N. 731 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 1992- 22 novembre 1993

                                N. 731
 Ordinanza   emessa   il   26   ottobre  1992  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  22  novembre  1993)  dal  tribunale  di  Roma  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  De  Blasi  Maurizio e fallimento
 S.G.I. So.Ge.Ne. Lavori S.p.a.
 Fallimento - Richiesta di ammissione tardiva  di  credito  -  Mancata
 costituzione   in   giudizio   del  creditore  istante  -  Estinzione
 dell'azione - Irriproponibilita' - Irragionevolezza  -  Equiparazione
 tra  diverse  categorie  di  creditori  (quelli che si oppongono allo
 stato  passivo  e  coloro   che   si   insinuano   tardivamente   nel
 procedimento)  - Disparita' di trattamento tra creditori appartenenti
 alla medesima categoria (creditori che non hanno ancora fatto  valere
 le  loro  ragioni sullo stato passivo) - Conseguente compressione del
 diritto di azione.
 (R.D.  16  marzo  1942, n. 267, artt. 101, secondo comma, e 98, terzo
 comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.51 del 15-12-1993 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo  grado
 iscritta  al  n.  55916 del ruolo generale per gli affari contenziosi
 dell'anno 1991 posta in deliberazione all'udienza collegiale  del  15
 ottobre   1992  e  vertente  tra  De  Blasi  Maurizio,  elettivamente
 domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria, 11, presso  lo  studio  del
 procuratore  avv.to  Giovanna  Mauro che lo rappresenta e difende per
 delega a  margine  del  ricorso  attore  e  fallimento  della  S.G.I.
 So.Ge.Ne.  Lavori  S.p.a.  elettivamente  domiciliata  in  Roma,  via
 Alfredo Fusco, 104, presso lo studio del  procuratore  avv.to  Caiafa
 Antonio  che  la  rappresenta  e  difende  per delega a margine della
 comparsa di risposta convenuto.
                       Svolgimento del processo
    Con domanda tardiva depositata il 5 giugno 1991 De Blasi  Maurizio
 chiedeva  di  essere ammesso al passivo del fallimento della S.G.I. -
 Sogene Lavori S.p.a. per crediti vantati in via di rivalsa  verso  di
 questa.
    Il fallimento della S.G.I. - Sogene Lavori S.p.a. si costituiva in
 giudizio  e  rilevava  l'inammissibilita', ex art. 98, terzo comma, e
 101 della l.f., della domanda tardiva, in quanto identica  ad  altra,
 precedentemente proposta, e non coltivata, non essendo stata iscritta
 a  ruolo  la causa. Inoltre sosteneva l'infondatezza della pretesa, e
 chiedeva il rigetto della domanda.
    La causa, su  concorde  richiesta  dei  procuratori  delle  parti,
 veniva   rimessa   al  collegio  per  la  decisione  sulla  questione
 preliminare dell'ammissibilita' della domanda, e veniva trattenuta in
 decisione.
    Riunitosi in camera di consiglio, il  collegio  ha  deliberato  di
 sottopore  alla  Corte  costituzionale  la  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 101, secondo comma, della l.f.
                              IN DIRITTO
    1. - Riproposizione della domanda abbandonata.
    La domanda d'insinuazione tardiva che ha dato  luogo  al  presente
 giudizio  e' identica a quella precedentemente proposta dal De Blasi,
 e depositato l'8 febbraio 1991, a cui non e' seguita  l'iscrizione  a
 ruolo nel termine previsto dall'art. 98, terzo comma, della l.f.
    Non  vi  e' infatti mutatio libelli ne' nella "causa petendi", ne'
 nel petitum. Infatti si deduce il diritto di rivalsa  del  ricorrente
 nei  confronti della societa', gia' sua datrice di lavoro, ex art. 15
 del C.C.N.L., delle spese sostenute da lui stesso pe la tutela  della
 propria posizione al corresponsabile solidale della societa' e in via
 condizionale,  delle somme per le quali verrebbe ad essere esposto in
 conseguenza di pretese tributarie, in caso di esito  sfavorevole  dei
 giudizi,  o  degli  oneri  difensivi, in caso di esito favorevole dei
 ricorsi.
    Identiche sono le somme di denaro oggetto della pretesa. Vi e'  in
 aggiunta,  nel secondo ricorso, la richiesta di ammissione al passivo
 anche della somma di L. 12.740.670, pari  a  quella  indicata  in  un
 preavviso  di  parcella  da parte del professionista che tutela il De
 Blasi nei giudizi tributari pendenti  sempre  in  rapporto  alla  sua
 posizione  di  responsabile  solidale.  Qui  si  tratta  di  una mera
 emendatio libelli, frutto dello svolgimento temporale  della  vicenda
 dalla quale e' nato il primo dei ricorsi.
    La   presente   domanda  giudiziale,  pertanto,  nella  quasi  sua
 interezza riproduce la domanda precedentemente formulata.
    La questione che appresso viene esaminata, della  riproponibilita'
 del ricorso gia' presentato ex art. 101 della l.f., non notificato al
 curatore, relativamente al quale non sia avvenuta iscrizione di cassa
 a   ruolo,   e'  dunque  rilevante:  che  se  dovesse  ritenersi  non
 riproponibile   il   ricorso,   dovrebbe   senz'altro    pronunciarsi
 l'inammissibilita',  quanto  meno,  di tutti i capi della domanda, ad
 eccezione di uno.
    2. - L'art. 101, secondo comma, della l.f. nella sua applicazione.
    L'interpretazione secondo cui  il  richiamo  dell'art.  98,  terzo
 comma,  contenuto  nell'art.  101  della  l.f.  comporti non soltanto
 l'estinzione   del   procedimento    introdotto,    ma    anche    la
 irriproponibilita'  della  domanda  non soltanto e' quella assai piu'
 largamente diffusa,  ma  e'  quella  fatta  propria  dalla  Corte  di
 cassazione  (cass.  18 luglio 1980, n. 1899; cass. 26 giugno 1969, n.
 2292; cass. 11 febbraio 1980, n. 938).
    Non sembra quindi corretto (e proficuo) propugnare una  divergente
 interpretazione della norma in esame, e sostenere la riproponibilita'
 della domanda.
    L'interpretazione, sostenuta da larga parte dei giudici di merito,
 della  dottrina  e  dalla  Corte di cassazione, dunque rappresenta un
 modo d'essere  del  c.d.  "diritto  vivente",  e  di  cio'  ha  preso
 pienamente  atto  la  Corte  costituzionale  nella  sentenza  del  30
 novembre 1988, n. 1045.
    3. - Osservazioni sull'art. 101 della l.f.
    L'art. 101, secondo comma, della  l.f.  innanzitutto  commina  una
 decadenza.  L'inutile decorso del termine perentorio stabilito per la
 notifica del ricorso e di quello (parimenti ritenuto perentorio)  per
 la  costituzione in giudizio determina la consumazione della facolta'
 esercitata con la presentazione del ricorso (e  l'inammissibilita'  o
 l'estinzione del giudizio).
    La medesima disposizione di legge stabilisce anche una preclusione
 di natura processuale: colui che venga a trovarsi nella condizione di
 decadenza  dall'azione  gia'  esercitata  e  non  coltivata  nel modo
 stabilito, non puo' piu' riproporla nell'ambito fallimentare.  A  lui
 e' qui definitivamente precluso l'esercizio del diritto.
    Il  collegio  ritiene che debba proporsi questione di legittimita'
 costituzionale della norma che nella suddetta disposizione  di  legge
 stabilisce la preclusione processuale, ben consapevole che essa, gia'
 sollevata  da  questo stesso tribunale (ordinanza 4 gennaio 1988), e'
 stata ritenuta infondata dalla Corte costituzionale, con sentenza  30
 novembre 1988, n. 1045.
    3.  -  L'art.  101,  secondo  comma,  della l.f. e l'art. 24 della
 Costituzione.
    Non sembra potersi affermare  che  l'impossibilita'  di  reiterare
 l'uso  di  uno  strumento  processuale  contrasti con il diritto alla
 tutela giurisdizionale. Il precetto costituzionale di  cui  al  primo
 comma dell'art. 24 risutla violato solo quando sia imposto un onere e
 vengano   prescelte   modalita'   tali   da   rendere  impossibile  o
 estremamente  difficile  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  o  lo
 svolgimento  dell'attivita'  processuale  da  parte  di uno qualunque
 degli interessati.
    Il  principio, ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale,
 (Corte costituzionale 9 luglio 1974, n. 214; Corte costituzionale  22
 dicembre  1989,  n.  568; Corte costituzionale 20 aprile 1977, n. 63;
 Corte costituzionale 16 giugno 1964, n. 47;  Corte  costituzionale  3
 luglio  1963,  n.  113), e' anche pienamente condiviso dalla Corte di
 cassazione, secondo cui "l'imposizione di oneri particolari richiesti
 dalla natura del  processo,  quando  non  si  risolve  nella  pratica
 impossibilita'   di   esercitare  il  diritto,  attiene  a  modalita'
 procedimentali che non sono coperte  dalla  garanzia  costituzionale"
 (cass. 14 maggio 1975, n. 1862).
    Dunque  il  legislatore  puo'  ben aver disposto che la tutela dei
 diritti dei creditori  si  attui  nel  fallimento  secondo  modalita'
 limitative  e  preclusioni di ordine processuale, senza che, per cio'
 stesso, ovvero la esistenza di limiti, venga ad essere compromessa la
 tutela giurisdizionale, se  l'esercizio  di  questa  non  risulti  in
 concreto troppo difficoltoso.
    E  poiche' nella causa all'esame del tribunale si presenta un caso
 non di esercizio dell'azione al  di  fuori  di  quei  limiti,  ma  di
 riproposizione   della   medesima   domanda,   e'   l'aspetto   della
 riproposizione   al   vaglio   del   collegio,   non   quello   della
 compatibilita'  dei limiti con la garanzia costituzionale del diritto
 di difesa.
    La Corte costituzionale, esaminando il problema nella sentenza  30
 novembre  1988,  n. 1045, ha escluso il contrasto dell'art. 101 della
 l.f.  con  l'art.  24  della  Costituzione,  limitandosi  pero'  alla
 considerazione  che  l'esercizio del diritto non e' reso difficoltoso
 nel sistema vigente, dal momento che la sentenza 30 aprile  1986,  n.
 120,   della   medesima   Corte   ha   dichiarato  costituzionalmente
 illegittimo l'art. 98, secondo comma, della l.f nella  parte  in  cui
 non  prevedeva  nei  confronti del creditore opponente o, aggiunge la
 sentenza  n.  1045/1988,  del   creditore   istante   nel   caso   di
 dichiarazione  tardiva  di crediti, la comunicazione, almeno quindici
 giorni prima dell'udienza di comparizione, del decreto ivi indicato.
    Al  collegio   non   sembra   pacifico   che   la   illegittimita'
 csotituzionale  dichiarata  dalla sentenza n. 120/1986 in riferimento
 all'art. 98, secondo comma, e  all'art.  100,  secondo  comma,  della
 l.f.,  comporti  l'obbligatorieta' della comunicazione del decreto di
 fissazione  dell'udienza  di  comparizione  anche  nel  caso  di  cui
 all'art.  101 della l.f., perche' tale disposizione di legge richiama
 soltanto il terzo comma dell'art. 98, in riferimento  alle  modalita'
 di costituzione delle parti.
   Tuttavia,  se  la  fattispecie  ora in esame venga posta nei limiti
 gia' delineati, di compatibilita' della  non  riproponibilita'  della
 domanda  ex  art.  101  della l.f. con la garanzia costituzionale del
 diritto di difesa, allora deve affermarsi,  come  si  e'  sopra  gia'
 notato,  che  non e' rilevante l'aspetto delle modalita' di esercizio
 dell'azione,  perche'  queste  sono  fuori  tema,  e  confermarsi  la
 conclusione  anticipata,  che  la non riproponibilita' dell'azione e'
 una  scelta  legislativa  insindacabile  in  sede   di   legittimita'
 costituzionale.
    Pero' deve pure osservarsi, se e' vero quanto sara' appresso messo
 in  rilievo in riferimento all'art. 3 della Costituzione, cher l'art.
 101 della l.f. pone nel suo insieme uno sbarramento all'esercizio del
 diritto del creditore, che, non giustificato, da apprezzabili motivi,
 si   traduce   in   una   violazione   dei   diritti   della   difesa
 costituzionalmente garantiti.
    In definitiva, il contrasto con l'art.  24  della  l.f.  in  tanto
 emerge,  nella  disposizione  in  esame,  in  quanto  siano valide le
 ragioni di censura che si vanno a muovere in riferimento  all'art.  3
 della Costituzione.
    4.  -  L'art  101,  secondo  comma,  della  l.f.  e l'art. 3 della
 Costituzione.
    Il nocciolo  del  problema  e'  quello  della  ragionevolezza  del
 trattamento  offerto  dalla  norma  contenuta  nell'art. 101, secondo
 comma, della l.f., e conviene subito notare che  nel  giudizio  sulla
 razionalita'  di una disciplina si deve guardare "anche alla funzione
 o allo scopo  cui  essa  e'  preordinata"  (Corte  costituzionale  n.
 54/1968;  o  anche  Corte  costituzionale  nn.  132/1984,  43/1987  e
 55/1989).
    Muovendo da tale premessa  possono  individuarsi  nella  norma  in
 esame profili di irragionevolezza.
    La   norma  sottopone  ad  identico  trattamento  sanzionatorio  i
 creditori opponenti  allo  stato  passivo  del  fallimento  e  quelli
 insinuatosi tardivamente.
    Codesta  equiparazione ben sarebbe legittima se non presentasse un
 aspetto di irragionevolezza esterna.
    Essa   (equiparazione)   e'   stata   giustificata   dalla   Corte
 costituzionale   n.   1045/1988  con  la  "analogia"  funzionale  che
 caratterizza i due  strumenti  di  tutela.  Come  e'  evidente  dalla
 premessa a tale affermazione contenuta nella medesima sentenza, nella
 quale  si  riconosce  la  diversa  natura giuridica delle due azioni,
 l'analogia   funzionale   puo'   esser    solo    latamente    intesa
 (l'osservazione  che  entrambe  le  azioni mettano "in discussione lo
 stato passivo" ivi contenuta, non ha certo il valore di costruire per
 esse due tipi di una categoria omogenea, ma deve intendersi in  senso
 puramente descrittivo).
    Infatti  entrambi  i rimedi processuali sono volti alla tutela dei
 creditori nella formazione - per gradi  -  dalla  massa  passiva  del
 fallimento.  Pero'  il  decreto del g.d. che rende esecutivo lo stato
 passivo ex art. 97 della l.f. segna la linea  di  netta  demarcazione
 tra   due  fasi  e  percio'  anche  la  distribuzione  dei  creditori
 interessati in due distinte categorie: quella di coloro  che  muovono
 contestazioni e quella di coloro che ancora non hanno fatto valere le
 loro   ragioni,  in  merito  alle  quali  solo  eventualmetne  potra'
 concretizzarsi un conflitto con la curatela fallimentare. Dal che  la
 diversificazione   degli   strumenti   di   tutela   apprestati   dal
 legislatore.
    L'equiparazione di trattamento non trova giustificazione, a parere
 del collegio, in base alla  "analogia  funzionale"  dei  due  rimedi,
 perche' la asserita analogia e' invero molto lata e generica.
    Invece  la  diversita' delle situazioni meriterebbe un trattamento
 differenziato. Invero il  decreto  di  cui  all'art.  97  della  l.f.
 stabilisce un termine processuale di sbarramento.
    I   creditori   sulle   cui   pretese  sono  state  gia'  adottate
 deliberazioni nel corso dell'esame dello stato passivo, possono,  nel
 termine  di  15  giorni  dalla  comunicazione del deposito di quello,
 proporre opposizione, ovvero attivare  lo  strumento  processuale  di
 impugnazione  di  esso.  Poiche' lo stato passivo e' gia' formato, e'
 "definitivo", esso diviene immodificabile se lo  strumento  dell'art.
 98 della l.f. non riceve tempestiva attuazione.
    L'esigenza  di  tutela  e'  pienamente  soddisfatta  con la regola
 dell'inizio della decorrenza del termine di impugnazione dal  momento
 della  comunicazione  del  decreto  pronunciato ex art. 97 della l.f.
 (Corte costituzionale n. 102/1986). Il principio  di  uguaglianza  e'
 pienamente  rispettato  (tutti  i  creditori  esclusi  o  ammessi con
 riserva sono posti nela  medesima  condizione).  La  norma  non  crea
 discriminazione  ed  e'  consona  alle  esigenze  e alla logica della
 procedura (e' connotata di ragionevolezza in ogni senso).
    Gli altri creditori, quelli non insinuatisi nello  stato  passivo,
 possono,  dopo il decreto di cui all'art. 97, proporre ancora le loro
 domande, pero' con non trascurabili  svantaggi,  che  sono  stabiliti
 nell'art.  112  della l.f. ed e' questa la sanzione della tardivita'.
 Il limite ultimo e' dato (art. 101,  primo  comma)  dal  momento  nel
 quale   si  sono  esaurite  le  ripartizioni  dell'attivo  (che  deve
 individuarsi in quello nel quale il giudice delegato approva e  rende
 esecutivo lo stato passivo: cass. 2 marzo 1988, n. 2201).
    E'  corretto,  e' coerente al sistema processuaale che, decorso il
 termine  di  una  impugnazione,  questa  divenga  inammissibile.   E'
 anomalo,   e'   contraddittorio,   che,  stabilitosi  un  termine  di
 sbarramento per l'esercizio di un  diritto  (quello  dell'esaurimento
 delle   operazioni   di  ripartizione),  non  si  determini  la  mera
 estinzione dell'azione per il caso di notifica tardiva o costituzione
 mancata o fuori termine, ma addirittura si  produca  la  perdita  del
 diritto di partecipare alle ripartizioni ancora da compiersi.
    Tale  situazione,  mentre  produce  una illogica equiparazione tra
 creditori distribuiti in  due  ben  distinte  posizioni  processuali,
 cagiona una disparita' di trattamento all'interno della categoria dei
 creditori  che  non  hanno  fatto  valere le loro ragioni nello stato
 passivo. Per  tutti  e'  posto  dalla  legge  un  termine  ultimo  di
 sbarramento;  ma  per  alcuni e' possibile far valere le loro ragioni
 successivamente  alla  irriproponibilita'  della  azione  che  si  e'
 determinata   per   altri,   che  pure  sono  considerati  "tardivi".
 Disparita'  di  trattamento  che  non  si  giustifica  affatto,  come
 talvolta  si  legge,  con  esigenze di speditezza e di concentrazione
 della procedura fallimentare, dal momento che la tardivita', come  si
 e'  gia'  notato, trova piu' che sufficiente (e ragionevole) sanzione
 nella perdita dei diritti  sulle  ripartizioni  gia'  compiute  prima
 della ammissione al passivo ex art. 101 della l.f. (v. art. 112 della
 l.f.),  e  che  le  asserite  superiori  esigenze  di speditezza e di
 concentrazione non hanno impedito che il  legislatore  concedesse  di
 poter  proporre  domanda  tardiva veramente sino all'ultimo possibile
 momento.
    Esse vengono addotte a  giustificazione  di  una  preclusione  che
 sancirebbe  la  perdita  di  un diritto per taluni creditori, laddove
 nella procedura fallimentare l'accertamento  del  passivo  si  compie
 attraverso   due   fasi,  separate  tra  loro  da  un  unico  termine
 procedimentale, che e' dato dall'esaurimento delle  operazioni  indi-
 cate  nell'art.  96 della l.f., come sanzionato con il decreto di cui
 all'art. 97 della l.f.
    5. - Conclusioni.
    L'art.  101,  secondo  comma,  della  l.f. contiene, ad avviso del
 collegio,    aspetti    di    irragionevolezza    esterna,    laddove
 ingiustificatamente pone una equiparazione tra categorie di creditori
 che  versano  in  sitauzioni  differenziare e, per converso, pone una
 disparita' di trattamento tra i creditori appartenenti alla  medesima
 categoria,  introducendo,  in  luogo della sanzione processuale della
 estinzione del procedimento, una preclusione  di  natura  processuale
 che  infirma  l'esercizio  del  diritto  nei  confronti  di taluni, e
 aspetto di irragionevolezza  interna,  ove  preclude  senza  adeguata
 giustificazione  l'esercizio  dei  diritti  soggettivi nella ampiezza
 garantita nel primo comma del medesimo articolo di legge.
    Per tali ragioni la norma appare in contrasto con l'art.  3  della
 Costituzione.
    La   norma   appare   anche  in  contrasto  con  l'art.  24  della
 Costituzione per il  fatto  che  l'esercizio  di  diritti  soggettivi
 risulta    essere    in   determinati   casi   significativamente   e
 ingiustificatamente menomato.
    La questione deve dunque essere sottoposta al giudizio della Corte
 costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale, che solleva di ufficio,  dell'art.  101,
 secondo  comma,  in  relazione  all'art. 98, terzo comma, del r.d. 16
 marzo 1967, n. 267, nella parte in cui vieta la riproponibilita'  del
 ricorso per dichiarazione tardiva di credito al ricorrente che si sia
 costituito in un precedente giudizio, per il contrasto della suddetta
 norma con gli artt. 3 e 24 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende il procedimento e  dispone  la  notifica  della  presente
 ordinanza,  a cura della cancelleria, alle parti in causa, nonche' al
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Dispone  che  l'ordinanza  sia  comunicata  dal   concelliere   ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Roma, il 26 ottobre 1992.
                         Il presidente: GRECO
                             Il giudice estensore: (firma illeggibile)
    Ha collaborato nello studio e nelle ricerche l'uditore giudiziario
 dott. Fabrizio Fanfarillo.
                  Il cancelliere: (firma illeggibile)

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