N. 787 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 ottobre 1993

                                N. 787
 Ordinanza  emessa  il  25  ottobre  1993 dal tribunale di Santa Maria
 Capua Vetere nel procedimento penale a carico di Basco Antonio
 Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa -
    Possesso ingiustificato, anche per interposta persona, di beni  di
    valore   sproporzionato   alla   attivita'  svolta  o  ai  redditi
    dichiarati - Configurazione di tale condotta  come  reato  proprio
    richiedendosi  per il soggetto attivo la qualifica di indagato per
    determinati reati o di soggetto nei cui confronti si  proceda  per
    l'applicazione  di una misura di prevenzione - Irragionevolezza in
    considerazione della non definitivita' delle suddette qualifiche -
    Illogicita' - Compressione del diritto di difesa e  di  quello  di
    proprieta' - Violazione del principio di presunzione di innocenza.
 (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, modificato dal d.l.
    20 maggio 1993, n. 153, art. 5, lett. a)).
 (Cost., artt. 3, 24, 27 e 42).
(GU n.4 del 19-1-1994 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa penale di primo
 grado contro Basco Antonio di Benedetto, nato a S. Cipriano  d'Aversa
 il  17  agosto 1969 ed ivi residente alla via A. Negri n. 5, detenuto
 per  altro,  presente,  imputato  del  delitto  p.  e  p.   dall'art.
 12-quinquies,  secondo  comma,  del  d.l.  8  giugno 1992, n. 306, e
 successive modificazioni perche' essendo  sottoposto  a  procedimento
 penale  per il delitto di ricettazione, risultava essere proprietario
 o, comunque, avere la disponibilita' di una abitazione di  circa  600
 mq  di  recente  edificazione,  composta  da  3  piani  fuori terra e
 giardino in S. Cipriano d'Aversa di valore sproporzionato rispetto al
 suo reddito, non avendo mai presentato la dichiarazione dei redditi.
    Acc. in S. Cipriano d'Aversa il 21 dicembre 1992
    Con decreto che dispone il giudizio del 15 giugno 1993  l'imputato
 Basco  Antonio  e'  stato  tratto al giudizio di questo tribunale per
 rispondere del delitto p. e p. dall'art. 12-quinquies, secondo comma,
 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, e successive modificazioni.
    Negli atti preliminari del dibattimento il  tribunale  ravvisa  la
 rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  di  una  questione di
 legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  dell'art.  12-quinques
 della legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni con:
       a)  l'art.  42  della  Costituzione,  per essere stata prevista
 dalla norma denunciata una limitazione del diritto di proprieta',  al
 di  fuori  degli  scopi e della funzione di cui alla riserva di legge
 contenuta nel secondo comma del citato art. 42 della Costituzione.
    Si noti, infatti, che l'art. 832 del codice civile,  definisce  la
 proprieta'  come  "il  diritto  di godere e di disporre delle cose in
 modo pieno ed esclusivo, entro i  limiti  e  con  l'osservanza  degli
 obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico".
    A  differenza  dello  statuto Albertino, che all'art. 29 stabiliva
 che "tutte le proprieta', senza alcuna eccezione, sono  inviolabili",
 l'art.  42  della  Costituzione  ha  previsto  che  "la proprieta' e'
 pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti
 o a privati. La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita  dalla
 legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti,
 allo   scopo  di  assicurarne  la  funzione  sociale  e  di  renderla
 accessibile a tutti. La proprieta'  privata  puo'  essere,  nei  casi
 preveduti  dalla  legge,  e  salvo indennizzo, espropriata per motivi
 d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti  della
 successione  legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle
 eredita'".
    Dal  che  discende  che  e'  proprio la stessa Costituzione che ha
 fissato i limiti e le finalita' attraverso le quali e' consentito  al
 legislatore  delimitare - o addirittura sacrificare - l'esercizio del
 diritto di proprieta'.
    Posto che quello di proprieta' e' un diritto  soggettivo,  la  sua
 tutela, oltre ad essere garantita dall'art. 42 della Costituzione, e'
 espressamente  disciplinata  dalle  norme  del libro sesto del Codice
 civile.
    Vero e proprio principio di civilta'  giuridica  e',  poi,  quello
 fissato  dall'art.  2697  del  c.c.,  in  base al quale "chi vuol far
 valere  un  diritto  in  giudizio  deve  provare  i  fatti   che   ne
 costituiscono il fondamento".
    Nel  caso  di  specie,  l'inversione  dell'onere  della prova, che
 l'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992,  n.  356,  cosi'  come
 modificato dall'art. 5, lett. a) del d.l. 20 maggio 1993, n. 153, ha
 trasferito  dal  titolare  dell'accusa,  e  dal giudice - che ne deve
 verificare la sussistenza - a carico di  colui  che,  ha  assunto  la
 qualita'  di  imputato,  si  pone  -  ad  avviso  del  tribunale - in
 contrasto con i canoni costituzionali;
       b) gli artt. 3, 24 e  27  della  Costituzione,  per  l'ingiusta
 compressione  del  diritto  di  difesa  dell'imputato  per il delitto
 previsto dalla norma denunciata.
    Essa si configura - infatti - come  un  reato  a  condotta  mista,
 prima  commissiva  (possesso  o  disponibilita'  di  beni  di  valore
 sproporzionato all'attivita' svolta  e  a  redditi  dichiarati),  poi
 omissiva  (mancata  giustificazione  del possesso legittimo dei beni,
 strettamente  connessa  all'inversione   dell'onere   della   prova),
 cosicche'  il  diritto  di  difesa  risulta  compromesso, non potendo
 l'imputato, diversamente da tutti  gli  altri  imputati,  esercitarlo
 anche  a  mezzo  del  silenzio  che,  al contrario, nella fattispecie
 integra proprio  uno  degli  elementi  oggettivi  del  reato  di  cui
 all'art.  12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356 e successive
 modificazioni.
    La  norma  denunciata  realizza,  pertanto,  una   disparita'   di
 trattamento   tra   gli   imputati   il  reato  di  cui  all'articolo
 12-quinquies, i quali non possono avvalersi  della  facolta'  di  non
 rispondere e gli imputati per altri reati.
    In  buona sostanza, la norma incriminatrice - peraltro - prescinde
 totalmente dall'instabilita' processuale in itinere, che caratterizza
 l'elemento soggettivo del  reato,  confliggendo  apertamente  con  il
 principio  di ragionevolezza e logicita', garantito dall'art. 3 della
 Costituzione, a  fronte  dei  diversi  esiti  processuali  del  reato
 presupposto (assoluzione/condanna).
    D'altra  parte,  proprio  perche' la norma denunciata non esige la
 condanna per i  reati  presupposti,  che  sottenderebbero  delittuosi
 trasferimenti di ricchezze ma unicamente la sottoposizione a siffatti
 procedimenti,    la    mancata    giustificazione   della   legittima
 accumulazione patrimoniale comporta che la condanna per il  reato  di
 cui  all'art.  12-quinques  derivi non gia' dall'impulso del pubblico
 ministero nella ricerca delle prove, bensi' da una  condotta  che  la
 Costituzione  garantisce  ad  ogni imputato, attraverso il diritto di
 difesa (art. 24, secondo comma) e la presunzione di non  colpevolezza
 (art. 27, secondo comma).
    Giova  ricordare  che  di  tanto  erano ben consapevoli i Ministri
 pro-tempore  dell'interno  e  di  grazia   e   giustizia,   i   quali
 introdussero   il   reato  come  emendamento  in  fase  di  legge  di
 conversione.
    Infatti negli atti  preliminari  del  Senato  della  Repubblica  -
 Assemblea  (resoconto  stenografico  della  seduta pomeridiana del 23
 luglio  1992)  si  legge:  "Certo,  in  quest'ultimo  caso   dobbiamo
 convenire  che  si  realizza  un  ribaltamento  di  uno  dei principi
 generali in materia di prove, dal momento che e' lo stesso soggetto a
 dovere dimostrare  la  provenienza  e  la  natura  lecita  delle  sue
 sostanze per non incorrere in sanzioni penali .." (Ministro Mancino).
    "  .. So bene che si agisce qui su un terreno difficile e delicato
 per i poteri conferiti  alle  pubbliche  autorita'  di  incidere  sui
 diritti   e  sui  beni  della  persona,  prima  ancora  che  rigorosi
 accertamenti probatori si siano  compiuti  in  sede  giudiziaria  .."
 (Ministro Martelli).
    Ed   invero,  essendo  punito,  se  non  giustifica  la  legittima
 provenienza dei beni, l'imputato  per  il  delitto  di  cui  all'art.
 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356 (cosi' come modificato
 dall'art.  5,  lett.  a),  del  d.l.  20  maggio  1993,  n.  153) e'
 obbligato,  a  fronte  della  ritenuta  sproporzione  dei  beni,   ad
 attivarsi  per dimostrare la propria innocenza, contraddicendo il suo
 legittimo diritto di non rispondere e  di  non  collaborare,  dovendo
 l'accusa essere suffragata dal pubblico ministero che l'allega.
    Del  reso la Corte costituzionale, gia' con la sentenza n. 110 del
 1968 dichiaro' incostituzionale l'art.  708  del  cod.  pen.  perche'
 contrastante  con  l'art.  3  della  Costituzione, nella parte in cui
 faceva  richiamo  per  l'imputato,  alle  condizioni   personali   di
 condannato  per  mendicita',  di  ammonito, di sottoposto a misure di
 sicurezza personale, o  a  cauzione  di  buona  condotta,  attesa  la
 diversita'  di  situazioni  soggettive  nelle  quali possono venire a
 trovarsi  i  cittadini  sottoposti  a  cosi'   variegate   condizioni
 personali.
    Nel  caso  di  specie,  le  osservazioni ed i rilievi che la Corte
 costituzionale     formulo'     rispettivamente     per     escludere
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  708  del  cod.  pen. con
 riferimento a coloro che avevano gia' riportato  condanna  per  reati
 contro il patrimonio e per ritenerla, invece, con riguardo alle altre
 categorie   di  soggetti,  sembra  si  attaglino  perfettamente  alla
 previsione della norma incriminatrice di  cui  all'art.  12-quinquies
 della legge 7 agosto 1992, n. 356, cosi' come modificato dall'art. 5,
 lett.  a),  del  d.l.  20  maggio  1993,  n.  153, e - pertanto - ne
 confermano e ne rafforzano il sospetto di incostituzionalita'.
    E' indubitabile, alla  stregua  delle  suesposte  motivazioni,  la
 rilevanza  delle  dedotte questioni di illegittimita' costituzionale,
 dovendo questo tribunale decidere sulla presente vicenza  processuale
 e - pertanto - verificare concretamente la sussistenza della prova di
 colpevolezza nei riguardi dell'imputato.
   E'  altresi' in re ipsa la non manifesta infondatezza delle dodotte
 questioni di illegittimita'  costituzionale,  a  dimostrazione  delle
 quali  si  richiamano,  oltre  alle motivazioni dianzi esposte, anche
 quelle contenute nelle ordinanze di remissione che  hanno  denunciato
 il sospetto di incostituzionalita' di alcune delle medesime norme, ed
 in  particolare  le  ordinanze  datate  17 febbraio 1993 (in Gazzetta
 Ufficiale  -  1a serie speciale anno 1993 - n. 19) e 22 febbraio 1993
 (in Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale anno 1993 - n.  21)  della
 Corte  suprema  di  cassazione  e  quelle  datate 2 novembre 1992 (in
 Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale anno 1993 - n. 5 e 12 novembre
 1992 (in Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale anno 1993  -  n.  19)
 del tribunale di Salerno, rispettivamente iscritte nel registro degli
 atti  di  promovimento del giudizio della Corte costituzionale - anno
 1993, ai numeri 228, 207, 21 e 198.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134   della   Costituzione,   1   della   legge
 costituzionale  9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87;
    Solleva d'ufficio  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356, cosi' come
 modificato dall'art. 5, lettera a), del d.l. 20 maggio 1993, n.  153
 con  gli artt. 3, 24, 27 e 42 della Costituzione e, conseguentemente,
 dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale
 e sospende il presente giudizio;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata   all'imputato,   al   difensore,   al  Procuratore  della
 Repubblica presso il tribunale di S. Maria  Capua  Vetere  (Caserta),
 nonche'  al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
      S. Maria Capua Vetere, addi' 25 ottobre 1993
                         Il presidente: CANALE
 Il giudice: PELLECCHIA
                                                  Il giudice: DI SALVO
 94C0010