N. 788 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio - 15 dicembre 1993
N. 788 Ordinanza emessa il 13 maggio 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 15 dicembre 1993) dal pretore di Brescia nel procedimento civile vertente tra Zeni Angela e l'I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Diritto alle prestazioni previdenziali - Termine di decadenza (10 anni) per l'impugnativa in giudizio dei provvedimenti dell'I.N.P.S. - Qualificazione di tale termine, di natura procedimentale per consolidata giurisprudenza, in termine decadenziale di natura sostanziale - Prevista retroattivita' di tale disposizione tranne che per i processi gia' in corso alla data di entrata in vigore del d.l. 29 marzo 1991, n. 103 - Incidenza sul diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia riguardo a coloro che non hanno promosso il giudizio, del tutto ingiustificatamente discriminati, per di piu', rispetto a quelli che, invece, l'abbiano gia' promosso - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 246/1992 (di non fondatezza di analoghe questioni) non condivisa dal giudice remittente. (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 432; d.l. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, primo comma, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.4 del 19-1-1994 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa r.g. n. 322/93 in materia di previdenza, promossa da Zeni Angela, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Andrea Manerba, il quale la rappresenta e difende in forza di procura in calce al ricorso, ricorrente, contro l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, con sede in Roma, in persona del suo presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Melluso e dal dott. proc. Vincenzo Di Maio, in forza di mandati alle liti a rogito del notaio Lupo di Roma, del 17 dicembre 1986 e del 7 giugno 1991, elettivamente domiciliato in Brescia, via Cefalonia n. 49, presso la sede del medesimo istituto, convenuto; Visto l'art. 4 della legge 14 novembre 1992, n. 432, di conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384; Visto l'art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito nella legge 1 giugno 1991, n. 166; Visto l'art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639; Visti gli artt. 3 e 38 della Costituzione; Vista la sentenza n. 246 della Corte costituzionale emessa il 3 giugno 1992; Visto l'art. 6, settimo comma, della legge 11 novembre 1983, di conversione con modifiche del d.l. 12 settembre 1983; Visti gli artt. 131 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Rilevato che nel giudizio promosso da Zeni Angela contro l'I.N.P.S. con ricorso depositato in cancelleria in data 26 gennaio 1993 per il riconoscimento dell'integrazione al trattamento minimo della pensione indiretta sino al 30 settembre 1983 e conseguente "cristallizzazione" dello stesso per il periodo successivo, va applicato il disposto dell'art. 4 della legge n. 432/1992 in quanto l'istituto convenuto ha formalmente eccepito l'intervenuta decadenza della possibilita' di proporre azione giudiziaria per essere ormai decorso il termine di tre anni introdotto dalla nuova norma la quale ha in tal senso modificato l'art. 47 del d.P.R. n. 639/1970; COSI' ARGOMENTA L'art. 4 della legge 14 novembre 1992, n. 432, di conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, e' contrario alla Costituzione. E' evidente che la nuova disposizione in tema di decadenza e' identica, per formulazione e contenuto, a quella sostituita, art. 47 del d.P.R. n. 699/1970, salvo che per la riduzione del termine di decadenza da decennale a triennale. La disposizione in esame riproduce una norma gia' pesantemente colpita dalle univoche interpretazioni della Corte costituzionale, della Corte di cassazione, nonche' dei giudici di merito della Repubblica italiana: tutti i giudici dello Stato hanno affermato che e' incostituzionale l'imposizione di termini di decadenza che incidano sul diritto alle prestazioni pensionistiche, potendo il legislatore intervenire solo sui ratei di pensione: "Il diritto a pensione .. e' imprescrittibile (ne' sottoponibile a decadenza) secondo una giurisprudenza non controversa, in conformita' di un principio costituzionalmente garantito che non puo' comportare deroghe legislative" (sentenza Cosrte costituzionale n. 246/1992). Dopo un, solo apparente come si vedra' piu' avanti, ossequio a tale principio da parte del legislatore con l'emanazione dell'art. 6, primo comma, del d.l. n. 103/1991, ove si e' fornita l'interpretazione autentica della norma originaria (il ben noto art. 47 del d.P.R. n. 639/1970), evidenziando che la decadenza ivi statuita determinava l'estinzione del diritto ai ratei pregressi, la disposizione introdotta con il d.l. n. 384/1992 onvertita nella legge n. 432/1992 ha completamente travolto la disposizione di interpretazione autentica della norma non piu' in vigore, dissolvendo nel nulla anche la parvenza al principio della inestinguibilita' del diritto al trattamento pensionistico. Non vi e', invero, spazio alcuno nella chiara dizione letterale della nuova disposizione che ne consenta una interpretazione in senso costituzionale, poiche' la norma in discorso non accenna minimamente alla operativita' della decadenza sui soli ratei pregressi (o singoli ratei se si vuole) e cio', in relazione con la precedente normativa in tema di decadenza, preclude all'interprete di ritenere implicitamente contenuto il riferimento ai singoli ratei e gli impone, come gia' detto, di leggere nell'unico modo corrispondente al significato testuale dei termini la medesima disposizione, con l'unica conseguenza possibile: la disposizione non e' costituzionale in riferimento all'art. 38 della Costituzione, poiche' comporta l'estinzione del diritto alla prestazione e non dei singoli ratei. Cosi', appare evidente a questo giudice la sussistenza della rilevata illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 432/1992, poiche', citando ancora una volta testualmente la sentenza della Corte costituzionale n. 246/1992, "Il diritto a pensione .. e' imprescrittibile (ne' sottoponibile a decadenza) secondo una giurisprudenza non controversa, in conformita' di un principio costituzionalmente garantito che non puo' comportare deroghe legislative". Conseguente e' la permanenza nel sistema legislativo vigente dell'art. 6 del d.l. n. 103/1991, non solo in via transitoria. Nella fattispecie concreta all'esame di questo giudice, allora, qualora la Corte costituzionale, affermi l'incostituzionalita' del suddetto art. 4 della legge n. 432/1992, dovra' trovare applicazione l'art. 6 del d.l. n. 103/1991. Ma qui sorge una questione ulteriore di costituzionalita' a carico dell'appena sopra citato art. 6 e cio', benche' la Corte costituzionale con la sentenza n. 246 del 3 giugno 1992 abbia dichiarato non fondate tutte, nessuna esclusa, le questioni di costituzionalita' dello stesso art. 6 del d.l. n. 103/91 "proposte dai giudici remittenti" - cosi' testualmente si legge nella parte motiva della decisione - "sulla base dell'erroneo convincimento che la norma preveda l'estinzione, a seguito della decorrenza del termine decennale, non soltanto dei singoli ratei, ma dello stesso diritto a pensione". Tale decisione della Corte costituzionale non puo', infatti, sul punto, essere condivisa, poiche' fondata sulla negazione del fatto, estinzione del diritto alla pensione, fatto che, invece, sussiste. Ritiene, invero, questo giudice che nella fattispecie in esame la norma determini realmente l'estinzione non dei soli "singoli ratei" o dei "ratei pregressi", ma anche del diritto allo specifico trattamento pensionistico, giacche', venendo meno la possibilita' di attribuzione, per effetto del decorso del termine di decadenza decennale, dell'integrazione al trattamento minimo alla data del 30 settembre 1983, viene ad estinguersi effettivamente, concretamente e totalmente ogni possibilita' di integrazione, nonche' di "cristallizzazione" del detto trattamento per il periodo successivo, dal 1 ottobre 1983, non essendo erogabile, appunto, l'integrazione per il rateo di pensione afferente la data del 30 settembre 1983: di fatto il correlativo diritto e' cosi' estinto, per il passato, per il presente e per il futuro e nessun artificio logico giuridico, ne' sofisma alcuno, puo' valere a negare tale verita'. Sarebbe sufficiente, ma non basta: si deve, infatti, procedere ad un ulteriore e piu' approfondito esame dell'art. 6 primo comma del d.l. n. 103/1991 in correlazione con la sentenza n. 246/1992, a conclusione del quale emergera' la conferma di quanto appena sopra sostenuto. La norma contiene due ipotesi di operativita' della decadenza decennale: la prima attinente "l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale" e la seconda attinente il caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, per il quale e' previsto che "i termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei". Anche dopo la pubblicazione della sentenza n. 246/1992 della Corte costituzionale, questo pretore (il quale precedentemente aveva emesso alcune sentenze di rigetto subito dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 103/1991, mutando poi radicalmente giurisprudenza) aveva ritenuto di dover interpretare la disposizione nel senso che il legislatore nel concetto di ratei pregressi (di cui alla prima parte del primo comma dell'art. 6) avesse omesso l'attributo "singoli" (espresso invece nella seconda parte del primo comma) e, cosi', aveva affermato che la decadenza prevista nell'articolo di legge in esame dovesse determinare la perdita del diritto ai singoli ratei pregressi e cioe' precedenti il termine decennale da calcolarsi a ritroso dalla data di deposito del ricorso in sede giurisdizionale, sia nel caso di proposizione del ricorso amministrativo, sia in caso di assenza di questo. Tale interpretazione, a parere di questo giudice, rendeva omogenea l'intera disposizione alle due diverse ipotesi e precludeva la strada a valutazioni diverse di situazioni soggettive sostanzialmente identiche. Ulteriore conseguenza dell'interpretazione sopra riferita consisteva nell'impossibilita' di dichiarare inammissibile la domanda giudiziale e nel collegamento del termine "insorgenza" utilizzato nella seconda parte del primo comma dell'art. 6 ai "singoli ratei" e non al "diritto ai singoli ratei". Alla base di questa interpretazione sussistevano due principi costituzionali: quello d'uguaglianza sancito nell'art. 3 della Costituzione e quello, gia' ricordato e implicito nell'art. 38 della Costituzione, di inassogettabilita' a decadenza e prescrizione del diritto alla pensione. La predetta interpretazione, che certamente superava la dizione letterale della norma, oggi, a seguito di un esame piu' accurato della sentenza n. 246/1992, certamente non appare piu' sostenibile, giacche' la Corte costituzionale, senza alcun distinguo e senza minima perplessita', ha affermato, come si e' gia' visto, la piena legittimita' dell'art. 6, primo comma, del d.l. n. 103/1991. Questo giudice si trova, dunque, dinanzi una disposizione ritenuta integralmente legittima dalla Corte e dunque da applicare nella sua piena espressione letterale. Tuttavia questo giudice non puo' non rilevare, e tacere non sarebbe manifestazione di rispetto nei confronti della Corte costituzionale, la presenza di un errore interpretativo nella motivazione della sentenza n. 246/1992, gia' ricordata. Tale errore appare palese dalla lettura della motivazione della citata sentenza, ove, testualmente, si afferma che "le considerazioni che precedono in ordine all'interpretazione dell'art. 6, primo comma, del d.l. n. 103/1991, implicano la non fondatezza di tutte le questioni proposte dai giudici remittenti sulla base dell'erroneo convincimento che la norma preveda - a seguito della decorrenza del termine decennale - non soltanto dei singoli ratei, ma dello stesso diritto a pensione": in realta' la norma non prevede, nella sua formulazione letterale, una estinzione dei singoli ratei, ma dei ratei pregressi e l'inammissibilita' della domanda: la norma in realta' prevede una vera e propria estinzione del diritto alla pensine nelle ipotesi, come quella sottoposta all'esame di questo pretore dalla parte ricorrente, nelle quali non sia possibile l'esistenza di un rateo futuro allo spirare del termine di decadenza per essere assoggettato alla stessa decadenza l'ultimo rateo del trattamento pensionistico inerente la data del 30 settembre 1983. Non si dimentichi, infatti, che l'art. 6, settimo comma, della legge 11 novembre 1983, n. 638, di conversione con modifiche del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, prevede testualmente che "l'importo erogato alla data di cessazione del diritto all'integrazione viene conservato sino al suo superamento ..", cio' che comporta, stante l'utilizzazione del termine "erogato", la possibilita' di conservazione dell'integrazione al trattamento minimo solo e soltanto nel caso in cui sussista concreto pagamento della prestazione relativa al rateo precedente la data di cessazione del diritto, mentre risulta contrario alla legge sostenere che il diritto alla conservazione dell'integrazione sussista quando non sia possibile il pagamento del suddetto specifico rateo. Il termine "erogato" non puo' avere, invero, il significato di "spettante" o "dovuto", o altro diverso indicante la sola potenzialita' dell'affermazione del diritto in astratto, bensi', come detto, importa l'esistenza del diritto al pagamento in concreto. Non solo la letteralita' della norma, ma anche la sua ratio e' palese in tal senso. Benche' appaia superfluo e tedioso, deve, dunque, ribadirsi che, nelle ipotesi di domanda di integrazione al trattamento minimo delle pensioni di riversibilita' sino al 30 settembre 1983 e di "cristallizzazione" del trattamento "erogato" al 30 settembre 1983 per il periodo successivo, poiche' la decadenza come prevista nell'art. 6 del d.l. n. 103/1991 comporta l'estinzione anche del rateo cadente al 30 settembre 1983 e l'impossibilita' della sua erogazione, risulta impossibile la conservazione del trattamento stesso, non sussistendo alcuna integrazione al trattamento minimo da conservare: l'estinzione del diritto alla prestazione e' totale per tutti i ratei passati, presenti e futuri ed e', dunque, estinzione del diritto alla prestazione in se'. Si trova cosi' conferma della correttezza delle valutazioni sulla incostituzionalita' della norma in esame gia' sviluppate in precedenza. Solo un chiaro intervento della Corte costituzionale che affermi l'illegittimita' di quella parte dell'art. 6 del d.l. n. 103/1991, convertito nella legge n. 166/1991, che consente in concreto l'estinzione del diritto al trattamento pensionistico del quale qui si tratta, puo' consentire l'effettiva eliminazione della violazione della Costituzione posta in essere dal legislatore nell'affannosa ricerca di un sistema, quale che sia, idoneo a precludere l'applicazione dell'art. 6, settimo comma, della legge n. 638/1983 in favore dei pensionati aventi diritto, diritto reiteratamente sancito da tutti i giudici dello Stato, tra essi compresa la Corte costituzionale (sentenza n. 418/1991) alla cristallizzazione del trattamento minimo sussistente alla data del 30 settembre 1983 per il periodo successivo. Non possono sussistere dubbi, infatti, in ordine al fatto che il disegno dell'I.N.P.S., seguito pedissequamente da un legislatore, orfano in questo caso di razionalita', sia realmente quello di elidere il diritto del quale si e' detto: cio' risulta evidente dalle difese avanzate dal predetto istituto nel procedimento dinanzi alla stessa Corte costituzionale conclusosi con la sentenza n. 246/1992: allora l'I.N.P.S. affermo', senza scrupolo, che l'estinzione per decadenza del diritto ai singoli ratei arretrati si traduce in pratica all'estinzione del diritto all'integrazione al minimo sino a tutto il 30 settembre 1983 e, conseguentemente, quanto al diritto alla cristallizzazione, dal 1 ottobre 1983 alla perdita di ogni relativo diritto: gran rispetto, si vede, per il principio della insopprimibilita' del diritto alla pensione. E', dunque, necessario, per ripristinare lo stato di diritto, per ricondurre a legittimita' la normativa qui criticata e per troncare in via definitiva le "trame" antigiuridiche (e' appena il caso di ricordare che la funzione istituzionale dell'I.N.P.S. e' quella di corrispondere le prestazioni dovute e non quella di negarne il diritto) dell'istituto convenuto in questo giudizio pretorile e in tutti i numerosi altri soggetti alla medesima normativa, che la Corte costituzionale, ripensata anche in relazione agli odierni rilievi l'intera questione gia' sottoposta al suo esame, si pronunci con l'autorita' che le compete in modo inequivocabile, cosi' da consentire a questo giudice di decidere la controversia presente e le molte altre similari in corso e future in conformita' alla Costituzione vigente, ancora vigente, della Repubblica italiana. A tal fine non puo' essere sufficiente una pronuncia di carattere interpretativo della Corte, ma risulta necessaria estirpare le espressioni che consentono alla norma contestata di esplicare i suoi effetti in senso contrario alla legge fondamentale della Repubblica: dovrebbe essere sufficiente, a parere di questo pretore, affermare l'illegittimita' della disposizione nella parte ricompresa tra le parole da "ratei pregressi" sino a "insorgenza del diritto". Resterebbe, allora, cosi' formulato nell'ordinamento positivo il primo comma dell'art. 6 del d.l. n. 103/1991: " .. (Omissis) La decadenza determina l'estinzione del diritto ai singoli ratei". Infatti, quando, come oggi, la disposizione deve essere letta nel senso che la decadenza determina l'estinzione del diritto a tutti i ratei pregressi (cioe' precedenti la data di presentazione della domanda giudiziale), qualsivoglia richiamo legislativo a singoli ratei e', da un lato, privo di significato, poiche' in nessun caso il singolo rateo pregresso viene salvato dall'estinzione, mentre, dall'altro lato, e' un vero e proprio "specchietto per le allodole", poiche' simula un rispetto inesistente per il principio dell'inestinguibilita' della prestazione pensionistica. Sarebbe, invece, in base al riformato, nei termini sopra descritti, testo normativo, impossibile interpretare nel senso, illegittimo, voluto dall'I.N.P.S. la disposizione predetta e davvero in tal modo si potrebbe sostenere che il diritto al trattamento pensionistico e' inestinguibile e non assoggettabile a termini di decadenza e prescrizione. Sarebbe, cosi', possibile negare il diritto dei pensionati a percepire i singoli ratei pregressi travolti dalla decadenza e affermare, invece, la sussistenza del diritto a quei singoli ratei passati, presenti e futuri non ricompresi nel termine di decadenza, dando in tal modo reale e concreto significato a quei principi da tutti riconosciuti come immanenti nell'art. 38 della Costituzione, nel contempo rendendo identiche nel trattamento giuridico normativo tutte le identiche situazioni di diritto sostanziale dei titolari di trattamenti pensionistici dell'I.N.P.S., nel pieno rispetto dell'art. 3 della Costituzione. La rilevanza nel presente giudizio delle questioni di legittimita' sopra sviluppate e' palese, giacche' la decisione di rigetto o di accoglimento della domanda attrice non ne puo' prescindere.
P. Q. M. Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 14 novembre 1992, n. 432, di conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, in relazione all'art. 38 della Costituzione; Solleva, altresi', la questione di costituzionalita' dell'art. 6, primo comma, del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito nella legge 1 giugno 1991, n. 166, in relazione agli artt. 38 e 3 della Costituzione; Sospende il presente giudizio; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, disponendo la notifica alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Brescia, addi' 13 maggio 1993 Il pretore: ONNI 94C0011