N. 42 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 settembre 1993

                                 N. 42
 Ordinanza  emessa  il  2 settembre 1993 dal tribunale di Oristano nel
 procedimento civile vertente tra Ghiani Adriano  e  la  provincia  di
 Oristano ed altro
 Enti locali - Prevista decadenza dalla carica degli amministratori di
 enti  locali  (nella  specie:  consigliere  provinciale)  che abbiano
 riportato  una  condanna  per  determinati   reati   (nella   specie:
 omissione  di atti di ufficio) - Prospettata violazione del principio
 di  uguaglianza  sotto   il   profilo   della   impossibilita',   per
 l'automaticita'   della  decadenza,  di  adeguare  la  sanzione  alla
 gravita' del reato - Incidenza sul  diritto  di  difesa  in  giudizio
 nonche'  sul  diritto  alla  conservazione  delle  funzioni pubbliche
 elettive - Riferimenti alle sentenze della Corte  costituzionale  nn.
 971/1988 e 197/1993.
 (Legge  19  marzo  1990,  n. 55, art. 15, comma 4-quinquies, aggiunto
 dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1).
 (Cost., artt. 3, 24 e 51).
(GU n.9 del 23-2-1994 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  civile
 iscritto al r.g. degli affari civili contenziosi n. 861/1993 promosso
 da  Ghiani  Adriano, rappresentato e difeso dagli avvocati Costantino
 Murgia ed Enrico Lallai, presso  il  cui  studio  e'  domiciliato  in
 Oristano, Galleria Porcella n. 4, contro la provincia di Oristano, in
 persona  del  presidente  pro-tempore,  resistente  contumace  e  nei
 confronti di Sardu Mario controinteressato non costituito, avverso la
 deliberazione n. 32 del 17 maggio 1993  con  la  quale  il  consiglio
 provinciale   di   Oristano  ha  dichiarato  il  ricorrente  decaduto
 dall'ufficio di consigliere provinciale, nominando in sua vece  Sardu
 Mario, e, per l'effetto, per la declaratoria del diritto del Ghiani a
 conservare l'ufficio pubblico del quale era investito;
    Visto il ricorso con gli atti allegati tutti;
    Esaminati gli atti del giudizio;
    Acquisito  il  fascicolo  relativo  al procedimento penale r.g. n.
 63/1992 in esito al quale questo tribunale, con sentenza  pronunziata
 ai  sensi  dell'art.  444 e segg. del c.p.p., ha definito il giudizio
 pendente a carico  del  ricorrente  relativamente  al  reato  di  cui
 all'art. 328 cpv., del c.p.;
    Udita  alla  pubblica  udienza del 26 agosto 1993 la relazione del
 dott. Marcello Buscema e sentiti  altresi'  gli  avvocati  Costantino
 Murgia ed Enrico Lallai per il ricorrente;
    Ritenuto  in  fatto  che  il consiglio provinciale di Oristano con
 propria deliberazione n. 32 del 17 maggio 1993 ha dichiarato decaduto
 dalla  carica  di  consigliere  provinciale,   Ghiani   Adriano,   in
 applicazione  dell'art.  1, comma 4-quinquies, della legge 18 gennaio
 1992, n. 16,  in  esito  ad  un  procedimento  penale  a  carico  del
 ricorrente  per il reato di cui all'art. 328 cpv., del c.p., definito
 con sentenza 9 dicembre 1992 di applicazione  della  pena,  ai  sensi
 dell'art. 444 del c.p.p., di un milione di multa;
    Rilevato  che  avverso  detto  provvedimento il Ghiani ha proposto
 ricorso dinanzi a questo tribunale, lamentandone l'illegittimita' sia
 in riferimento alla violazione dell'art. 7, terzo, quarto,  quinto  e
 sesto  comma,  della  legge 23 aprile 1981, n. 154, sia relativamente
 alla violazione dell'art. 7 della legge 7 agosto 1990,  n.  241,  sia
 ancora  al medesimo vizio riferito agli artt. 444 e 445 del c.p.p. in
 relazione all'art. 1, primo comma,  lett.  c)  e  comma  4-quinquies,
 della legge 18 gennaio 1992, n. 16;
    Rilevato   ancora  che  il  ricorrente,  in  via  subordinata,  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
 4-quinquies, della legge 18 gennaio 1992, n. 16, per violazione degli
 artt.  3,  51,  primo  comma,  e  97  della  Costituzione,  chiedendo
 altresi',  ove  rimessa  la  questione  alla Corte costituzionale, la
 sospensione del provvedimento decadenziale avversato;
    Ritenuta  in  via  preliminare,  dovendosi  la   questione   porsi
 d'ufficio  in  presenza  di  contrastanti  pronunzie specificatamente
 intervenute sulla questione in  esame,  la  giurisdizione  di  questo
 giudicante,  quale a.g.o., a decidere sul gravame interposto, poiche'
 la deliberazione avversata incide (su)  e  inerisce  a  posizioni  di
 diritto soggettivo dell'interessato, conseguenti al suo ius officio -
 ancorche'  asseritamente venuto meno per sopravvenute cause (sentenza
 penale) - sicche' la  materia  rientra  nella  competenza  dell'adito
 tribunale  in  conformita'  agli  artt.  82  e  segg.  della legge 23
 dicembre 1966, n. 1147;
   Considerata, nel merito del ricorso, l'infondatezza  delle  censure
 mosse  dal Ghiani avverso il provvedimento consiliare con le quali il
 ricorrente ha contestato il mancato rispetto delle riferite leggi nn.
 154/1981  e  241/1990,  in  violazione  delle  quali   il   consiglio
 provinciale  di  Oristano  non  ha  posto  in essere il previsto iter
 procedimentale di contestazione e/o comunicazione (in contraddittorio
 con  il  soggetto  destinatario  del   provvedimento)   della   cause
 determinative  della  sanzione  comminata.  Censure che, ad avviso di
 questo giudicante, risultano prive  di  pregio,  essendo  la  vigente
 normativa  richiamata dal ricorrente ultronea rispetto alla peculiare
 forma  di  "decadenza  di  diritto"  sancita   dall'art.   1,   comma
 4-quinquies,  della  legge  n. 16/1992, la quale norma ha previsto un
 automatismo   sanzionatorio   che   esclude   qualsiasi   valutazione
 discrezionale  in  ordine  alla  gravita' del fatto accertato in sede
 penale e  tale  da  prescindere  dal  procedimento  partecipativo  in
 contradditorio  di  cui  alle anzidette normative, con la conseguenza
 che  la  successiva  deliberazione  del  consiglio   provinciale   va
 qualificata  come  declaratoria  delle  (sopravvenute)  condizioni di
 ineleggibilita' del soggetto, con effetti retroagenti alla "data  del
 passaggio  in  giudicato della sentenza di condanna .." art. 1, comma
 4-quinquies, della legge n. 16/1992);
    Ritenuto inoltre, per quanto attiene al rapporto  sussistente  tra
 sentenza   penale   di  condanna  e  sentenza  emessa  a  seguito  di
 "patteggiamento", la riconosciuta sostanziale equivalenza tra di esse
 pronuzie,  dovendosi  ritenere   che   "la   sentenza   che   dispone
 l'applicazione  della  pena  su  richiesta  delle  parti  contiene un
 accertamento  ed  un'affermazione  impliciti  della   responsabilita'
 dell'imputato)  (Cass. s.u. 27 marzo 1992); e, conseguentemente, tale
 pronunzia  viene  ad  assumere,  sia  pure  "nelle  linee  generali",
 caratteri  ed  effetti  (salve  le determinazioni limitative elencate
 nell'art. 445 del c.p.p.) proprio di una sentenza di condanna;
    Ritenuto che il rito alternativo di cui all'art. 444  del  c.p.p.,
 ad  ogni  buon conto, impone al giudicante una valutazione concreta e
 specifica sui fatti, sulla base di una cognizione  allo  stato  degli
 atti   tale   da   consentirgli   sia   una  possibile  pronunzia  di
 proscioglimento ai sensi dell'art. 129 del c.p.p., sia di riscontrare
 e sindacare la corretta qualificazione giuridica del fatto nonche' la
 congruita'   della   pena   concordata   tra   le   parti;   Valutata
 positivameente,  pertanto,   l'applicabilita'   dell'art.   1   comma
 4-quinquies,  della  legge  n. 16/1992 anche alle pronunzie emesse in
 virtu' dell'art. 444 e segg. del c.p.p.;
    Ritenuta  inoltre  la   evidente   difformita'   -   per   natura,
 presupposti,  modalita'  e  forme di applicazione, autorita' preposta
 alla loro irrogazione, etc. - dell'istituto della "decandeza" (di cui
 alla citata norma) rispetto alle figure di pene accessorie (artt.  28
 e segg. del c.p.) nonche' alle misure di sicurezza (artt. 199 e segg.
 del   c.p.),   oltre  alla  considerazione  che  l'opposta  soluzione
 rappresenterebbe una  violazione  del  noto  principio  di  legalita'
 vigente nel sistema sanzionatorio criminale;
    Ritenuto  dunque  che  le suesposte considerazioni porterebbero ad
 una pronunzia di rigetto del gravame promosso dal ricorrente;
    Considerato, invece, non manifestamente infondato il  sospetto  di
 illegittimita'    costituzionale    dell'invocato   art.   1,   comma
 4-quinquies, della legge 18 gennaio 1992  n.  18  (sollevato  in  via
 subordinata  dal  ricorrente)  per  le ragioni di seguito esposte: e'
 principio ormai riconosciuto, a  mente  delle  intervenute  pronunzie
 della Corte costituzionale (tra le quali assumono specifica rilevanza
 le  nn.  971  del  14  ottobre  1988 e, di recente, 197 del 19 aprile
 1993), la ineludibile  esigenza  di  escludere  sistemi  sanzionatori
 "rigidi",   ovvero   applicativi  di  misura  punitiva  senza  alcuna
 valutazione in concreto della  fattispecie  rispetto  alla  quale  la
 sanzione   viene   irrogata,   con   consentendo   in  tal  modo  una
 "indispensabile gradualita' sanzionatoria .." in grado di adeguare la
 sanzione al fatto;
    Ritiene al riguardo questo tribunale  che  la  riferita  esigenza,
 ancorche'  le  anzidette  pronunzie  di illegittimita' costituzionale
 abbiano specificatamente interessato il rapporto di pubblico  impiego
 attraverso  l'istituto della "destituzione di diritto", debba trovare
 una tutela diffusa e generalizzata, a  prescindere  dalla  settoriale
 ipotesi  che  ne  ha  occasionato  la pronunzia di illegittimita', in
 quanto e' interesse primario di ogni sistema  sanzionatorio  adeguare
 concretamente la misura afflittiva al caso di specie. E cio', invero,
 in  conformita'  al  principio  di ragionevolezza dettato dall'art. 3
 della Costituzione, sotto il profilo  dell'offesa  al  "principio  di
 proporzione  che  e'  alla  base  della  razionalita'  che  domina il
 principio di eguaglianza, e che postula  sempre  l'adeguatezza  della
 sanzione al caso di specie" (Corte costituzionale n. 197/1993);
    La   norma  sospettata  di  incostituzionalita',  invero,  prevede
 l'automatica decadenza di diritto di colui  che  ricopre  una  carica
 elettiva   (in   seno  ad  un  ente  pubblico  territoriale,  secondo
 l'elencazione riportata nell'art. 1, primo comma, della stessa  legge
 n.   167/1992)  conseguentemente  al  passaggio  in  giudicato  della
 sentenza di condanna per taluno dei reati indicati  nel  primo  comma
 della  legge  citata  (o  dalla  definitivita'  del provvedimento che
 applica la misura di prevenzione);
    Nella  presente  fattispecie  e'  evidente  come   l'esigenza   di
 "adeguatezza  e  gradualita' sanzionatoria" rispetto al caso concreto
 abbia maggior rilevanza - e, quindi, necessiti di idonea tutela -  in
 considerazione  della  pluralita'  e difformita' di ipotesi criminali
 cui  l'art.  1,  comma  4-quinquies, della legge n. 16/1992 riconduce
 indiscriminatamente la sanzione della decandenza di diritto;
    Venendo  cosi'  a  parificare,  in  chiave   di   proporzionalita'
 sanzionatoria,  situazioni  che  in  concreto potrebbero risultare di
 diversa gravita' e soggiacere  a  pene  "notevolmente  differenziate,
 alcune  delle  quali certamente non elevate" (Corte costituzionale n.
 16/1993);
    Tanto piu' che la citata legge 16 gennaio 1992, n. 16, valutate le
 sue precipue finalita' di "salvaguardia dell'ordine e della sicurezza
 pubblica" all'interno del rapporto di  fiducia  che  caratterizza  le
 cariche  elettive,  nell'ambito della normativa cd. antimafia, impone
 una concreta valutazione del comportamento  penalmente  rilevante  in
 esito  alla  quale  poter  irrogare  la  sanzione adeguata e congrua,
 attraverso una rappresentazione  del  fatto  rispetto  alle  riferite
 finalita' della legge.
    Diversamente,  nella  vigenza  dell'attuale sistema di automatismo
 sanzionatorio  di  cui  alla  norma  in  esame  verrebbe  ad   essere
 pregiudicato  il  diritto  costituzionalmente  garantito  di  tutti i
 cittadini  ad  accedere  e  conservare  (trattandosi  di  una   causa
 sopravvenuta di ineleggibilita') le cariche elettive;
    Inoltre,  un  siffatto  automatismo  impedisce  all'interessato di
 rappresentare in contraddittorio le proprie ragioni di difesa,  anche
 al  fine  di  consentire all'amministrazione una adeguata valutazione
 del caso di specie;
    Tali considerazioni inducono il tribunale a ritenere che la  norma
 di  cui  si  discute  si ponga in contrasto con gli artt. 3, 51 e 34,
 secondo comma, della Carta costituzionale;
    Rilevato,  infine,  per  quanto  attiene  alla   rilevanza   della
 questione,   che   la   domanda   del   ricorrente  potrebbe  trovare
 accoglimento soltanto in esito ad  una  pronunzia  di  illegittimita'
 costituzionale della norma in esame;
    Ritenuto   peraltro   che   la  domanda  cautelare  formulata  dal
 ricorrente - decisa da questo tribunale  con  separata  ordinanza  in
 pari data - non puo' trovare accoglimento;
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente  infondata,  in  relazione
 agli   artt.   3,  24  e  51  della  Costituzione,  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  4-quinquies,  della
 legge  18  gennaio 1992, n. 16, parzialmente sostitutiva dell'art. 15
 della legge 19 marzo 1990, n. 55;
    Dispone la sospensione del  giudizio  instaurato  con  il  ricorso
 sopraindicato   fino  alla  decisione  della  deferita  questione  di
 legittimita' costituzionale e dispone la trasmissione degli atti alla
 Corte costituzionale;
    Ordina che  a  cura  della  cancelleria  di  questo  tribunale  la
 presente   ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidenti  del
 Senato e della Camera dei deputati.
    Cosi' deciso in Oristano nella camera di consiglio del 2 settembre
 1993.
                        Il presidente: ANGIONI
   Il giudice relatore: BUSCEMA
                                                   Il giudice: DEPLANO
 94C0110