N. 408 SENTENZA 5 - 23 novembre 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Impiego pubblico - Amministrazione civile del Ministero dell'interno - Concorsi - Esclusione dalla partecipazione dei destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione ovvero condannati a pena detentiva per reati non colposi o sottoposti a misure di prevenzione - Potere di valutazione da parte dell'amministrazione interessata, ai fini dell'ammissione al concorso, della riabilitazione conseguita dal candidato - Mancata previsione - Irragionevolezza - Contrasto col perseguimento della finalita' della rieducazione, del recupero morale e sociale del condannato e del suo reinserimento nella vita civile - Illegittimita' costituzionale. (D.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, art. 12) (Cost., artt. 3, 4, 27, 35 e 97).(GU n.49 del 1-12-1993 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340 (Ordinamento del personale e organizzazione degli uffici dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno), promosso con ordinanza emessa il 4 novembre 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna sul ricorso proposto da Manca di Mores Maria Celeste contro il ministero dell'interno, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il giudice relatore Gabriele Pescatore; Ritenuto in fatto 1. - Il tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, con ordinanza 4 novembre 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 27, 35 e 97, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, a norma del quale "sono esclusi dalla partecipazione ai concorsi - per l'assunzione del personale dell'amministrazione civile del ministero dell'interno - coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione ovvero abbiano riportato condanna a pena detentiva per reati non colposi o siano stati sottoposti a misure di prevenzione". L'ordinanza e' stata emessa nel corso di un giudizio promosso avverso un decreto del ministro dell'interno concernente l'esclusione della ricorrente da un concorso per 252 posti di commesso della terza qualifica funzionale (del quale era risultata vincitrice), ai sensi dell'art. 12, comma secondo, del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, per aver commesso alcuni reati non colposi, nonostante avesse ottenuto anche la riabilitazione. Nell'ordinanza di rimessione si osserva che, ai sensi del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e' stabilita espressamente la eslcusione dai pubblici concorsi di coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione. Per costante interpretazione giurisprudenziale venivano esclusi dai pubblici concorsi anche coloro che avessero commesso uno dei reati per i quali l'art. 85 del medesimo t.u. prevedeva la destituzione di diritto dall'impiego, nella considerazione che sarebbe illogico ammettere ad un concorso un soggetto, assumerlo in servizio ove vincitore, e doverlo contestualmente destituire perche' incorso in una di quelle situazioni che comportano necessariamente la destituzione d'ufficio. Una volta dichiarata l'illegittimita' costituzionale (sentenza n. 971 del 1988) del suddetto art. 85, nella parte in cui non prevedeva, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare, la giurisprudenza amministrativa si e' orientata nel senso che l'amministrazione, prima di procedere all'esclusione della partcipazione al concorso di colui che sia stato condannato per uno dei reati previsti da tale articolo, deve valutare, con provvedimento motivato, se escludere o ammettere il candidato al concorso. Secondo il giudice a quo , la ratio dell'impugnato art. 12 del d.P.R. n. 340 del 1982 e' la stessa dell'art. 85 del d.P.R. n. 3 del 1957, con il suo conseguente contrasto, in base ai principi affermati nella citata pronuncia d'incostituzionalita', con: a) l'art. 3 della Costituzione, in quanto da un lato sottopone ad un diverso trattamento il cittadino, a seconda che concorra per l'impiego presso un'amministrazione piuttosto che presso un'altra; dall'altro, sarebbe irragionevole che l'amministrazione debba procedere all'esclusione dal concorso senza alcun margine di discrezionalita' che le consenta di applicare il principio generale di graduazione della sanzione alla gravita' del reato e di valutare l'eventuale compatibilita' tra condanna ed ammissione all'impiego tenendo anche conto dell'eventuale sentenza di riabilitazione; b) con l'art. 97 della Costituzione, in quanto l'imparzialita' e il buon andamento della p.a., vanno assicurati "mediante un'azione amministrativa adeguata al caso concreto, consentendo all'amministrazione medesima di apprezzare situazioni soggettivamente ed oggettivamente diverse"; c) con gli artt. 4 e 35 della Costituzione, in quanto impedisce l'accesso al lavoro in conseguenza di un'ampia categoria di reati, indipendentemente dalla loro gravita' e delle funzioni da svolgere; d) con l'art. 27 della Costituzione, in quanto ostacola il reinserimento del condannato nel mondo del lavoro, compito che non puo' essere rimesso esclusivamente ai datori di lavoro privati, ma del quale deve farsi carico anche lo Stato, consentendo l'accesso nelle pubbliche amministrazioni di coloro che siano incorsi in sanzioni penali, mediante una valutazione discrezionale che tenga conto del tipo di reato, della inclinazione a delinquere del colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni della qualifica da ricoprire. Secondo il giudice a quo, inoltre, l'art. 12 anzidetto sarebbe costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 27 e 97 della Costituzione, in quanto non prende in considerazione la riabilitazione come condizione di inoperativita' della preclusione da esso disposta. Irragionevolmente, infatti, esso non attribuisce tale efficacia alla riabilitazione, mentre l'attribuzione all'amnistia propria, che ha l'attitudine di escludere il reato anche in presenza di prova pienamente raggiunta e non costituisce preclusione all'assunzione. 2. - Dinanzi a questa Corte si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Secondo quanto si espone nell'atto di costituzione, la norma impugnata trova giustificazione nella peculiarita' dei compiti affidati al ministero dell'interno. Infatti, nell'espletamento delle funzioni o nello svolgimento delle mansioni affidatigli, il personale dell'amministrazione civile dell'interno puo' accedere a notizie e informazioni riservate concernenti l'attivita' delle forze di polizia e comunque afferenti alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Pertanto, i rigorosi requisiti soggettivi richiesti dall'art. 12 del d.P.R. n. 340 del 1982 per la partecipazione ai concorsi di assunzione di personale del ministero dell'interno, sono giustificati dalla necessita' di predisporre una "garanzia preventiva di affidabilita'" e di selezionare a tal fine candidati che siano in possesso di determinati requisiti, obiettivamente desumibili, in via indireta, dalla assenza di condanne per particolari delitti o di misure di prevenzione. Quanto alle allegate violazioni degli artt. 4 e 35 della Costituzione, nell'atto di costituzione si osserva che tali norme non garantiscono il libero accesso a qualsiasi attivita' lavorativa, in specie pubblica, che puo' essere inibito in relazione alla tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti. Ne' puo' ritenersi che la norma impugnata violi l'art. 97 della Costituzione mirando anzi a garantire il buon andamento della pubblica amministrazione. Quanto, infine, alla sua dedotta illegittimita' per contrasto con l'art. 27 della Costituzione, neppure essa sussisterebbe, poiche' "gli obiettivi perseguiti dalla norma sono di rango costituzionale assolutamente prioritario e l'esclusione dal concorso in questione non incide sostanzialmente sulle possibilita' di recupero del condannato". Considerato in diritto 1. - La questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna concerne l'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340, che esclude dalla partecipazione ai concorsi per l'assunzione del personale dell'amministrazione civile dell'interno coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione, ovvero abbiano riportato condanne a pena detentiva per reati non colposi o siano stati sottoposti a misure di prevenzione. L'ordinanza deduce la violazione: a) dell'art. 3 della Costituzione, in quanto la norma sottopone ad un trattamento diverso il cittadino, in relazione all'amministrazione alla quale intende accedere; per quanto concerne, in particolare, l'Amministrazione dell'interno, della quale nella specie si tratta, sarebbe irragionevole che essa debba procedere all'esclusione al concorso senza alcun margine di discrezionalita', che le consenta di applicare il principio generale di graduazione della sanzione alla gravita' del reato e di valutare l'eventuale compatibilita' tra condanna ed ammissione all'impiego, tenendo anche conto di una sopravvenuta sentenza di riabilitazione; b) dell'art. 97 della Costituzione, in quanto l'imparzialita' e il buon andamento della p.a., vanno assicurati "mediante un'azione amministrativa adeguata al caso concreto, consentendo all'amministrazione medesima di apprezzare situazioni soggettivamente ed oggettivamente diverse"; c) degli artt. 4 e 35 della Costituzione, in quanto la norma impugnata impedisce l'accesso al lavoro in relazione ad un ampia categoria di reati, indipendentemente dalla loro gravita' e dalla considerazione delle funzioni da svolgere; d) dell'art. 27 della Costituzione, in quanto la norma ostacola il reinserimento del condannato nel mondo del lavoro, compito che non puo' essere rimesso esclusivamente ai datori di lavoro privati, ma del quale deve farsi carico anche lo Stato, consentendo l'accesso alle pubbliche amministrazioni di coloro che siano incorsi in sanzioni penali, mediante una valutazione discrezionale che tenga conto del tipo di reato, della inclinazione a delinquere del colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni della qualifica da ricoprire; e) degli artt. 27 e 97 della Costituzione, in quanto la norma impugnata non considera la riabilitazione come elemento per l'inoperativita' dell'esclusione dal concorso da essa disposta. 2. - Deve osservarsi preliminarmente che la questione e' stata sollevata nel corso di un giudizio avente ad oggetto il provvedimento di esclusione da un concorso a posti di commesso della terza qualifica funzionale dell'amministrazione civile dell'interno, di un concorrente, risultato vincitore, che aveva subito una condanna penale ed ottenuta la riabilitazione. Occorre poi precisare che l'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, stabilisce in via generale per l'ammissione agli impieghi civili nello Stato, che "non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall'elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una pubblica amministrazione". Quanto a queste due ultime cause di esclusione, l'indirizzo piu' recente della giurisprudenza amministrativa si e' consolidato nell'affermazione che - ove manchi un'espressa disposizione di legge che lo preveda - la sentenza penale di condanna per reati, comportanti, a norma dell'art. 85 del d.P.R. n. 3 del 1957 cit. la destituzione di diritto dal pubblico impiego, non puo' considerarsi di per se' ostativa all'instaurazione del rapporto, essendo necessaria un'autonoma valutazione dell'amministrazione sulla rilevanza dei reati commessi, sulla personalita' e sulla successiva condotta dell'interessato. Tale giurisprudenza e' sorretta dalla ratio che e' a fondamento delle sentenze di questa Corte nn. 97 del 1988 e 197 del 1993 sulla illegittimita' costituzionale della normativa comportante la destituzione automatica dei pubblici dipendenti in conseguenza di de- terminate condanne penali. Da tali decisioni emerge l'affermazione del principio, costituzionalmente garantito, secondo il quale la costituzione del rapporto di pubblico impiego e la permanenza di esso non possono essere escluse, di per se', dalla condanna penale per determinati reati, dovendo essere, anch'esse, in ogni caso precedute da una valutazione autonoma e specifica dell'amministrazione circa l'influenza della condanna sull'attitudine dell'interessato ad espletare l'attivita' alla quale lo legittima il rapporto di pubblico impiego. Per quanto riguarda il caso concreto, si afferma che la norma impugnata (art. 12 d.P.R. n. 340 del 1982) viene a porsi come eccezione a questo principio, giustificata dalla peculiarita' dei compiti e dei requisiti specifici richiesti per le attivita' che fanno capo all'amministrazione dell'interno. Sembra alla Corte che siffate peculiarita' non valgono a dare ragionevole giustificazione alla conseguenza, che da esse si trae, secondo la quale dalla condanna a pena detentiva per qualsiasi reato non colposo debba derivare l'esclusione automatica dal concorso; si impedisce cosi' di valutare in concreto se la peculiarita' della situazione consenta la compatibilita' tra condanna (per di piu' seguita da riabilitazione) ed esercizio dell'attivita' impiegatizia. Al riguardo deduce fondatamente il giudice a quo la lesione degli artt. 3 e 27 della Costituzione, poiche' l'impugnato art. 12 del d.P.R. n. 340 del 1982 non prevede la possibilita' di questa autonoma valutazione da parte della competente autorita' amministrativa, soprattutto con riferimento alla riabilitazione. Osserva la Corte che, ai sensi dell'art. 178 cod. pen., la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti. Non essendo la esclusione dalla partecipazione al pubblico concorso un effetto penale della condanna, la riabilitazione non comporta di per se', automaticamente, il venir meno dell'esclusione stessa, quando sia prevista dalla legge. E' peraltro irragionevole (art. 3 della Costituzione) e contrastante con le finalita' di reinserimento del condannato nella vita sociale, cui s'ispira anche l'art. 27, terzo comma, ultima parte, della Costituzione, considerare irrilevante l'intervenuta riabilitazione, precludendo all'amministrazione la valutazione di tale evenienza, in tutti i suoi elementi, con riferimento particolare alla qualifica ed alle mansioni da espletare in base al concorso. Si' che proprio con riguardo all'esclusione dal concorso stesso la lamentata carenza di ogni potere di apprezzamento alla p.a. e, in particolare dell'intervenuta riabilitazione, si pongono in contrasto col perseguimento della finalita' della rieducazione, del ricupero morale e sociale del condannato e del suo rinserimento nella vita civile. Ne deriva che l'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340 va dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede il potere di valutazione, da parte dell'amministrazione interessata, ai fini dell'ammissione al concorso, della riabilitazione ottenuta dal candidato. Restano assorbiti i restanti profili d'incostituzionalita'.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340 (Ordinamento del personale e organizzazione degli uffici dell'amministrazione civile del ministero dell'interno) nella parte in cui non prevede il potere di valutazione, da parte dell'amministrazione interessata, ai fini dell'ammissione al concorso, della riabilitazione conseguita dal candidato. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 1993. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: PESCATORE Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 23 novembre 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C1184