N. 28 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 9 settembre 1993

                                N. 28
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 9
  settembre 1993 (della regione Emilia-Romagna).
 Sanita' pubblica - Definizione dei livelli di assistenza sanitaria -
    Determinazione   delle   prestazioni   di   assistenza   sanitaria
    (collettiva,   di   base,   specialistica,   semiresidenziale    e
    territoriale, ospedaliera, ecc.) che devono essere garantite dalle
    regioni  a  decorrere dal 1› gennaio 1993 - Mancata previsione del
    riferimento  di  dette  prestazioni  alla  previsione   di   spesa
    sanitaria  per l'anno 1993 e alle quote di finanziamento assegnate
    alle regioni per l'attivita'  sanitaria  -  Accollo  alle  regioni
    dell'onere  economico  conseguente  all'erogazione  di  livelli di
    assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi e all'adozione di
    modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base  per  la
    determinazione   del   parametro   capitario  di  finanziamento  -
    Invasione della sfera di  attribuzioni  regionali  in  materia  di
    assistenza  sanitaria  e  lesione dell'autonomia finanziaria della
    regione - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn.
    355/1993, 379/1992 e 351/1991.
 (D.P.R. 24 dicembre 1992 (Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio
    1993)).
 (Cost., artt. 117, 118 e 119).
(GU n.39 del 22-9-1993 )
   Ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla regione Emilia
 Romagna, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale
 Pier Luigi Bersani, debitamente autorizzato con delibera g.r. n. 3693
 in data 27 luglio  1993  immediatamente  esecutiva,  rappresentata  e
 difesa  per  mandato  a  margine dai professori avvocati Giandomenico
 Falcon e Franco Mastragostino  ed  elettivamente  domiciliata  presso
 l'avv.  Luigi  Manzi, con studio in Roma, via Confalonieri, 5, contro
 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona  del  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore  per  la  risoluzione  del
 conflitto  di  attribuzione  determinato dal d.P.R. 24 dicembre 1992,
 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153  del  2  luglio  1993,  in
 materia di definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria e
 per il conseguente annullamento dell'atto.
                               F A T T O
    L'art.  6  del  d.l.  n.  384/1992  (convertito  nella  legge  n.
 438/1992) ha demandato al Governo, di intesa con la conferenza Stato-
 regioni, di definire: "livelli uniformi di  assistenza  sanitaria  da
 garantire  a  tutti  i  cittadini  a  decorrere dal 1› gennaio 1993",
 essendo altresi' stabilito nel medesimo articolo che se l'intesa  non
 intervenga   entro   il   15   dicembre  1992,  il  Governo  provvede
 direttamente.
    In base a tale norma  e'  stato,  quindi,  emanato  il  d.P.R.  24
 dicembre 1992, nel quale e' pero' contenuta una serie di disposizioni
 direttamente  lesive  sia  del ruolo e delle prerogative riconosciute
 alle regioni in materia di assistenza e di programmazione sanitaria e
 specificamente rivolte ad una effettiva determinazione dei livelli di
 assistenza  correlata  alla   quota   capitaria,   sia   di   profili
 procedimentali  e  sostanziali  connessi  con  il principio di "leale
 collaborazione", sia lesive della  possibilita'  per  le  regioni  di
 programmare la spesa sanitaria.
    Tale  decreto,  il quale da' atto immotivatamente che l'intesa con
 la Conferenza permanente Stato-regioni non e' intervenuta nel termine
 fissato, reca la data del 24 dicembre 1992, ma  e'  stato  pubblicato
 soltanto il 2 luglio 1993. Inoltre non pare inutile rammentare che lo
 stesso  provvedimento e' stato censurato dalla Corte dei conti che ha
 parzialmente negato il visto - ritenendole inadeguate  -  proprio  in
 ordine   alle  indicazioni  governative  dei  parametri  capitari  di
 finanziamento  per  i  singoli  settori   di   prestazione   (essendo
 individuata soltanto la cifra capitaria globale lorda, ma determinata
 in   base   a   ragioni  diverse  rispetto  a  quelle  inerenti  alla
 determinazione  dei  livelli  delle  prestazioni  che  devono  essere
 comunque garantite).
    Ne' il Governo ha chiesto la registrazione con riserva.
    Sotto  innumerevoli  profili  il  d.P.R.  24  dicembre 1992 appare
 peraltro illegittimo per conflitto di  attribuzione.  E  segnatamente
 per i seguenti motivi.
                             D I R I T T O
    I.  -  Con  evidenza  emerge  il contrasto Stato-regioni sul costo
 delle  singole   prestazioni   sanitarie   garantite.   (Il   mancato
 raggiungimento  dell'intesa deriverebbe proprio dalla difformita' del
 computo governativo rispetto  ai  conteggi  di  parte  regionale,  su
 alcuni elementi del costo dei servizi).
    Lo  Stato non ha indicato infatti i limiti minimi garantiti, ma ha
 effettuato solo una ricognizione degli obbiettivi e fissato il  costo
 globale  capitario  lordo,  con  una operazione di mero frazionamento
 dello stanziamento disponibile per numero degli abitanti.
    Conseguentemente cio' che doveva consistere  in  una  suddivisione
 della  spesa  sulla base di livelli di prestazioni garantiti, secondo
 lo spirito della legislazione di riforma, (livelli e  non  obiettivi,
 livelli  di prestazione cui l'utente ha diritto, definiti in concreto
 e  partitamente  sulla  base  di  classi  di  eta',  di  composizione
 demografica   della  popolazione,  ecc.,  tenuto  conto  anche  delle
 caratteristiche e dei dati epidemiologici riscontrabili nelle singole
 realta'  regionali.  Cosi',  non  e'  ad  esempio  irrilevante che la
 regione Emilia-Romagna presenti cinque punti in percentuale  in  piu'
 di  popolazione  ultrasessantacinquenne  rispetto  alla Lombardia) e'
 divenuto una mera elencazione di tipi di prestazione accompagnata, ma
 senza alcun nesso di collegamento, dalla  indicazione  di  una  spesa
 massima globale per ciascun assistito che non rispecchia la struttura
 dei  costi  effettivi delle prestazioni, ma riflette esclusivamente i
 vincoli di bilancio.
    Sicche', la fissazione (e la  conseguente  garanzia)  del  livello
 minimo della prestazione non e' effettuata dallo Stato, ma risulta di
 fatto  demandata alle singole regioni nell'ambito di un costo globale
 di riferimento e a scapito delle esigenze fondamentali di uniformita'
 che avevano originariamente giustificato la delega al Governo.
    Non contenendo alcuna determinazione dei livelli  assistenziali  -
 come  avrebbe  dovuto  fare  a  seguito  della  delegificazione della
 materia riconosciuta legittima dalla  recente  sentenza  della  Corte
 cost. n. 355/1993 - ma limitandosi ad un riepilogo delle disposizioni
 gia'  vigenti  nel  settore  (la determinazione di cui all'art. 6 del
 d.l. n. 384/1992 era gia' stata prevista dall'art. 4,  primo  comma,
 della  legge  n.  412/1991  e  successivamente negli artt. 1 e 12 del
 d.lgs. n. 502/1992) e non avendo accompagnato con  determinazioni  di
 tipo  quantitativo  gli  indicatori  di verifica laddove previsti, il
 decreto 24 dicembre 1992 non ha alcun  effetto  di  predeterminazione
 della spesa e dei suoi fattori.
    In  cio'  esso  abdica,  quindi,  alla funzione stabilita da legge
 delegata  e  legge  delegante,  risultando  privo   della   legalita'
 sostanziale costantemente richiesta dalla Corte costituzionale per la
 legittimita' di questo tipo di atti governativi.
    Inoltre,  a  questa  essenziale  rinuncia  e mancato esercizio del
 potere affidato, corrisponde la totale  arbitrarieta'  e  illegalita'
 della determinazione del solo parametro capitario globale, in assenza
 dei  parametri  capitari  di settore (censurati, lo si ricorda, dalla
 Corte dei conti per evidente inidoneita').
    Cosicche' viene anche  meno  quel  "presupposto  della  necessaria
 corrispondenza  e  coerenza  effettiva  fra quote capitarie e livelli
 uniformi delle prestazioni sanitarie" che e' stato individuato  quale
 colonna  portante del sistema di programmazione della spesa sanitaria
 ancora dalla sentenza n. 355/1993.
    Poiche' in base allo stesso meccanismo  stabilito  dal  d.lgs.  n.
 502/1992   la  determinazione  dei  livelli  di  assistenza  e  della
 correlativa quota capitaria costituisce  -  in  un'ottica  di  voluta
 stretta  e  imprescindibile correlazione - modo di determinazione del
 quantum di finanziamento statale alle regioni, e' del tutto  evidente
 quindi  che  il  decreto  in  esame  appare  radicalmente  inidoneo a
 garantire alle regioni la congruenza fra  livelli  di  prestazione  e
 quote  capitarie  di  finanziamento,  in assenza di predeterminazione
 quantitativa delle prestazioni dovute, tendendo a  "scaricare"  sulle
 regioni le eventuali differenze per i costi effettivi dovuti.
   II.  -  Occorre  altresi'  rilevare  che  lo  Stato  non ha affatto
 dimostrato che la prescritta  intesa  con  la  Conferenza  permanente
 (art.  6  d.l.  n.  384/1992) si e' resa impossibile, limitandosi ad
 acclararla e procedendo di conseguenza unilateralmente.  Ora,  se  e'
 vero  che  l'intervento  governativo  in  caso  di non raggiungimento
 dell'intesa puo' ritenersi ammissibile  quale  risultato  finale,  e'
 altrettanto  certo  che  tale  soluzione deve essere supportata da un
 procedimento  ragionevole.  Pena  la  frustrazione  di   qualsivoglia
 garanzia  del  ruolo  delle  regioni  in base ai principi della leale
 collaborazione, sulla cui necessita' - onde  assicurare  effettiva  e
 concreta  portata  anche  nell'ambito  di  meccanismi legislativi che
 prevedano, in caso di mancata intesa con le  regioni,  un  potere  di
 normazione unitalerale da parte dello Stato - non puo' sorgere dubbio
 alcuno.  Se questi meccanismi sono stati riconosciuti legittimi dalla
 Corte costituzionale (355/1993), e' altrettanto vero infatti  che  la
 stessa  Corte  si e' piu' volte preoccupata di circondare la facolta'
 di intesa di adeguati requisiti sostanziali e procedurali, al fine di
 evitare cioe' "il declassamento dell'attivita' di codeterminazione ad
 una  mera  attivita'  consultiva  non  vincolante"  (Corte  cost.  n.
 351/1991)  e  individuando  quale  dovere  di  leale  cooperazione il
 preciso  onere,  sul  piano  procedurale,   "a   carico   dell'organo
 procedente,  di  fare  quanto e' possibile per tentare di superare le
 eventuali divergenze insorte  in  vista  del  migliore  perseguimento
 dell'interesse  pubblico  in  discussione"  (Corte  costituzionale n.
 379/1992, punto 9 del testo pubblicato su  Gazzetta  Ufficiale,  c.d.
 sentenza Martelli).
    Non par dubbio, quindi, che in assenza di qualsivoglia ragionevole
 perseguimento   della   "paritaria   codeterminazione  del  contenuto
 dell'atto sottoposto ad intesa, da  realizzare  e  ricercare  laddove
 occorra   attraverso   reiterate   trattative  volte  a  superare  le
 divergenze che ostacolino il  raggiungimento  di  un  accordo"  (come
 correttamente  argomenta Corte costituzionale n. 379/1992 cit.) debba
 ritenersi violato il  principio  di  leale  cooperazione  di  cui  lo
 strumento  dell'intesa  rappresenta  una  delle  possibili  forme  di
 attuazione.
    Ora,  tale  carenza  e'  presente  nel  caso  in  esame   laddove,
 unitamente alla assoluta mancanza di menzione nel decreto governativo
 delle   ragioni  che  avrebbero  determinato  il  non  raggiungimento
 dell'intesa nel termine fissato, deve aggiungersi la circostanza  che
 il  medesimo  decreto 24 dicembre 1992 e' divenuto operativo sei mesi
 piu' tardi, senza che nulla sia stato fatto da parte dello Stato  per
 riprendere   trattative   eventualmente   interrotte   e   senza  che
 particolari motivi di urgenza e di opportunita'  abbiano  determinato
 il Governo a disporre la registrazione con riserva del decreto.
    Che  la  odierna  opposizione della regione Emilia Romagna - e con
 essa di altre regioni - sia fondata e' dimostrato, infatti, in  primo
 luogo  dall'atteggiamento  della  Corte  dei conti che ha bocciato le
 singole  previsioni  di  costo  capitario  individuate  dal  Governo,
 ritenendole    inadeguate    ai    livelli-obiettivo   (e   lasciando
 impregiudicato  solo  il  costo  capitario  globale  che   pero'   e'
 determinato  per  ragioni  e  secondo  una  logica  diverse da quelle
 sottese  alle  prestazioni  garantite)  e,  in  secondo   luogo,   e'
 avvalorato  proprio  dalla  mancata  registrazione  con  riserva  del
 decreto, che dimostra che  la  volonta'  governativa  si  sostanziava
 essenzialmente   nello   stabilire   il   limite  globale  massimo  e
 null'altro, al di la' degli scopi e delle  finalita'  avute  di  mira
 dalla legge di delega.
    III.  -  In sostanza, a fronte del d.P.R. 24 dicembre 1992, che si
 pone quale atto  unilaterale  dello  Stato,  le  regioni  perdono  la
 garanzia  reale ed effettiva del loro ruolo costituzionale, oltre che
 legislativo nella programmazione sanitaria. Ma non solo: esse perdono
 anche  ogni  effettiva  possibilita' di programmare la poropria spesa
 (che e' l'obiettivo fondamentale di tutto il sistema legislativo  del
 settore).  E  cio'  in  presenza  di  un  atto  che:  a) non mette in
 correlazione il costo capitario con  i  livelli  di  prestazione;  b)
 agisce  retroattivamente  fissando  a  meta'  anno  (2 luglio 1993) i
 livelli di spesa delle prestazioni che dovevano essere garantite -  e
 non sono invece definite - gia' dal 1› gennaio 1993.
    Cio'  e'  in  netto  contrasto  con  i principi generali sulla non
 retroattivita' di misure amministrative, ma anche specificamente  con
 lo  stesso  d.l. n. 384/92 che palesemente prevede la fissazione dei
 livelli e delle correlate  risorse,  per  il  futuro  e  non  per  il
 passato.
    Ne'  si  puo'  obiettare  che il carattere retroattivo non rileva,
 dato che il decreto ripete la normativa vigente: perche', a parte  la
 lamentata    illegittimita'   sotto   questo   stesso   profilo,   la
 retroattivita' investe anche la determinazione della quota capitaria.
    Insomma, e' evidente che per il  periodo  gennaio-luglio  1993  le
 regioni  dovevano comunque assicurare agli assistiti certi livelli di
 prestazioni, con  la  relativa  copertura  di  spesa  e  che  ne'  le
 prestazioni,    ne'    le    spese    possono   essere   disciplinate
 retroattivamente  per  decreto,  pena   la   lesione   dell'autonomia
 amministrativa e finanziaria delle regioni.
    IV.  - In conclusione. Il decreto nasce come atto unilaterale, per
 "carenza" dell'intesa fra le parti, non sugli obiettivi, ma sul costo
 relativo ai limiti uniformi di prestazioni garantite.
    Che le stime dello Stato  fossero  inadeguate  e'  dimostrato  dal
 rifiuto  di  registrazione della Corte dei conti proprio in relazione
 alla  inidoneita'  delle  singole  previsioni  di   costo   capitario
 individuate dal Governo.
    L'atto  dello Stato, di conseguenza, anziche' indicare cio' che al
 cittadino deve essere ovunque garantito, quantificandone i costi,  si
 limita  ad  elencare  obiettivi generici, fissando un tetto capitario
 globale che non ha alcun fondamento se non nei vincoli  di  bilancio:
 l'atto  percio',  tradendo  la  sua  funzione, e' privo di fondamento
 legislativo.
    Ne'  si  puo'  giustificarlo  in  relazione   alle   esigenze   di
 contenimento della spesa pubblica se solo si considera che da un lato
 la  non  fissazione dei livelli minimi di prestazioni garantite va ad
 incidere  sulla  garanzia  del  contenuto  minimo  della  prestazione
 sanitaria  che deve essere assicurato comunque ai cittadini in quanto
 non puo' essere compresso  ulteriormente  per  esigenze  di  bilancio
 (cfr.  sul  contenuto  minimo  dell'art.  32  della Costituzione, non
 comprimibile per esigenze di bilancio, la sentenza n. 184/1993).
    In cio' vi e' dunque una evidente lesione del diritto alla salute,
 per provvedere al quale tutto il  computo  e  il  carico  finanziario
 grava  sulle  regioni.  Le  quali,  pero',  (mentre  lo Stato blocca,
 predeterminandola  a  priori,   la   propria   spesa   sanitaria   di
 trasferimento)  si  trovano  invece  nella  impossibilita',  a  meta'
 esercizio gia' trascorso, di far quadrare i propri conti.
    Alla fine, la falla della finanza pubblica che il Governo vorrebbe
 arrestare a livello centrale finisce con il riaprirsi a  livello  lo-
 cale,  con  conseguenze  assai  gravi  anche  sulla  eguaglianza  dei
 cittadini nel godimento del minimum essenziale del diritto  alla  sa-
 lute  (sul divieto di discriminazioni nel godimento dei diritti moti-
 vate dalla mera localizzazione territoriale dei soggetti  interessati
 cfr. altresi' sentenza n. 336/1989).
   Per  le  considerazioni suesposte, che si fa riserva di integrare e
 di illustrare in corso di  causa,  si  chiede  che  l'Eccellentissima
 Corte  costituzionale  voglia dichiarare che non spetta allo Stato il
 potere di determinare,  come  ha  fatto  con  il  decreto  impugnato,
 livelli  uniformi di assistenza sanitaria prescindendo dalla concreta
 definizione delle singole prestazioni e dalla necessaria correlazione
 fra  queste  ultime  e  le  rispettive   quote   capitarie,   nonche'
 prescindendo da un effettivo e ragionevole tentativo di intesa con le
 regioni e, per l'effetto, voglia annullare il d.P.R. 24 dicembre 1992
 per  violazione  degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione per le
 ragioni e sotto il profili illustrati nella parte in diritto.
    Si depositera' nei termini,  assieme  alla  copia  notificata  del
 suesteso ricorso:
      1)  copia  della delibera g.r. n. 3693 in data 27 luglio 1993 di
 autorizzazione a proporre il presente conflitto di attribuzione.
      Bologna-Roma, addi' 26 agosto 1993
                          (Firme illeggibili)

 93C0973