N. 31 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 11 settembre 1993
N. 31 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria l'11 settembre 1993 (della regione Veneto). Sanita' pubblica - Definizione dei livelli di assistenza sanitaria - Determinazione delle prestazioni di assistenza sanitaria (collettiva, di base, specialistica, semiresidenziale e territoriale, ospedaliera, ecc.) che devono essere garantite dalle regioni a decorrere dal 1 gennaio 1993 - Mancata previsione del riferimento di dette prestazioni alla previsione di spesa sanitaria per l'anno 1993 e alle quote di finanziamento assegnate alle regioni per l'attivita' sanitaria - Accollo alle regioni dell'onere economico conseguente all'erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi e all'adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base per la determinazione del parametro capitario di finanziamento - Invasione della sfera di attribuzioni regionali in materia di assistenza sanitaria e lesione dell'autonomia finanziaria della regione. (D.P.R. 24 dicembre 1992 (Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 1993)). (Cost., artt. 81, quarto comma, 117, 118 e 119).(GU n.39 del 22-9-1993 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Veneto, in persona del presidente della giunta regionale dott. Giuseppe Pupillo, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 3393 del 20 luglio 1993, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Valerio Onida e Romano Morra, ed elettivamente domiciliato in Roma, largo della Gancia 1, presso lo studio dell'avv. Gualtiero Rueca, come da delega a margine del presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore in relazione al d.P.R. 24 dicembre 1992, recante "definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 1993. 1. - L'art. 4, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (recante "disposizioni in materia di finanza pubblica") demandava al Governo il compito di determinare, con effetto dal 1 gennaio 1992, "i livelli di assistenza sanitaria da assicurare in condizioni di uniformita' sul territorio nazionale nonche' gli standard organizzativi e di attivita' da utilizzare per il calcolo del parametro capitario di finanziamento di ciascun livello assistenziale per l'anno 1992". Il provvedimento avrebbe dovuto essere adottato d'intesa con la conferenza Stato-regioni ed emanato con decreto del Presidente della Repubblica sulla base di limiti e principi ivi specificati; fra l'altro si stabiliva che i livelli di assistenza fossero "definiti nel rispetto delle disposizioni di legge, delle direttive comunitarie e, limitatamente alle modalita' di erogazione, degli accordi di lavoro per il personale dipendente (lett. a); che gli standard organizzativi e di attivita' fossero "determinati ai fini di calcolo del parametro capitario di finanziamento" e non costituissero vincolo organizzativo per le regioni e le U.S.L.; e che "il parametro capitario per ciascun livello di assistenza" fosse "finanziato in rapporto alla popolazione residente". Tale determinazione non intervenne in tempo utile perche' potesse avere effetto, come previsto, dal 1 gennaio 1992. Con l'art. 6 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438) venne nuovamente disposto che entro il 30 novembre 1992 il Governo, d'intesa con la conferenza Stato- regioni, definisse "i livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini a decorrere dal 1 gennaio 1993", stabilendo altresi' che ove l'intesa non fosse intervenuta, il Governo avrebbe dovuto provvedere direttamente entro il 15 dicembre 1992. Nel frattempo, peraltro, era intervenuta la legge 23 ottobre 1992, n. 421, il cui art. 1 delegava il Governo a ridisciplinare il Servizio sanitario nazionale, fra l'altro definendo "principi relativi ai livelli di assistenza sanitaria uniformi e obbligatori, .. espressi per le attivita' rivolte agli individui in termini di prestazioni, stabilendo comunque l'individuazione della soglia minima di riferimento, da garantire a tutti i cittadini, e il parametro capitario di finanziamento da assicurare alle regioni e alle province autonome per l'organizzazione di detta assistenza, in coerenza con le risorse stabilite dalla legge finanziaria" (art. 1, primo comma, lett. g). La delega veniva esercitata con il d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. Quest'ultimo provvedimento prevede, all'art. 1, primo comma, che "i livelli di assistenza da assicurare in condizioni di uniformita' sul territorio nazionale sono stabiliti con il piano sanitario nazionale, nel rispetto degli obiettivi della programmazione socio- economica nazionale e di tutela della salute individuati a livello internazionale ed in coerenza con l'entita' del finanziamento assicurato al Servizio sanitario nazionale". Il piano sanitario nazionale, che ha durata triennale (art. 1, secondo comma) ed e' adottato dal Governo d'intesa con la conferenza Stato-regioni (art. 1, primo comma), per il triennio 1994-1996 avrebbe dovuto essere adottato entro il 31 luglio 1993 (art. 1, quarto comma, d. lgs. n. 502/1992). Il piano deve indicare, fra l'altro, "i livelli uniformi di assistenza sanitaria da individuare sulla base anche di dati epidemiologici e clinici, con la specificazione delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini, rapportati al volume delle risorse a disposizione (art. 1, quarto comma, lett. b), d. lgs. n. 502/1992. Nel disciplinare il finanziamento del servizio sanitario, lo stesso decreto legislativo n. 502/1992 stabilisce fra l'altro che "la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici, in relazione ai livelli uniformi di prestazioni sanitarie in tutto il territorio nazionale", determinati ai sensi della disposizione prima citata, con riferimento ad una serie di elementi specificati (art. 12, terzo comma); e che le regioni debbono fare fronte con risorse proprie "agli effetti finanziari conseguenti all'erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi di cui all'art. 1" nonche' "all'adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base per la determinazione del parametro capitario di finanziamento" (art. 13, primo comma). Il piano sanitario non risulta ancora adottato. Viceversa nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 1993 e' stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1992, recante "definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria". Il decreto, che risulta adottato pochi giorni prima della pubblicazione del d.lgs. n. 502/1992, e' stato pero' registrato solo il 5 maggio 1993 dalla Corte dei conti, che peraltro non ha ammesso al visto le parti del decreto medesimo in cui si indicava il parametro capitario di finanziamento relativo a ciascuno dei "livelli", cioe' delle voci in cui si articola l'allegato al decreto. Di cio' e' dato espressamente atto nel testo pubblicato nel decreto, in cui alla fine di ogni paragrafo compare la dizione fra parentesi "il parametro capitario di finanziamento non e' stato ammesso al 'visto' dalla Corte dei conti". Viceversa alla fine della parte prima dell'allegato (quella relativa ai "livelli uniformi di assistenza sanitaria") e' indicato il "parametro di finanziamento capitario globale lordo", pari a L. 1.504.410. Il decreto in questione cita nelle sue premesse solo l'art. 6, primo comma del d.l. n. 384/1992, ma ignora il d.lgs. n. 502/1992 (sopravvenuto dopo l'adozione di tale decreto ma ben prima della sua pubblicazione): mentre ricorda, sempre nelle premesse, la legge n. 421/1992 la' dove afferma che nella individuazione dei livelli di assistenza "si debba tenere conto dei principi e criteri di cui all'art. 1, primo comma, lett. q), della legge 23 ottobre 1992, n. 421", cioe' dei criteri di delega di cui sopra si e' detto. Nelle premesse del decreto si da' altresi' atto che "l'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano non e' intervenuta nel termine fissato", ma non si fa cenno ne' dei dissensi che hanno determinato la mancata intesa, ne' delle ragioni che hanno indotto il Governo a discostarsi da cio' che ritenevano e chiedevano i rappresentanti delle regioni nella conferenza. Tale provvedimento e' lesivo della autonomia della regione ricorrente, per le ragioni di seguito esposte. 2. - Come si e' ricordato, l'art. 1 del d.lgs. n. 502/1992 stabilisce che sia il piano sanitario nazionale a indicare i livelli uniformi di assistenza, "nel rispetto degli obiettivi della programmazione economica nazionale e di tutela della salute individuati a livello internazionale" oltre che "in coerenza con l'entita' del finanziamento assicurato al Servizio sanitario nazionale" (primo e quarto comma). Ora, e' ben vero che il d.P.R. in oggetto reca la data del 24 dicembre 1992, anteriore di sette giorni all'entrata in vigore del d.lgs. n. 502/1992 (avvenuta il 1 gennaio 1993: cfr. art. 20 dello stesso d.lgs. n. 502). Ma e' altrettanto vero che tale decreto e' stato registrato solo il 5 maggio e pubblicato il 2 luglio, e che comunque esso espressamente intende valere a decorrere dal 1 gennaio 1993 (cfr. il n. 1 del dispositivo), cioe' dalla stessa data dalla quale e' in vigore la nuova disciplina del d.lgs. n. 502. In sostanza il decreto impugnato interviene in una situazione normativa diversa da quella da esso assunta a presupposto (cioe' da quella derivante dalla sola norma dell'art. 6, primo comma, del d.l. n. 384/1992, citato nelle premesse), per il sopravvenire della nuova disciplina recata dalla legge n. 421/1992 e sopratutto del d.lgs. n. 502/1992, disciplina per effetto della quale dovrebbe ritenersi implicitamente abrogato dall'art. 6, primo comma, del d.l. n. 384/1992. Il decreto afferma bensi' di voler "tenere conto" dei principi e criteri direttivi di cui all'art. 1, primo comma, lett. g), della legge n. 421/1992, ma trascura il fatto che si tratta di principi e criteri diretti dettati dalla legge di delega per essere attuati col decreto legislativo delegato, e non gia' in via amministrativa; e che un atto amministrativo com'e' il decreto impugnato non puo' - ormai - discostarsi dalla disciplina legislativa di cui al d.lgs. n. 502/1992. In sostanza la fissazione dei livelli di assistenza deve ormai avvenire con le procedure e nei modi stabiliti dall'art. 1 del d.lgs. n. 502, e cioe' col piano sanitario. Gia' sotto questo profilo il decreto impugnato appare illegittimo, e dunque lesivo dell'autonomia regionale, in quanto non conforme alle norme legislative che disciplinano la materia, e carente di un sufficiente e tuttora operante fondamento legislativo. 3. - In ogni caso, anche a voler considerare valido fondamento legale del decreto l'art. 6, primo comma, del d.l. n. 384/1992, esso appare illegittimo e lesivo dell'autonomia regionale in quanto, pur dando atto del mancato raggiungimento dell'intesa con la conferenza Stato-regioni, richiesta dalla citata norma legislativa, on indica ne' le ragioni dal dissenso fra Governo e regioni, ne' i motivi che hanno indotto il Governo a disattendere i rilievi e le indicazioni delle regioni medesime. Anche quando la legge consente al Governo, in caso di mancato raggiungimento delle intese, di provvedere unilateralmente, l'atto governativo e' vincolato evidentemente ad un rigoroso obbligo di motivazione in ordine alle ragioni del provvedere in difformita' dalle indicazioni della Conferenza. L'obbligo di perseguire l'intesa risulterebbe totalmente venificato se il Governo potesse, senza motivazione alcuna, semplicemente restare sulle proprie posizioni ed adottare il provvedimento in difformita' dalle indicazioni della Conferenza. L'obbbligo dell'intesa, se pure non giunge a impedire un provvedimento unilaterale in caso di mancata intesa, richiede almeno che si attui una fase di dialogo fra le due parti, in cui l'organo che ha alla fine il potere di provvedere (nella specie il Governo) deve farsi carico espressamente della posizione dell'altra parte e specificare i motivi per i quali non intende attenervisi. Anche sotto questo ulteriore profilo preliminare il decreto in questione viola l'autonomia regionale. 4. - Il contenuto del decreto impugnato e' poi in contrasto con le stesse disposizioni legislative che prevedono la fissazione dei livelli di assistenza, ed e' lesivo dell'autonomia regionale. La determinazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria ha lo scopo, da un lato, di individuare le prestazioni di assistenza cui i cittadini hanno diritto, e che dunque debbono essere assicurate a tutti i cittadini, in modo uniforme, in tutte le regioni; dall'altro lato, di consentire di calcolare le risorse necessarie per assicurare tali prestazioni, e le corrispondenti quote capitarie di finanziamento da assicurare alle Regioni a carico del fondo sanitario nazionale. Il decreto impugnato non assolve a tali funzioni, e in ogni caso non vi assolve in modo legittimo e congruo. Esso non definisce in realta' dei veri e propri "livelli", quantitativamente determinati, di prestazioni sanitarie da assicurare, corrispondenti a diritti degli assististi, ma si limita a elencare descrittivamente la tipologia delle prestazioni previste dalle leggi (assistenza sanitaria collettiva negli ambienti di vita e di lavoro; assistenza sanitaria di base, assistenza specialistica semiresidenziale e territoriale, assistenza ospedaliera, assistenza residenziale sanitaria a non autosufficienti e lungodegenti stabilizzati), e le categorie di soggetti assistibili. I "vincoli" che talora (solo a proposito dell'assistenza di base e dell'assistenza farmaceutica) vengono indicati non fanno che richiamare le disposizioni legislative che prevedono forme di partecipazione degli assistiti alle spese o limiti di reddito per usufruire dell'assistenza a carico del Servizio sanitario nazionale. Anche gli "indicatori di verifica talora previsti non contengono alcuna determinazione di tipo quantitativo atta a determinare i livelli o i limiti delle prestazioni. In sostanza dunque il decreto non contiene determinazioni atte a individuare e delimitare i tipi e la quantita' di prestazioni di assistenza che debbono essere erogate e quindi il relativo costo. Non e' nemmeno chiaro, a livello definitorio, cio' che nel decreto viene inteso per "livelli uniformi di assistenza sanitaria". Infatti nel punto 1 del dispositivo del decreto si parla di "livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini", e dunque si configurano i "livelli" come prestazioni costituenti oggetto di un diritto degli assistiti, come tale da garantire in condizioni di uniformita' fin da subito e in tutto il territorio. Ma poi, cadendo in contraddizione, nella premessa dell'allegato al decreto si configurano i livelli di assistenza "come definizione degli obiettivi che il servizio sanitario nazionale assume di conseguire, a soddisfacimento di specifiche quote di bisogno sanitario, mediante un insieme di attivita' e prestazioni da porre in essere nell'ambito della quota capitaria di finanziamento", aggiungendo che "la fissazione dei livelli di assistenza assicura certezza di obiettivi sanitari nel rispetto delle compatibilita' finanziarie". In relazione a cio' - prosegue la premessa - i "livelli" vengono definiti e specificati nei seguenti elementi: "gli obiettivi che ciascuna delle fondamentali funzioni assistenziali del servizio sanitario nazionale (macrolivelli) deve conseguire, ovvero quale specifica quota di bisogno sanitario della popolazione mira a soddisfare"; "l'insieme delle attivita'/prestazioni connesse al conseguimento degli obiettivi definiti, da effettuare in coerenza con le scelte organizzative adottate da ciascuna regione, conformemente alle disposizioni legislative in materia"; "il parametro capitario di finanziamento fissato in coerenza con le risorse stabilite dalla legge finanziaria, in base ad un modello organizzativo teorico di riferimento"; "un insieme di indicatori specifici .. individuati sulla base degli obiettivi via via definiti, orientati a consentire la verifica del grado di conseguimento degli obiettivi stessi e, conseguentemente, a periodiche revisioni della formulazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria". Tutto cio' - a parte la vaghezza e talora l'oscurita' del testo - contraddice la nozione dei livelli come tipo, qualita' e quantita' di prestazioni da garantire: se si trattasse solo di "obiettivi" che il servizio mira a conseguire, ma che possono essere o non essere conseguiti, e che addirittura sarebbero soggetti a revisione periodica sulla base della verifica del grado di conseguimento degli stessi, non sarebbero livelli garantiti in modo uniforme. Il decreto sembra indicare nella quota capitaria di finanziamento l'"ambito" in cui le attivita' di assistenza dovrebbero essere pre- state; ma allora non di livelli uniformi di assistenza si tratterebbe, bensi' di livelli di spesa, piu' che uniformi, minimi, garantiti dal concorso del fondo sanitario nazionale. Ma il sistema delle quote capitarie di finanziamento, previsto dall'art. 4, primo comma, lett. b), della legge n. 412/1991, dall'art. 1, primo comma, lett. g), della legge n. 421/1992 e dall'art. 12, terzo comma, del d.lgs. n. 502/1992, non si configura come la prefissione, per cosi' dire astratta, di un livello o di un limite minimo di spesa, indipendente dall'entita' della prestazione da assicurare; ma al contrario presuppone che si determinino anzitutto le prestazioni che si intendono assicurare a tutti i cittadini, si calcoli poi il costo di tali prestazioni e su questa base si determinino le quote capitarie di finanziamento, salvo ridurre eventualmente le prestazioni garantite se le risorse disponibili risultassero insufficienti a sostenere il costo. Viceversa il Governo ha omesso di calcolare i costi reali delle prestazioni elencate nel decreto, e si e' limitato da un lato a elencare queste ultime, dall'altro a fissare un parametro capitario globale di finanziamento che costituisce nell'altro che il risultato della divisione fra le unita' di popolazione residente dell'importo complessivo stanziato alla legge finanziaria: senza dunque alcun serio adeguamento ne' delle risorse alle prestazioni, ne' di queste ultime alle prime. In tal modo pero' i livelli di assistenza cessano di svolgere la funzione cui per legge dovrebbero essere deputati; di determinare in modo oggettivo l'ambito delle prestazioni che le regioni debbono assicurare a tutti i cittadini e dunque anche i limiti, al di la' dei quali dovrebbero manifestarsi l'autonomia e la responsabilita' finanziaria delle regioni, ai sensi dell'art. 13, primo comma, del d.lgs. n. 502/1992, per l'erogazione di "livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi". In realta' si viene cosi' a realizzare un sistema in cui il "contenimento della spesa pubblica" (o meglio, dei trasferimenti finanziari a carico del bilancio statale) rappresenterebbe l'"unico obiettivo per la determinazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria": cioe' quella deformazione che questa Corte, nella recentissima sentenza n. 355 del 1993, ha escluso si realizzasse con l'art. 1 del d.lgs. n. 502/1992 in quanto quest'ultimo - secondo quanto affermato dalla Corte - "anche se mantiene la prescrizione contenuta nella legge delega relativa alla coerenza delle prestazioni assicurate con l'entita' del finanziamento stabilito per il servizio sanitario nazionale, impone altresi' di rapportare i livelli di assistenza agli obiettivi di tutela della salute individuati a livello internazionale, oltreche' di prevedere livelli di assistenza che siano comunque garantiti a tutti i cittadini" (sent. cit., n. 8 del considerato in diritto). Nulla di tutto cio' pero' e' rinvenibile nel decreto impugnato, nel quale i livelli di assistenza non sono individuati "sulla base anche di dati epidemiologici e clinici", come richiesto dall'art. 1, quarto comma, lett. b), del d.lgs. n. 502/1992, e l'unico criterio e parametro oggettivamente determinato e' la quota capitaria globale di finanziamento, non correlata ad un calcolo effettivo del costo di livelli di prestazioni a loro volta determinate e garantite a tutti. 5. - L'art. 4, primo comma, della legge n. 412/1991 prevedeva che il Governo stabilisse, congiuntamente, i livelli di assistenza sanitaria, gli "standard organizzativi e di attivita'" determinati "ai fini di calcolo del parametro capitario di finanziamento", e "il parametro capitario per ciascun livello di assistenza". Parimenti l'art. 13, primo comma, del d.lgs. n. 502/1992 prevede che siano determinati i "modelli organizzativi" assunti "come base per la determinazione del parametro capitario di finanziamento", cosi' che si possa far carico alle regioni degli effetti finanziari conseguenti all'adozione di modelli organizzativi diversi. E' d'altra parte evidente come non si possa determinare il costo delle prestazioni se non si assumono a base standard anche organizzativi. Ebbene, il decreto impugnato, benche' affermi nelle premesse che il parametro capitario di finanziamento e' fissato "in base ad un modello organizzativo teorico di riferimento", non fa poi il minimo cenno a quale sia tale modello di riferimento. Non e' improbabile che anche tale lacuna stia a base dei rilievi di illegittimita' che hanno condotto la Corte dei conti a non ammettere al visto quelle parti del decreto che riguardavano la determinazione del parametro capitario di finanziamento per ciascuno "livello". Ma in questo modo si rende del tutto insuscettibile di verifica il nesso fra le prestazioni elencate e previste e la quota capitaria globale di finanziamento, nonche' la congruita' del "modello organizzativo teorico" che si assume di avere a base. Cio' inficia alla radice la legittimita' di in provvedimento, come quello impugnato, che pretende di fissare in modo vincolante per le regioni i livelli di assistenza e di determinare il limite del finanziamento statale, attraverso la fissazione della quota capitaria. Mancando nel decreto i parametri capitari di finanziamento per i singoli "livelli", resta del tutto priva di fondamento e ingiustificata la fissazione del parametro di finanziamento capitario globale lordo, determinato dal decreto in L. 1.504.410. Tale parametro globale avrebbe dovuto risultare dalla somma di parametri analiticamente determinati funzione per funzione: in mancanza di questi ultimi si riduce ad una cifra arbitraria. E poiche' tale cifra non ha alcun rapporto reale e dimostrato con i livelli uniformi di assistenza, che si e' preteso di determinare, nel discende che il decreto pregiudica la posizione delle regioni, limitando il finanziamento statale attraverso la fissazione di una quota capitaria incongrua e non correlata al costo delle prestazioni. 6. - Questa Corte, nella sentenza n. 355/1993, ha ribadito il presupposto della "necessaria corrispondenza e coerenza effettiva tra quote capitarie e livelli uniformi di prestazioni sanitarie"; e ha ammesso, sulla base di tale presupposto, che le regioni possano legittimamente essere chiamate a far fronte "sia ai costi derivanti dall'erogazione di livelli di assistenza superiori a quelli uniformi sul piano nazionale, sia a quelli dipendenti dall'adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti per la determinazione del parametro capitario di finanziamento in sede nazionale" (sent. cit., n. 26 del considerato in diritto: illegittimo era invece, come ha statuito la Corte, addossasse alle regioni qualsiasi altro eventuale disavanzo di gestione delle unita' sanitarie locali). La fissazione del parametro capitario di finanziamento globale in modo sistanzialmente sganciato da un oggettivo e verificabile calcolo dei costi, come e' avvenuto col decreto impugnato, significa proprio contraddire il presupposto fondamentale, sottolineato anche dalla Corte, della "necessaria corrispondenza e coerenza effettiva fra quote capitarie e livelli uniformi di prestazioni sanitarie". Ne discende l'impossibilita' di distinguere l'ambito della responsabilita' finanziaria della regione da quello della prima responsabilita' dello Stato, che deve assicurare alle regioni le risorse corrispondenti ai costi delle prestazioni garantite in modo uniforme a tutti i cittadini. Il decreto impugnato non determina i parametri di finanziamento delle varie prestazioni, e fissa solo un parametro capitario globale disancorato da calcoli reali di costi, e in sostanza, come si e' detto, discendente da una semplice divisione dell'ammontare complessivo di risorse a disposizione per il numero dell'unita' di popolazione (infatti la disponibilita' finanziaria per il servizio sanitario nazionale nell'esercizio 1993 e' determinata dal Ministero in complessive L. 88.395 miliardi, che divisi per 57.782.000 abitanti, che rappresentano l'entita' della popolazione cui fa riferimento lo stesso Ministero, da' una cifra pressoche' identica, di poco superiore al parametro di finanziamento capitario globale recato dal decreto impugnato, pari a L. 1.504.410: cfr. doc. 1 p. 3). 7. - La relazione del Ministero della sanita' alla proposta di livelli uniformi di assistenza sanitaria 1993, datata 16 dicembre 1992, e poi trasfusa con poche correzioni nel decreto impugnato, afferma (a pag. 3) che "in prima determinazione, i parametri capitari di finanziamento dei livelli di assistenza 1993 possono essere derivati dai risultati della verifica della spesa per l'anno 1991", con determinate rivalutazioni, e su queste basi calcola i parametri capitari di finanziamento. In realta', secondo i calcoli analitici delle regioni, la stima ministeriale e' ben inferiore alla realta', in ispecie per quanto riguarda il costo dell'assistenza ospedaliera, quello dell'assistenza farmaceutica e quello dell'assistenza specialistica e territoriale. Queste differenze di valutazione stanno alla base della mancata intesa fra Ministero e conferenza Stato-regioni: il parametro capitario globale di finanziamento, secondo i conti delle regioni, avrebbe dovuto essere superiore di circa 270.000 lire rispetto a quello indicato dal decreto impugnato. Le stime ministeriali sono viziate, fra l'altro, dal fatto di considerare come spesa storica su base nazionale talune voci di spesa afferenti a prestazioni che vengono oggi erogate in misura sostanzialmente difforme nelle varie regioni (e anzi, vengono erogate quasi soltanto in alcune regioni) - come ad esempio e' il costo della assistenza sanitaria ad anziani non autosufficienti - e di suddividere tale spesa su tutta la popolazione, per pervenire al parametro capitario di finanziamento. E' evidente che in tale modo si perviene a stabilire un parametro capitario molto piu' basso del parametro necessario per finanziare quello che dovrebbe essere (secondo il contenuto dello stesso provvedimento impugnato) un livello uniforme di assistenza prestata in tutto il territorio nazionale. In ogni caso, sta di fatto che gli stessi calcoli tecnici operati in sede ministeriale pervenivano a stabilire il parametro capitario globale in una cifra superiore a quella indicata nel provvedimento impugnato. 8. - Ma anche sotto un altro profilo il provvedimento impugnato si rivela incongruo e illegittimo. La stessa relazione ministeriale alla proposta (doc. 1) ammette che la spesa sanitaria del 1993, secondo lo sviluppo ipotizzato dal medesimo Ministero, ammonterebbe a 90.053 miliardi, mentre le risorse a disposizione in base alla legge finanziaria e agli altri provvedimenti legislativi ammontano a soli 88.395 miliardi, con una differenza, dunque, di 1.658 miliardi (cfr. doc. 1, pag. 4). La relazione ammette che si rende dunque necessario "rivedere i livelli attualmente vigenti e diminuirne la portata assistenziale sino a renderli coerenti e compatibili con le risorse disponibili" (ibidem). Ma di tale riduzione dei livelli non vi e' traccia nel provvedimento impugnato, il quale fissa peraltro un parametro capitario globale (L. 1.504.410) inferiore a quello indicato in detta relazione (L. 1.512.582). La relazione (pagg. 4-5) indica "due possibili misure" alternative per contenere la spesa nei limiti delle risorse a disposizione. In primo luogo, sostiene che riguardo all'assistenza sanitaria collettiva in ambienti di vita e di lavoro (che e' il primo dei "macrolivelli" di assistenza indicati nel decreto impugnato) sarebbe possibile "graduare meno intensamente il processo di sviluppo dei servizi e l'intensita' degli accertamenti analitici", poiche' si tratterebbe di "un livello assistenziale in espansione". Ma e' evidente come tale indicazione confligga con la stessa natura dei "livelli di assistenza", che debbono costituire prestazioni garantite in modo uniforme in tutto il territorio. Se si sostiene che, invece, il servizio andrebbe "graduato", con cio' stesso si ammette che non verrebbe assicurato in tutte le regioni un livello di assistenza uniforme; ovvero che l'onere di tale livello di assistenza, se assicurato in modo uniforme, graverebbe in parte sulle regioni in quanto non coperto dal parametro capitario di finanziamento. In ogni caso, ne risulta una violazione del principio fondamentale della congruenza fra quota capitaria di finanziamento garantita dallo Stato e livelli uniformi di assistenza assicurati a tutti i cittadini. La relazione ministeriale aggiunge che "e' possibile, di converso, incrementare le attivita' che comportano pagamenti da parte di imprese, allevatori, industrie, per attivita' di sorveglianza o rilascio di certificazioni ad utilita' del richiedente" (ivi, pag. 4). Ora, a parte che non si vede come si possano incrementare per decisione dell'ente pubblico attivita' che si svolgono a richiesta degli utenti, sta di fatto che in tal modo si ipotizza una forma di autofinanziamento da parte delle u.s.l., per coprire una parte dei costi sostenuti per l'erogazione di prestazioni che debbono essere garantite in modo uniforme su tutto il territorio, e debbono dunque essere finanziate dallo Stato; ancora una volta in contraddizione con i principi che dovrebbero governare la materia dei livelli uniformi di assistenza. La seconda alternativa indicata dalla relazione e' la seguente: "considerando il trasferimento pieno delle potesta' organizzative e gestionali alle regioni, appare possibile modulare adeguatamente in sede regionale l'allocazione delle risorse all'interno dei livelli, tenendo conto delle singole situazioni territoriali, in modo da conseguire una economia di spesa pari all'1,8%" (ivi, pagg. 4-5). Ora, "modulare in sede regionale l'allocazione delle risorse all'interno di livelli" significa, per parlare chiaro, che dovrebbero essere destinate alle singole forme di assistenza somme inferiori a quelle che lo stesso Ministero ha calcolato essere necessarie per assicurare l'assistenza. E cioe', o ridurre i livelli di assistenza al di sotto di quelli "uniformi" stabiliti dallo Stato (ma con cio' la regione violerebbe un vincolo posto alla sua attivita' di organizzazione dei servizi), ovvero destinare ulteriori risorse regionali a coprire la differenza: ancora una volta mettendo in evidenza la mancanza di congruenza fra parametro capitario di finanziamento e costo effettivo dei servizi obbligatori. Senza dire che, come ha rilevato questa Corte nella sentenza n. 355/1993 (n. 26 del considerato in diritto) e' "obiettivo il rischio" che la regione debba impiegare proprio risorse di "autofinanziamento" per coprire lo "scarto, presumibilmente elevato, fra i costi delle prestazioni assistenziali ipotizzati, secondo un parametro ottimale, dallo Stato e la situazione di partenza effettivamente esistente nelle unita' sanitarie locali". Se il parametro capitario di finanziamento stabilito dallo Stato e' inferiore allo stesso "parametro ottimale" calcolato dallo Stato, il divario fra risorse assicurate dal fondo nazionale e costi effettivi si accentua, e viene ancora piu' gravemente compromesso il principio fondamentale, affermato dalla Corte, della "necessaria corrispondenza e coerenza effettiva tra quote capitarie e livelli uniformi di prestazioni sanitarie". Sotto ogni profilo, dunque, il provvedimento impugnato e' lesivo dell'autonomia finanziaria, programmatoria e amministrativa della regione, in contrasto con gli artt. 119, 117, 118 e 81, quarto comma, della Costituzione, in quanto non assicura il buon andamento della amministrazione sanitaria.
P. Q. M. La regione ricorrente chiede che la Corte voglia dichiarare che non spetta allo Stato, e per esso al Governo, definire i livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini senza adeguare i parametri capitari di finanziamento (singoli e globali) e dunque le risorse assicurate alle regioni a carico del fondo sanitario nazionale, ai costi effettivi dei servizi necessari per assicurare le prestazioni previste, ovvero senza commisurare le prestazioni garantite a tutti i cittadini alle risorse effettivamente messe a disposizione delle regioni; e per l'effetto annullare il decreto del Presidente della Repubblica del 24 dicembre 1992, recante "definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 1993. Si produce: Ministero della sanita', proposta di livelli uniformi di assistenza sanitaria 1993, 16 dicembre 1992. Roma, addi' 27 agosto 1993 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Giuseppe PETROCELLI 93C0986