N. 397 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 marzo 1993

                                N. 397
   Ordinanza emessa il 2 marzo 1993 dal tribunale di sorveglianza di
 Torino nel procedimento di sorveglianza per l'affidamento in prova al
 servizio sociale, sull'istanza di Scagliari Giorgio
 Ordinamento penitenziario - Affidamento in prova al servizio sociale
    - Possibilita' di concederlo, a seguito della sentenza della Corte
    costituzionale  (n. 569/1989), anche ai condannati non sottoposti,
    neppure per breve periodo, a carcerazione - Prospettata disparita'
    di  trattamento,  per  effetto  di  tale  decisione,  rispetto  ai
    condannati  che  si trovano in stato di detenzione, per i quali la
    misura puo' essere concessa solo dopo un periodo di  osservazione,
    prevista  nel regime carcerario, ma non prevista ne' disciplinata,
    invece, durante la liberta'.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, terzo e quarto comma).
 (Cost., art. 3, primo comma).
(GU n.43 del 20-10-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Emette la seguente  ordinanza  nel  procedimento  di  sorveglianza
 relativo  alla  concessione di aff. in prova quarto comma all'udienza
 del 2 marzo 1993;
    Premesso che il detenuto Scagliari Giorgio nato il 4 ottobre  1934
 a Padova, elett. domiciliato c/o avv. Durante, via Garibaldi n. 53 in
 espiazione pene anni quattro, mesi quattro, di reclusione inflittegli
 con  sentenza 4 dicembre 1991 della corte di appello di Torino difeso
 dall'avv. di fiducia Durante del Foro di Torino;
    Visto il parere rinviarsi del P.G.;
    Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata, preliminarmente, la  regolarita'  delle  comunicazioni
 relative   ai   prescritti   avvisi   al   rappresentante  del  p.m.,
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate le risultanze delle  documentazioni  acquisite,  delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Scagliari  Giorgio veniva condannato ad anni cinque e mesi quattro
 di reclusione per i reati di cui agli articoli 81, 110, 519, 521  del
 c.p. con sentenza 28 febbraio 1991 del gip. di Torino.
    La  sentenza,  dichiarava condannati, ai sensi dell'art. 1 e segg.
 del d.P.R. n. 394/90, anni due di reclusione.
    In data 4 dicembre 1991 la corte di apello di Torino  in  parziale
 riforma  della  citata  sentenza, assolveva lo Scagliari dal reato di
 cui all'art. 521 del c.p. e riduceva conseguentemente la pena ad anni
 quattro e mesi quattro di reclusione.
    Lo Scagliari presentava quindi istanza di affidamento in prova  al
 servizio  sociale e contestuale istanza di sospensione dell'ordine di
 esecuzione per la pena residua determinata, tenendo conto del condono
 e della custodia cautelare sofferta pari a mesi dieci e giorni 26, in
 anni uno, mesi cinque e giorni quattro di reclusione.
    Il presidente del tribunale di sorveglianza  di  Torino,  valutata
 l'ammissibilita'  dell'istanza  e  compiuta  l'attivita' istruttoria,
 fissava per l'odierna udienza la discussione in camera di consiglio.
    All'ordierna udienza, presente il condannato, il p.g. e la  difesa
 concludevano come da separato verbale.
                             D I R I T T O
    Il  caso  che  oggi  viene  all'esame  del  tribunale e' veramente
 sintomatico del quadro di inadeguatezza delle norme  che  attualmente
 regolano  l'istituto  dell'affidamento  in  prova al servizio sociale
 nella configurazione prevista al terzo e quarto  comma  dell'art.  47
 ord.   pen.      Il   profilo  di  incostituzionalita'  dell'art.  47
 dell'ordinamento  penitenziario che il tribunale ritiene rilevante ai
 fini della decisione e che appare  non  manifestamente  infondato  e'
 quello  relativo  alla  violazione  dell'art. 3 della Costituzione da
 parte del legislatore  che  con  l'art.  47  ord.  pen.,  cosi'  come
 modificato  dall'art.  11  della  legge  10  ottobre  1986 n. 633, ha
 introdotto la possibilita' di accedere al beneficio anche  per  colui
 che  ha  serbato  in  liberta' un comportamento tale da consentire un
 giudizio prognostico favorevole sul suo reinserimento ma ha omesso di
 dettare una disciplina organica e dettagliata  dell'osservazione  sul
 comportamento  tenuto  in  liberta' dal condannato.  E' opportuno qui
 richiamare, al fine di chiarire le peculiarita'  dell'istituto  nella
 configurazione  che emerge dal terzo e quarto comma dell'art. 47 ord.
 pen., alcuni passi della sentenza della Corte costituzionale  n.  569
 del   dicembre  1989  che  costituiscono  una  preziosa  traccia  per
 ripercorrere la storia dell'affidamento in prova e per individuarne i
 caratteri salienti.
    Dice   la   Corte:   "Guardando,   infatti,   alla    delineazione
 dell'istituto  cosi'  come  emergeva  originariamente  dalla legge 26
 luglio 1975, n. 354, sembra evidente che  il  legislatore  del  tempo
 avesse inteso favorire ed accelerare il reinserimento sociale di chi,
 condannato  a  pena  detentiva di un certo rilievo (fino a due anni e
 sei mesi o tre anni per  gli  infraventunenni  od  ultrasessantenni),
 avesse dimostrato durante l'osservazione della personalita', condotta
 da  un collegio di esperti nell'istituto penitenziario per almeno tre
 mesi,  di  essere  disponibile   a   collaborare   con   i   preposti
 all'attuazione  della  finalita' rieducativa della pena. In tal caso,
 il condannato veniva ammesso ad espiare la residua pena  in  relativa
 liberta'  e  sotto  il  controllo del servizio sociale, ma sottoposto
 alle prescrizioni di cui agli artt. 5, 6 e 7 della legge,  certamente
 limitative  della  sua  facolta'  di  determinare  la sua condotta in
 assoluta liberta'. Se la disponibilita' del condannato  all'attivita'
 rieducativa del servizio sociale continuava per tutta la durata della
 residua  pena,  questa  si  estingueva  assieme ad ogni altro effetto
 penale.  Entro tali contorni la  fisionomia  dell'istituto  risultava
 ben  chiara: non si trattava di provvedimento premiale o di clemenza,
 ma di un esperimento penitenziario, condotto sotto altre modalita' di
 espiazione, per agevolare ed affrettare il reinserimento sociale  del
 condannato,  consentendogli  di espiare la residua pena in condizioni
 di relativa liberta', e in affidamento al servizio sociale, favorendo
 la disponibilita' alla collaborazione rieducativa, di cui aveva  dato
 prova durante l'osservazione degli esperti, nel corso dell'espiazione
 carceraria.    Si  trattava,  dunque,  di  un  istituto  riservato ai
 condannati che si trovassero in espiazione carceraria  della  pena  e
 che, come tali, potessero essere sottoposto in istituto alla speciale
 osservazione collegiale.  Ma nel corso dei tempi l'istituto ha subito
 cosi'  numerose  ed  importanti modificazioni, da doversi riconoscere
 l'attenuarsi  di  quei  caratteri  originari   con   la   conseguente
 sostanziale trasformazione della sua stessa natura".
    Le  principali  modifiche sono state costituite dalla soppressione
 di alcune preclusioni in relazione a condanne per determinati  reati,
 dalla diminuzione del periodo di osservazione da un mese a tre mesi e
 dall'introduzione  dell'art.  47-  bis  che  ha  previsto una ipotesi
 speciale legata al reinserimento dei tossicodipendenti "ma .. fu  poi
 l'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 633, che riformando ex novo
 l'intero testo dell'art. 47, fini' di compiere l'opera di progressiva
 demolizione  attribuendo alla linea generale dell'istituto una natura
 ibrida e contraddittoria.
    A parte i limiti massimi che venivano unificati per tutti in  anni
 tre,  l'aspetto  saliente  e  decisivo  di  quest'ultima  riforma  e'
 l'intima contraddizione nel carattere  dell'istituto  che  veniva  ad
 instaurarsi  fra  il  primo e secondo comma del nuovo art. 47, da una
 parte, e il terzo e quarto  comma  dall'altra.  I  primi  due  commi,
 infatti,  lasciavano  sostanzialmente  integro l'istituto originario,
 riservato ai detenuti in espiazione carceraria della pena,  sia  pure
 con  la  gia'  vista riduzione ad un mese dell'oservazione collegiale
 della personalita'. Ma i due successivi commi introducevano una nuova
 specie di affidamento,  che  prescinde  del  tutto  dall'osservazione
 collegiale  in  istituto  spostandola invece sul comportamento che il
 condannato ha tenuto nel periodo di liberta' ..".
    Si tratta quindi di una deroga che  fa  dell'affidamento  previsto
 nei  commi terzo e quarto una specie diversa, in quanto esonera dalla
 previa situazione di espiazione carceraria colui  che,  in  liberta',
 abbia   tenuto  un  comportamento  tale  da  consentire  un  giudizio
 prognostico favorevole in termine rieducativi.
    La Corte specifica testualmente:  "la  realta'  e'  che,  come  si
 verifica sostanzialmente nell'affidamento del tossicodipendente, cio'
 che  conta  veramente  e'  il  giudizio  sul  comportamento tenuto in
 liberta'".  La legittimita' dell'istituto non viene  qui  contestata,
 d'altra  parte la Corte gia' si e' pronunciata sul punto dichiarando:
 " .. non sussiste la lamentata lesione del  principio  d'eguaglianza,
 in  quanto  la  previsione  di diversi presupposti per la concessione
 dell'affidamento in prova (valutazione del  comportamento  tenuto  in
 liberta',  da  un lato, osservazione in istituto, dall'altro) assolve
 all'esigenza  di  disciplinare  in  modo  differenziato  le   diverse
 situazioni  (stato  di  liberta'  o  stato di detenzione) in cui puo'
 versare il condannato al momento della presentazione della domanda di
 affidamento in prova; .. non e' irrazionale che il comportamento  del
 condannato  ancora  in  stato di liberta' sia valutato sulla base dei
 comportamenti tenuti  in  liberta'"  (Corte  costituzionale  ord.  n.
 482/1990).
    Cio'   che  in  questa  sede  si  rileva  come  costituzionalmente
 illegittima e' la totale assenza di  disciplina  nel  commisurare  la
 valutazione  circa  la  concedibilita' del beneficio al comportamento
 tenuto in liberta'.  Il "nuovo" e diverso  istituto  dell'affidamento
 in   prova   capovolge   completamente   la  struttura  della  misura
 alternativa prevista dalla legge n. 354/1975.
    Come si e' dianzi evidenziato il fulcro  dell'istituto  nella  sua
 configurazione    originaria   e'   rappresentato   dal   trattamento
 penitenziario e dall'osservazione svolta in istituto mentre nel  caso
 dell'affidamento   in  prova  introdotto  ai  commi  terzo  e  quarto
 dell'art. 47 con la legge n. 633/1986  l'elemento  centrale,  sia  ai
 fini  dell'osservazione  sia  ai fini del trattamento rieducativo, e'
 costituito "dal comportamento tenuto in liberta'".
    Questa differenza di presupposti  di  fatto  si  riflette  in  una
 fondamentale  differenza  di  disciplina.  Invero  la  legge del 1975
 accanto alla previsione normativa dell'istituto  disciplina  in  modo
 organico  il  trattamento  penitenziario  nonche' l'osservazione agli
 artt. 13 e 15 e agli artt. 26, 28 e 29 del regolamento.
    In  dette  norme  sono indicati: a) gli elementi trattamentali; b)
 gli strumenti dell'analisi del detenuto; c)  i  soggetti  qualificati
 per  esaminare tutto il materiale dell'attivita' trattamentale; d) il
 tribunale di sorveglianza che decide su questa documentazione.
    Per l'affidamento in  prova  previsto  al  terzo  e  quarto  comma
 l'unico  riferimento  normativo  e'  rappresentato  dalle espressioni
 "l'affidamento  in  prova  puo'  essere  disposto   senza   procedere
 all'osservazione  in istituto quando il condannato .. ha goduto di un
 periodo di liberta' serbando un comportamento tale da  consentire  il
 giudizio di cui al precedente comma".
    E'   vero   che   lo   stato   di   liberta',  essendo  situazione
 oggettivamente diversa, legittima un  diverso  trattamento,  tuttavia
 non  legittima una totale assenza di disciplina dell'osservazione del
 comportamento del condannato libero.
    Nelle due configurazioni dell'istituto diverse sono le  situazioni
 di  base,  identiche  sono  le  finalita',  uguali  sono  i canoni di
 giudizio, i parametri di valutazione: in entrambi i casi  il  giudice
 deve formulare un giudizio prognostico riguardo alla rieducabilita' e
 al  rischio  di  recidiva, ma, nell'ipotesi del terzo e quarto comma,
 non e' disciplinata  in  alcun  modo  l'analisi,  l'osservazione  del
 comportamento tenuto in liberta'.
    Per   l'art.  47,  primo  e  secondo  comma,  vi  e'  una  precisa
 disciplina,  il  giudice  decide  in  merito  all'istanza  dopo  aver
 acquisito  e  valutato i dati di una penetrante indagine svolta da un
 collegio  di  esperti  che  per  almeno  un  mese  ha  osservato   la
 personalita'  del detenuto ed ha indagato sul contesto sociofamiliare
 di provenienza e di futuro inserimento.
    Nella disciplina introdotta con la legge n. 354 l'istituto assolve
 ad una funzione eminentemente rieducativa della pena (art.  27  della
 Costituzione)  attraverso  idonei  strumenti quali: a) il trattamento
 penitenziario del detenuto  affidato  ad  un  gruppo  di  osservatori
 professionalmente   preparati   (educatori,   psicologi,   assistenti
 sociali, direttore dell'istituto), b) il giudizio formulato sul conto
 del detenuto dal predetto gruppo di osservazione, c) il giudizio  del
 tribunale   fondato  su  elementi  significativi  che  riguardano  la
 personalita' del detenuto e le risposte che costui ha dato nel  corso
 dell'espiazione della pena alle offerte trattamentali.
    Al contrario per l'affidamento in prova previsto al terzo e quarto
 comma   la  decisione  in  merito  all'istanza  ha  come  presupposto
 "l'osservazione  imprescindibile  della  personalita'  del   soggetto
 mentre e' libero".
    L'oggetto  del giudizio che deve essere formulato dal tribunale di
 sorveglianza si sposta su elementi acquisiti del tutto  al  di  fuori
 del circuito penitenziario.
    Il giudizio sul comportamento tenuto in liberta' dal condannato e'
 il presupposto logico per accedere alla seconda fase del giudizio: la
 formulazione  di  una  prognosi favorevole al reinserimento sociale e
 alla mancata reiterazione di comportamenti criminosi.
    Proprio sulla prima fase del giudizio si  fonda  la  sperequazione
 tra i due casi di affidamento in prova.
    E'  evidente che la situazione di liberta' determina la necessita'
 di  apprestare  mezzi  diversi  per  procedere   all'osservanza   del
 comportamento  del  condannato  ma  ad  un  attento  esame del quadro
 normativo non emergono norme che disciplinino detta  osservazione  ed
 in  particolare il tempo, le modalita', gli strumenti, i soggetti che
 devono  effettuare  l'osservazione  del   comportamento   tenuto   in
 liberta'.
    Il legislatore non ha stabilito:
      quale  e'  il  periodo  di  tempo  da  prendere  in  esame  e da
 sottoporre ad osservazioni (questo problema si riscontra  soprattutto
 nel caso in cui non vi sia stato un periodo di custodia cautelare);
      quali  sono  le  modalita'  di  tale osservazione: se ci si deve
 limitare a sottolineare  l'assenza  di  rilievi  negativi,  se  vanno
 cercati  indici  positivi di reinserimento sociale o se devono essere
 richiesti atteggiamenti attivi  volti  per  esempio  a  risarcire  il
 danno;
      quali  sono  gli  strumenti  a  disposizione per l'indagine, dal
 momento che risulta particolarmente problematico controllare su tutto
 il territorio nazionale il comportamento del soggetto condannato;
      quali sono i soggetti preposti all'osservazione? Solitamente  si
 tratta  di  agenti di p.g. della zona di residenza dell'interessato e
 talvolta assistenti sociali del C.S.S.A.
    Tali lacune del sistema normativo nel prevedere  l'affidamento  in
 prova  direttamente  dalla liberta' appaiono particolarmente evidenti
 in casi come quello che oggi e' all'esame del tribunale.
    Nei casi in cui il tipo di reato richiede  una  piu'  approfondita
 indagine  psicologica  ed  un  piu'  approfondito  accertamento circa
 l'abbandono   di   scelte   devianti,   l'istituto   dell'affidamento
 direttamente dalla liberta' manifesta le maggiori lacune.
    In tale casi i maggiori approfondimenti istruttori si hanno con la
 lettura  della  sentenza  che peraltro attesta una situazione storica
 passata mentre non affronta,  chiaramente,  un  problema  prognostico
 relativo alla personalita' del soggetto.
    Le  carenze  istruttorie  si  evidenziano  nel  momento, in cui si
 tratta di valutare l'evoluzione della personalita'  del  soggetto  in
 relazione alla condotta serbata in liberta'.
    Non  vi  e' dubbio che l'eventuale periodo di liberta' costituisce
 un valido "banco di prova" per il condannato che intenda  reinserirsi
 fattivamente nel tessuto sociale.
    Peraltro difficilmente l'indagine del Tribunale riesce a spingersi
 oltre   al   semplice   dato  di  fatto  costituito  dall'assenza  di
 reiterazione di condotte criminose.
    Il tribunale si chiede se di fronte a reati cosi'  gravi  come  la
 violenza carnale sui minori il giudizio possa fondarsi sulla semplice
 assenza  di rilievi negativi o se debbano invece emergere documentati
 indici positivi di reinserimento e di abbandono di scelte devianti.
    Non si possono non evidenziare, quindi,  i  limiti  e  le  carenze
 dell'osservazione   sul   comportamento   tenuto   in   liberta'  dal
 condannato.
    In particolare con riferimento alle informazioni  acquisite  dagli
 organi  di  polizia  risulta  assai  difficile  delineare  un  quadro
 sufficientemente certo sullo stile  di  vita  condotto  dal  soggetto
 successivamente   alla   commissione  del  reato  ed  alla  eventuale
 scarcerazione dalla custodia cautelare. Nell'esperienza si  e'  avuto
 modo  di  rilevare  l'insufficienza  delle  informazioni  fornite dai
 predetti organi di polizia, informazioni che  spesso  si  riducono  a
 mere  formule  di  stile all'incirca di questo tenore: "Dagli atti di
 questo  ufficio  risulta  che il soggetto successivamente al commesso
 reato abbia serbato regolare condotta  non  incorrendo  ulteriormente
 nei rigori della legge".
    D'altra parte non si puo' fondatamente muovere alcun addebito agli
 organi  di  polizia  chiamati  a  riferire elementi significativi sul
 conto di persone che dopo la scarcerazione conducono una esistenza al
 di fuori di qualsiasi controllo.
    Del pari l'indagine socio familiare, pur  offrendo  un  quadro  di
 massima sul contesto familiare e ambientale, non consente, da un lato
 di approfondire un profilo psicologico del soggetto dall'altro, per i
 limiti  connessi  alla figura e alla funzione dell'assistente sociale
 incaricato   di   acquistare   elementi   significativi   in    punto
 pericolosita' sociale e rischio di recidiva.
    Alla  luce  della  scarsa  significativita'  degli  elementi cosi'
 acquisiti al termine dell'istruttoria e' difficile se non addirittura
 impossibile formulare un giudizio prognostico.
    E' opportuno evidenziare a questo proposito il diverso  ruolo  che
 svolge  il  tribunale  di sorveglianza nei due casi di affidamento in
 prova e il diverso  fondamento  che  puo'  avere  il  giudizio  sulla
 meritevolezza del beneficio. Invero il tribunale chiamato a giudicare
 su  elementi  spesso  scarsamente  significativi  e  su  informazioni
 talvolta superficiali  risulta  del  tutto  delegittimato  nella  sua
 delicata  funzione.  Se  si  pone a confronto la disciplina precisa e
 rigorosa, fondata su basi scientifiche che prelude  alla  concessione
 dell'affidamento  in prova secondo la normativa stabilita dalla legge
 del 1975 con la disciplina prevista per l'ipotesi di cui al  terzo  e
 quarto comma non si puo' non evidenziare la profonda differenza nella
 posizione   che  viene  ad  assumere  il  tribunale  di  fronte  alla
 decisione.
    Orbene l'avere previsto che un organo giudicante composto  da  due
 magistrati  ordinari  e  da  due esperti in psicologia e criminologia
 debbano formulare un  giudizio  su  di  una  persona  condannata  per
 violenza carnale ad anni quattro e mesi sei di reclusione, sulla base
 di  una  certificazione di nuona condotta rilasciata da un assistente
 sociale o da una agente di P.S. significa delegittimare il  tribunale
 di sorveglianza nelle sue funzioni di organo giudicante.
    Il  tribunale  non  ha  modo  di  conoscere  il  condannato se non
 attraverso la  scarna  documentazione  precedentemente  descritta,  e
 spesso,  come  nel  caso  in  esame, il condannato non si presenta in
 udienza rendendo  impossibile  in  tal  modo  anche  una  valutazione
 diretta da parte degli esperti e del tribunale nel suo complesso.
    Il   legislatore   con  la  riforma  dell'anno  1975  ha  ritenuto
 necessario ed opportuno che una parte delle pene detentive  messe  in
 esecuzione fossero espiate in carcere, ed una parte in liberta' ed ha
 cosi'   istituito   le   misure   alternative  della  semiliberta'  e
 dell'affidamente  in  prova  al  servizio  sociale.  Il  compito   di
 stabilire  se  il soggetto sia meritevole o meno di detti benefici e'
 affidato ad un organo collegiale di cui fanno parte, a ragion veduta,
 una psicologo ed un criminologo.
    Il tribunale cosi' composto esercita le  sue  funzioni  di  organo
 giudicante  in  modo  appropriato e consono alla sua natura in quanto
 analizza una serie di elementi:
      a) una relazione psicologica del condannato;
      b)  una  relazione  comportamentale  con  riferimento al periodo
 prima, durante e dopo il delitto;
      c) le  sue  risposte  alle  attivita'  trattamentali  realizzate
 durante la detenzione;
      d) la condotta durante la fruizione di permessi premiali;
      e) la relazione socio-familiare.
    I  quattro  giudici possono pertanto esprimere al massimo grado la
 loro professionalita' nella disamina, nel confronto  nell'analisi  di
 questo significativo materiale probatorio.
    Per  conto  questo  quadro normativo si e' notevolmente modificato
 con l'introduzione dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale
 senza  osservazione  in  istituto.   Invero il tribunale, di fronte a
 casi di notevole gravita' e di rilevante allarme  sociale,  si  trova
 del  tutto sprovvisto di elementi per valutare da un lato il percorso
 risocializzante gia' compiuto in liberta' dal condannato e dall'altro
 lato per formulare una prognosi di non recidivita'.
    Le lacune sopra evidenziate paiono ancora piu' evidenti sol che si
 ponga a  confronto  l'istituto  previsto  al  terzo  e  quarto  comma
 dell'art.  47  ord.  pen.  con altri casi in cui il legislatore si e'
 posto il problema di valutare il comportamento tenuto in liberta'  da
 parte  di  una  persona  condannata,  casi  in cui sono state dettate
 regole  ben  precise.    Si  consideri  per  esempio  la  dettagliata
 disciplina  della  riabilitazione la dove il legislatore all'art. 179
 C.P., la cui rubrica recita "condizioni per  la  riabilitazione",  ha
 dettato una disciplina precisa sul termine, sulla sua decorrenza, sul
 requisito  della  buona condotta, sulla presenza di elementi positivi
 quali l'adempimento delle obbligazioni civili  derivanti  dal  reato,
 sull'assenza  di  elementi  negativi quali l'attuale sottoposizione a
 misure di sicurezza.
    E'  altresi'  da  sottolineare  il  fatto  che  l'istituto   della
 riabilitazione  presuppone  che la pena sia gia' stata scontata e che
 il soggetto abbia gia' saldato il  suo  debito  nei  confronti  dello
 Stato  e  della  collettivita'. A maggior ragione ci si chiede se non
 dovrebbe essere disciplinata l'osservazione del comportamento  tenuto
 in  liberta'  nel  caso  in cui si tratti di dover ancora espiare una
 pena spesso relativa a reati di notevole gravita' come nel caso  oggi
 all'esame   del  Tribunale.    Si  consideri,  ancora,  l'ipotesi  di
 affidamento in prova di cui all'art. 47- bis O.P. In virtu'  di  tale
 disposizione  i  soggetti  tossicodipendenti  o  alcooldipendenti che
 abbiano in  corso  un  programma  di  recupero  presso  le  strutture
 sanitarie  e le comunita' terapeutiche possono ottenere l'affidamento
 in prova senza tornare in carcere.
    Con questa opportunita'  si  da'  rilievo  e  significato  ad  una
 attivita' trattamentale compiuta al di fuori del carcere per soggetti
 liberi   da   personale   professionalmente  qualificato,  dotato  di
 strutture  idonee  e  che  si  avvale  di  metodo   scientifico.   Il
 presupposto  fondamentale  di tale istituto e' pertanto costituito da
 una documentata e valida opera trattamentale  compiuta  da  strutture
 pubbliche (USSL) ovvero da comunita' terapeutiche.  In queste ipotesi
 gli  elementi su cui il tribunale e' chiamato a pronunciarsi assumono
 un contenuto decisamente piu' pregnante.   Diversamente  nell'ipotesi
 dell'affidamento  in  prova  disciplinato  al  terzo  e  quarto comma
 dell'art. 47 non e' prevista alcuna forma di trattamento al di  fuori
 del carcere nei confronti del condannato libero.
    Per queste ragioni si rileva una disparita' di trattamento tra chi
 richiede  il beneficio assendo in carcere e chi richiede il beneficio
 essendo in liberta'.  Questi dati indicano con  chiarezza  l'esigenza
 di un intervento del legislatore per controllare un tale fenomeno che
 ha  una  grande  influenza  sull'intero sistema sanzionatorio e sulla
 funzione stessa del sistema penale.   D'altra parte la  stessa  Corte
 costituzionale nella gia' citata sentenza n. 569 del 1989 ha concluso
 dicendo:  "vedra'  poi  il  legislatore se non sia opportuno a questo
 punto dare all'intera normativa un coordinamento piu' sistematico".
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  11  maggio
 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata con riferimento
 all'art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione  la   questione   di
 costituzionalita'  dell'art. 47, terzo e quarto comma, nella parte in
 cui non viene disciplinata l'osservazione del  comportamento  serbato
 in liberta' dal condannato;
    Sospende  il  presente  giudizio e ordina l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  venga
 notificata  all'interessato,  alla  Procura  generale  di Torino e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  del
 Senato e della Camera dei deputati della Repubblica.
     Torino, cosi' deciso in data 2 marzo 1993
                        Il presidente: FORNACE

 93C1077