N. 473 SENTENZA 23 - 30 dicembre 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Giudice - Rapporto di coniugio tra giudici in un medesimo procedimento ma con separate o diverse funzioni - Divieto - Mancata previsione - Incompabilita' ex art. 62 del c.p.p. 1930 come cause di nullita' assoluta - Omessa previsione - Esistenza della possibilita' di condizionamenti - Irragionevolezza - Illegittimita' costituzionale - Non fondatezza. (C.P.P. 1930, art. 62; c.p.p. 1930, art. 185, primo comma, n. 1, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione)(GU n.1 del 5-1-1994 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 62 e 185, primo comma, n. 1, del codice di procedura penale del 1930, promosso con ordinanza emessa il 15-20 gennaio 1993 dalla Corte d'appello di Firenze nel procedimento penale a carico di Marini Roberto, iscritta al n. 190 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visti l'atto di costituzione di Marini Roberto nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Udito l'avvocato Agostino Viviani per Marini Roberto; Ritenuto in fatto 1. - In sede di appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Grosseto aveva condannato Marini Roberto per il delitto di cui all'art. 521 cod. pen., la Corte d'appello di Firenze rilevava che di detta sentenza era estensore - e quindi componente del relativo collegio giudicante - il coniuge del Pretore di Grosseto che in precedenza, giudicando il Marini per il reato di cui all'art. 530 cod. pen., aveva dichiarato la propria incompetenza ravvisando, appunto, il piu' grave reato di cui all'art. 521 cod. pen. Su tale premessa, la predetta Corte, con ordinanza del 23 gennaio 1993, ha sollevato una questione di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 62 del codice di procedura penale del 1930, con riferimento agli artt. 3 e 101, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che non possono esercitare nello stesso procedimento funzioni anche separate o diverse giudici che siano tra loro in rapporto di coniugio; b) dell'art. 185, primo comma, n. 1, codice di procedura penale del 1930, con riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede come nullita' le incompatibilita' stabilite dall'art. 62 dello stesso codice. Premesso che l'espressione "funzioni anche separate o diverse" contenuta nell'impugnato art. 62 (cosi' come nel corrispondente art. 35 del codice del 1988) e' talmente ampia e omnicomprensiva, che in essa rientra il compimento di ogni atto proprio della funzione del giudice, e quindi anche gli atti non aventi attitudine a definire il procedimento e che non decidono il merito della causa, e che la mancata previsione in detta norma - accanto ai rapporti di parentela o affinita' fino al secondo grado - del (piu' stretto) rapporto di coniugio si spiega con la circostanza che le donne ebbero accesso in magistratura solo per effetto della successiva legge 9 febbraio 1963, n. 66, la Corte rimettente nega che all'inclusione di detto rapporto tra le cause di incompatibilita' possa pervenirsi adottando un'interpretazione evolutiva, ostando a cio' la consolidata giurisprudenza circa la tassativita' dei casi di incompatibilita' e la natura di stretta interpretazione delle relative norme. La disposizione, percio', violerebbe: a) l'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevolezza della differenziazione tra i rapporti di affinita' in primo o secondo grado ed il rapporto di coniugio, meritevole di piu' accentuata tutela; b) l'art. 101 della Costituzione, perche' le reciproche influenze determinate dal rapporto coniugale comporterebbero un condizionamento idoneo ad incidere sull'indipendenza di giudizio e quindi sulla soggezione del giudice "soltanto alla legge". La Corte rimettente rileva, inoltre, che secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, la violazione delle disposizioni in tema di incompatibilita', essendo queste meramente processuali e non di ordinamento giudiziario, non puo' farsi rientrare tra i difetti attinenti alla nomina ed alle altre condizioni di capacita' del giudice stabilite dalle leggi d'ordinamento giudiziario, per le quali l'art. 185, n. 1, cod. proc. pen. del 1930 commina la nullita' assoluta; e che, percio', essa puo' essere fatta valere solo come motivo di ricusazione, nelle forme e nei termini prescritti per la ricusazione (art. 66): termini che nella specie non sarebbero stati rispettati. In proposito, la Corte non ritiene di accedere alla soluzione adottata in un'isolata pronuncia della Corte di cassazione (sez. I, 2 ottobre 1986, Alleruzzo) che, per il caso di incompatibilita' determinata da rapporto di coniugio, ha ritenuto l'inesistenza giuridica del provvedimento. Condivide, pero', la motivazione adottata in detta decisione, e cioe' che da tale rapporto derivi un difetto di legittimazione (sostanziale) a giudicare, per il possibile prevalere dell'interesse personale, affettivo, sull'interesse superiore della giustizia, e dunque per la "situazione di compromissione delle componenti di obiettivita' (terzieta') da parte di chi deve esercitare il potere di "jus dicere"; e sottolinea che le incompatibilita' in questione, diversamente dalla maggior parte delle circostanze che comportano astensione e ricusazione, sono di carattere oggettivo, cosi' da non richiedere alcun apprezzamento di merito, com'e' invece per l'"interesse personale", per l'"inimicizia grave", etc. Sarebbe percio' inaccettabile che siffatta situazione di incompatibilita' possa operare solo se rilevata dal singolo magistrato o casualmente conosciuta dall'interessato: ed il fatto che il citato art. 185, n. 1 non la preveda come difetto attinente alle condizioni di capacita' del giudice, e quindi come causa di nullita' assoluta, lo porrebbe in conflitto con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto "tali condizioni hanno significato effettivo solo in quanto rendano il giudice capace di svolgere la sua funzione al riparo da qualsiasi possibilita' di compromissione della sua terzieta'" ed esigono che il giudice "non solo sia ma anche appaia imparziale". La Corte rimettente, richiama anche, al riguardo, l'art. 25, primo comma, della Costituzione ed il principio di buona amministrazione, ma tali censure non sono ripetute nel dispositivo. 2. - Si e' costituita la parte privata Marini Roberto, rappresentato e difeso dall'avv. A. Viviani, aderendo integralmente alle motivazioni e conclusioni contenute nell'ordinanza. 3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, eccepisce innanzitutto l'irrilevanza della questione concernente l'art. 62, dato che le cause d'incompatibilita' possono essere fatte valere solo come motivo di ricusazione e questa, in quanto gia' effettuabile in primo grado, non e' piu' proponibile in fase di appello. La questione sull'art. 185, n. 1, prospettata per superare tale ostacolo, sarebbe poi infondata, dato che le cause di incapacita' sono diverse, e piu' gravi, delle cause d'incompatibilita', sicche' la diversita' di disciplina dovrebbe ritenersi ragionevole. Sul rilievo, poi, che l'ipotesi del rapporto di coniugio non poteva realizzarsi al momento dell'emanazione del codice del 1930, l'Avvocatura sostiene che essa potrebbe includersi tra le cause d'incompatibilita' in via interpretativa, come del resto ritenuto dalla Corte di cassazione (sez. VI, 9 ottobre 1985, Martignetti); e rileva - quanto alla pretesa violazione dell'art. 101 della Costituzione - che la disciplina dei diritti e doveri inerenti al rapporto di coniugio non autorizza a considerarlo "come idoneo in diritto a consentire una 'soggezione' del coniuge-giudice a regole di condotta diverse dalla legge". Considerato in diritto 1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Firenze dubita: a) che l'art. 62 cod. proc. pen. del 1930, nella parte in cui non prevede che non possono esercitare nello stesso procedimento funzioni anche separate o diverse giudici che siano tra loro in rapporto di coniugio, violi: l'art. 3 della Costituzione, essendo irragionevole la differenziazione di tale rapporto rispetto a quelli di affinita' di primo o secondo grado; con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, perche' le reciproche influenze determinate dal rapporto coniugale comporterebbero un condizionamento idoneo ad incidere sull'indipendenza di giudizio; b) che l'art. 185, primo comma, n. 1 del cod. proc. pen. del 1930, nella parte in cui non prevede le incompatibilita' ex art. 62 come cause di nullita' assoluta, contrasti con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione dato che esse incidono sull'indipendenza di giudizio e dovrebbero percio' includersi tra le condizioni di capacita' del giudice. 2. - Premesso che la rilevanza della questione sub a) trova fondamento nella prospettazione di quella sub b), la Corte non ritiene di poter disattendere - come vorrebbe l'Avvocatura dello Stato - l'assunto del giudice a quo secondo cui all'inclusione del rapporto di coniugio tra le cause d'incompatibilita' di cui all'impugnato art. 62 non puo' pervenirsi in via interpretativa. E' ben vero, infatti, che trattasi di lacuna sopravvenuta, dato che anteriormente alla legge 9 febbraio 1963, n. 66 le donne non avevano accesso in magistratura; ma non puo' negarsi che nuoccia alla certezza delle regole processuali il ritenere che il rapporto di coniugio sia implicitamente ricompreso, sulla base dell'eadem ratio, tra quelli che tale norma considera, dato che e' opinione comune che le norme sull'incompatibilita' e sulla ricusazione, in quanto limitative dell'idoneita' al giudizio del giudice, sono di stretta interpretazione. Cio' premesso, la questione sub a) deve ritenersi fondata. L'art. 62, infatti, mira a salvaguardare l'imparzialita' del giudice dai condizionamenti che possono derivargli dalla partecipazione allo stesso procedimento, con funzioni anche separate o diverse, da soggetti a lui legati da stretti rapporti di parentela o affinita'. E' evidente che condizionamenti anche maggiori possano scaturire dal (piu' stretto) rapporto coniugale: sicche' la differenziazione e' indubbiamente irragionevole. L'art. 62 del codice di procedura penale del 1930 va percio' dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che non possano esercitare nello stesso procedimento funzioni anche separate o diverse giudici che sono tra loro in rapporto di coniugio. 4. - La questione sub b), che investe l'art. 185, primo comma, n. 1 di detto codice e', invece, infondata. Dall'invocato principio costituzionale di soggezione del giudice soltanto alla legge non discende, infatti, che l'osservanza delle prescrizioni atte a garantirne l'imparzialita', ed in particolare di quelle sulle cause d'incompatibilita', debba essere assicurata con lo strumento della nullita' assoluta. Il legislatore puo' invero ritenere piu' appropriati, anche per evitare il protrarsi di situazioni di incertezza, gli strumenti dell'astensione e della ricusazione del giudice che versi in situazione di incompatibilita', sempreche' ponga la parte interessata in condizione di dedurla. L'incompatibilita', d'altra parte, inficia l'idoneita' al corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali solo in relazione ad uno specifico procedimento, e percio' puo' essere ragionevolmente differenziata da quelle situazioni - considerate dalla norma impugnata - che ostano in via generale alla capacita' di esercizio di tali funzioni.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 62 del codice di procedura penale del 1930, nella parte in cui non prevede che nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi; Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 185, primo comma, numero 1 del predetto codice, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, sollevata dalla Corte d'appello di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 dicembre 1993. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: SPAGNOLI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C1332