N. 439 SENTENZA 2 - 16 dicembre 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Incompatibilita'  a  partecipare   al   giudizio
 abbreviato   del   g.i.p.   che   abbia  rigettato  la  richiesta  di
 applicazione di pena concordata di cui all'art.   444  del  c.p.p.  -
 Richiamo  alle  sentenze  della  Corte  n.  401/1991  e n. 261/1992 -
 Valutazione  sul  merito  della  res   judicanda   -   Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (C.P.P., art. 34, secondo comma).
 
 Processo  penale - Rigetto della richiesta di applicazione della pena
 concordata  -  Indefinita  reiterazione  della  richiesta  innanzi  a
 collegi  di  volta in volta costituiti - Coimputati concorrenti negli
 stessi reati - Mancata previsione dell'incompatibilita'  a  giudicare
 della falsa testimonianza da parte del giudice che abbia provveduto a
 trasmettere   i   relativi   atti   al   p.m.   -  Non  fondatezza  -
 Inammissibilita'.
 
 (C.P.P., artt. 34, secondo comma, 446, 444, in relazione all'art. 248
 delle norme di attuazione (d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271) e  all'art.
 61 del c.p.p. del 1930).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 25, 76, 101 e 112).
 
(GU n.52 del 22-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    avv. Massimo VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 34, 444 e  446
 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 248 delle norme
 di  attuazione,  di coordinamento e transitorie approvate con decreto
 legislativo 28 luglio 1989, n. 271  ed  all'art.  61  del  codice  di
 procedura  penale  del  1930,  promossi  con  ordinanze  emesse il 22
 dicembre 1992 dal Tribunale di Modica, il 2 dicembre 1992 dal Pretore
 di Napoli - sezione distaccata di Capri,  il  26  febbraio  1993  dal
 Giudice  per  le indagini preliminari presso il Tribunale militare di
 Roma (n. 4 ordinanze), l'8 febbraio 1993 dal Tribunale di  Pordenone,
 il  19  marzo  1993  dal  Tribunale di Torino ed il 2 aprile 1993 dal
 Giudice per le indagini preliminari  presso  la  Pretura  di  Napoli,
 rispettivamente  iscritti ai nn. 75, 80, 215, 216, 217, 218, 255, 279
 e 285  del  registro  ordinanze  1993  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  nn.  9,  10,  20,  24 e 25, prima serie
 speciale, dell'anno 1993;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  6  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Investito, in sede di atti preliminari al dibattimento, di una
 richiesta  di applicazione di Pena ex artt. 444 e 446 c.p.p. identica
 a quella gia' in precedenza  rigettata  dallo  stesso  Tribunale,  in
 diversa  composizione,  il  Tribunale  di  Modica  ha  sollevato, con
 ordinanza del 22 dicembre 1992 (r.o. n. 75/1993),  una  questione  di
 legittimita'  costituzionale degli artt. 446 e 34, secondo comma, del
 c.p.p. (quest'ultimo, come integrato dalla sentenza di  questa  Corte
 n. 186 del 1992), assumendone il contrasto con gli artt. 25, 97 e 112
 della Costituzione.
    Il giudice a quo premette, in punto di rilevanza, che il mutamento
 di     composizione    del    Collegio    era    stato    determinato
 dall'incompatibilita'  conseguente  al   rigetto   della   precedente
 richiesta  alla stregua della predetta sentenza, e che, in assenza di
 norme impeditive, e' a suo avviso  lecita  la  riproposizione,  anche
 nella  stessa fase processuale, di una richiesta identica a quella in
 precedenza non accolta, attesa anche la natura di negozio processuale
 di essa e la possibilita' di una diversa  valutazione  da  parte  del
 nuovo Collegio.
   La  riproponibilita'  della  richiesta  avrebbe  pero' - osserva il
 giudice a quo - un effetto condizionante sul nuovo giudice chiamato a
 valutarla perche', se anch'esso dovesse ritenere non congrua la  pena
 richiesta,  si riproporrebbe il problema della sua incompatibilita' a
 giudicare,  problema  che  finirebbe   per   essere   indefinitamente
 prospettato  ove  l'imputato  insistesse  a  riproporre  la richiesta
 suddetta ai vari giudici  di  seguito  nominati  in  sostituzione  di
 quelli  che  di  volta  in volta si pronunciassero per il rigetto. Si
 determinerebbe,  con   cio',   una   situazione   incompatibile   con
 l'esercizio  della  giurisdizione, ed in particolare con il principio
 del suo buon andamento (art. 97) e con quelli di cui agli artt. 25  e
 112  della  Costituzione,  dato  che  si  consentirebbe  all'imputato
 d'influire sulla scelta e composizione del giudice naturale  fino  al
 punto   di  renderle  di  fatto  impraticabili  e  si  finirebbe  per
 intralciare, fino ad  impedirlo  di  fatto,  l'esercizio  dell'azione
 penale;   violazioni   che   -  aggiunge  il  Tribunale  -  sarebbero
 ravvisabili anche se la nuova  richiesta  fosse  formalmente  diversa
 perche'  avente  ad  oggetto  una pena leggermente superiore, potendo
 anche in tal caso la strategia processuale dell'imputato dar luogo ad
 una serie indefinita di situazioni di incompatibilita'.
    1.1. - Una questione analoga, riferita pero' agli artt. 34  e  444
 c.p.p.  -  in  relazione  all'art. 248 delle relative disposizioni di
 attuazione (decreto legislativo 28 luglio 1989,  n.  271)  -  nonche'
 all'art.  61  c.p.p. del 1930, e' stata sollevata, in un procedimento
 disciplinato da quest'ultimo codice, dal Tribunale di  Pordenone  con
 ordinanza  dell'8  febbraio  1993 (r.o. n. 255/1993) emessa a seguito
 del rigetto di una richiesta di applicazione di pena concordata.
    In  ordine  alla   propria   incompatibilita'   a   procedere   al
 dibattimento  (cfr.  sentenza cit.), il Tribunale osserva che da essa
 deriverebbe   un'irragionevole   limitazione   all'esercizio    della
 giurisdizione - se non la sua impossibilita', specie negli uffici con
 organico  ridotto  -  dato  che  la richiesta di applicazione di pena
 potrebbe essere nuovamente formulata avanti al diverso giudice, che a
 sua  volta,  potrebbe  di nuovo respingerla e cosi' di seguito, senza
 limiti: donde l'asserita  violazione  dell'art.  3  nonche'  -  senza
 specifica motivazione - dell'art. 24 della Costituzione.
    1.2.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che  le
 predette  questioni  (  sub  1  e  1.1.)  siano dichiarate infondate,
 osservando che la situazione denunciata, pur se puo'  comportare,  in
 casi  limite,  il  rischio  di  una disfunzione nello svolgimento del
 processo, non viola alcuna disposizione costituzionale.
    2. - Con quattro ordinanze di identico tenore  emesse  all'udienza
 preliminare del 26 febbraio 1993 (r.o. nn. 215, 216, 217 e 218/1993),
 il  Giudice  per le indagini preliminari presso il Tribunale militare
 di Roma ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,  una questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 34,  secondo  comma,  c.p.p.,  nella  parte  in   cui   non   prevede
 l'incompatibilita'  a  partecipare al giudizio abbreviato del giudice
 dell'udienza  preliminare  che  abbia  rigettato  la   richiesta   di
 applicazione  di  pena  concordata  di  cui all'art. 444 dello stesso
 codice.
    Premesso che nei casi di specie tale richiesta era stata  respinta
 per  la  ritenuta incongruita' della pena e che poi gli imputati, con
 il consenso del pubblico ministero, avevano  chiesto  procedersi  con
 rito  abbreviato, il giudice rimettente osserva che se - in base alla
 citata sentenza n. 186 del 1992  -  il  rigetto  della  richiesta  di
 applicazione  di  pena  concordata costituisce "valutazione di merito
 circa l'idoneita'  delle  risultanze  delle  indagini  preliminari  a
 fondare  un  giudizio  di  responsabilita'  dell'imputato",  tale  da
 determinare l'incompatibilita' del  giudice  del  dibattimento,  alla
 medesima conclusione dovrebbe pervenirsi nel caso in esame. Infatti -
 come  questa  Corte  ha affermato nella sentenza n. 401 del 1991 - la
 locuzione "giudizio" "e' di per se' tale da  ricomprendere  qualsiasi
 tipo  di  giudizio, cioe' ogni processo che in base ad un esame delle
 prove pervenga ad una decisione di merito,  compreso  quello  che  si
 svolge  con il rito abbreviato". Il rigetto della richiesta, inoltre,
 presuppone   la   valutazione   di   inesistenza   delle   condizioni
 legittimanti  il  proscioglimento  ex art. 129 c.p.p., e la decisione
 gia' adottata circa l'entita' della pena, ritenuta incongrua, sarebbe
 tale da  pregiudicare  l'imparzialita'  del  giudice  nel  successivo
 giudizio.
    2.1.  -  La mancata previsione dell,incompatibilita' a procedere a
 giudizio abbreviato del giudice per le indagini preliminari che abbia
 rigettato la richiesta di applicazione  di  pena  concordata  per  la
 ritenuta  incongruita'  di  questa e' denunciata anche, con ordinanza
 del 2 aprile 1993 (r.o. n. 285/1993), dal  Giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la Pretura di Napoli: il quale rileva che in tal
 caso e' stata gia' compiuta una valutazione non solo di  legittimita'
 ma  anche di merito dei fatti oggetto del giudizio e che percio' - in
 raffronto con altre ipotesi nelle  quali  questa  Corte  ha  ritenuto
 sussistente  l'incompatibilita' (sentenze nn. 496 del 1990; 401 e 502
 del 1991; 124 del 1992) - la mancata  previsione  di  questa  darebbe
 luogo  ad  una disparita' di trattamento di situazioni analoghe (art.
 della Costituzione).
    3.  -  In  un  procedimento  a  carico  di due imputate rinviate a
 giudizio come concorrenti nei medesimi reati, il Tribunale di Torino,
 dovendo procedere al dibattimento nei confronti dell'una dopo che per
 l'altra aveva  -  previa  separazione  dei  giudizi  -  rigettato  la
 richiesta   di  applicazione  di  pena  concordata  per  la  ritenuta
 incongruita'  di  questa  e  non  concedibilita'  della   sospensione
 condizionale  della  pena,  ha  sollevato, con ordinanza del 19 marzo
 1993 (r.o. n. 279/1993), una questione di legittimita' costituzionale
 del citato art. 34, secondo comma, c.p.p. , ravvisando una violazione
 degli artt. 3, 25 e 101 della Costituzione nella  mancata  previsione
 dell'incompatibilita' anche in tale ipotesi.
    Ad  avviso  del  Tribunale,  la  valutazione di merito operata nei
 confronti   del   richiedente   l'applicazione   di   pena    implica
 necessariamente  una  valutazione di merito nei confronti degli altri
 imputati  concorrenti  negli  stessi  reati:   ond'e'   che   costoro
 riceverebbero  un  trattamento deteriore rispetto a chi sia giudicato
 da un giudice che non abbia gia' espresso una siffatta valutazione  e
 sarebbe  violata  la posizione di imparzialita' del giudice garantita
 dai principi di precostituzione per legge del giudice naturale  e  di
 indipendenza del medesimo.
    3.1.  -  Nei  giudizi  cui  ai parr. 2, 2.1. e 3 il Presidente del
 Consiglio dei ministri non e' intervenuto.
    4. - Dovendo procedere al  dibattimento  per  un  reato  di  falsa
 testimonianza  che  sarebbe  stato  commesso, secondo l'accusa, in un
 precedente dibattimento da lui stesso celebrato, il Pretore di Napoli
 - sezione distaccata di Capri, ha sollevato d'ufficio, con  ordinanza
 del  2 dicembre 1992 (r.o. n. 80/1993), una questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 34 c.p.p.,  nella  parte  in  cui  per  tale
 ipotesi non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio.
    Pur premettendo di non avere, in esito al precedente procedimento,
 ottemperato  alla  richiesta  del  pubblico ministero di trasmissione
 degli atti al proprio ufficio - ond'e' che  il  procedimento  per  la
 falsa testimonianza aveva tratto origine dal sequestro del verbale di
 dibattimento  disposto dopo l'udienza dello stesso pubblico ministero
 - il Pretore rimettente osserva che l'art. 207, secondo comma, c.p.p.
 - prevedendo che  la  trasmissione  degli  atti  a  quest'ultimo  sia
 disposta  dal  giudice  se,  definendo  la fase processuale in cui il
 testimone ha prestato il suo ufficio, "ravvisa indizi del  reato"  di
 falsa  testimonianza  -  attribuisce  al  giudice medesimo un potere-
 dovere  di  valutazione  di   tali   deposizioni.   A   suo   avviso,
 l'attribuzione   di   tale  potere  (comunque  esercitato),  dovrebbe
 comportare  l'incompatibilita'  a  giudicare  della  falsita'   della
 testimonianza,  pena  la  violazione  del  principio di terzieta' del
 giudice desumibile, per il giudizio pretorile, dalla direttiva n. 103
 della legge delega, nonche' degli artt. 25 e 101 della  Costituzione,
 per  il sospetto che la valutazione precostituita richiesta dall'art.
 207 mini l'indipendenza ed imparzialita' del giudice.
    4.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che la
 predetta questione sia dichiarata  non  fondata,  osservando  che  la
 trasmissione  degli  atti  al  pubblico  ministero "perche' proceda a
 norma di legge" non e'  altro  che  la  specificazione  del  generale
 obbligo  di  denunzia  posto  a  carico  dei pubblici ufficiali e non
 comporta alcun "giudizio sul merito della res iudicanda" suscettibile
 di  minare  l'imparzialita'  del   giudizio   sulla   responsabilita'
 dell'imputato.
                        Considerato in diritto
    1.  -  I  nove giudizi investono, pur se sotto diversi profili, la
 medesima disposizione  di  legge.  E'  percio'  opportuno  che  siano
 riuniti e decisi con un'unica sentenza.
    2.  - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Modica
 dubita che gli artt. 34, secondo comma e 446 del codice di  procedura
 penale - il primo cosi' come integrato dalla sentenza di questa Corte
 n.  186  del  1992  -  contrastino  con  gli artt. 25, 97 e 112 della
 Costituzione, in quanto consentirebbero di reiterare indefinitamente,
 dopo che sia stata rigettata, la stessa richiesta di applicazione  di
 pena  (ovvero  di  richiedere di volta in volta l'applicazione di una
 leggermente superiore) e  percio'  permetterebbero  all'imputato,  in
 ragione  dell'incompatibilita'  conseguente  al  rigetto, di influire
 sulla scelta e composizione del qiudice  naturale  e  di  intralciare
 l'esercizio    dell'azione    penale    ed    il    buon    andamento
 dell'amministrazione della giustizia.
    Il Tribunale di Pordenone, a sua volta,  prospetta  una  questione
 analoga,  riferita  pero'  agli  artt. 34 e 444 c.p.p. - in relazione
 all'art. 248  delle  relative  disposizioni  di  attuazione  (decreto
 legislativo  28 luglio 1989, n. 271) - nonche' all'art. 61 c.p.p. del
 1930, opinando che dall'incompatibilita' a procedere al  dibattimento
 conseguente  al  rigetto  della  richiesta  di  applicazione  di pena
 concordata conseguirebbe, per l'indefinita reiterabilita'  di  questa
 dinnanzi al nuovo giudice, un'irragionevole limitazione all'esercizio
 della  giurisdizione,  con  violazione  degli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione.
    2.1. - Le questioni non sono fondate.
    I giudici a quibus censurano, nella  sostanza,  la  previsione  di
 incompatibilita'  alla  celebrazione  del giudizio in caso di rigetto
 della richiesta di applicazione della pena concordata introdotta  con
 la  sentenza  n.  186  del  1992  di questa Corte, ponendo in luce le
 paradossali  conseguenze  che  da  essa  deriverebbero  in  caso   di
 indefinita  reiterazione  della  medesima richiesta innanzi ad ognuno
 dei collegi di volta in volta costituiti.  Ma  tale  censura  sarebbe
 degna  di  considerazione  solo  ove  se  ne  riconoscesse fondato il
 presupposto  interpretativo,  e  cioe'   che   sia   ammissibile   la
 reiterazione indefinita della medesima richiesta di patteggiamento.
    Tale  assunto  non  puo',  pero',  essere condiviso: innanzitutto,
 perche' - come lo stesso Tribunale di  Modica  riconosce  -  esso  e'
 smentito  dalla  Corte  di cassazione, la quale ammette bensi' che le
 richieste possano essere reiterate, anche nella stessa fase, ma  solo
 se  abbiano  contenuto  diverso;  ed  inoltre,  perche' gli argomenti
 addotti  in  contrario  dai  giudici  a  quibus  non   sono   affatto
 persuasivi.
    In  effetti,  se  dovesse  valere  quello  dell'assenza  di  norme
 impeditive,  se  ne  dovrebbe  concludere  che,   anche   prima   del
 riconoscimento  dell'incompatibilita'  per  l'ipotesi  in  esame, era
 consentito  riproporre  indefinitamente  allo   stesso   giudice   la
 richiesta  gia'  da questo rigettata e cosi' impedire la celebrazione
 del  dibattimento.  Ne'  potrebbe  opporsi  che  la  reiterazione  e'
 ammissibile nell'uno e non nell'altro caso in quanto il nuovo giudice
 potrebbe  pervenire  ad una diversa valutazione della richiesta, dato
 che la reiterabilita', in linea  di  principio,  della  richiesta  di
 applicazione  di  pena  concordata  fino  a quando non sia scaduto il
 termine previsto dall'art. 446, primo comma, c.p.p., consentirebbe in
 astratto anche allo stesso giudice di mutare la propria decisione. La
 dedotta  natura   di   negozio   processuale   della   richiesta   di
 patteggiamento, infine, non giova a dimostrare che possa ammettersene
 la riproposizione nei medesimi termini.
    E'  da  ritenere, percio', che il potere di proporre utilmente una
 determinata richiesta si esaurisca con la pronuncia su di essa e  non
 riviva  sol  perche',  proprio  in  ragione di tale vicenda, un nuovo
 giudice e' chiamato ad esaminare  il  merito  del  processo.  Restano
 quindi  prive di base le censure avanzate dai giudici remittenti; ne'
 puo'  valere  ad  avvalorarle  la  considerazione   dell'ipotesi   di
 prospettazione innanzi al nuovo giudice (non della stessa, ma) di una
 richiesta di applicazione di una pena leggermente superiore, dato che
 una pronuncia su questa diversa fattispecie non sarebbe rilevante nei
 giudizi a quibus.
    3.  -  I  giudici  per le indagini preliminari presso il Tribunale
 militare di Roma e la Pretura di Napoli dubitano, a loro volta, della
 legittimita' costituzionale del medesimo art. 34, secondo comma -  in
 riferimento,  rispettivamente,  agli artt. 3 e 24 ed all'art. 3 della
 Costituzione - nella parte in cui non  prevede  l'incompatibilita'  a
 partecipare  al  giudizio  abbreviato  del  giudice  per  le indagini
 preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di  pena
 concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice.
    3.1. - La questione e' fondata.
    Con  la citata sentenza n. 186 del 1992 - corretta con l'ordinanza
 n. 313 dello stesso  anno  -  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
 costituzionale  della  predetta norma "nella parte in cui non prevede
 l'incompatibilita' del giudice del dibattimento che  abbia  rigettato
 la  richiesta  di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444
 dello stesso codice a partecipare al  giudizio"  (cfr.  anche,  nello
 stesso  senso,  le sentenze nn. 124 e 399 del 1992). Cio' posto, deve
 considerarsi, da un lato, che con le sentenze nn. 401 del 1991 e  261
 del 1992 si e' chiarito che nell'art. 34, secondo comma, la locuzione
 "giudizio"  e'  da  intendere  come  comprensiva  anche  del giudizio
 abbreviato: dall'altro, che - per le ragioni illustrate  nelle  sopra
 dette  sentenze  -  il  rigetto  della  richiesta  di  patteggiamento
 comporta una valutazione sul merito  della  res  iudicanda  idonea  a
 radicare  l'incompatibilita'  al  giudizio,  e  che  non  puo'  farsi
 differenza  a  seconda  che  il  rigetto  sia  disposto  dal  giudice
 dibattimentale  ovvero  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari.
 L'illegittimita' costituzionale va percio' dichiarata  anche  per  il
 caso qui considerato.
    4.  -  Il  Tribunale di Torino, poi, dubita che lo stesso art. 34,
 secondo  comma,  contrasti  con  gli  artt.  3,  25   e   101   della
 Costituzione,  nella  parte in cui non prevede l'incompatibilita' del
 giudice  del  dibattimento,  che  ha  rigettato   la   richiesta   di
 applicazione di pena avanzata da uno degli imputati, a partecipare al
 giudizio nei confronti dei coimputati concorrenti negli stessi reati,
 dato  che in tal modo questi riceverebbero un trattamento deteriore e
 sarebbe  compromessa  la  posizione  di  imparzialita'  del   giudice
 garantita  dai  principi  di  precostituzione  per  legge del giudice
 naturale e di indipendenza del giudice.
    4.1. - La questione non e' fondata.
    Nella gia' citata sentenza n. 186 del 1992 questa Corte ha escluso
 che  l'emissione  di  una sentenza di applicazione di pena concordata
 nei confronti di un coimputato determini incompatibilita' a celebrare
 il giudizio nei confronti dei concorrenti negli  stessi  reati:  cio'
 perche'  il  necessario  presupposto  di  questa, e cioe' l'identita'
 dell'oggetto del giudizio, "non e'  ..  ravvisabile  nell'ipotesi  di
 concorso  di  persone  nel  medesimo  reato,  perche'  alla comunanza
 dell'imputazione  fa  necessariamente  riscontro  una  pluralita'  di
 condotte  distintamente  ascrivibili  a  ciascuno dei concorrenti, le
 quali, ai  fini  del  giudizio  di  responsabilita',  devono  formare
 oggetto  di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che
 psicologico, e ben  possono,  quindi,  sfociare  in  un  accertamento
 positivo per l'uno e negativo per l'altro".
    Tale  diversita' della regiudicanda sussiste, evidentemente, anche
 in  caso  di  rigetto  della  richiesta  di  applicazione   di   pena
 concordata, ond'e' che deve pervenirsi alla medesima conclusione.
    5.  -  Il Pretore di Napoli - sezione distaccata di Capri, dubita,
 infine, che l'art. 34 c.p.p. contrasti con gli artt.  76,  25  e  101
 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita'
 a  giudicare  della  falsa  testimonianza  da  parte del giudice che,
 ravvisando indizi di tale reato (art. 207 c.p.p.), abbia provveduto a
 trasmettere i relativi atti all'ufficio del pubblico ministero.
    5.1. - La questione e' inammissibile  per  difetto  di  rilevanza,
 dato  che  nel  caso  in  esame  la valutazione che dovrebbe radicare
 l'incompatibilita' e cioe' l'avere il giudice  ravvisato  indizi  del
 reato  di  falsa  testimonianza,  non  e' stata effettuata ed anzi il
 giudice  ha  disatteso  la  richiesta  del  pubblico   ministero   di
 trasmettere  per  tale motivo gli atti al suo ufficio; ne' puo' certo
 sostenersi che, ai fini in esame, siffatta ipotesi equivalga  al  suo
 opposto.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 34, secondo
 comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede
 l'incompatibilita' a partecipare al giudizio abbreviato  del  giudice
 per  le  indagini  preliminari  che  abbia  rigettato la richiesta di
 applicazione di pena concordata di  cui  all'art.  444  dello  stesso
 codice;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 degli  artt. 34, secondo comma, e 446 del codice di procedura penale,
 in riferimento agli artt. 25, 97 e 112 della Costituzione,  sollevata
 dal Tribunale di Modica con l'ordinanza indicata in epigrafe;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 degli  artt.  34  e 444 del codice di procedura penale - in relazione
 all'art.  248  delle  norme  di  attuazione,   di   coordinamento   e
 transitorie  approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271
 ed all'art. 61 del codice di procedura penale del 1930  -  sollevata,
 in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di
 Pordenone con l'ordinanza indicata in epigrafe;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  34,  secondo  comma,  del  codice  di procedura penale, in
 riferimento agli artt. 3, 25 e 101 della Costituzione, sollevata  dal
 Tribunale di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe;
      dichiara    inammissibile    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art.  34  del  codice  di  procedura  penale,  in
 riferimento agli artt. 76, 25 e 101 della Costituzione, sollevata dal
 Pretore  di  Napoli  -  sezione  distaccata di Capri, con l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  Costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1933.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C1255