N. 665 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio - 6 ottobre 1993
N. 665 Ordinanza emessa il 17 febbraio 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 6 ottobre 1993) dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da S.p.a. Societa' italiana lavori, in amministrazione straordinaria, ed altre contro Grain Authority for Grain-Cereals della Jamahiria araba popolare socialista libica G.A.L.P.S. Procedimento civile - Sequesto - Sequestro anteriore alla causa - Procedimento per la convalida - Onere per il sequestrante di notificare il decreto al sequestato nel termine di quindici giorni da quello del compimento del primo atto di esecuzione - Prevista perdita di efficacia del sequestro in caso di inadempimento - Impossibilita' di osservare tale termine nell'ipotesi in cui le controparti non siano domiciliate ne residenti in Italia (nella specie in Libia) dovendosi seguire nel caso la complessa procedura stabilita dal codice di rito - Irragionevole equiparazione di situazioni diverse (notifiche da eseguirsi in Italia e notifiche all'estero) con incidenza sul diritto di difesa. (C.P.C., artt. 142, terzo comma, comb. disp., 143, terzo comma, e 680, primo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.46 del 10-11-1993 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dalla Societa' italiana lavori S.p.a., in amministrazione straordinaria con sede in Roma, in persona del commissario straordinario in carica; Wadi Aril Development Venture, con sede in Ginevra, Joint Venture tra detta Societa' e la Food Development Corporation, con sede in Pasco Washington U.S.A., in persona del presidente in carica, elettivamente domiciliate in Roma, via Principessa Clotilde, 2 c/o l'avv. Francesco Maria Zappala', che la rapp.ta e difende per delega a margine del ricorso, ricorrente C/Grain Authority For Grain-Cereals della Jamahiria araba popolare socialista libica G.A.L.P.S., in persona del direttore generale Abdullah El Giami, elettivamente domiciliata in Roma, via Monte Santo, 25 c/o l'avv. Ettore Paparazzo che la rapp.ta e difende, giusta procura speciale n. 3751/88 del 16 novembre 1988 del redattore notarile Ali Milud Kides del tribunale di Tripoli, residente e contro la Banca nazionale del lavoro, intimata avverso la sentenza n. 625 della Corte di appello di Roma depositata il 1 marzo 1988; Udita la relazione svolta dal Cons. Sgroi; Udito per il ricorrente l'avv.to Zappala'; Udito per il resistente l'avv.to Paparazzo e l'avv. De Angelis; Udito il p.m. dott. Antonio Martone che ha concluso chiedendo non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 680 del c.p.c. in relazione all'art. 142 del c.p.c., per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui assegnando il termine di 15 giorni per la notifica del decreto di sequestro anche per i residenti all'estero, rende estremamente difficile il diritto di azione del giudizio in sede cautelare, accoglimento del ric. incid. SOLGIMENTO DEL PROCESSO La societa' italiana lavori (I.T.L. S.p.a.) in data 12 settembre 1983 otteneva dal Presidente del tribunale di Roma un decreto di sequestro conservativo ante causam contro il Council for land recla- mation and reconstruction, con sede in Libia, fino alla concorrenza di dollari U.S.A. 1.626.768, in riferimento ad un contratto di appalto concernente la realizzazione di pozzi di irrigazione in Libia, da parte della joint venture I.T.L. - Wadi Aril. La I.T.L. sottoponeva a sequestro presso terzi, in data 16 settembre 1983, le somme dovute dalla Banca nazionale del lavoro al Council for lan reclamation and reconstruction, citandoli a comparire davanti al pretore di Roma per la prescritta dichiarazione di tero. In data 1 ottobre 1983 la I.T.L. otteneva dal presidente del tribunale di Roma un ulteriore decreto di sequestro conservativo ante causam, fino alla concorrenza di dollari U.S.A. 6.216.142 e, con atto 5 ottobre 1983, sottoponeva a sequestro conservativo presso terzi le somme che la Banca nazionale del lavoro doveva al Council. La B.N.L., davanti al pretore, sollecitava l'immediato giudizio di accertamento negativo dei propri pretesi obblighi nei confronti del debitore, ed il pretore rimetteva le parti davanti al tribunale di Roma; la B.N.L. provvedeva alla riassunzione del giudizio di immediato accertamento dell'obbligo del terzo, convenendo dinanzi al tribunale di Roma la organizzazione di produzione del Grano (Cereali) della Giammahiriha araba libica popolare socialista, quale ente nel frattempo subentrato al Council, nonche' la Wadi Aril development venture e la I.T.L. Intanto, con atti del 1 e 20 ottobre 1983, la S.p.a. Italiana lavori, premesso che i provvedimenti di sequestro erano stati eseguiti e che per il giudizio di merito era competente un collegio arbitrale da costituirsi a Parigi, conveniva dinanzi al tribunale di Roma il Council for land reclamation and reconstruction e la Wadi Aril development venture per sentir convalidare il sequestro. In entrambi i giudizi si costituiva l'organizzazione per la produzione del grano e cereali della Giammahirya araba libica popolare socialista, la quale eccepiva l'inefficacia dei sequestri conservativi, perche' non eseguiti nei trenta giorni dalla loro concessione e non seguiti dalla notifica degli atti previsti dall'art. 680 c.p.c. nel termine di quindici giorni; il difetto di letittimazione della societa' attrice e l'inesistenza del credito vantato; il difetto di giurisdizione dell'autorita' giudiziaria italiana; l'inesistenza di qualsiasi debito della B.N.L. verso il council. All'udienza del 16 ottobre 1984 si costituiva la Wadi Aril devel- opment venture, la quale dichiarava di far proprie tutte le domande proposte dalla I.T.L. Le tre cause venivano riunite e, con sentenza 25 gennaio 1985, il tribunale di Roma, affermata la giurisdizione del giudice italiano, dichiarava l'inefficacia dei due sequestri (dopo aver pero' affermato il rispetto del termine di 30 giorni di cui all'art. 675 del c.p.c.) sotto il profilo dell'inosservanza del termine di 15 giorni di cui all'art. 680 c.p.c. in quanto, nella specie i decreti presidenziali di sequestro erano stati notificati ai sensi dell'art. 142 del c.p.c. e 30 del d.P.R. 5 gennaio 1967 n. 200 unitamente alla citazione per convalida, oltre quel termine; rigettava, per difetto di interesse, la domanda di accertamento dell'obbligo del terzo B.N.L. Su appello delle parti soccombenti, la Corte di appello di Roma, con sentenza 1 marzo 1988 rigettava le impuganzioni, osservando: che con la modifica degli artt. 142 e 143 del c.p.c., per effetto della legge n. 42/1981, qualora siano applicabili le norme delle convenzioni internazionali o della legge consolare, si prescinde dalle formalita' previste dai primi due commi dell'art. 142 e la notificazione si perfeziona, sia per il richiedente che per il destinatario dell'atto, nel momento della consegna effettiva o, comunque, della sua conoscibilita'; che non poteva essere accolto neppure l'appello della B.N.L., perche' l'art. 678 del c.p.c. e' dettato in funzione della natura giuridica dell'adozione di mero accertamento dell'azione proposta dal terzo sequestrato, per cui l'interesse ad agire presuppone la sussistenza di una situazione di incertezza, concreta ed attuale, suscettibile di recare pregiudizio alla certezza dei rapporti, che, nell'ipotesi di sequestro, va individuata in quella che consegue alla pretesa del creditore di vincolare a garanzia dei propri crediti le somme di denaro che il terzo e' obbligato a pagare in forza di rapporti preesistenti al suo debito, qualora tale pretesa sia contestata dal terzo sequestrato; che il giudice deve esaminare, innanzi tutto, le questioni rela- tive all'efficacia del sequestro; poi deve accertare se ed in quale misura esiste il credito sottoposto al sequestro; che il terzo non puo' chiedere che l'accertamento negativo venga compiuto in via del tutto autonoma svincolato da ogni rapporto con le questioni relative alla convalida, dal momento che la situazione di incertezza che si intende rimuovere coincide col vincolo di indisponibilita' che consegue ad una misura cautelare efficace e suscettibile di convalida; ne' il giudice puo' esercitare la facolta' di separazione delle cause, in quanto l'art. 279, n. 5 del c.p.c. la consente unicamente nell'impotesi di litisconsorzio facoltativo e di pluralita' di domande proposte contro la stessa parte; situazioni non comparabili con la fattispecie regolata dall'art. 678 del c.p.c., per cui il giudice non potra' mai separare le cause riunite e decidere preliminarmente sulla sussistenza dell'obbligo del terzo, ma e' tenuto a subordinare l'accertamento dell'obbligo del terzo all'esito del giudizio sulla convalida e sul merito. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la Societa' italiana lavori in amministrazione straordinaria e la Food developmen corporartion con sede in U.S.A., nonche' la Wadi Aril development venture (joint venture fra dette societa') (n. 7149/1988) e la Banca nazionale del lavoro (n. 8211/1988). Le ricorrenti hanno depositato memorie. La grain authority for grain della Jammairia araba popolare socialista libica ha partecipato alla discussione orale. MOTIVI DELLA DECISIONE Con separata sentenza e' stato deciso il ricorso incidentale della B.N.L., mediante pronuncia di accoglimento e rinvio. Col ricorso principale si denuncia - col primo motivo - violazione e falsa applicazione degli artt. 142 e 143 del c.p.c., in relazione all'art. 680 del c.p.c. e dell'art. 30 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, nonche' insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, n. 3 e n. 5 del c.p.c.), lamentando che la soluzione adottata dalla Corte d'appello, secondo cui il sequestro perde efficacia se entro quindici giorni dal compimento del primo atto di esecuzione non sia stato portato a conoscenza della controparte, significa sancire l'impossibilita' pratica di ottenere misure cautelari nei confronti di controparti non domiciliate ne' residenti nella Repubblica. Secondo l'art. 30 del d.P.R. n. 200/1967, l'autorita' consolare provvede, direttamente o tramite le autorita' locali, in conformita' alle convenzioni internazionali ed alle leggi dello stato di residenza, alla notificazione degli atti ad essa rimessi. Nella spe- cie, dalla copia dell'atto ricevuto della grain authority, risulta che nella Repubblica libica le notificazioni devono essere richieste tramite le autorita' locali, le quali hanno la facolta' di produrre la vanificazione di un provvedimento giurisdizionale. Laddove un termine sia prefissato a pena di decadenza, cio' che deve essere considerato come rilevante non puo' essere altro che l'attivita' costituente onere per la parte interessata, mentre non le si puo' far carico delle attivita' che sfuggono alle proprie concrete possibilita' di diligenza. La possibilita' di fare ricorso all'art. 151 c.p.c. (telegramma collazionato mediante avviso di ricevimento) non e' praticabile. Col secondo motivo, si solleva eccezione di incostituzionalita' degli artt. 142 e 142 del c.p.c., in relazione all'art. 680 del c.p.c. ed all'art. 24 della Costituzione, osservando che, seguendo l'interpretazione dei giudici di merito, si verserebbe in palese violazione del diritto di difesa, perche' la predeterminazione di un termine talmente ristretto, la cui mancata osservanza produce l'inefficacia dei sequestro, costituisce un'impossiblita' di far valere un proprio diritto. Il collegio osserva che il primo motivo appare infondato (salvo che nell'ultimo rilievo, di cui si dira') perche' occorre valutare la perfezione della notifica, cosi' come e' stata di fatto eseguita, e cioe' applicando la legge consolare, a cui rinvia il terzo comma dell'art. 142 del c.p.c., aggiunto dalla legge 6 febbraio 1981, n. 42. Non appare dubbio che tale norma era applicabile perche' essa si deve interpretare nel senso che la possibilita' a cui essa fa riferimento, per privilegiarne l'applicazione in luogo della notifica ai sensi del primo e del secondo comma, e' una mera possibilita' "di fatto" e la circostanza che (almeno una) notifica sia stata eseguita, significa che, in Libia, e' possibile tale forma di notifica. Altra questione (vedi infra) e' quella del termine in cui detta notifica puo' essere eseguita, che atterrebbe alla possibilita' giuridica di assicurarne gli effetti conservativi di un diritto soggetto a decadenza; ma cio' con comporta impossiblita' di fatto di applicare il citato terzo comma. Di conseguenza, poiche' l'art. 30 della legge consolare si riferisce alla comune nozione di notificazione deriva che di essa fa parte integrante l'arrivo dell'atto nella sfera di conoscibilita' del notificato, e che i termini di decandenza sono rispettati soltanto con tale adempimento, (nella specie pacificamente, compiuto oltre il quindicesimo giorno di cui all'art. 680 del c.p.c., sancito a pena di inefficacia dall'art. 683 del c.p.c.). Esiste in proposito una differenza con il caso in cui la notifica possa essere eseguita a norma del del primo e del secondo comma dell'art. 142, a cui si applica l'art. 143 terzo comma, come sostituito dalla legge 6 febbraio 1981 n. 42. Invero, in tal caso, secondo la giurisprudenza prevalente (v. Cass. 28 giugno 1988 n. 4365) la vocatio di venti giorni dal compimento delle formalita' prescritte per la notifica ex art. 143 del c.p.c., porta ad escludere che il destinatario dell'atto possa ricevere alcun pregiudizio prima della scadenza di detto termine, ma non incide sulla durata dei termini perentori stabilita dalla legge o dal giudice, sicche' nei confronti dell'istante la notifica si perfeziona e produce i suoi effetti, compresi quelli impeditivi della decadenza, col compimento delle indicate prescritte formalita'. Ma - si ripete - nella specie non si tratta di notifica eseguita ai sensi dell'art. 142 primo e secondo comma, ma ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, di guisa che la rilevanza del problema di costituzionalita' di cui infra permane, perche' l'alternativa che si pone e' la seguente: a) o il terzo comma dell'art. 142 va letto nella sua dizione attuale ed in tal caso, in rapporto con l'attuale art. 680 c.p.c., il ricorso dovrebbe essere rigettato; b) o e' possibile espungere (a seguito dell'auspicata dichiarazione di incostituzionalita' del combinato disposto delle due norme) l'operativita' del termine perentorio di 15 giorni, in quanto lesivo del diritto di difesa e del principio di eguaglianza, ed allora il ricorso dovrebbe essere accolto. Assolto, in tal guisa, l'obbligo di gistificare la rilevanza della questione, per quanto attiene alla sua non manifesta infondatezza giova richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale sul problema, quale risulta riassunta dalla Corte costituzionale del 24 novembre 1992 n. 471. I diritti della difesa, nei quali va rimompreso anche il diritto al giudizio, si traducono in concrete e specifiche situazioni giuridiche soggettive soltanto a seguito della loro articolazione in diritti e pretese attinenti al processo o, piu' precisamente, soltanto in conseguenza della disciplina legislativa delle attivita' e dei procedimenti connessi con l'esercizio della giurisdizione. L'effettiva garanzia dei diritti di difesa riposa sull'esercizio, non irragionevole, dell'ampia potesta' discrezionale che il legislatore possiede in relazione all'opera di conformazione del processo. Il legislatore puo' legittimamente imporre all'esercizio di facolta' e di poteri processuali limitazioni temporali immutabili ed irrervesibili, per il fatto che i termini perentori, cui sono connaturati i caratteri dell'improrogabilita' e dell'insanabilita', tendono a garantire oltre alla fondamentale esigenza di giustizia relativa alla celerita' o alla speditezza dei processi, un'effettiva parita' dei diritti delle parti mediante il contemperamento dell'esercizio dei rispettivi diritti di difesa. Sulla base di tali premesse, non puo' non convernirsi sulla legittimita' costituzionale della norma dell'art. 680 del c.p.c., nel punto in cui (a pena di decadenza, comminata sub specie di inefficacia ex art. 683 del c.p.c.) dispone che il sequestrante, nel termine di 15 giorni da quello in cui e' stato compiuto il primo atto di esecuzione,deve provvedere alle notifiche di cui al primo ed al secondo comma dello stesso art. 680, tutte le volte in cui sia ragionevole opinare che, in quel termine, la notifica degli atti ivi indicati possa essere compiuta. Il termine, infatti, e' sufficientemente ampio per ritenere che un notificante diligente possa rispettarlo, per tutti i casi previsti dagli art. 137 e seguenti del c.p.c., ivi compreso quello di cui all'art. 143, se si adotta l'orientamento secondo cui il termine di 20 giorni (che di per se' sarebbe superiore ai 15 giorni e quindi potrebbe eo ipso all'inefficacia del sequestro) non attenga alla decadenza a carico del notificante, ma soltanto al diritto di difesa del notficato ed all'efficacia dell'atto nei suoi confronti, per esempio in punto di validita' dell'atto di disposizione del bene sequestrato, questione che non si pone nella specie. Per particolari situazioni (rielvante numero dei destinatari, per es., ovvero altre circostanze particolari o esigenze di maggiore celerita') soccorrono le disposizioni degli artt. 150 e 151, che prevedono il compimento di formalita' che possono ragionevolmente compiersi in 15 giorni. Il problema si pone pero' nel caso di notifica all'estero, da eseguire (come nel caso) ai sensi del combianto disposto degli artt. 142 terzo comma e 30 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200. Non e' sufficiente, per ritenere insussistente il problema, fare ricorso alla disciplina degli artt. 150 e 151. Tralasciando l'art. 150, che manifestamente non si adatta al caso di specie, la possibilita' di chiedere al giudice una modalita' diversa di notificazione, ed in particolare quella del telegramma collazionato con avviso di ricevimento nella specie non risultava praticabile, perche' non vi e' nessuna dimostrazione (di fronte alle contestazioni dei ricorrenti) che fosse possibile adottarla, per le notifiche da eseguire in Libia, nei confronti di un organismo governativo libico. Invero, e' evidente che, in tal caso, si dovrebbero comunque seguire le Convenzioni internazionali nonche' la legislazione interna. Alla stregua delle prime (convenzioni dell'Aja del 1 marzo 1954 e del 15 maggio 1965), che i ricorrenti ammettono che sono osservate dalla Libia, tuttavia l'atto avrebbe dovuto essere accompagnato da una traduzione in arabo, che - a sua volta - impedisce la spedizione di un telegramma secondo i regolamenti postali vigenti in Italia. D'altra parte, non vi e' alcuna prova che le poste libiche ammettano l'uso dell'avviso di ricevimento, a prova della consegna di un telegramma. Ne' si potrebbe dire che il giudice - sempre ai sensi dell'art. 151 - possa autorizzare la notifica all'estero mediante raccomandata con o senza avviso di ricevimento (il che eviterebbe la difficolta' dell'inoltro della traduzione in arabo, essendo il plico chiuso e potendo quindi contenere la traduzione in arabo). Infatti, si tratterebbe di una formalita' inferiore (per garanzie) e quelle indi- cate dai primi due commi dell'art. 142, che, per le notifiche all'estero, sono derogate, in via privilegiata, dal terzo comma, per cui non pare che il giudice possa derogare a detto terzo comma, per le notifiche all'estero in Stati in cui esiste la possibilita' di collaborazione fra il Console italiano e l'autorita' del luogo. Torna, pertanto, il problema indicato, che si pone nei seguenti termini: e' ragionevolmente possibile che tutte le attivita' previste dal terzo comma si possano compiere in 15 giorni, ovvero detto termine e' cosi' ristretto da renderne sommamente difficile il rispetto? In realta', le attivita' da compiere comportano, nel tempo, l'intervento di vari uffici; a) l'ufficiale giudiziario in Italia che richieda (a mezzo posta) l'intervento del Console; b) l'intervento del Console, che chiede quello dell'autorita' locali; c) l'adempimento delle formalita' da parte delle autorita' locali. Nessun problema esiste per il primo intervento, che puo' attuarsi in tempi rapidi; ma problemi di carattere burocratico (che sarebbero fuori della realta' nascondersi) esistono per il secondo e per il terzo, soprattutto, ponendo mente all'ipotesi, non del tutto peregrina, di una resistenza passiva a compiere atti di notifica, da parte di autorita' estere, nei confronti di uffici ed autorita' governative, nei cui confronti potrebbe esservi un vincolo di dipendenza e/o di connivenza. Sfugge del tutto alla diligenza del notificante la possiblita' di influire su tale macchinosa procedura, e da piu' parti si e' rilevato, in dottrina, che proprio l'ipotesi di cui all'art. 680 del c.p.c. e' quella che pone in evidenza come il rispetto dell'art. 142, terzo comma, ponga in serio pericolo l'osservanza di un termine perentorio se si pone mente al succedersi degli adempimenti da parte di tre uffici diversi. Ad avviso del Collegio il problema potrebbe essere risolto (oltre - come e' ovvio - con interventi legislativi, peraltro da raccordare alle convenzioni internazionali in vigore) anche attraverso la strada della dichiarazione di incostituzionalita', sotto due profili diversi ed alternativi, ma entrambi cospiranti al fine di adeguare la legge, come attualmente e' formulata, alle esigenze del rispetto sostanziale degli artt. 3 e 24 della Costituzione. 1 - Un primo profilo e' quello di ritenere conforme a Costituzione una lettura dell'art. 143 terzo comma che dica: "nei casi previsti nel presente articolo e nei primi due commi dell'articolo precedente, nonche' nel terzo comma dello stesso art. 142, nell'ipotesi della notifica prevista dal primo comma dell'art. 680, la notificazione si ha per eseguita etc. etc.". Sotto questo profilo, non solo verrebbe salvaguardata (ai sensi dell'art. 24 della Costituzione) l'esigenza di assicurare il potere del sequestrante nei confronti di persona ( fisica o giuridica) non residente, ne' dimorante, ne' domiciliata nella Repubblica di eseguire un atto, necessario per la convalida del sequestro, in termini che si possono ragionevolmente rispettare, tramite cioe' la semplice richiesta al Console italiano all'estero di eseguire gli atti ulteriori di sua competenza nel territorio straniero, secondo le norme internazionali e locali, ma verrebbe altresi' salvaguardata (ai sensi dell'art. 3 della Costituzione) l'esigenza della parita' di trattamento con l'ipotesi (attualmente prevista) del terzo comma dell'art. 143, che rinvia soltanto ai primi due commi dell'art. 142. Tale limitazione del rinvio appare, infatti, irragionevole, perche' viene penalizzato l'istante proprio nel caso in cui sono maggiormente tutelati i diritti del notificato, tramite la notifica curata dal console; mentre, quando e' possibile soltanto la notifica ai sensi dei primi due commi dell'art. 142 (e cioe' in un'ipotesi in cui i diritti del notificato sono meno rispettati) si ritiene efficace - per il notificante - la semplice attivita' che sta a suo carico, a prescindere dalle ulteriori sorti dell'attivita' notificatoria e dal decorso dei termini di 20 giorni. Questa differenza di trattamento, in relazione al termine perentorio di 15 giorni di cui all'art. 680, appare irragionevolmente menomatrice dei diritti di difesa e del principio della parita' di trattamento, in situazioni assimilabili. Non sembra che la soluzione proposta esca al di fuori dei poteri della Corte costituzionale, nel quadro di quelle sentenze che hanno piu' volte dichiarato l'illegittimita' costituzionale di norme "in quanto non prevedono" situazioni che dovrebbero esservi compresa, per salvaguardare principi costituzionali. Ne' sembra che essa contrasti con la sentenza della Corte costituzionale n. 10/1978, dichiarativa, dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 142, nel testo anteriore alla riforma del 1981. Se si ritenesse il contrasto con tale sentenza, l'altra soluzione potrebbe essere la seguente. L'altra alternativa sarebbe quella di ritenere non operante il termine perentorio di 15 giorni (art. 680 del c.p.c.) per il caso di notifiche all'estero da eseguire con le modalita' di cui all'art. 142 terzo comma ed all'art. 30 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, nel senso che la lettura dell'art. 680 dovrebbe essere: (omissis) "il sequestrante, nel termine di 15 giorni da quello in cui e' stato compiuto il primo atto di esecuzione, tranne nel caso in cui la notifica debba essere eseguita a norma dell'art. 142 terzo comma e 30 del d.P.R. n. 200/1967, deve notificare etc. etc.". In questo caso, la sentenza che si richiede alla Corte e' quella manipolatrice del tipo "dichiara l'illegittimita' costituzionale della norma, in quanto non esclude" situazioni che non devono rientrare nella norma, per non violare principi costituzionali, che sono quelli dell'art. 24, perche' il termine di 15 giorni non e' praticamente osservabile, di regola, in quel tipo di notifica; e dell'art. 3 della Costituzione, perche' la norma parifica irragionevolmente situazioni estremamente diverse (notifica in Italia e notifica all'estero). Starebbe poi al legislatore (una volta intervenuta la pronuncia demolitrice della Corte costituzionale) di colmare la lacuna prodottasi, con l'indicare un termine diverso (vedi, per riferimenti, l'art. 669 sexies, sub art. 74 legge 26 novembre 1990, n. 353, non applicabile a questo giudizio, ex lege n. 477/1992, che dispone "nel caso in cui la notificazione debba eseguirsi all'estero, i termini di cui al comma precedente sono triplicati). Si ripete che, ai fini di conformare l'art. 680 attuale alla Costituzione basterebbe, per intanto, escludere la sua applicabilita', per quanto riguarda il termine di 15 giorni, alle notifiche ex art. 142 terzo comma del c.p.c.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge Costituzionale, 9 febbraio 1948, n. 1; 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara, nei sensi e nei limiti di cui alla motivazione, rilevante e non manifestamente infondata le questioni di illegittimita' costituzonale per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, del combinato-disposto degli artt. 142 terzo comma, 143 terzo comma e 680 primo comma del c.p.c. (nel testo attuale); Dispone l'immediata trasmissione degli atti relativi al ricorso principale n. 7149/1988 alla Corte costituzionale e sospende il giudizio relativo a detto ricorso; Ordina che la presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia notificata alle parti in causa ed al p.m. presso questa Corte, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso il 17 febbraio 1993. Il presidente: SALAFIA I consiglieri: PANNELLA - CATALANO - CICALA Il consigliere relatore: SGROI 93C1107