N. 23 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1993

                                 N. 23
 Ordinanza emessa il 23 novembre  1993  dal  pretore  di  Bergamo  nel
 procedimento civile vertente tra Persico Rosa e l'I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Lavoratrici di imprese industriali
    -   Pensionamento   anticipato   -  Riconoscimento  di  anzianita'
    contributiva fino a cinquantacinque anni, anziche' fino a sessanta
    come per il lavoratore - Ingiustificata disparita' di  trattamento
    tra  lavoratrici  e lavoratori in base al sesso - Riferimenti alle
    sentenze della Corte costituzionale nn.  371/1989  e  503/1991  di
    illegittimita' costituzionale di norme di contenuto analogo.
 (Legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 27, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 37).
(GU n.7 del 9-2-1994 )
                              IL PRETORE
    Nella causa promossa da Rosa Persico contro l'INPS;
    Letti gli atti e sciogliendo la riserva;
                              R I L E V A
    1.  -  La  ricorrente,  sulla  premessa  di  fruire di trattamento
 pensionistico,  con  decorrenza  1›  febbraio  1992,  a  seguito  del
 prepensionamento  previsto  dall'art. 27, primo comma, della legge n.
 223, del 23 luglio 1991, lamenta l'impossibilita' di poter far valere
 la massima anzianita' contributiva, a causa del limite posto da detta
 norma. Deduce, in particolare, che il beneficio  della  maggiorazione
 contributiva  ivi  stabilito  si  atteggia  diversamente  sol  che si
 riferisca  a  lavoratori   ovvero   a   lavoratrici.   Sostiene,   di
 conseguenza,    che    tale   trattamento   discriminatorio,   basato
 esclusicamente sul sesso, inficia la ripetuta norma,  fino  al  vizio
 d'incostituzionalita'. Solleva, altresi', la relativa questione.
    2.  -  L'art. citato beneficia i lavoratori di alcune categorie di
 imprese industriali, i quali possano  vantare  almeno  trent'anni  di
 anzianita'  contributiva  e  assicurativa,  di  una  maggiorazione di
 quest'ultima, pari al  periodo  necessario  per  la  maturazione  del
 requisito  dei  trentacinque  anni  "ed in ogni caso non superiore al
 periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto e quella del
 compimento di sessanta anni, se  uomini,  o  di  cinquantacinque,  se
 donne".
    3.  -  La  questione  rileva  ai fini del decidere, nel senso che,
 vigente l'art. in commento, la domanda non meriterebbe  accoglimento,
 laddove,  al  contrario,  la  declaratoria d'incostituzionalita', nei
 termini prospettati  dalla  ricorrente,  eleminerebbe  l'ostacolo  al
 riconoscimento   della   di   lei  massima  anzianita'  contributiva,
 costituito  dal  differenziato  trattamento   introdotto   da   detta
 normativa (la Persico e' nata il 12 aprile 1940 ed e' in pensione con
 decorrenza  1›  febbrio 1992; non puo', dunque, avvalersi dell'intero
 quinquennio    di    maggiorazione).    Al    riconoscimento,    poi,
 corrisponderebbe   un   immediato   riscontro  pecuniario  sui  ratei
 pensionistici, sul cui ammontare le parti danno indicazioni concordi.
    4.  -  Non puo' nemmeno ravvisarsi la manifesta infondatezza della
 ripetuta  questione,  in  relazione  agli  artt.   3   e   37   della
 Costituzione.  Infatti,  posto  che, in ossequio degli stessi, l'eta'
 lavorativa e' uguale sia per l'uomo che per la donna (si  vedano,  al
 proposito,   le   pronunce  della  Corte  costituzionale  di  cui  al
 successivo punto 5), non trova agevole giustificazione un regime  che
 gratifichi  di  una differente anzianita' contributiva la lavoratrice
 rispetto al  lavoratore,  quando  entrambi  si  siano  avvalsi  della
 possibilita'  del  pensionamento  anticipato,  alla maturazione di un
 trentennio lavortivo.
    In effetti, la norma di che trattasi consente, ad esempio, che  la
 donna  prepensionata  cinquantaquattrenne possa ottenere un "abbuono"
 solo di un anno, mentre l'uomo di pari eta' lo possa far valere nella
 massima misura.
    Ne' pare condivisibile l'assunto che  vorrebbe  giustificate  tali
 differenziate  limitazioni,  sul  rilievo  -  in primo luogo - che il
 pensionamento anticipato e' una facolta' - e non un obbligo -  e,  in
 fondo,  consente  di  conseguire  un  beneficio che deve considerarsi
 aggiuntivo rispetto al  "normale"  trattamento  pensionistico  e,  in
 quanto  tale, puo' essere erogato dal legislatore con ampi margini di
 discrezionalita',  essenso  il  soggetto  meno  gratificato  comunque
 avvantaggiato  dal pur minore beneficio e - in secondo luogo - che la
 posizione di sfavore discendente dall'art.  27,  primo  comma,  della
 legge n. 223/1991 e' ampiamente compensata, per la donna lavoratrice,
 dalla  generale  possibilita',  a  lei  concessa dall'ordinamento, di
 andare in pensione prima dell'uomo.
    Quanto a quest'ultimo punto, va osservato che non  puo'  ritenersi
 sussistere   alcuna   sinallagmaticita'   tra   i   due   termini  di
 comparazione, se non altro poiche'  detta  possibilita'  e'  connessa
 alla   soddisfazione   ed   al  contemperamento  di  altre  esigenze,
 esclusivamente proprie della donna e totalmente estranee alla materia
 qui trattata. Per cio' che  concerne,  invece,  l'altro  rilievo,  e'
 agevole  replicare  che  ogni  beneficio  di  legge, una volta che si
 trasfonda  in  una  corrispondente  posizione  giuridica   soggettiva
 tutelata,  non  puo'  certo  essere  attribuito a diversi soggetti in
 violazione del principio di parita' di trattamento.
    E  allora,  dal  momento  che  non  e'  dato  riscontrare   alcuna
 diversita'  di  presupposti  alla quale riferire il differente regime
 previsto dall'articolo citato, non rimane che ritenere effettivamente
 il   medesimo   basato   solo   sul   sesso.    Donde    il    dubbio
 d'incostituzionalita'.
    5.  -  La  vicenda,  ad avviso dello scrivente, si pone in termini
 analoghi rispetto a quella in precedenza giunta al vaglio della Corte
 costituzionale ed avente ad oggetto i  pensionamenti  anticipati  del
 settore   siderugico,   ammessi   da  una  normativa  poi  dichiarata
 parzialmente incostituzionale (art. 16  legge  n.  155/1981,  art.  1
 legge  n.  193/1984  e  art.  2,  secondo  comma  d.l.  n. 120/1989,
 convertito in legge n. 181 del 1989, in relazione agli artt. 3  e  37
 della Costituzione).
    La  Corte pervenne alla relativa declaratoria osservando (sentenze
 nn. 371 del 6 luglio 1989 e 503 del 30  dicembre  1991)  che  "l'eta'
 lavorativa e' uguale sia per l'uomo che per la donna .. e, del resto,
 non  vi e' dubbio che il prepensionamento sia una forma di cessazione
 anticipata del rapporto  di  lavoro  per  cause  eccezionali  e  che,
 quindi,  esso incida sull'eta' lavorativa (sentenza n. 1108/1988). In
 tale  situazione  l'anzianita' contributiva non puo' non riconoscersi
 in misura uguale per l'uomo e per la donna, avendo essi pari  diritto
 a lavorare fino alla stessa eta'".
    6.  -  Conseguentemente  a  quanto finora esposto, il giudizio non
 puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione   della
 questione  di legittimita' costituzionale: deve, pertanto, disporsene
 la sospensione, con immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale, a cura della cancelleria.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134  della  Costituzione e 23 della legge n. 87
 dell'11 marzo 1953;
    Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante la questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 27, primo comma della legge n.
 223 del 23 luglio  1991,  in  relazione  agli  artt.  3  e  37  della
 Costituzione,  per  i profili di cui alla parte motiva della presente
 ordinanza;
    Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Ordina, a  cura  della  canelleria,  la  notifica  della  presente
 ordinanza  alle  parti  ed  al Presidente del Consiglio dei Ministri,
 nonche' la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei  deputati
 e del Senato.
      Bergamo, addi' 23 novembre 1993
                 Il pretore-giudice del lavoro: BONDI'

 94C0071