei  (nuovi) diplomi di formazione professionale e le modalita'
 di rilascio di questi ultimi  (v.  sent.  n.  245  del  1990),  siano
 attribuiti  alla  competenza  di  autorita'  statali.  Pertanto, deve
 escludersi    che    la    disposizione    esaminata     interferisca
 illegittimamente sulle competenze regionali in tema di programmazione
 nel  settore  dell'assistenza  sanitaria,  ivi  compresi  i  corsi di
 formazione professionale, poiche'  l'affidamento  di  alcuni  aspetti
 alla   disciplina   statale   tocca   segmenti   riconducibili   alle
 attribuzioni universitarie.
    16. - Non fondata  e',  altresi',  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale   sollevata   dalle   regioni   a   statuto  ordinario
 ricorrenti, in riferimento agli artt. 76 e  77,  primo  comma,  della
 Costituzione  e  alla  norma  interposta contenuta nell'art. 1, primo
 comma, lettera u), della legge delega n. 421 del 1992, nei  confronti
 dell'art. 6, quarto comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992.
    Nello  stabilire  che,  nel  caso  in  cui  entro 120 giorni dalla
 costituzione  delle  unita'  sanitarie   locali   e   delle   aziende
 ospedaliere, non siano stati stipulati i protocolli d'intesa previsti
 nel  comma  precedente  al  fine  di  disciplinare  di comune accordo
 l'apporto delle facolta' di medicina alle attivita' assistenziali del
 servizio sanitario, i ministri della sanita' e dell'universita', pre-
 via diffida, stipulano i  suddetti  accordi,  dettando  nello  stesso
 tempo  gli  indirizzi  per  la corretta applicazione degli stessi, la
 disposizione impugnata non contravviene ai requisiti richiesti per il
 corretto  esercizio  dei  poteri   sostitutivi   e   della   funzione
 governativa di indirizzo e coordinamento.
    Nel  caso, infatti, sono disciplinate competenze estranee a queste
 ultime funzioni, poiche',  diversamente  da  quanto  stabilito  nella
 disposizione invocata come norma interposta, non si ha a che fare con
 materie   attribuite  alle  competenze  regionali,  ma  si  versa  in
 un'ipotesi di intreccio di distinte competenze  che  esige  forme  di
 collaborazione  fra  regioni  e  Stato  attuabili  per  via d'intesa.
 Sicche', quando quest'ultima non dovesse realizzarsi entro un termine
 congruo (120 giorni), l'intervento successivo dei predetti  ministri,
 assistito  dalle  dovute cautele (diffida), risponde a un'esigenza di
 prevenzione  di  eventuali  paralisi   nell'esercizio   di   funzioni
 pubbliche,  che  questa  Corte,  quando  nell'intreccio di competenze
 prevalgono interessi unitari, ha piu' volte  ritenuto  meritevole  di
 tutela da parte del legislatore statale (v. sentt. nn. 351 del 1991 e
 1031 del 1988). E la potesta' d'indirizzo, connessa a tale intervento
 interministeriale, e' strumentale alla predisposizione degli accordi,
 nel  senso che e' un corollario di questi ultimi che gli autori degli
 stessi potrebbero porre in  essere  anche  in  mancanza  di  apposita
 previsione   normativa,   trattandosi   di  direttive  e  indicazioni
 delucidative   degli   accordi   medesimi   vo'lte   ad    agevolarne
 l'applicazione.
    17.  -  Non fondata e' la questione di legittimita' costituzionale
 che tutte le ricorrenti hanno sollevato nei  confronti  dell'art.  7,
 primo  comma, del decreto legislativo n. 502 del 1992, per violazione
 degli artt. 76 e 77, primo comma, della  Costituzione,  in  relazione
 all'art. 1, lettera s), della legge delega n. 421 del 1992.
    Secondo  le  ricorrenti,  l'incostituzionalita' della disposizione
 impugnata deriverebbe dall'aver essa istituito "un apposito organismo
 per la prevenzione, unico per tutto il territorio regionale",  vo'lto
 ad assicurare la gestione dei presidi multizonali di prevenzione, del
 quale  la  legge  di  delega  non fa menzione. In realta', in tema di
 rapporto fra legge delegante  e  decreto  delegato  questa  Corte  ha
 affermato   che  al  silenzio  del  legislatore  delegante  non  puo'
 automaticamente attribuirsi il significato di una volonta' contraria,
 ma,  al  fine  di  interpretarne  con  esattezza  il  senso,  occorre
 individuare  la  ratio  che  ha  ispirato  la corrispondente norma di
 delega (v. sentt. nn. 141 e 41 del 1993; v. anche sent.  n.  261  del
 1962),  tanto  piu'  che rientra nella fisiologia delle relazioni tra
 "principi e criteri direttivi" e norma delegata la circostanza che  i
 primi non prevedano la concreta disciplina della materia, per via del
 naturale  rapporto  di  riempimento  che  lega i due distinti livelli
 normativi (v. sent. n. 4 del 1992).
    Nella sua insindacabile discrezionalita' politica  il  legislatore
 delegante, muovendo evidentemente da una valutazione non positiva del
 funzionamento del precedente modello organizzativo delle attivita' di
 prevenzione,  ha affidato al legislatore delegato (art. 1, lettera s)
 la definizione dei principi e dei criteri "per  la  riorganizzazione,
 da  parte  delle regioni e province autonome, su base dipartimentale,
 dei presidi multizonali di prevenzione, di cui all'articolo 22  della
 legge  23  dicembre  1978,  n.  833,  cui  competono  le  funzioni di
 coordinamento tecnico dei  servizi  delle  unita'  sanitarie  locali,
 nonche'  di  consulenza  e  di  supporto  in materia di prevenzione a
 comuni, province o altre amministrazioni pubbliche  ed  al  ministero
 dell'ambiente".
    Tenuto  conto che il precedente modello del sistema di prevenzione
 si basava  su  un'organizzazione  articolata  su  due  piani  -  uno,
 consistente  nelle  attivita'  di  analisi,  specialistiche e simili,
 svolgentisi al livello dei presidi multizonali  di  prevenzione,  con
 operativita' estesa al territorio di piu' unita' sanitarie locali, ma
 gestiti  dalla  unita'  sanitaria  nel  cui  territorio aveva sede il
 presidio multizonale; l'altro, consistente in attivita' di  controllo
 e  di  vigilanza, svolgentisi al livello di ciascuna unita' sanitaria
 locale -, il legislatore delegato ha interpretato la legge di  delega
 nel   senso   di   essere   autorizzato   a  predisporre  un  modello
 organizzativo basato sulla massima  semplificazione  e  integrazione.
 Piu'  in  particolare,  esso  ha  provveduto alla: a) creazione di un
 unico organismo regionale, organizzato come unita' sanitaria  locale,
 avente  lo  specifico  compito  di  gestire  i presidi multizonali di
 prevenzione; b) riorganizzazione degli attuali presidi multizonali  e
 degli  attuali  servizi  di prevenzione delle unita' sanitarie locali
 secondo determinati principi e criteri; c)  attribuzione  ai  presidi
 multizonali delle funzioni di coordinamento tecnico dei servizi delle
 unita' sanitarie locali.
   Benche'   la   legge  delega  non  faccia  menzione  dell'organismo
 regionale "unico", la ratio stessa autorizza l'interpretazione che il
 legislatore  delegato,  nell'esercizio  della  sua   discrezionalita'
 politica all'interno dei principi e criteri direttivi contenuti nella
 delega,  ha  provveduto a dare. La creazione di un organismo unico al
 livello  regionale  per  la  gestione  dei  presidi  multizonali   di
 prevenzione,   infatti,   sostituisce   con   un  modello  accentrato
 nell'ambito del territorio di ciascuna regione un sistema decentrato,
 che  il  legislatore  delegante,  come  si  e'  accennato,  intendeva
 modificare radicalmente. In cio' non puo' non vedersi una sufficiente
 e  ragionevole  corrispondenza  della  disciplina posta in essere dal
 legislatore delegato rispetto alla volonta' espressa dal delegante.
    18. - Per ragioni in parte  analoghe  a  quelle  appena  enunciate
 vanno  rigettate  le  questioni  che  le  regioni a statuto ordinario
 ricorrenti hanno sollevato nei confronti dell'art. 7,  quarto  comma,
 del decreto legislativo n. 502 del 1992.
    La  disposizione  impugnata  affida  all'esercizio  congiunto  del
 Ministro della sanita' e di quello  dell'ambiente  "le  attivita'  di
 indirizzo  e  coordinamento  necessarie  per  assicurare  la uniforme
 attuazione   delle   normative   comunitarie   e   degli    organismi
 internazionali",   avvalendosi,   per   gli   aspetti  di  rispettiva
 competenza,  dell'Istituto  superiore   di   sanita',   dell'Istituto
 superiore  per  la  prevenzione  e  la  sicurezza  del  lavoro, degli
 istituti  di  ricerca   del   Cnr   e   dell'Enea,   degli   istituti
 zooprofilattici  sperimentali. Come si e' detto nel numero precedente
 di questa sentenza, il rilievo che la legge  di  delega  non  preveda
 espressamente  tali  specifiche funzioni non comporta per cio' stesso
 l'illegittimita' costituzionale  della  disposizione  impugnata.  Se,
 infatti,  si  tiene  conto  dell'ampia delega di riorganizzazione del
 settore dei presidi multizonali di prevenzione affidata al Governo  e
 se  si considera che la disposizione esaminata risponde largamente ai
 principi relativi alla ripartizione  delle  competenze  fra  Stato  e
 regioni sussistente in materia, lo svolgimento del potere delegato da
 parte  del  Governo  non  puo'  certo  esser  ritenuto  un  esercizio
 arbitrario dell'ampio potere  d'interpretazione  che  il  legislatore
 delegato ha verso la norma di delega.
    Ne'   puo'  condividersi  l'ulteriore  censura  delle  ricorrenti,
 secondo  la  quale  la  disposizione  impugnata  disciplinerebbe  una
 funzione di indirizzo e coordinamento in difformita' con il principio
 che  ne  esige  l'esercizio  sulla  base  di una specifica e puntuale
 previsione legislativa.  Infatti,  l'espresso  obbligo  dei  predetti
 ministri  di  avvalersi  di  organi  od  enti  dotati  di  competenze
 spiccatamente  tecniche  lascia   chiaramente   trasparire   che   la
 disposizione  impugnata  intende prevedere una forma di coordinamento
 tecnico,  vale  a  dire  una  funzione  che,  come  questa  Corte  ha
 costantemente  affermato  (v.,  per  tutte, sent. n. 49 del 1991), si
 distingue da quella concernente l'indirizzo e coordinamento politico-
 amministrativo e che, pertanto, puo' essere esercitata senza  bisogno
 di attenersi alle rigorose regole della legalita' sostanziale.
    19. - Per motivi del tutto simili a quelli espressi nel precedente
 punto  n.  16,  va  rigettata  la  questione, analoga a quella allora
 esaminata, sollevata dalle regioni a statuto ordinario ricorrenti nei
 confronti dell'art. 8, quinto e sesto comma, del decreto  legislativo
 impugnato.  Anche  in  tal  caso,  infatti, l'intervento del Ministro
 della sanita'  vo'lto  a  disciplinare  direttamente  la  materia  e'
 previsto  ove  lo stesso Ministro, nello stabilire i criteri generali
 per la fissazione delle tariffe delle prestazioni  in  forma  diretta
 indicate  nel  precedente  terzo  comma,  non raggiunga la prescritta
 intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
 regioni e le province autonome.
    20.  -  Manifestamente  infondata  e'  la  questione sollevata nei
 confronti dell'art. 8 dalla Regione Valle d'Aosta, sulla  base  della
 premessa  che  la  legge  di  delega  non  menzionerebbe fra i propri
 oggetti la disciplina dei  rapporti  concernenti  l'erogazione  delle
 prestazioni  assistenziali  in  regime di convenzione. In realta', la
 legge n. 421 del 1992, all'art. 1, primo comma, lettera l, affida  al
 legislatore   delegato   il  compito  di  "introdurre  norme  vo'lte,
 nell'arco  di  un  triennio,  alla   revisione   e   al   superamento
 dell'attuale  regime  delle  convenzioni",  sulla base dei principi e
 criteri ivi stabiliti.
    21. - Fondata e', invece, la questione che le  regioni  a  statuto
 ordinario ricorrenti hanno sollevato, in riferimento agli artt. 117 e
 118  della  Costituzione  (assistenza  sanitaria  e ospedaliera), nei
 confronti dell'art. 8, quarto comma, del decreto legislativo  n.  502
 del  1992. L'articolo impugnato, ferma la competenza delle regioni in
 materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie  di
 carattere  privato,  prevede  un  atto  di  indirizzo e coordinamento
 disciplinante  vari  oggetti,  quali:  la  definizione  di  requisiti
 strutturali,   tecnologici   e  organizzativi  minimi  richiesti  per
 l'esercizio delle attivita' sanitarie; la periodicita' dei  controlli
 sulla permanenza dei requisiti medesimi; la fissazione di termini per
 l'adeguamento  delle  strutture  e  dei  presidi  gia' autorizzati; i
 criteri per l'aggiornamento dei suddetti requisiti  minimi  e  quelli
 per  la  classificazione  dei  presidi e delle strutture in relazione
 alla tipologia delle prestazioni erogabili, nonche' i criteri per  le
 attivita'  obbligatorie  in materia di controllo della qualita' delle
 prestazioni.
    Considerato che gli  oggetti  indicati  insistono  sicuramente  in
 materia di competenza regionale, vale a dire nella organizzazione dei
 servizi  destinati  alla  tutela  della salute (v. art. 2 del decreto
 legislativo stesso), non  puo'  non  condividersi  la  prospettazione
 delle  ricorrenti  relativamente  alla  violazione  del  principio di
 legalita' sostanziale, che, secondo  la  costante  giurisprudenza  di
 questa  Corte (v., per tutte, sent. n. 359 del 1991), deve presiedere
 all'esercizio   della   funzione   governativa   di    indirizzo    e
 coordinamento.  La  disposizione  impugnata,  infatti,  si  limita  a
 definire gli oggetti che dovranno essere  disciplinati  dal  predetto
 atto,  ma  non  determina  affatto  i  principi o gli orientamenti di
 massima  destinati  a  delimitare  la  discrezionalita'  del  Governo
 nell'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento.
    22.  -  Non fondata e' la questione di legittimita' costituzionale
 sollevata da tutte le ricorrenti, in riferimento alla legge di delega
 (Regione Valle d'Aosta) e agli artt. 117 e 118 della Costituzione (le
 altre regioni) nei confronti dell'art. 9 del decreto  legislativo  n.
 502 del 1992.
    L'articolo  impugnato  facoltizza  le  regioni a prevedere, in via
 graduale  e  sperimentale,  forme  di  assistenza  differenziate  per
 particolari tipologie di prestazioni, a partire dal 1› gennaio 1995 e
 per  un  triennio  sperimentale. Al secondo comma, lo stesso articolo
 stabilisce che, per ciascun triennio, il Ministro della  sanita',  di
 concerto  con  quelli  del  tesoro  e delle finanze e d'intesa con la
 Conferenza  permanente  per i rapporti fra Stato e regioni, determina
 le quote di risorse destinabili per la gestione delle predette  forme
 di assistenza differenziata. Il complesso delle disposizioni riferite
 non merita le censure mosse dalle ricorrenti, poiche', in ragione del
 carattere  fortemente  innovativo  del  sistema permesso e dei rischi
 sociali  connessi  all'attuazione  dell'una  o  dell'altra  forma  di
 assistenza  differenziata, l'articolo impugnato prevede un periodo di
 sperimentazione, sottoposto a particolari verifiche  da  parte  della
 Conferenza  Stato-regioni e a inevitabili continui aggiustamenti, che
 non possono essere considerati contrastanti con la  legge  di  delega
 solo  perche'  da  questa  non  previsti.  La  necessaria elasticita'
 richiesta dal sistema introdotto e la sua provvisorieta' in attesa di
 indicazioni empiriche per la  definizione  di  un  assetto  a  regime
 esigono  un  meccanismo  flessibile di finanziamento, in grado di far
 fronte a spese non prevedibili in sede di programmazione  finanziaria
 di lungo periodo, meccanismo dal quale, peraltro, le regioni non sono
 affatto escluse.
    23. - Non fondate sono le questioni di legittimita' costituzionale
 sollevate  da  tutte  le  ricorrenti,  per violazione delle direttive
 contenute nella legge di  delega  e  per  la  lesione  delle  proprie
 competenze  amministrative,  nei confronti dell'art. 10, terzo comma,
 del decreto legislativo n. 502 del 1992.
    Nel prevedere un  decreto  del  Ministro  della  sanita',  emanato
 d'intesa  con  la  Conferenza  permanente  per i rapporti tra Stato e
 regioni,  al  fine  di  stabilire  i  contenuti  e  le  modalita'  di
 utilizzazione  degli  indicatori  di  efficienza  e  di  qualita', la
 disposizione impugnata non istituisce un'anomala forma  di  controllo
 ne'  prevede  un  atto  di  indirizzo e coordinamento o disciplina un
 oggetto non compreso nella legge di delega, trattandosi di un  potere
 diretto  a  regolare  strumenti  conoscitivi  utili per migliorare la
 qualita' dell'assistenza  e,  come  tale,  insuscettibile  di  ledere
 competenze regionali (v. sentt. nn. 188 del 1992 e 201 del 1987).
    24.  -  Parimenti  infondata  e'  la  censura che la Regione Valle
 d'Aosta ha sollevato nei confronti dell'art. 10,  quarto  comma,  per
 violazione  delle  direttive contenute nella legge di delega (art. 1,
 lettera u) e dei requisiti  formali  richiesti  per  l'esercizio  dei
 poteri sostitutivi.
    Dopo  aver stabilito che il Ministro della sanita' debba accertare
 lo stato di attuazione presso le regioni  del  sistema  di  controllo
 delle  prescrizioni  mediche  mediante  lettura ottica, nonche' delle
 commissioni professionali di verifica, e debba  acquisire  il  parere
 della  Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni
 in  ordine  all'eventuale   attivazione   dei   poteri   sostitutivi,
 l'articolo  impugnato  dispone  che "ove tale parere non sia espresso
 entro trenta giorni il Ministro provvede direttamente".  E'  evidente
 che  la  disposizione  contestata  configura  un  meccanismo simile a
 quello esaminato nel precedente punto n. 16 di questa  sentenza,  nel
 quale   la   prevalenza   di   interessi  unitari  nell'intreccio  di
 competenze, che ha  indotto  il  legislatore  a  prevedere  forme  di
 collaborazione  tra  regioni  e Stato, giustifica, in caso di mancato
 accordo  tra  le  parti  entro  un  congruo   termine,   l'iniziativa
 risolutiva del ministro.
    25.   -   Non  fondata  e'  anche  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale che le ricorrenti regioni a  statuto  ordinario  hanno
 sollevato,  per  violazione  degli  artt. 76 e 77, primo comma, della
 Costituzione, nei confronti dell'art. 14, primo e secondo comma,  del
 decreto  legislativo n. 502 del 1992, nella parte in cui prevederebbe
 un decreto ministeriale di indirizzo e coordinamento non  contemplato
 dalla legge di delega.
    In  realta', la disposizione impugnata non prevede affatto un atto
 di indirizzo e coordinamento, ma una competenza ministeriale vo'lta a
 definire un sistema di indicatori di qualita'  dei  servizi  e  delle
 prestazioni   sanitarie   in   riferimento  ai  seguenti  ambiti:  a)
 personalizzazione  e  umanizzazione   dell'assistenza;   b)   diritto
 all'informazione;   c)   prestazioni  alberghiere;  d)  attivita'  di
 prevenzione delle malattie. In considerazione  del  rilievo  che  gli
 indicatori  fissati concernono attivita' assistenziali essenzialmente
 di pertinenza delle regioni, e'  previsto  che  queste  ultime  siano
 sentite, per il tramite della Conferenza Stato-regioni, nella fase di
 adozione  del decreto. Il fatto che siano sentiti vari altri soggetti
 (universita',  Consiglio  nazionale  delle  ricerche,  organizzazioni
 rappresentative degli utenti e del volontariato nonche' operatori del
 servizio  sanitario nazionale) e sia prevista l'utilizzazione di tali
 indicatori "anche sotto il profilo sociologico"  rende  evidente  che
 l'atto  in esame non puo' essere ricompreso fra gli atti di indirizzo
 e coordinamento.
    26.  -  Parzialmente  fondata  e'  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  sollevata,  in  riferimento agli artt. 119 (autonomia
 finanziaria), 116, 117 e 118  (assistenza  sanitaria  e  ospedaliera)
 della  Costituzione,  da  parte  delle  regioni  a  statuto ordinario
 ricorrenti nei confronti  dell'art.  13,  primo  comma,  del  decreto
 legislativo n. 502 del 1992.
    Tale  articolo,  al  primo  comma,  dispone  che "le regioni fanno
 fronte  con  risorse  proprie  agli  effetti  finanziari  conseguenti
 all'erogazione  di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli
 uniformi di cui all'art. 1,  all'adozione  di  modelli  organizzativi
 diversi  da  quelli  assunti  come  base  per  la  determinazione del
 parametro capitario di finanziamento  di  cui  al  medesimo  art.  1,
 nonche'  agli  eventuali disavanzi di gestione delle unita' sanitarie
 locali  e  delle  aziende  ospedaliere  con  conseguente  esonero  di
 interventi finanziari da parte dello Stato".
    Il  complesso  delle  disposizioni  ora  ricordato,  muovendo  dal
 presupposto della necessaria corrispondenza e coerenza effettiva  tra
 quote  capitarie  e  livelli  uniformi  di  prestazioni sanitarie, e'
 ispirato a un duplice principio: da un lato, incentivare l'erogazione
 di  servizi  di  assistenza  sanitaria  e  la  creazione  di  modelli
 organizzativi  negli enti che gestiscono la sanita' il piu' possibile
 rispondenti a parametri  di  efficienza  ottimale  e  di  uniformita'
 territoriale;  e  dall'altro,  affermare  che qualsiasi disfunzione o
 qualsiasi aggravio di costi  del  servizio  sanitario  nazionale  sia
 posto  a  carico  delle  regioni  sulle  quali  ricade  l'onere della
 disciplina, del controllo e  della  vigilanza  sugli  enti  erogatori
 dell'assistenza  sanitaria,  limitando il contributo dello Stato alla
 somma iscritta annualmente in bilancio come  integrazione  del  fondo
 sanitario  nazionale  rispetto  ai  contributi riscossi dalle singole
 regioni. Questi principi - e, in particolare, quello  concernente  il
 parallelismo  fra  responsabilita'  di  disciplina  e  di controllo e
 responsabilita'   finanziaria   -   non   sono,   certo,  contrari  a
 Costituzione, ma, se mai, interpretano lo spirito  del  requisito  di
 efficienza,  e quindi quello dell'equilibrio finanziario, valevole, a
 norma dell'art. 97 della Costituzione, anche per il sistema  pubblico
 di  assistenza  sanitaria  nel suo complesso. Consequenzialmente, non
 puo' ritenersi lesiva dell'autonomia finanziaria  regionale  o  delle
 competenze  in materia di sanita' affidate alle regioni la previsione
 che queste debbano far fronte sia ai costi derivanti  dall'erogazione
 di  livelli  di  assistenza  superiori  a  quelli  uniformi sul piano
 nazionale,  sia  a  quelli  dipendenti   dall'adozione   di   modelli
 organizzativi  diversi  da  quelli  assunti per la determinazione del
 parametro capitario di finanziamento in sede nazionale.
    Cio'  che,  invece,  si  pone  parzialmente   in   contrasto   con
 l'autonomia  finanziaria costituzionalmente garantita alle regioni e'
 la disposizione finale del primo comma dell'art.  13,  per  la  quale
 qualsiasi   altro   eventuale  disavanzo  di  gestione  delle  unita'
 sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e' posto in ogni caso  a
 carico  delle  finanze  regionali  con  immediato e totale esonero di
 interventi finanziari da parte dello Stato.
    E', infatti, ben vero che ai deficit delle unita' sanitarie locali
 e delle aziende ospedaliere le regioni possono far fronte,  oltreche'
 attraverso   una   ristrutturazione   delle   forme   e  del  livello
 quantitativo e qualitativo dei servizi erogati, mediante  il  ricorso
 ai  nuovi  poteri  d'imposizione  tributaria  previsti  dall'art. 13,
 secondo comma, del decreto legislativo impugnato ("tasse sanitarie" e
 variazioni in aumento dei contributi o dei tributi regionali).  Ma  -
 pur  a  non  considerare  il  problema  dell'adeguatezza  delle nuove
 risorse reperibili dalle regioni rispetto all'entita'  dei  disavanzi
 delle  unita'  sanitarie  locali  e  delle  aziende  ospedaliere - in
 mancanza di  una  disciplina  transitoria  diretta  a  permettere  un
 graduale   adeguamento  della  finanza  regionale  al  nuovo  sistema
 introdotto dalla disposizione esaminata, basato sullo spostamento  al
 livello regionale dell'onere di riequilibrio finanziario del servizio
 sanitario  nazionale, e' obiettivo il rischio che l'utilizzazione dei
 ricordati  strumenti  tributari  sia   in   gran   parte   assorbita,
 soprattutto   in  una  prima  fase,  dalla  copertura  dello  scarto,
 presumibilmente elevato, fra i costi delle prestazioni  assistenziali
 ipotizzati,   secondo   un  parametro  ottimale,  dallo  Stato  e  la
 situazione  di  partenza  effettivamente   esistente   nelle   unita'
 sanitarie  locali.  Di  modo  che,  in  considerazione della esigenza
 costituzionale di preservare,  insieme  all'equilibrio  del  bilancio
 statale  (art.  81 Cost.), anche l'equilibrio finanziario dei bilanci
 regionali (art. 119 Cost.) e un  accettabile  livello  qualitativo  e
 quantitativo  di  prestazioni  dirette  a  soddisfare  interessi  del
 singolo cittadino e della collettivita' costituzionalmente  rilevanti
 (art.  32  Cost.),  risulta irragionevole la previsione di un esonero
 totale e immediato dello Stato dal ripiano degli eventuali  disavanzi
 di gestione delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere
 senza  che  sia  predisposta  nel  contempo una disciplina che miri a
 rendere graduale - e quindi controllabile,  sotto  il  profilo  delle
 finanze  regionali, e adeguato, sotto il profilo delle prestazioni, -
 il passaggio verso il nuovo sistema e il funzionamento a regime dello
 stesso.
    27.  -  Manifestamente  infondata  e',  invece,  la  questione  di
 legittimita' costituzionale sollevata,  in  riferimento  agli  stessi
 parametri indicati nel punto immediatamente precedente, dalle regioni
 a  statuto  ordinario ricorrenti, nei confronti dell'art. 12, secondo
 comma, numero 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992.
    Nel prevedere che l'1% del fondo sanitario  nazionale  complessivo
 possa  essere utilizzato per il finanziamento di iniziative centrali,
 previste  da  leggi  nazionali  riguardanti  programmi  speciali   di
 interesse   o   rilievo   interregionale  o  nazionale,  attinenti  a
 sperimentazioni concernenti gli aspetti  gestionali,  la  valutazione
 dei  servizi,  le  tematiche della comunicazione e dei rapporti con i
 cittadini,  le  tecnologie   e   le   biotecnologie   sanitarie,   la
 disposizione  in  esame  disciplina un aspetto strettamente attinente
 alla ricerca - un'attivita' non sottratta alla competenza  statale  -
 della quale costituisce la necessaria fase di verifica e di controllo
 della  bonta'  dei  risultati  raggiunti in sede teorica. E', dunque,
 evidente che nessuna competenza regionale ne risulta lesa e  che  non
 e'  ragionevolmente ipotizzabile che attraverso le attivita' regolate
 nella  disposizione  impugnata  si  possa  aprire  una  breccia   per
 interventi ministeriali in campi, come la gestione e l'erogazione dei
 servizi sanitari, riservati alle competenze regionali.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  l'illegittimita' costituzionale dei
 seguenti articoli del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502
 (Riordino  della  disciplina in materia sanitaria a norma dell'art. 1
 della legge 23 ottobre 1992, n. 421):
      artt. 3, sesto comma (prima e decima proposizione) e  4,  ottavo
 comma  (terza  proposizione)  nella  parte  in  cui  prevedono che le
 competenze  ivi  stabilite  siano  esercitate,  rispettivamente,  dal
 Presidente  della Giunta regionale, su conforme delibera della Giunta
 medesima, e dalla Giunta regionale, anziche' dalla Regione;
      art. 3, sesto e dodicesimo comma, nella parte in cui prevede che
 i poteri sostitutivi ivi previsti siano esercitati dal Ministro della
 sanita' anziche' dal Consiglio dei ministri, previa diffida;
      art. 4, terzo comma, nella parte in cui definisce come  ospedali
 di rilievo nazionale e di alta specializzazione i presidi ospedalieri
 in  cui  insiste  la  prevalenza  del percorso formativo del triennio
 clinico delle  facolta'  di  medicina  e  chirurgia  e,  a  richiesta
 dell'universita',  i  presidi ospedalieri che operano in strutture di
 pertinenza dell'universita' medesima;      art. 8, quarto comma;
  art. 13, primo comma, nella parte in cui, nello stabilire  l'esonero
 immediato  e  totale dello Stato da interventi finanziari volti a far
 fronte ai disavanzi di gestione delle unita' sanitarie locali e delle
 aziende ospedaliere, non prevede una adeguata  disciplina  diretta  a
 rendere  graduale  il  passaggio  e  la messa a regime del sistema di
 finanziamento previsto nello stesso decreto legislativo  n.  502  del
 1992;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  1 del decreto legislativo n. 502 del 1992 sollevata, con i
 ricorsi  indicati  in  epigrafe,  dalla  Regione  Valle  d'Aosta,  in
 riferimento  agli artt. 32 e 38 della Costituzione e, dalle Regioni a
 statuto ordinario, in riferimento all'art. 32 della Costituzione;
    Dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3  del  decreto
 legislativo  n.  502  del  1992, sollevata, con i ricorsi indicati in
 epigrafe, da tutte le ricorrenti,  in  riferimento,  per  la  Regione
 Valle  d'Aosta,  agli  artt.  76, 77 e 116 della Costituzione nonche'
 agli artt. 2, 3 e 4 del proprio Statuto,  e,  per  le  altre  regioni
 ricorrenti, agli artt. 76, 77, 117 e 118 della Costituzione;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'intero decreto legislativo n.  502  del  1992,  sollevata  dalle
 Regioni  a  statuto  ordinario  ricorrenti, con i ricorsi indicati in
 epigrafe, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione;
    Dichiara  non  fondate,  in  riferimento,  per  la  Regione  Valle
 d'Aosta,  agli  artt.  76,  77, 116 della Costituzione e 2, 3 e 4 del
 proprio Statuto, e, per le Regioni a statuto ordinario ricorrenti, in
 riferimento agli artt. 76, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione,  le
 questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate, con i ricorsi
 indicati in epigrafe, avverso le seguenti  disposizioni  del  decreto
 legislativo n. 502 del 1992:  art. 1 (questione sollevata da tutte le
 ricorrenti);   art. 3, sesto comma (questione sollevata dalle Regioni
 a statuto ordinario);  art. 4, primo comma  (questione  sollevata  da
 tutte  le ricorrenti);   art. 4, decimo comma (questione sollevata da
 tutte le ricorrenti);  art. 6, primo, terzo e quarto comma (questione
 sollevata dalle Regioni a statuto ordinario);   art. 7,  primo  comma
 (questione  sollevata da tutte le ricorrenti);   art. 7, quarto comma
 (questione sollevata dalle Regioni a statuto ordinario);
  art. 8, quinto e sesto comma (questione sollevata  dalle  Regioni  a
 statuto  ordinario);    art.  9  (questione  sollevata  da  tutte  le
 ricorrenti);  art. 10, terzo comma (questione sollevata da  tutte  le
 ricorrenti); art. 10, quarto comma (questione sollevata dalla Regione
 Valle  d'Aosta);  art. 14, primo e secondo comma (questione sollevata
 dalle Regioni a statuto ordinario);
    Dichiara manifestamente infondate  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale  dei  seguenti articoli del decreto legislativo n. 502
 del 1992: art. 1, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, nella  parte
 in  cui prevede procedure di formazione del piano sanitario nazionale
 identiche per  le  regioni  a  statuto  ordinario  e  per  quelle  ad
 autonomia  speciale, in riferimento all'art. 116 della Costituzione e
 agli artt. 2 (lettera a), 3 (lettera h, i  ed  l)  e  4  del  proprio
 Statuto speciale;
  art.  1,  terzo  comma,  lettera  e),  sollevata dalla Regione Valle
 d'Aosta, in riferimento all'art. 116 della Costituzione e all'art.  4
 del  proprio  Statuto  speciale;  art.  8, nella parte in cui prevede
 nuove norme per l'erogazione delle prestazioni assistenziali  in  re-
 gime  di  convenzione,  sollevata  dalla  Regione  Valle  d'Aosta, in
 riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione;
  art. 12, secondo comma, numero 2, sollevata dalle Regioni a  statuto
 ordinario,  con  i  ricorsi indicati in epigrafe, in riferimento agli
 artt. 117 e 118 della Costituzione.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 giugno 1993.  Il Presidente: CASAVOLA Il
                       Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
               Depositata  in  cancelleria il 28 luglio 1993.
                  Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0878