N. 644 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 agosto 1993
N. 644 Ordinanza emessa il 10 agosto 1993 dal tribunale di Bergamo sull'istanza proposta da Hakimi El Kbir Liberta' personale - Cittadino extracomunitario sottoposto a custodia cautelare - Possibilita', su propria determinazione, di chiedere, in alternativa, l'espulsione dallo Stato italiano - Irragionevole, immotivata disparita' di trattamento rispetto al cittadino italiano in materia di esecuzione di misure cautelari. (Legge 28 febbraio 1990, n. 39, art. 7, commi 12-bis e 12-ter, aggiunto dal d.l. 14 giugno 1993, n. 187, art. 8). (Cost., art. 3).(GU n.44 del 27-10-1993 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'istanza di Hakimi Elkbir, nato a Fqui Ben Salah (Marocco) il 29 gennaio 1961, attualmente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, avanzata ai sensi dell'art. 7, commi 12-bis e 12-ter della legge 28 febbraio 1990, n. 39, cosi' come aggiunti dell'art. 8 del d.l. 14 giugno 1993, n. 187. Hakimi Elkbir e' sato condannato con sentenza di primo grado (non definitiva) di questo tribunale in data 16 giugno 1993, alla pena di anni nove di reclusione per i reati di ratto a fine di libidine, violenza carnale ed atti di libidine, commessi in concorso con altri due connazionali. In data 20 giugno 1993 l'imputato, attualmente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, presentava istanza di espulsione ai sensi dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1990, n. 39, cosi' come modificato dal decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187. Esperiti gli accertamenti di rito previsti da tale norma (in data 2 luglio 1993 la difesa produceva passaporto in corso di validita'), il tribunale, sentito il pubblico ministero (nessun intervento e' stato proposto dalla parte civile), ritiene di dover sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della norma predetta, per palese irragionevolezza, nella parte in cui imponga al giudice procedente, su richiesta dello straniero o del suo difensore, e fatta salva la sussistenza delle esigenze e delle ragioni ivi indi- cate, di disporre l'immediata espulsione nello Stato di appartenenza o di provenienza dello straniero sottoposto a misura cautelare per reati diversi da quelli di cui all'art. 275, terzo comma, del c.p.p. La questione e' rilevante nel caso di specie, posto che i reati per i quali l'imputato Hakimi Elkbir e' stato condannato in primo grado non sono ricompresi nella disposizione della predetta norma. Va in via preliminare ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza in data 3 giugno 1983, n. 148, ha affermato la possibilita', per il giudice a quo, di sollevare questione di legittimita' costituzionale anche delle norme penali di favore; il fatto che tali norme, se di natura sostanziale (sul punto si veda infra per il caso di specie), debbano comunque essere applicate, non implica che la questione di legittimita' delle stesse sia irrilevante, posto che intendere la rilevanza come pregiudizialita' rispetto all'esito concreto del giudizio a quo comporterebbe come conseguenza la pratica inibizione del sindacato da parte della Corte e la creazione di zone "franche" nell'ordinamento del tutto impreviste dalla Costituzione. La Corte ha quindi affermato che ad essa spetta il controllo di legittimita' costituzionale di tutte le norme dell'ordinamento, ed anche delle norme penali di favore, in quanto parte integrante dell'ordinamento giuridico, mentre e' compito del giudice rimettente, in sede interpretativa, decidere quale sia la reazione del sisema all'annullamento di tale tipo di norme. La valutazione della posizione dello straniero, per come risulta dalla lettera della legge in questione, appare arbitraria e non sorretta da criteri logici e razionali, il che e' sufficiente per affermare che la norma urta con il principio di uguaglianza enunciato nell'art. 3 della Costituzione, il quale sostanziamente afferma che tutti i soggetti sono posti in posizione di perfetta uguaglianza, per quanto riguarda la qualita' e lo status (nella specie, di imputato sottoposto alla misura cautelare) e che soltanto differenze di capacita' possono creare diseguaglianze. Gia' la Corte costituzionale, con la sentenza in data 15 novembre 1967, n. 120, ha affermato che, se e' vero che l'art. 3 della Costituzione si riferisca espressamente ai soli cittadini, e' anche vero che il principio di uguaglianza vale pure per lo straniero, quando trattasi di rispettare i diritti fondamentali di cui all'art. 2 della Costituzione. Il predetto principio di uguaglianza, pero', non puo' non valere anche quando, come nel caso di specie, agli stranieri sia concesso un trattamento privilegiato, come sopra ricordato. Il concetto di uguaglianza, si e' sostenuto in dottrina, suppone una duplice relazione: si e' uguali a qualcuno od a qualcosa per qualcosa (l'elemento cioe' rispetto al quale si e' uguali). Ma essere uguali quanto all'uguaglianza non ha significato. In assenza, pertanto, di una motivata differenza di status, di qualita' o di capacita', appare evidente il contrasto con il disposto dell'art. 3 della Costituzione. Del tutto irragionevole ed immotivata risulta la disparita' di trattamento del cittadino italiano rispetto allo straniero, in materia di esecuzione della custodia cautelare in carcere. La norma in esame di fatto attribuisce una particolare condizione di privilegio allo straniero sottoposto a custodia cautelare, permettendo che lo stesso, con propria determinazione, possa sottrarsi al regime cautelare carcerario, chiedendo in alternativa di essere espulso dallo Stato. Ma se il fine della misura cautelare e' quello di assicurare esigenze cautelari (nella specie, quelle di tutela della collettivita', legate al pericolo concreto di reiterazione della condotta delittuosa, pericolo ancorato alle modalita' di condotta delittuosa, pericolo ancorato alle modalita' di esecuzione dei reati per i quali l'imputato e' gia' stato condannato in primo grado), non si vede come possa supplire tale misura quella della espulsione che, proprio per sua natura, e' legata alla pericolosita' sociale dell'individuo. All'uopo e' opportuno precisare che la norma in questione, per quanto oggi ci riguarda, e dunque con riferimento alla posizione di colui che si trova in stato di custodia cautelare, e' di natura processuale e non sostanziale. Essa, infatti, non disciplina la esecuzione della pena, la sua entita' afflittiva e la finalita' rieducativa cui questa deve tendere, ma deroga - irragionevolmente - alla disciplina delle misure cautelari che attengono a finalita' preventive (reiterazione e fuga) e probatorie, e quindi nel complesso a cautele di carattere processuale, restringendone - arbitrariamente - la portata. Proprio in quanto tale, una eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma stessa non urterebbe con il divieto di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui afferma che nessuno puo' subire un trattamento deteriore in forza di una legge posteriore. E' infatti apodittico affermare che ogni norma che spiega i suoi effetti anche sulle liberta' personale e' di natura sostanziale e quindi con efficacia irretroattiva. Per esempio, la cassazione a sezioni unite (cass. 18 aprile 1992 n. 8), ritenendo legittimo il provvedimento della Corte d'assise di Palermo che aveva disposto il ripristino della custodia cautelare in carcere a carico di un imputato, a seguito dell'entrata in vigore del d.l. 9 settembre 1991, n. 292 (che modificando l'art. 275 del c.p.p., ha imposto obbligatoriamente la custodia cautelare per determinati reati), ha infatti implicitamente affermato la retroattivita' di una norma processuale attinente alla liberta' personale. La norma in oggetto, inoltre, in primo luogo, nelle more del procedimento, pregiudica inevitabilmente le esigenze di carattere cautelare e, massime, quelle attinenti al concreto pericolo di fuga e di reiterazione. In secondo luogo, a sentenza divenuta definitiva ed attivato il procedimento di estradizione, rende meno agevole lo stesso, in quanto, come gia' la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 120/1967, aveva fatto notare, diversa e' la posizione dello straniero rispetto a quella del cittadino. "Quest'ultimo puo', e' vero, rendersi latitante o recarsi all'estero, se non ne viene legittimamente impedito, ma resta sempre soggetto alla sovranita' dello Stato, alla osservanza delle sue leggi ed ai mezzi di coercizione che le leggi consentono, mentre lo straniero puo' abbandonare il paese dove ha commesso il reato e non sempre e non facilmente se ne puo' ottenere l'estradizione" (in tale occasione la Corte, giudicando sulla legittimita' costituzionale dell'art. 139 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, aveva escluso che la imposizione della particolare misura di salvaguardia disposta dalla norma a carico dello straniero, costituisse una illegittima discriminazione per lo straniero medesimo). Sotto questa prospettiva, essendo immutate le circostanze di fatto che la stessa Corte costituzionale poneva a base del suo iter logico argomentativo, ritiene il Tribunale che il trattamento di favore che la norma deferita riserva allo straniero urti palesemente contro il principio di uguaglianza che impone di valutare allo stesso modo identiche situazioni. Tale violazione appare tanto piu' rilevante ove si ponga mente all'ampia gamma di gravi ipotesi delittuose, per le quali lo straniero e' autorizzato a sottrarsi volontariamente alla misura cautelare della custodia in carcere, giacche' unico limite per la normativa in questione e' quello fissato per i delitti indicati nell'art. 275, terzo comma, del c.p.p. D'altra parte non puo' certo sostenersi ragionevolmente che il principio di uguaglianza sia stato soddisfatto dalle limitazioni imposte al rilascio dello straniero assoggettato alla custodia in carcere, individuate dalla norma in esame nelle "inderogabili esigenze processuali" ovvero nelle "gravi ragioni personali di salute o gravi pericoli per la sicurezza e l'incolumita' in conseguenza di eventi bellici o di epidemie". Tali preclusioni infatti - fondate sull'esigenza di assicurare il regolare prosieguo dell'iter processuale e sulla necessita' di salvaguardare l'incolumita' fisica dello straniero da espellere - non sono informate al principio di eguaglianza e non giustificano il differente (e piu' favorevole) regime che si stabilisce per il solo straniero sottoposto alla custodia cautelare. In ragione di quanto sopra, non potendo il giudizio essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni prospettate, ad avviso del Tribunale rilevanti e non manifestamente infondate, e' necessario disporre l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, dichiarando, nelle more, la sospensione del giudizio in corso.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge n. 87/1953; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dichiara la sospensione del procedimento di espulsione nello Stato di appartenenza o di provenienza, instaurato a richiesta di Hakimi Elkbir, nato a Fqui Ben Salah (Marocco) il 29 gennaio 1961, attualmente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, ai sensi dell'art. 7, commi 12- bis e 12- ter della legge 28 febbraio 1990, n. 39, cosi' come aggiunti dall'art. 8 del d.l. 14 giugno 1993, n. 187; Manda alla cancelleria per la notificazione del presente provvedimento al richiedente Hakimi Elkbir, ai suoi difensori, alla parte civile gia' costituita, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bergamo, addi' 10 agosto 1993 Il presidente: GRASSO I giudici: RIZZARDI - DI VITA 93C1079