N. 780 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 1993
N. 780 Ordinanza emessa il 19 novembre 1993 dalla pretura di Perugia, sezione distaccata di Gubbio, nel procedimento civile vertente tra Ciliegi Giuseppe e la u.s.l. Alto Chiascio Impiego pubblico - Dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici - Facolta' di optare per il trattenimento in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta', per essi previsti, per il collocamento a riposo - Mancata previsione dell'estensione di detto beneficio ad altre categorie di soggetti (nella specie: medico in rapporto di collaborazione continuativa con la U.S.L.) - Irrazionalita' della impugnata normativa, attesa la assimilabilita' dei rapporti di lavoro parasubordinati a quelli subordinati, con incidenza sul diritto al lavoro. (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 16). (Cost., artt. 3 e 4).(GU n.4 del 19-1-1994 )
IL PRETORE Nella causa civile iscritta in materia di lavoro al n. 25218/93 R.G., promossa da Ciliegi dott. Giuseppe, rappresentato e difeso dagli avvocati Baldinelli e Monacelli di Gubbio con studio in via G. Devoto n. 10/a, contro la u.s.l. Alto Chiascio in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Codovini di Gubbio con studio in via Reposati n. 5, avente ad oggetto: ricorso ex art. 700 del c.p.c. in materia di lavoro per estinzione del rapporto. Il vice pretore onorario, sciogliendo la riserva, cosi' provvede: il dott. Giuseppe Ciliegi, medico di medicina generale "legato" da rapporto di collaborazione, concretantesi in una prestazione d'opera professionale continuativa e coordinata (stanti i quali connotati e la conseguente natura "para-subordinata" di tale prestazione, non vi e' dubbio, ne' e' stata proposta questione al riguardo, che la cognizione della vicenda in oggetto ricada sotto la giurisdizione del giudice adi'to), con l'u.l.s.s. Alto Chiascio, in forza di convenzione attuativa del disposto dell'art. 48 della legge n. 833/1978, ha chiesto a questo giudice di voler, con procedura d'urgenza, emettere pronuncia sospensiva del provvedimento di tale ente (cfr. nota n. 38600 in data 9 ottobre 1993, versata in atti) "prescrittivo"/"dichiarativo" della cessazione di detto rapporto in forza del compimento, da parte del ricorrente, del settantesimo anno di eta' (evento verificatosi allo scadere del 15 novembre u.s., nell'immediato prosieguo del deposito del ricorso, avvenuto il 12 novembre 1993). Il provvedimento impugnato si fonda sul disposto dell'art. 11, primo comma, lett. a), del d.P.R. 28 settembre 1990, n. 314 (recante Accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale, ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833), ove leggesi che "Il rapporto tra le uu.ss.ll. e i medici iscritti negli elenchi cessa: a) per compimento del settantesimo anno di eta' .." A parere del ricorrente, tale norma (di natura contrattuale) e' da ritenere illegittima (per violazione di legge, vale a dire per violazione del disposto dell'art. 48 della legge citata ove nessuna previsione di cessazione dei rapporti della specie in esame si rinverrebbe per causa del raggiungimento o del superamento del settantesimo anno di eta'), e, quindi, da disapplicare con riferimento alla sua posizione. Tale doglianza va disattesa. Nessun contrasto si palesa, invero, esistente fra le due citate fonti normative. Se e' pur vero che l'art. 48 della legge citata reca, nel suo terzo comma, elencazione delle materie che debbono formare oggetto di previsione e di regolamentazione negli accordi collettivi di cui il d.P.R. n. 314/1990 rappresenta l'esempio piu' recente, e che in detto elenco non si rinviene alcun riferimento espresso al limite massimo di eta' per l'esercizio dell'attivita' professionale nell'ambito del rapporto convenzionale, e' altresi' vero che da tale "omissione" non puo' trarsi alcun elemento in favore della tesi del ricorrente. L'elencazione suddetta non ha, invero, il carattere della "tassativita'". Dalla "lettura" dell'art. 48 piu' volte citato si evince che la funzione del relativo disposto non e' gia' quella di puntualizzare esaustivamente "tutte" le materie da trasfondere negli accordi collettivi di attuazione, bensi' quella, di assai maggior latitudine, di norma intesa (cfr. il suo primo comma) ad assicurare l'uniformita' del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale, senza limitazioni o riserve. L'elencazione che segue tale affermazione di principio non reca previsioni neppure tacitamente inibitorie di prescrizioni in ordine a singoli oggetti della contrattazione, ed in particolare, pur non prevedendola espressamente, neppure vieta la fissazione di un termine finale del rapporto. L'espressione verbale usata nell'introdurre tale elencazione ("devono provvedere") non consente di ritenere la "tassativita'" di quello che segue (sia per il suo significato intrinseco, sia per il significato ad essa attribuibile nel contesto della norma e in quello piu' ampia della fonte), piu' esattamente, "indefettibilita'" delle relative previsioni, e non anche l'inibizione di altre, lasciate all'autonomia dei contraenti. Ed anzi, le previsioni di cui all'elencazione, attesine gli oggetti, fanno ritenere l'intento del legislatore di far disciplinare compiutamente il rapporto convenzionale nella sede contrattuale. Ne risulta la piena conformita', e correlativita', delle disposizioni del d.P.R. n. 314/1990, per il punto in esame, a quelle della legge n. 833/1978. Ne segue che l'art. 11 citato non presta il fianco a critiche di sorta. (Cfr., sui punti sin qui trattati, pret. Perugia, sez. dist. Gubbio 24 ottobre 1992 (ord.), Giur. merito 1993, 808, piu' sopra riportata pressoche' in termini). Sotto l'esaminato profilo, il ricorso deve, quindi, essere reietto. Nel recente periodo ha avuto ingresso nell'ordinamento norma (art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503) attributiva ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici della facolta' di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo per essi previsti. Tale facolta' non appare esercitabile da appartenenti a categorie di lavoratori diverse da quelle indicate nella norma, attesa la tassativita' dell'elencazione ivi contenute. Ne', tale facolta', si palesa evincibile "aliunde". Tali constatazioni fanno ritenere la norma medesima non in linea con i principi affermati dall'art. 3 della Costituzione. Non sembra, infatti, che risponda a criteri di "ragionevolezza" escludere dal "beneficio" della protrazione del rapporto lavorativo (con quello che ne consegue sul piano economico, non essendovi dubbio che nel rapporto retribuzione/pensione sia il primo termine quello di maggior valenza per gli aspetti pecuniari) quelle categorie di lavoratori, quanto meno, le cui relazioni con il soggetto datore di lavoro e le cui prestazioni si connotino in modo tale da renderle appieno assimilabili alle "categorie protette". In particolare, non sembra esservi dubbio in ordine all'assimilabilita' fra tali ultime categorie e quella di appartenenza del ricorrente, stanti il pubblico servizio, di peculiare interesse, che questa e' demandata a svolgere e la disciplina cui essa, da tempo, risulta soggetta (cfr., al riguardo, i disposti degli "accordi" succedutisi nel tempo, e, da ultimo, l'accordo recepito nel d.P.R. n. 314/1990). Se la ratio della disposizione in esame (art. 16 del d.lgs n. 503/1992) e' quella, o anche quella, di adeguare i tempi della vita lavorativa all'innalzamento della durata media di vita dell'uomo, ed alla correlata protrazione della sua capacita' lavorativa, le limitazioni da essa poste non appaiono giustificabili, venendo, altresi', almeno in qualche misura, a contrasto con il principio affermato nell'art. 4, primo comma, della Costituzione. Deve ritenersi che alla proposta questione non faccia difetto il requisito della "rilevanza", giacche', la domanda, stante la posizione assunta sull'unico argomento fondamentale, potrebbe essere accolta nel solo caso in cui la Corte costituzionale dovesse pronunciarsi con sentenza additiva, nel senso piu' sopra "suggerito", ampliando il numero e la specie delle categorie "beneficiate" dalla disposizione di legge che al sindacato della Corte medesima si affida. Deve ritenersi che alla proposta questione neppure faccia difetto il requisito della "non manifesta infondatezza", stanti gli argomenti sopra svolti a supporto del "sospetto" di incostituzionalita'. Salva l'ipotesi (che, ove dovesse verificarsi, sarebbe risolutiva della vicenza in senso diverso da quello auspicato) in cui la Corte costituzionale, ponendosi anche come giudice a quo, dovesse ritenere che la disposizione di legge impugnata contrasti con il principio affermato dall'art. 4, primo comma, della Costituzione, non gia' per le ragioni sopra, assai sinteticamente, enunciate, bensi' perche' impediente il realizzarsi delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro per coloro che ne siano meramente titolari o comunque rendente ancor piu' disagevole (rispetto a cio' che, nel concreto, gia' avviene) il loro verificarsi.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, in riferimento agli artt. 3 e 4, primo comma, della Costituzione; Ordina sospendersi il procedimento in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che l'ordinanza venga, a cura della cancelleria, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Gubbio, addi' 19 novembre 1993 Il vice pretore onorario: RAGGI Il cancelliere: RUSSO 94C0003