N. 83 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 dicembre 1993

                                 N. 83
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 30 dicembre 1993 (della regione Lombardia)
 Controlli amministrativi - Modifiche al d.P.R. 13 febbraio 1993, n.
    40, concernente la revisione dei controlli dello Stato sugli  atti
    amministrativi   delle  regioni  -  Esclusione  dal  controllo  di
    legittimita' sugli atti predetti "soltanto di ogni valutazione  di
    merito" - Inclusione fra gli atti sottoposti a controllo dei piani
    territoriali,   dei   programmi   ed   altri  atti  integrativi  o
    modificativi dei contenuti dei predetti provvedimenti, ovvero  che
    ne  tengano  luogo,  oltre  che  degli  appalti  e  concessioni  -
    Attribuzione al Presidente del Consiglio dei Ministri del  compito
    di  determinare  criteri procedurali per le commissioni statali di
    controllo - Previsione che la commissione statale di controllo sia
    composta di quattro membri oltre che dal  commissario  di  Governo
    con    funzioni    di    presidente,   di   cui   tre   funzionari
    dell'amministrazione   civile    dello    Stato    illimitatamente
    rinnovabili  ed esonerati da ogni obbligo di servizio - Previsione
    per la validita' delle deliberazioni di ciascuna commissione della
    presenza di almeno quattro componenti - Lamentato eccesso rispetto
    alla legge di delega n.  421/1992,  sia  per  l'esorbitanza  dalla
    materia  del pubblico impiego, sia per l'inosservanza dei principi
    della   concentrazione  dell'attivita'  di  controllo  sugli  atti
    fondamentali  della  gestione  nonche'  della   necessita'   della
    preventiva  audizione  dei  rappresentanti dell'ente controllato -
    Mancato adeguamento della composizione degli organi di controllo -
    Richiamo al ricorso n. 22/1993.
 (D.P.R. 10 novembre 1993, n. 479, artt. 1, primo comma, 2, primo e
    secondo comma, e 3).
 (Cost., artt. 76, 115, 118 e 125).
(GU n.4 del 19-1-1994 )
    Ricorso per illegittimita' costituzionale proposto  dalla  regione
 Lombardia,   in   persona  del  presidente  in  carica  della  giunta
 regionale,  dott.  Fiorinda  Ghilardotti,  a  cio'  autorizzata   con
 delibera  della  giunta  regionale,  n.  45127  del 14 dicembre 1993,
 rappresentata e difesa, per mandato  a  margine  del  presente  atto,
 dagli  avv.ti Maurizio Steccanella, del foro di Milano, e Giovanni C.
 Sciacca, del foro di Roma, presso il quale, in Roma, via G.  B.  Vico
 n.  29, elegge domicilio, contro e nei confronti della Presidenza del
 Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente  del  Consiglio  in
 carica,  sedente  in Roma, piazza Colonna, Palazzo Chigi, ed altresi'
 legalmente domiciliata presso l'avvocatura generale dello  Stato,  in
 Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita'
 costituzionale:
      I)  dell'art.  1,  primo  comma, del d.P.R. 10 novembre 1993, n.
 479, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  italiana,
 n.  279,  del  27  novembre  1993,  e  quindi  del  risultante "testo
 novellato" dell'art. 1, primo comma, del d.P.R. 13 febbraio 1993,  n.
 40,   recante   "revisione  dei  controlli  dello  Stato  sugli  atti
 amministrativi delle regioni, ai sensi dell'art. 2 primo comma, lett.
 h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421", nella parte nella quale  si
 dispone  che  il  controllo di legittimita' sugli atti amministrativi
 della regione si esercita "esclusa" - soltanto - "ogni valutazione di
 merito";
      II) dell'art. 1, secondo comma, del d.P.R. 10 novembre 1993,  n.
 479  (pubblicato  come  detto  sopra), e quindi del risultante "testo
 novellato" dell'art. 1,  primo  comma,  del  gia'  citato  d.P.R.  13
 febbraio  1993, n. 40, in quanto inclusivo, fra gli atti sottoposti a
 controllo, dei "piani anche territoriali, dei programmi ed altri atti
 integrativi o modificativi dei contenuti dei  predetti  provvedimenti
 ovvero   che   ne   tengano   luogo",  oltre  che  degli  "appalti  e
 concessioni", vale a dire con riferimento alle lettere b) e g);
      III) dell'art. 2, primo e secondo comma, del d.P.R. 10  novembre
 1993,  n.  479 (pubblicato come detto sopra), e quindi del risultante
 "testo novellato" dell'art. 2, primo e terzo  comma,  del  d.P.R.  13
 febbraio  1993, n. 40, la' dove - rispettivamente - si stabilisce che
 il  Presidente  del  Consiglio  dei   Ministri   "determina   criteri
 procedurali  per  le  commissioni  statali  di  controllo",  e che il
 comitato tecnico, di cui al secondo comma, del medesimo  art.  2  del
 d.P.R.  13 febbraio 1993, n. 40, "propone al Presidente del Consiglio
 dei Ministri l'adozione di criteri procedurali";
      IV) dell'art. 3 del d.P.R. 10 novembre 1993, n. 479  (pubblicato
 come  detto  sopra),  e quindi dello - in tal modo - aggiunto art. 3,
 quarto, quinto, sesto e settimo  comma,  del  "novellato"  d.P.R.  13
 febbraio 1993, n. 40, la' dove si dispone che:
        A) (quarto comma) su cinque componenti di ciascuna commissione
 statale  di  controllo,  oltre  al  commissario  del  Governo  che la
 presiede, ben tre siano funzionari della amministrazione civile dello
 Stato, rispettivamente appartenenti ai medesimi ruoli dei quali fanno
 parte i dirigenti  che  compongono  il  comitato  tecnico  (centrale)
 istituito,  a mente dell'art. 2, secondo e terzo comma, del d.P.R. 13
 febbraio 1993,  n.  40,  il  quale,  in  questa  parte,  non  risulta
 modificato;
        B)  (quinto  comma)  i  predetti  funzionari  facenti parte di
 ciascuna  commissione  statale  di  controllo  sono   illimitatamente
 rinnovabili  ed  esonerati  da  ogni  obbligo di servizio, per cui e'
 palese che essi si trovano fortemente  "incentivati"  ad  ottenere  -
 alla  scadenza  di  ciascun  triennio  -  il  rinnovo  della  propria
 investitura, da parte della rispettiva amministrazione centrale dello
 Stato e pertanto privati di qualsivoglia autonomia di giudizio;
        C) (sesto comma) le funzioni vicarie di presidente di ciascuna
 commissione statale di controllo  sono  attribuite  non  gia'  ad  un
 vicepresidente  eletto  dalla commissione stessa, o - ad esempio - al
 componente piu' anziano, ma ad un funzionario  della  amministrazione
 centrale  dello Stato, con esplicito richiamo all'art. 13 della legge
 n. 400/1988 che fa concerne i compiti di amministrazione  attiva  del
 commissario  del  Governo,  e con conseguente implicita assimilazione
 dello  esercizio   del   controllo   alle   funzioni   di   autentica
 amministrazione attiva;
        D)  (settimo  comma)  per  la validita' delle deliberazioni di
 ciascuna commissione statale di controllo e' prescritta  la  presenza
 di  almeno  quattro  componenti,  il che, tenuto conto che il caso di
 parita' prevale il voto del presidente (che  e'  il  commissario  del
 Governo  ovvero  - sesto comma - un funzionario della amministrazione
 dello  Stato,  si  traduce  nella  "codificazione"  tassativa   della
 precostituita  maggioranza  a  favore delle determinazioni propugnate
 dalla rappresentanza burocratica  della  amministrazione  statale  in
 occasione  della  adozione  di ogni e qualsiasi atto di esercizio del
 controllo,  con  sostanziale  variazione  della  collegialita'  delle
 commissioni.
                               F A T T O
    1.  - La legge 23 ottobre 1992, n. 431, recante "Delega al governo
 per la razionalizzazione e la revisione delle discipline  in  materia
 di   sanita',  di  pubblico  impiego,  di  previdenza  e  di  finanza
 territoriale",  all'art.  2,  intitolato   "pubblico   impiego",   ha
 conferito  delega  al Governo della Repubblica per emanare uno o piu'
 decreti legislativi, dettando (art. 76  della  Costituzione),  quanto
 all'oggetto,  ai  principi  e  ai  criteri  direttivi  degli emanandi
 decreti,  i  seguenti:  (primo  comma,  lett.  h);  ..  prevedere  la
 revisione  dei  controlli  amministrativi  dello Stato sulle regioni,
 concentrandolo sugli atti fondamentali della gestione ed  assicurando
 la  audizione  dei  rappresentanti  dell'ente  controllato, adeguando
 altresi' la composizione degli organi di controllo anche al  fine  di
 garantire  la  uniformita'  dei  criteri  di  esercizio del controllo
 stesso".
    2. - L'attinenza alla materia  del  pubblico  impiego,  oltre  che
 indiscutibile  alla  stregua  della  analisi  letterale e sistematica
 (collocazione nell'art. 2 della legge-delega), risultava ribadita  in
 modo  inequivoco  dalla  successiva  lett.  i)  del  medesimo  comma,
 riferita ex professo (e con richiamo esplicito alla precedente  lett.
 h)  alla  "contrattazione nazionale e decentrata" che e' istituto fin
 troppo evidentemente caratteristico del  solo  rapporto  di  pubblico
 impiego.
    3.  -  Sulla  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica italiana del 20
 febbraio 1992, n. 42, e'  stato  pubblicato  il  decreto  legislativo
 emanato   in  una  prima  fase  di  attuazione  specifica  di  quella
 particolare delega legislativa, vale a dire  il  d.P.R.  13  febbraio
 1993,  n. 40, recante "Revisione dei controlli dello Stato sugli atti
 amministrativi delle regioni, ai  sensi  dell'art.  2,  primo  comma,
 lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421".
    Peraltro,  tale  d.P.R.,  dopo aver premesso - all'art. 1 - che il
 controllo e' e rimane "di legittimita'" e  dopo  avere  espressamente
 esclusa   "ogni   diversa   valutazione   dello   interesse  pubblico
 perseguito", specificava  analiticamente  quali  fossero  i  ritenuti
 "atti  fondamentali della gestione", e quindi disponeva - all'art. 2,
 primo comma - che "allo scopo di assicurare il coordinamento  "o"  di
 favorire   comuni   indirizzi   nella  attivita'  di  controllo",  il
 Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  emanasse  "direttive"  alle
 commissioni statali di controllo.
    Il  terzo  comma del medesimo art. 2 del citato d.P.R. n. 40/1993,
 sanciva, dal canto suo,  che  il  comitato  -  definito  "tecnico"  -
 istituito  a  norma  del  precedente  secondo  comma,  formulasse  al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  proprie  proposte  per  la
 adozione delle anzidette "direttive".
    4. - Le disposizioni di cui sopra apparvero alla regione Lombardia
 costituzionalmente  illegittime,  per  violazione dell'art. 125 della
 Costituzione, violazione conseguente dell'art. 118 della Costituzione
 e violazione dell'art. 76 della Costituzione,  per  cui  fu  proposto
 tempestivo ricorso per illegittimita' costituzionale, che ha assunto,
 presso  la  ecc.ma Corte, il n. 22/93 reg. ric. e, dopo due rinvii di
 ufficio (dal 5 ottobre al 2 novembre e dal 2 novembre al 14  dicembre
 1993), e' stato discusso e rimesso in decisione alla pubblica udienza
 del  14  dicembre  1993, sebbene nel frattempo fosse stato pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale del 27 novembre 1993 ed entrato, quindi,  in
 vigore  due  giorni  prima  di  tale  udienza,  l'attuale  d.P.R.  n.
 479/1993, oggetto del presente ricorso.
    Indipendentemente da quello che si potra'  conoscere  -  allorche'
 verra'  pubblicata  la sentenza della Corte - essere stato l'esito di
 quel ricorso, nella trattazione del quale la difesa della  ricorrente
 ha  sostenuto  che  talune  parti  dello  impugnato d.P.R. n. 40, non
 modificate   dalla   sopravvenuta   "novella"   normativa,   potevano
 costituire  ancora  perdurante  ed  attuale "materia del contendere",
 diviene - ora - necessario impugnare le sopraspecificate disposizioni
 contenute nel d.P.R. n. 479/1993 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
 del 27 novembre  1993)  sia  in  se  stesse,  sia  -  trattandosi  di
 modificazioni  di testo previgente, e non di abrogazione-sostituzione
 di quest'ultimo - con  riferimento  al  "nuovo"  ("novellato")  testo
 risultante  dalle modificazioni apportate dal legislatore delegato e,
 conseguentemente, oggi vigente nella sua unitarieta' sistematica  per
 effetto  del  "combinato  disposto"  dei due dd.PP.RR. succedutisi in
 brevissimo tempo.
    5. - Le disposizioni impugnate in questa sede  appaiono,  infatti,
 inosservanti  e  trasgressive  degli  artt.  125, 118, 115 e 76 della
 Costituzione, ed esse debbono  essere  dichiarate  costituzionalmente
 illegittime,  in accoglimento del presente ricorso, il quale si fonda
 sulle seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    Violazione dell'art. 76 della Costituzione ed esorbitanza rispetto
 ai  limiti  della  delega  legislativa  conferita  al  Governo  della
 Repubblica.
    La legge delega (23 ottobre 1992, n.  421)  ha  esteso  la  delega
 conferita  al  Governo  della Repubblica alla materia della revisione
 del sistema dei controlli sugli atti amministrativi delle regioni, ma
 con evidente limitato riferimento alla materia del pubblico  impiego,
 se  solo  si  considera  che  tale  e'  l'oggetto  e la intitolazione
 dell'art. 2, nel quale e' inserita, al comma 1., la  lettera  h)  che
 quella  specifica  delega  attribuisce  (criterio "sistematico" della
 interpretazione).   Cio'   risulta,    peraltro,    macroscopicamente
 confermato,  sul  piano  della  interpretazione  sia  sistematica che
 letterale, anche dalla duplice considerazione:
       A) che - se cosi' non si fosse voluto  disporre  da  parte  del
 Parlamento   delegante   -   la   c.d.   "revisione   dei   controlli
 amministrativi dello Stato sugli atti delle  regioni"  sarebbe  stata
 prevista,  a  titolo  di delega legislativa, in una apposita premessa
 generale,  o  in  un'apposita  norma  finale,  ovvero,  quanto  meno,
 nell'art.  4  della  legge-delega  concernente la "finanza degli enti
 territoriali",  stante  la  evidentissima  ampiezza,  tendente   alla
 omnicomprensivita',  di siffatta "materia", nonche' in considerazione
 della certissima attinenza a quest'ultima del  maggior  numero  degli
 atti  da  "controllare",  e  stante  anche  la  dichiarata  finalita'
 dell'intero sistema dei controlli che risponde fondamentalmente  alla
 esigenza  di una rigorosa verifica dell'utilizzo, da parte dei poteri
 autonomistici, delle risorse costituenti la  c.d.  "finanza  pubblica
 allargata",  in  gran  parte  rappresentate  da  "finanza  derivata",
 laddove la delega per operare una "revisione dei controlli" si trova,
 invece, collocata, nella legge-delega n.  421/1992,  addirittura  nel
 corpo  di  una specifica disciplina (lett. h) contenuta nell'art. (2)
 intitolato al "Pubblico impiego" e a  questa  materia  esclusivamente
 dedicato; B) dalla inequivocabile formulazione (e collocazione) della
 successiva  lett.  i)  del  medesimo articolo, riferita espressamente
 solo alla contrattazione collettiva e che si ricollega apertis verbis
 alla lett.  h).    Poiche'  nel  nostro  sistema  costituzionale,  la
 potesta'  legislativa  appartiene al Parlamento, laddove una potesta'
 legislativa delegata al Governo rappresenta una eccezione, come  tale
 (artt.  76  e  77  della  Costituzione) circoscritta entro limiti ben
 definiti e tassativi, tali da  imporre  l'applicazione  del  criterio
 della  stretta  interpretazione  di ogni e qualsiasi legge di delega,
 non  pare  dubbio  che  la  collocazione  della  norma  in  questione
 nell'ambito   della  specifica  disciplina  concernente  il  pubblico
 impiego, comporta quanto meno il "dubbio" - ma diremmo senz'altro  la
 certezza  negativa³  - che il legislatore delegato (Governo) potesse,
 senza violare l'art. 76 della Costituzione,  riformare  profondamente
 in  via  generale  l'istituto del controllo sugli atti amministrativi
 delle regioni, esprimendosi - appunto - "per verba generalia" e senza
 limitarsi all'"oggetto definito", quale esso risultava indirettamente
 dalla rubrica e dal restante contenuto dell'art. 2 della legge delega
 n.  421/1992.  Al di la' di cio', tuttavia, ed in secondo luogo,  ben
 altre  e  piu'  rilevanti appaiono le "esorbitanze" addebitabili alla
 decretazione  delegata  in  argomento, rispetto alla delega conferita
 dal Parlamento.
    Infatti, la delega e' stata  attribuita  al  dichiarato  scopo  di
 ridurre   l'ambito   oggettivo   della   attivita'  di  controllo  da
 "concentrare sugli atti fondamentali della gestione".
    A questo proposito, e'  indiscutibile  la  violazione  dei  limiti
 della delegazione legislativa, allorche' si scorge che, ben lungi dal
 "concentrare"  e  ben  lungi  dal  limitare il controllo ai soli atti
 "fondamentali", con i due dd.PP.RR. attuativi vengono inclusi fra gli
 atti soggetti a controllo i  "programmi"  ed  addirittura  "gli  atti
 integrativi o modificativi dei contenuti dei predetti provvedimenti o
 che  - si badi - ne tengano luogo", il che significa che qualsivoglia
 "puntuale" provvedimento regionale che, "sulla base" (=  integrativi)
 di  un  piano  o  di  un  programma,  ovvero  ampliando e/o derogando
 specificamente da esso per cause determinate (=  modificativi),ovvero
 ancora assunto per riscontrata assenza della necessita' di una previa
 ampia  provvedimentazione  regolamentare  (=  che  ne tengano luogo),
 disponga su singole situazioni  e  fattispecie  (basti  pensare  alla
 approvazione  di una modesta variante alla strumentazione urbanistica
 generale di un comune, ovvero alla  approvazione,  o  anche  solo  al
 finanziamento di un programma di intervento singolo e definito, quale
 ad  esempio un programma integrato di recupero di un singolo comparto
 edilizio o addirittura di un singolo edificio, di cui alla  legge  17
 febbraio   1992,   n.  179,  che,  pur  dichiarata  in  alcune  parti
 costituzionalmente illegittima, non lo e' stata per la parte che  qui
 si  menziona),  torna  ad  essere - e vi torna proprio in forza della
 "novella" additiva di cui all'art. 1, secondo comma,  del  d.P.R.  n.
 479/1993)  -  soggetto  a  controllo da parte dello Stato.  La stessa
 generica inserzione dei "programmi" - che sono cosa ben  diversa  dai
 "piani"  veri  e  propri  -  lascia  aperta la strada alla pretesa di
 sottoporre a controllo statale qualunque iniziativa regionale che  si
 concreti    in   una   qualsivoglia   ipotesi   di   reiterazione   o
 razionalizzazione di singoli interventi scanditi nel tempo od operati
 attraverso una selezione localizzatrice, cronologica, o  di  risorse.
 Ed  ancora,  la stessa pianificazione territoriale, se costituisce di
 certo "atto  fondamentale"  ove  si  caratterizzi  per  la  redazione
 originaria  ed autonoma di uno strumento di dimensione regionale o di
 vasta area, non lo e' piu' quando essa si traduce in  un  momento  di
 mera  verifica  di  compatibilita'  di atti pianificatori prodotti da
 enti subregionali, come prescrivono, ad esempio,  gli  artt.  14,  15
 (Province)  e 19 (Citta' metropolitane) della legge n. 142/1990 sulle
 autonomie locali, i quali riservano alle regioni una pura funzione di
 coordinamento a posteriori, o di nihil  obstat  che  non  si  esprime
 affatto in atti (regionali) "fondamentali della gestione (³)".
    Vi  e',  poi,  alla lett. g) dell'art. 1 del testo di decretazione
 delegata, il  riferimento  agli  appalti  non  previsti  in  atti  di
 programmazione (vale a dire "singoli", "puntuali" e "specifici"), dei
 quali  tutto  si puo' dire, meno che si tratti di "atti fondamentali"
 ..
  La decretazione delegata risultante e', pertanto, del tutto  elusiva
 (per  esorbitanza)  e  trasgressiva  del  principio  e  del  criterio
 direttivo della delega, che e'  quello  di  "concentrare"  le  specie
 degli  atti  amministrativi regionali da sottoporre al controllo e di
 condizionare siffatta sottoposizione al carattere  "fondamentale"  di
 essi  e di attinenza alla "gestione".  Il Parlamento ha ulteriormente
 dettato il "criterio direttivo" (sempre in ossequio all'art. 76 della
 Costituzione) secondo il quale "anche" al fine (considerato,  dunque,
 un  fine complementare e per cosi' dire "secondario") di garantire la
 uniformita' "dei criteri" di esercizio del controllo, che e' cosa ben
 diversa  da  una   pretesa   e   presunta   "identita'   cogentemente
 predeterminata"  dei  "contenuti"  del  controllo  nella sua concreta
 esplicazione (singoli atti di controllo), il Governo della Repubblica
 poteva procedere all'adeguamento della composizione degli  organi  di
 controllo (commissioni statali).
    Era   pertanto   evidente  l'intento  del  legislatore  delegante:
 consentire  al   Goerno   di   perseguire   "anche"   quell'obiettivo
 ("uniformita'  dei meri criteri") operando - tuttavia - a questo fine
 con il solo specifico e individuato strumento dell'adeguamento  della
 composizione    degli    organi    (omogeneita'   di   qualificazione
 professionale, comunanza di "sensibilita'"  giuridico-amministrativa,
 ecc.),  e  non  altrimenti³  Viceversa,  l'art. 2, secondo comma, del
 decreto-delegato istituisce  -  il  che  e'  tutt'altra  cosa³  -  un
 comitato centrale denominato. . . pudicamente "tecnico", al quale e',
 tuttavia, demandato ben altro e piu' incisivo compito:
       A)  "assicurare  il  coordinamento",  che e' anch'essa cosa ben
 diversa dal semplice "garantire  la  uniformita'  dei  soli  criteri"
 (legge delega);
       B)  ovvero  ("o")  "favorire  comuni  indirizzi", che, solo con
 rilevante  sforzo  interpretativo,   potrebbe   ritenersi   accezione
 equivalente  al  "garantire  la  uniformita' dei criteri" di cui alla
 legge delega, dal momento che gli "indirizzi" attengono al  contenuto
 della  attivita' da esperire, ed i criteri, invece, solo al "modo" di
 compierla ..
    Appare chiaro, allora, che il Governo - legislatore delegato -  ha
 ecceduto  rispetto  ai  limiti della delega, non solo nel "mezzo" (un
 comitato tecnico centrale, in luogo della sola omogeneizzazione delle
 commissioni), ma nell'"oggetto  definito"  individuato  nella  delega
 legislativa  conferitagli,  perche',  se  si  e'  voluta  favorire la
 uniformita'  degli  indirizzi,   vi   si   e'   aggiunto   ("o")   un
 "coordinamento"  delle  singole  commissioni, del tutto assente dalla
 previsione della  legge  di  delegazione  ed  attuato  attraverso  la
 creazione  di  un apposito organo centrale assolutamente non previsto
 in essa.  Molto piu' grave appare, tuttavia, la esorbitanza  rispetto
 ai  limiti  della  delega  legislativa, allorche' ci si imbatte nella
 attribuzione di una potesta', in capo al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, che originariamente era  addirittura  quella  di  impartire
 (sic³)  "direttive"  alle commissioni statali di controllo (testo del
 d.P.R. n. 40/1993), e che,  attraverso  una  modificazione  apportata
 dall'attuale  d.P.R.  n.  479/1993  (art.  2),  assume  la  apparente
 fisionomia riduttiva  di  "determinazioni  di  criteri  procedurali".
 Questa sorta di. . . "cosmesi" lessicale, la cui "postuma accortezza"
 (dopo  la  avvenuta proposizione di ricorsi alla Corte costituzionale
 sul punto) non rappresenta di certo una metodologia  commendevole  in
 sede  di produzione normativa in ambito istituzionale, non rimedia al
 vizio  di  illegittimita'  costituzionale   che   caratterizzava   il
 precedente   d.P.R.,   dal   momento  che  "criteri  procedurali"  e'
 espressione giuridicamente incomprensibile, o  quanto  meno  ambigua,
 frutto  di  una  escogitazione  compilativa  ispirata  alla "prudenza
 espressiva",  piu'  che  al  reale  rispetto dei limiti imposti dalla
 legge-delega.   Se,  come  ebbe  a  dire  Salvatore  Satta,  nel  suo
 ineguagliato  commentario  al C.P.C., "voila' le firme'memt, le reste
 est proce'dure. . .", la procedura dell'esercizio  del  controllo  e'
 rigorosamente  definita  dalla  legge  ed  e' cosa oggettiva, per cui
 nessun  "criterio"  potra'  dirsi  effettivamente  "procedurale",   e
 soprattutto  nessun  "criterio"  -  in  termini  procedurali - potra'
 essere  da  chicchessia   (eccettuato   il   legislatore   ordinario,
 evidentemente) "determinato ", il che lascia comprendere che la abile
 trasformazione semantica che caratterizza il testo della decretazione
 oggi   vigente,  per  effetto  di  una  postuma  "novella"  meramente
 lessicale quale quella di cui  al  d.P.R.  n.  479,  non  elimina  la
 violazione  della  delega legislativa, e continua ad attribuire ad un
 organo dell'amministrazione centrale  dello  Stato,  la  potesta'  di
 dettare  "regole  cogenti"  -  comunque  denominate - per l'esercizio
 effettivo, da parte delle commissioni istituite  presso  le  regioni,
 del controllo nella sua sostanza.  Cio' appare, del resto, confermato
 e  sotto  certo  profilo  aggravato  dalla previsione di un potere di
 "proposta" dei pretesi e presunti "criteri  procedurali",  attribuito
 al  comitato  tecnico  (assolutamente non previsto ne' come tale, ne'
 quanto all'anzidetta funzione, dalla legge delega,  la  quale  aveva,
 invece,   affidato  il  soddisfacimento  della  diversa  esigenza  di
 garantire  la  mera  uniformita'  al  solo  mezzo  di   adeguare   la
 composizione  degli  organi  deputati ad esercitare concretamente, ma
 autonomamente, il controllo). Per le ragioni dette innanzi,  infatti,
 se  la  "procedura"  dell'esercizio  del  controllo  non  puo' essere
 regolata autoritativamente dalla amministrazione dello  Stato,  ancor
 meno   si  puo'  ammettere  che  essa  possa  costituire  oggetto  di
 "proposte" da parte di un organismo che  si  definisce  "tecnico",  e
 che,   come   tale,   non   puo'   certamente  ingerirsi  in  aspetti
 rigorosamente gia' normati, quale e' e deve  essere  la  "procedura".
 Anche   questa  previsione  della  "formulazione  delle  proposte  di
 adozione" (terzo comma, "novellato" dell'art. 2 del d.P.R.), conferma
 che vuolsi consentire una interpretazione applicativa  che  vada  ben
 oltre  i soli profili meramente "procedurali" del controllo ..  II. -
 Violazione degli artt. 125, e - di riflesso - dell'art. 118  e  dello
 stesso  art.  115,  nonche', sotto altro profilo, ancora dell'art. 76
 della Costituzione.
    Che il controllo sugli atti amministrativi  delle  regioni  (come,
 del  resto,  ogni  altra  ipotesi  di  controllo di questa specie nel
 nostro attuale ordinamento)  sia  unicamente  un  controllo  di  mera
 legittimita',  non puo' essere assolutamente posto in dubbio: sarebbe
 addirittura irriguardoso soffermarvisi.
    L'art.  125  della  Costituzione,  correlato  con  la   conclamata
 pienezza  delle  funzioni  amministrative  spettanti  (art. 118) alle
 regioni (configurate alla stregua dell'art. 115),  l'esercizio  delle
 quali  da'  - appunto - luogo alla produzione degli atti assoggettati
 al controllo, costituiscono disposizioni e pongono principi  basilari
 del sistema istituzionale autonomistico, non suscettibili di elusione
 o  di "erosione" da parte del legislatore ordinario e meno ancora dal
 legislatore  delegato.     Se  non  bastasse,   la   "Carta   Europea
 dell'autonomia  locale"  del  15  ottobre  1985,  ratificata  e  resa
 esecutoria in Italia, con legge 30 dicembre 1988, n.  439,  sancisce,
 all'art.   8,  secondo  comma,  il  medesimo  principio,  palesemente
 costituente principio fondamentale del vigente ordinamento giuridico,
 oltre che oggetto mdi impegno internazionale assunto dall'Italia.
    Non solo ..
    La stessa decretazione delegata della quale ci si occupa in questa
 sede  (nel  testo  attuale,  "novellato",  non  meno  che  nel  testo
 originario di cui al d.P.R. n. 40/1993), esordisce (articolo  1)  con
 una  affermazione  categorica,  allorche', ribadisce il carattere "di
 legittimita'" del  controllo  stesso.    Senonche',  se  anche  nella
 operazione  di  "emendamento"  del  testo  dell'art.  1, primo comma,
 dell'originario  d.P.R.  n.  40/1993,   condotta   con   l'emanazione
 dell'attuale  d.P.R.  n.  479/1993,  l'originaria eslcusione di "ogni
 diversa valutazione dell'interese pubblico", appare sostituita (anche
 qui, con accorta operazione  di.  .  .  cosmesi  espressiva)  con  la
 esclusione  di  "ogni  valutazione  di  merito",  resta palese che le
 commissioni statali di controllo potranno  dedurre,  con  riferimento
 agli  atti  amministrativi  delle  regioni,  il  vizio di "eccesso di
 potere", il quale, tradizionalmente,  rientra  -  si'  -  nell'ambito
 generale  della  "legittimita'",  ma  che  -  come e' ben noto - puo'
 consistere  nella  "contraddittorieta'  della   motivazione",   nella
 "illogicita'",   nel   "travisamento  dei  presupposti  del  pubblico
 interesse che si intende perseguire", nel  "travisamento  di  fatto",
 nella  "disparita'  di  trattamento",  addirittura nella "ingiustizia
 manifesta", ecc. ecc. (restandone al di  fuori,  forse,  soltanto  la
 totale assenza di motivazione che, dopo l'entrata in vigore dell'art.
 3  della  legge  7 agosto 1990, n. 241, dovrebbe considerarsi, ormai,
 una violazione di legge ..), nel che - tuttavia come ognuno comprende
 e come sempre e'  stato  ritenuto  da  tutti  gli  organi  statali  e
 regionali  di controllo che si sono sempre astenuti dallo ingerirvisi
 - si annida una amplissima, per non dire illimitata, possibilita'  di
 sindacare  il  merito  "effettivo"  (valore - disvalore) delle scelte
 provvedimentali, cioe' quella "valutazione della congruenza  rispetto
 all'interesse pubblico" e, in taluni casi, anche di interessi privati
 confliggenti  (si  pensi solo alla "disparita' di trattamento"³), che
 e' precisamente cio' che, persino nella formulazione originaria della
 normativa delegata (d.P.R. n. 40), si era detto di voler sottrarre al
 controllo.  Sotto questo aspetto, il testo "novellato" con il  d.P.R.
 n.   479/1993 appare persino "aggravato" e "peggiorativo" - sul piano
 della illegittimita' costituzionale -, rispetto al precedente che era
 stato fatto oggetto di ricorso alla ecc.ma Corte.   La esclusione  di
 "ogni valutazione dell'interesse pubblico", infatti, poteva prestarsi
 anche,  in sede di applicazione, ad una interpretazione "conservativa
 della illegittimita' costituzionale", le quante  volte  l'eccesso  di
 potere  attenga  alla  mera opinabilita' di tale valutazione, laddove
 porre il limite del controllo al solo "merito", in  senso  stretto  e
 tecnico,  significa "recuperare" al controllo una serie notevolissima
 di ipotesi di effettiva valutazione dell'interesse pubblico, sotto il
 profilo  dell'"eccesso  di  potere"  che  si   utilizza   in   quanto
 formalmente  qualificato  come  vizio di legittimita' dell'atto.   Il
 limite della mera legittimita', posto  all'esercizio  del  controllo,
 sancito  dalla  Costituzione e apparentemente richiamato dallo stesso
 esordio dell'art. 1 del d.P.R. oggetto del presente  ricorso,  viene,
 in  realta',  subito  dopo varcato con quella limitata esclusione del
 solo  "merito".  Basta   sfogliare   un   repertorio   di   giustizia
 amministrativa,  per  scorgere  in quante occasioni, sotto il profilo
 dell'"eccesso di potere", siasi invasa - appunto - la valutazione del
 pubblico  interesse  concretamente operata dal soggetto istituzionale
 che e' - viceversa - il solo soggetto preposto al suo soddisfacimento
 e che gode della  discrezionalita'  amministrativa.    Il  d.P.R.  n.
 479/1993 ha, poi, "rimediato" alla omissione, perpetrata in occasione
 della  emanazione  del  d.P.R. n. 40/1993, introducendo un art. 3 che
 prevede la composizione delle commissioni statali di controllo  sugli
 atti amministrativi delle regioni.
    Era apparso, infatti, sconcertante che, nella precedente occasione
 di  esercizio  della  delega  legislativa, il principale e, per certi
 versi, il solo criterio-principio dettato dal legislatore  delegante,
 quello,  cioe',  di  "adeguare  la  composizione"  delle  commissioni
 stesse, fosse stato del tutto ignorato  e  pretermesso,  pretesamente
 sostituendo  la  dovuta osservanza di siffatto criterio-principio con
 una  disposizione  (peraltro  mantenuta  in  vigore  anche  dopo   la
 "novella"³)   istitutiva   di   un  non  previsto  "organo  centrale"
 sovraordinato,  sedente  presso  la  Presidenza  del  Consiglio   dei
 Ministri, denominato "comitato" - per cosi' dire. . . "tecnico".
    Orbene,  l'attuale disciplina della composizione delle commissioni
 di controllo, prevede:
       AA) una maggioranza (3 su 5) di componenti espressi all'interno
 delle  strutture  burocratico-funzionariali   delle   amministrazioni
 centrali  dello  Stato, oltre al commissario del Governo che presiede
 ciascuna commissione;
       BB)  la  vicepresidenza   vicaria   di   ciascuna   commissione
 attribuita  di  diritto  ad  uno  dei  tre anzidetti funzionari della
 amministrazione  centrale  dello  Stato,  e  tale   attribuzione   e'
 espressamente  ricondotta  alla  legge  n.  400  del  1988 che ha per
 oggetto le funzioni e le responsabilita' di  amministrazione  attiva,
 le   quali  sono  tutt'altra  cosa  dall'attivita'  di  controllo  di
 legittimita' degli atti;
       CC) il limite di  validita'  delle  deliberazioni  di  ciascuna
 commissione,   stabilito   nella   presenza,  non  gia'  di  tre  (la
 maggioranza, usualmente coincidente con il c.d. "numero legale"),  ma
 di    quattro   membri,   il   che   si   traduce   nella   tassativa
 predeterminazione, per la adozione di qualunque deliberazione, di una
 maggioranza  effettiva  di  funzionari  della  amministrazione  dello
 Stato,  tenuto  conto  che  in  caso  di  parita' prevale il voto del
 presidente (per esservi almeno quattro  componenti,  debbono  esservi
 almeno due di detti funzionari);
       DD)   la   appartenenza   settoriale   dei   funzionari   della
 amministrazione dello Stato che deve coincidere con  la  appartenenza
 settoriale  (dicasteriale)  dei  corrispondenti  dirigenti  che fanno
 parte  del   "comitato   tecnico"   centrale,   da   cui   l'evidente
 subordinazione  gerarchica  di ciascun commissario allo "omologo", di
 livello sicuramente piu' elevato ed appartenente al medesimo  settore
 di amministrazione, che siede nell'organo centrale;
       EE)  la  collocazione fuori ruolo e la dispensa da ogni obbligo
 di servizio, che rappresentano sicuramente fattori di  insopprimibile
 stimolo  a  conseguire  il  "rinnovo"  nel rispettivo incarico presso
 ciascuna commissione, che e', infatti, previsto, senza alcun criterio
 di "rotazione" sostitutiva,  ogni  tre  anni  e  che,  evidentemente,
 dovra'   essere   disposto,   per   ciascun  "ruolo"  (settore  della
 amministrazione centrale - dicastero), dai  dirigenti  relativi,  uno
 dei  quali  -  per ciascuno dei tre ruoli di appartenenza - siede nel
 "comitato tecnico" centrale.
    Il controllo diviene, in tal modo,  estrinsecazione  gerarchizzata
 di  amministrazione  attiva,  snaturandosi  del tutto in se' stesso e
 ponendosi in aperto conflitto con gli artt. 125 e,  conseguentemente,
 118  della  Costituzione,  dal  punto  di vista della autonomia delle
 regioni  (art.  115),  gli  atti  delle  quali  possono,   viceversa,
 soggiacere unicamente ad un controllo di legittimita' che deve essere
 esercitato  attraverso  un  "giudizio" dell'organo a cio' deputato, a
 sua  volta  sottratto  a  qualsivoglia  subordinazione,   diretta   o
 indiretta,  che  condizioni, con criterio burocratico e gerarchico le
 espressioni del giudizio medesimo.   Non e' il caso  di  spingersi  a
 considerare  la  Magistratura  e la funzione giurisdizionale (pur con
 cio' che  si  dira'  circa  la  essenza  "paragiurisdizionale"  della
 attivita'  di  controllo),  ma  bastera'  considerare  che  il nostro
 ordinamento non consentirebbe alcuna specie di vincolo per i  giudizi
 dei  docenti  nell'esercizio  della loro attivita' di valutazione dei
 discenti, o per i giudizi dei  collaudatori  delle  opere  pubbliche,
 ovvero,  infine,  per  i  giudizi delle commissioni mediche militari,
 seppur impartite parte di ufficiali medici superiori  in  grado  (per
 fare soltanto alcuni esempi) ...
    Solo  negli  ambiti  della amministrazione attiva e all'interno di
 una organizzazione gerarchica preposta a compiti  di  amministrazione
 attiva  puo'  darsi  ingresso  a  discipline  e  previsioni di questa
 specie,  ma  la  funzione  di  controllo  non  e',  per  definizione,
 esercizio  di amministrazione attiva, ne' le commissioni di controllo
 possono assimilarsi a organi od uffici subordinati a  quale  che  sia
 organo od ufficio loro funzionalmente sovraordinato.  Tanto valeva, a
 questo   punto,   proporre   una   riforma  costituzionale  intesa  a
 ripristinare il  controllo-approvazione  da  parte  dei  prefetti  (i
 quali,  gerarchicamente  subordinati  all'esecutivo,  sono,  per loro
 natura e collocazione, soggetti alla supremazia della amministrazione
 di appartenenza e dei dirigenti che di essa fanno parte).  Non a caso
 si e'  parlato,  invece,  di  carattere  "paragiurisdizionale"  della
 funzione  di  controllo.  Tale  carattere discende, innanzitutto, dal
 contenuto di "giudizio" che essa  ha:  e  tale  carattere  risulta  -
 paradossalmente  -  accentuato  dalla  stessa legge delega 23 ottobre
 1993, n. 421, la quale pone, come uno  dei  "criteri"  della  delega,
 quello  di  "istituzionalizzare" il "contraddittorio procedimentale",
 allorche' (lett. h) del primo comma, dell'art. 2), essa  dispone  per
 la  "assicurazioone  della  audizione  dei  rappresentanti  dell'ente
 controllato".
    L'iniziale omessa osservanza di siffatto criterio-principio  della
 delega,  e'  stata  ovviata con la "novella" costituita dal d.P.R. n.
 479 (art. 3 - introdotto - nono comma).  In dottrina,  Onorato  Sepe,
 alla   voce   "controlli",   nella  recente  "Enciclopedia  giuridica
 Treccani", si  esprime  come  segue:  "La  struttura  del  potere  di
 controllo  e'  stata  vista  a  lungo  come un accertamento (giudizio
 'sulla attivita' controllata) ..'". E soggiunge:  "Nell'ambito  delle
 definizioni  appare ancor oggi quindi veramente comprensiva quella di
 un potere che, avendo  per  fine  la  tutela  di  valori  espressi  o
 istituzionalmente  protetti  dall'ordinamento,  si  struttura  in  un
 giudizio sulla normalita' o meno dell'agire .. Come corollari sono da
 assumere quelli .. della tipicita' del controllo  ..".    Ancor  piu'
 significativo  e'  quanto  lo  stesso  autore (ibidem) afferma subito
 dopo: "la dottrina .. ancorandosi  al  concetto  di  neutralita'  dei
 controlli,  ha  ritenuto che il controllore non debba perseguire fini
 concreti (questi sono "propri della amministrazione attiva), ma debba
 esigere il rispetto  dei  canoni  astratti  posti  dall'ordinamento".
 Riuscirebbe  difficile  rinvenire  una  piu'  appropriata e perspicua
 definizione giuridica di quella citata del Sepe,  della  funzione  di
 controllo,   e,   all'opposto,  un  piu'  stridente  contrasto  delle
 disposizioni    oggetto    del     presente     ricorso,     pertanto
 costituzionalmente  illegittime.    La  Corte dei conti, avendo rango
 istituzionale  di  magistratura,  con  l'attributo   della   assoluta
 indipendenza,  adempie  a  funzioni non dissimili dal controllo degli
 atti.  Piace ricordare, infine, che lo stesso  autore  citato  (Sepe)
 conclude  affermando  che  taluno (Nulli A.S. "I controlli sugli atti
 degli ee.  territoriali  nella  Costituzione",  in  Riv.  trim.  dir.
 pubblico,  1972,  I,  78:  Saraceno  D.  "Il  sistema  dei  controlli
 amministrativi nello stato delle autonomie", in Nuova Rass. 1980,  n.
 1)  ha  sostenuto  che  i controlli dovrebbero essere demandati ad un
 "magistrato che operi super partes".
    Il carattere "paragiurisdizionale" della funzione di controllo  e'
 evidenziato  anche  dalle forme nelle quali essa si esercita: termini
 tassativi, decadenze,  divieto  di  rilevare  ulteriori  elementi  di
 giudizio  al  di fuori di quelli inizialmente rilevati e richiesti ad
 integrazione (unicita' delle ordinanze c.d. "istruttorie"), efficacia
 del silenzio, ecc., ecc., il che, sia detto per inciso, conferma  che
 non  si intravede quali possano essere i "criteri procedurali" la cui
 formulazione  viene  demandata  all'esecutivo,  su  ..  proposta  del
 comitato  tecnico centrale.   Cio', anche a prescindere dalla vistosa
 esorbitanza  rispetto  alla  delega  legislativa,  gia'  dedotta   ed
 argomentata nella prima parte del presente ricorso.
    Un'ultima notazione.
    La  legge  delega (sotto questo profilo, ottemperata dal d.P.R. n.
 40, ma molto meno dalla "novella" di cui al  d.P.R.  n.  479)  si  e'
 proposta di "ridurre" l'ambito degli atti soggetti a controllo ("atti
 fondamentali   della   gestione"),   per   cui   si   evidenzia  come
 ulteriormente  illegittima,   anche   sotto   il   profilo   di   una
 irragionevole   contraddittorieta'   rispetto   alla   volonta'   del
 legislatore    delegante,    la     contestuale     e     burocratica
 "gerarchizzazione" della funzione.
    In  realta', col d.P.R. n. 479 e con il combinato disposto dei due
 d.P.R., il controllo si trasforma in "cogestione", in "approvazione",
 in  un  sistema  istituzionale  di  atti  complessi,   sia   pure   a
 complessita'  diseguale,  per  cui organi dello Stato (Presidente del
 Consiglio dei  Ministri  -  comitato  tecnico  "centrale"  -  singole
 commissioni)  si  ingeriscono nella gestione degli affari regionali e
 nell'esercizio delle  funzioni  che  alle  sole  regioni,  viceversa,
 competono,  il  che  e'  del  tutto  al di fuori e oseremmo dire agli
 antipodi del sistema istituzionale delineato dalla Costituzione della
 Repubblica.
                               P. Q. M.
    Chiede che la ecc.ma Corte  costituzionale,  in  accoglimento  del
 presente  ricorso,  voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi,
 per violazione degli artt. 125, 118,  115  e  76  della  Costituzione
 della Repubblica:
      1) l'art. 1, primo comma, del d.P.R. 10 novembre 1993, n. 479, e
 per  l'effetto il complessivo testo risultante dal combinato disposto
 di questo ultimo con l'art. 1, primo comma, del  d.P.R.  13  febbraio
 1993, n. 40, relativamente al contenuto del controllo (esclusione del
 solo "merito");
      2)  l'art.  1, secondo comma, del medesimo d.P.R. n. 479/1993 e,
 per l'effetto, il combinato disposto risultante con l'art.  1,  primo
 comma,  del  d.P.R.  n. 40/1993, relativamente alla lettera b) e alla
 lettera g);
      3) l'art. 2, primo e secondo comma, del d.P.R.  n.  479/1993  e,
 per  l'effetto,  il  combinato  disposto  con l'art. 2, primo e terzo
 comma, del d.P.R. n. 40/1993, con riferimento alla  adozione  e  alla
 proposta di "criteri procedurali";
      4)  l'art. 3 del d.P.R. n. 479/1993, che inserisce un art. 3 nel
 testo del d.P.R. n. 40/1993, relativamente al quarto, quinto, sesto e
 settimo comma;
    Con ogni conseguente statuizione;
    Col  presente  ricorso,  si  depositano:  copia  autentica   della
 delibera della giunta regionale di proposizione del medesimo, nonche'
 copia  del  d.P.R.  oggetto di impugnazione, sebbene trattisi di atto
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
      Milano-Roma, addi' 20 dicembre 1993
         Avv. Maurizio STECCANELLA - Avv. Giovanni C. SCIACCA

 93C1376