N. 762 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 1993

                                N. 762
    Ordinanza emessa il 24 giugno 1993 dal tribunale amministrativo
                          regionale del Lazio
     sul ricorso proposto da Bisesti Salvatore ed altri contro il
       Ministero delle poste e delle telecomunicazioni ed altro
 Impiego pubblico - Benefici combattentistici - Interpretazione, con
    la norma impugnata, dell'art. 1 della legge  24  maggio  1970,  n.
    336,  che  ha  previsto  detti benefici, nel senso (difforme dalla
    interpretazione della giurisprudenza) che non si  debba  procedere
    al  computo  della  maggiore  anzianita' per gli ex combattenti in
    sede   di   successiva   ricostruzione   economica   prevista   da
    disposizioni  di  carattere  generale e che gli eventuali maggiori
    trattamenti spettanti o in godimento siano conservati ad  personam
    e   debbano  essere  riassorbiti  -  Incidenza  sul  principio  di
    eguaglianza sotto il profilo della  lesione  del  principio  della
    salvezza   dei   diritti   quesiti  nonche'  sul  principio  della
    retribuzione proporzionata ed adeguata - Riferimento alla sentenza
    della Corte costituzionale n. 39/1993.
 (Legge 23 dicembre 1992, n. 498, art. 4, quinto comma).
 (Cost., artt. 3 e 36).
(GU n.1 del 5-1-1994 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  806/1992
 proposto  da  Salvatore  Bisesti,  Francesco Ciullo, Andrea Viglione,
 Pietro  D'Onofrio,  Rita  Stornaiuolo,  Giuseppe  Iasimone,   Valerio
 Gigliotti,  Angelo  De  Feo,  Marcello  Cacciatore, Francesco Mileti,
 Antonino  Santangelo,  Alessandro  Vello,  Luigi  Madonini,   Giorgio
 Romano,  Antonio  Camardella,  Giuseppe  Manzone,  Antonio  Pacaccio,
 rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Di Gioia  ed  elettivamente
 domiciliati presso lo stesso in Roma, piazza Mazzini n. 27, contro il
 Ministero  delle  poste  e  delle  telecomunicazioni,  in persona del
 Ministro pro-tempore, il Ministero del tesoro in persona del Ministro
 pro-tempore, rappresentati e difesi  dall'avvocatura  generale  dello
 Stato  per  la  declaratoria  del  diritto  dei ricorrenti al computo
 dell'anzianita' convenzionale di servizio, di cui  all'art.  1  della
 legge  n.  336, del 24 maggio 1970, ai fini del trattamento economico
 agli  stessi spettante in base al d.P.R. n. 310 del 9 giugno 1981, al
 d.P.R. n. 344, del 25 giugno 1983, al d.P.R. n.  269  del  18  maggio
 1987  e  al  d.P.R.  n. 335 del 4 agosto 1990 con conseguente obbligo
 delle amministrazioni di rideterminare il loro trattamento  economico
 per  la  condanna  delle  amministrazioni al pagamento, in favore dei
 ricorrenti delle maggiori somme dovute, oltre rivalutazione monetaria
 ed interessi sulle somme rivalutate  decorrenti  dai  singoli  ratei;
 rivalutazione  monetaria ed interessi riferiti agli importi dovuti al
 lordo sia delle ritenute  fiscali  che  di  quelle  previdenziali  ed
 esenti essi stessi da tali ritenute.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio delle amministrazioni
 intimate;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi alla pubblica udienza del 24 giugno 1993 l'avv. Di Gioia per
 i  ricorrenti  e  l'avv.  dello Stato Di Carlo per le amministrazioni
 resistenti;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue
                               F A T T O
    I  ricorrenti  dipendenti  del  Ministero  delle  poste  e   delle
 telecomunicazioni lamentano che l'amministrazione di appartenenza nel
 rideterminare  il  loro  trattamento economico, in applicazione degli
 accordi collettivi di settore succedutisi dal 1981 al 1990 (dd.PP.RR.
 nn. 310/1981, 344/1983, 269/1987, 335/1990),  non  ha  computato,  ai
 fini  della  determinazione  dell'anzianita' complessiva di servizio,
 l'anzianita'  convenzionale  agli   stessi   attribuita,   quali   ex
 combattenti od equiparati, per effetto dell'art. 1 della legge n. 336
 del 24 maggio 1970.
    Deducono  le censure di violazione di legge e di eccesso di potere
 per ingiustizia manifesta e disparita' di  trattamento,  argomentando
 che l'anzianita' attribuita in base all'art. 1 della predetta legge -
 come  concordemente  affermato  dalla giurisprudenza - costituisce un
 diritto acquisito al patrimonio del dipendente valido anche  in  caso
 di  rideterminazione  del  trattamento  economico per disposizioni di
 carattere generale, mentre il divieto di applicazione per piu' di una
 volta del beneficio in questione, stabilito dall'art. 3 della legge 9
 ottobre 1971, n. 824, opera solo nelle ipotesi di modificazione della
 situazione di carriera. Ed infatti, osservano, altre  amministrazioni
 statali  (Ministero  delle  finanze  e  Ministero della difesa) hanno
 valutato ai fini della determinazione del nuovo trattamento economico
 stabilito  dal  d.P.R.  n.  310/1981  e   dalle   norme   successive,
 l'anzianita' convenzionale di cui si discute.
    Percio'  chiedono  che  venga  dichiarato, con ogni conseguenziale
 pronuncia, il loro diritto alla  determinazione  della  retribuzione,
 via  via spettante computando il beneficio dei due anni di anzianita'
 convenzionale previsto dall'art. 1 della legge n. 336/1970.
    La suesposta tesi e' stata ribadita con memoria difensiva.
    Nelle more processuali e' entrata in vigore la legge  23  dicembre
 1992,  n.  498,  (recante  interventi  urgenti  in materia di finanza
 pubblica) la quale ha stabilito (art. 4 punto 5) che l'art.  1  delle
 legge n. 336 va interpretato nel senso che "per i pubblici dipendenti
 .  .  non si procede al computo delle maggiori anzianita' . . in sede
 di  ricostruzione  economica  prevista  da  disposizioni di carattere
 generale" e che "gli eventuali maggiori trattamenti  spettanti  o  in
 godimento, conseguenti ad interpretazioni difformi sono conservati ad
 personam e sono riassorbiti con la normale progressione di carriera o
 con futuri miglioramenti dovuti sul trattamento di quiescenza".
    I  ricorrenti,  con  ulteriore memoria depositata il 9 giugno 1993
 hanno  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale   della
 predetta  norma  in  relazione  agli  artt. 3, 36, 52, 101, 103 e 104
 della  Costituzione,  rilevando  che  la  stessa  ha   falsa   natura
 interpretativa, interferisce nell'esercizio delle funzioni attribuite
 a  altro  potere  costituzionale,  crea  disparita'  di trattamento e
 sottrae  al  giudice  il  compito  di   interpretare   ed   applicare
 autonomamente una disposizione di legge.
    Le  amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio e, con
 successiva  memoria  hanno  esposto  i  motivi  di  infondatezza  del
 gravame.
                             D I R I T T O
    La  domanda  dei  ricorrenti  dovrebbe  essere  accolta in quanto,
 secondo   un    ormai    concorde    e    consolidato    orientamento
 giurisprudenziale  (cfr. tra le pronunce piu' recenti, C.d.S., VI nn.
 da 144  a  157  del  13  febbraio  1993),  l'anzianita'  di  servizio
 attribuita  agli  ex  combattenti  dall'art.  1 della legge 24 maggio
 1970, n. 336, non  differisce  da  quella  che  deriva  dal  servizio
 effettivamente prestato e mantiene intatta la sua validita' anche nel
 computo  dei  trattamenti  retributivi  spettanti  ai  dipendenti per
 effetto  di  inquadramenti  in  nuovi  livelli  stipendiali  in  base
 all'anzianita'  pregressa,  in  attuazione degli accordi nazionali di
 lavoro.
    Nelle more processuali il legislatore, con l'art. 4, quinto comma,
 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, ha, pero', ritenuto che  l'art.
 1  della  legge  n.  336  vada interpretato "nel senso che . . non si
 procede  al  computo  delle  maggiori  anzianita'  .  .  in  sede  di
 successiva   ricostruzione  economica  prevista  da  disposizioni  di
 carattere  generale",  disponendo,  inoltre,  il  riassorbimento  dei
 maggiori trattamenti spettanti o in godimento.
    I   ricorrenti   hanno,   percio',   sollevato   la  questione  di
 legittimita' costituzionale della norma interpretativa, in  relazione
 agli  artt.  3, 36, 52, 101, 103 e 104 della Costituzione, osservando
 che non e'  sostenuta  da  alcun  valido  presupposto  (incertezze  o
 contrastanti  applicazioni  del  piu'  volte  menzionato art. 1 della
 legge n. 336) e che in realta', il suo scopo e'  quello  di  abrogare
 con  effetto retroattivo per ragioni di finanza pubblica il beneficio
 dell'anzianita' previsto a favore degli ex combattenti ed equiparati,
 determinando una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai
 dipendenti che gia' godono di  maggiori  trattamenti  oltre  che  una
 invasione  delle  attribuzioni  degli organi giudiziari in materia di
 interpretazione della legge.
    La questione, evidentemente rilevante ai fini della decisione,  e'
 stata   ritenuta,   dalla   I   sezione   di  questo  tribunale,  non
 manifestamente infondata, limitatamente al denunciato  contrasto  con
 gli  artt.  3  e 36 della Costituzione, e, pertanto, e' stata rimessa
 alla Corte con ordinanza n. 767 del 18 maggio 1993.
    Al riguardo si e' preliminarmente ricordato che con la sentenza n.
 39  del  28  gennaio  - 10 febbraio 1993 la Corte costituzionale, nel
 giudicare di una norma di struttura e di finalita'  in  tutto  simile
 all'art.  4,  quinto  comma, della legge n. 498/1992, ne ha negato la
 natura interpretativa e  ne  ha  dichiarato  illegittima  la  portata
 innovativa retroattiva con le seguenti considerazioni:
      "la  nuova  disposizione  incidendo sulle situazioni sostanziali
 poste  in  essere  nella  vigenza  di   quella   precedente   frustra
 l'affidamento  di  una  vasta  categoria di cittadini nella sicurezza
 giuridica  che  costituisce  elemento  fondamentale  dello  Stato  di
 diritto   (sentenze  nn.  349/1985,  822/1988  e  155/1990),  ne'  la
 finalita'  della  contrazione  della  spesa  pubblica  sottesa   alla
 disposizione  in  esame  e'  ragione  sufficiente  a  giustificare le
 evidenziate violazioni dei suddetti precetti costituzionali".
    Questo   collegio,   condividendo   i   dubbi   di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  quinto comma, della legge n. 498/1992,
 espressi dalla I sezione, ritiene, come gia' l'appena citata sezione,
 che le proposizioni della Corte, per la loro  chiarezza,  esimano  da
 ulteriori  argomentazioni  e  che,  anche nella presente fattispecie,
 l'applicazione   della   norma    denunciata    determinerebbe    una
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra  dipendenti  che  si
 trovano nella stessa condizione  di  ex  combattenti  od  equiparati,
 accordando  ad  alcuni  e  negando  ad  altri  il beneficio collegato
 esclusivamente all'appartenenza alla  categoria.  Ne'  la  disparita'
 potrebbe  essere  sanata  dal  previsto  riassorbimento  dei maggiori
 trattamenti  in  godimento  perche'  la  situazione  di   uguaglianza
 potrebbe  prodursi solo in un arco di tempo di ampiezza cosi' incerta
 - e, comunque, consistente - da perpetuare di fatto la disparita'.
    Per le ragioni che precedono deve, quindi, disporsi la  remissione
 degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio.
                               P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
 agli artt. 3 e 36 della Costituzione, la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  quinto  comma  della legge 23 dicembre
 1992, n. 498;
    Sospende il giudizio e ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a  cura della Segreteria della Sezione, la presente
 ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  Camera di Consiglio del 24 giugno
 1993.
                         Il presidente: TOSTI
                                     Il consigliere estensore: PULLANO
    Il consigliere: POLITO
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