N. 45 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 dicembre 1993

                                 N. 45
 Ordinanza  emessa  il  20  dicembre  1993  dal  tribunale di Roma nel
 procedimento penale a carico di Khatib Ben Ayed ed altro
 Processo penale - Giudizio direttissimo - Istanza di rito  abbreviato
 -  Impossibilita'  di  procedervi, in seguito a dissenso del p.m. per
 non decidibilita' allo stato degli atti - Irragionevolezza -  Lesione
 del principio del giudice naturale precostituito per legge - Ritenuta
 riconducibilita'   a  costituzionalita'  della  norma  attraverso  la
 soppressione dell'inciso "e con il consenso del p.m." - Richiesta  di
 riesame  della  normativa,  non  essendosi  ancora  avuto al riguardo
 l'intervento del legislatore, sollecitato dalla precedente  pronuncia
 di inammissibilita' sulla stessa questione (sentenza n. 92/1992).
 (C.P.P. 1988, art. 452, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 25).
(GU n.9 del 23-2-1994 )
                             IL TRIBUNALE
    Nell'udienza  del  20  dicembre  1993  ha  pronunciato la seguente
 ordinanza di rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  nella
 causa penale nei confronti di:
      Khatib  Ben Ayed, nato a La Chebba (Tunisia) il 30 gennaio 1964,
 detenuto "R. Coeli" p.a. arrestato il 14 dicembre 1990, artt. 110 del
 c.p. e 73 della legge n. 685/1975, in Fiumicino il 14 dicembre 1990;
      Trabelsi Fakhgreddine Ben Abdelsalam, nato a Tunisi (Tunisia) il
 18 agosto 1967, libero, arrestato il 14 dicembre 1990, scarcerato l'8
 gennaio 1991, artt. 110 del c.p. e 73 della legge  n.  685/1/975,  in
 Fiumicino  il  14 dicembre 1990, imputati del resto di cui agli artt.
 110  del  c.p.  e  73  della  legge  n.     685/1975   e   successive
 modificazioni,  perche'  in concorso fra loro detenevano gr. 17 circa
 di eroina. In Fiumicino il 14 dicembre 1990.
    Con ordinanza in data 8 gennaio 1991 questo giudice, nel  giudizio
 direttissimo   contro   El  Katib  ed  altri,  rimetteva  alla  Corte
 costituzionale  questione  di  legittimita'  dell'art.  452,  secondo
 comma,  del  c.p.p.  per sospetta violazione degli artt. 3 e 25 della
 Costituzione.
    In estrama sintesi, nella predetta ordinanza -  alle  cui  diffuse
 argomentazioni   si   fa   integrale   rinvio  -  si  prospettava  la
 illegittimita' dell'art. 452, secondo comma,  del  c.p.p.  in  quanto
 subordina  la instaurazione del giudizio abbreviato, e la conseguente
 riduzione della pena, al consenso del pubblico ministero che, con  le
 sue  discrezionali scelte investigative, e' arbitro di determinare la
 decidibilita' allo stato degli atti  e  quindi  di  precostituire  le
 condizioni  per negare (legittimamente alla stregua della sentenza di
 codesta Corte  n.  183/1990)  il  consenso  alla  trasformazione  del
 giudizio  direttissimo  in  giudizio  abbreviato, trasformazione alla
 quale peraltro, contraddittoriamente,  la  decidibilita'  allo  stato
 degli  atti  non  e' di ostacolo in via di principio, atteso che essa
 puo' essere colmata con la  integrazione  probatoria  prevista  dalla
 norma impugnata.
    Con sentenza del 13-22 aprile 1992, n. 187 la Corte costituzionale
 dichiarava l'inammissibilita' della predetta questione, unitamente ad
 altra  analoga  sollevata  dal  tribunale  di Milano, in quanto dalle
 stesse prospettazioni dei giudici a quibus risultava che  al  quesito
 proposto avrebbero potuto darsi ben quattro soluzioni tra loro alter-
 native,  sicche'  si  verteva  in  materia di scelte rientranti nella
 discrezionalita' del legislatore.
    Nella  citata  sentenza,  peraltro,  la  Corte   rinviava   "nella
 complessiva  riconsiderazione  del  giudizio  abbreviato" che sarebbe
 potuta scaturire dalla precedente sentenza 21 febbraio-9 marzo  1992,
 n. 92 con la quale la stessa Corte segnalava al legislatore l'urgenza
 "di ricondurre la normativa impugnata a piena coerenza con i principi
 costituzionali".
    Giova  riportare  alcuni passi salienti della predetta sentenza n.
 92:  "Resta  evidentemente   fermo,   e   va   anzi   ribadito,   che
 l'introduzione,  o  meno,  di un rito avente automatici effetti sulla
 determinazione  della  pena  non  puo'  farsi  discendere  da  scelte
 discrezionali  del  pubblico  ministero.  Tali  sono,  indubbiamente,
 quelle con le quali costui decide quali, e quante, indagini  esperire
 per  porle  a  base  della  richiesta di rinvio a giudizio e, piu' in
 generale, quelle connesse alla sua strategia  processuale:  la  quale
 puo' fargli preferire - in quanto li ritenga non necessari a tal fine
 -   di  rinviare  a  dibattimento  l'esperimento  di  certi  mezzi  o
 l'acquisizione di determinate prove.
    Rispetto al  giudizio  abbreviato  cio'  comporta  l'inaccettabile
 paradosso   per   cui   il  pubblico  ministero  puo'  legittimamente
 precluderne l'instaurazione allegando lacune probatorie da lui stesso
 discrezionalmente determinate ..".
    "Escluso quindi che si possano ricavare  dall'ordinamento  vigente
 correttivi  idonei  a sanare la situazione qui evidenziata, e' percio
 necessario, al fine di ricondurre l'istituto a piena sintonia  con  i
 principi  costituzionali,  che  il vincolo derivante dalle scelte del
 pubblico ministero sia  reso  superabile  con  l'introduzione  di  un
 meccanismo di integrazione probatoria".
    A circa due anni dal monito della Corte - che in termini del tutto
 espliciti  qualifica  illegittima  l'attuale  disciplina del giudizio
 abbreviato - il legislatore non ha provveduto ne', prevedibilmente,e'
 in grado di provvedere in tempi brevi,  a  "ricondurre  la  normativa
 impugnata  a  piena  coerenza  con i principi costituzionali". Questo
 giudice pertanto, ritenendo, da un lato, di non potere  ulteriormente
 protrarre  l'attesa delle auspicate modifiche legislative, dall'altro
 lato  di  avere  l'imprescindibile  dovere  di  non  applicare  norme
 ordinarie  che  la  stessa  Corte  costituzionale  ha  manifestamente
 qualificato  illegittime,  non  puo'  che  rimettere  nuovamente   la
 questione alla decisione del giudice delle leggi.
    Ovviamente, in questa sede non si puo' (ne' si vuole) censurare la
 giurisprudenza  della  Corte  secondo  la  quale  il potere/dovere di
 dichiarare la illegittimita' costituzionale della legge ordinaria non
 puo' essere esercitato quando la  materia  e'  suscettibile  di  piu'
 soluzioni  alternative  compatibili  con  la  Costituzione. Vedra' la
 stessa Corte se con un ordinamento a costituzione rigida e  governato
 dal  principio  di  stretta  legalita' delle pene, sia compatibile il
 "paradosso - rilevato dalla dottrina  proprio  con  riferimento  alla
 decisione  de  qua  -  per  cui una norma riconosciuta invalida dalla
 Corte costituzionale rimane vigente nell'ordinamento".
    Ritiene peraltro il tribunale che, a  ben  vedere,  delle  quattro
 soluzioni alternative a suo tempo prospettate dai giudici remittenti,
 una  sola  e'  quella  che  puo', in termini razionali, ricondurre la
 disciplina  del  giudizio  abbreviato  a  coerenza  con  i   principi
 costituzionali.
    Invero,  la  prima  delle  soluzioni  prospettate dal tribunale di
 Milano, seconda la quale  "dovrebbe  imporsi  al  pubblico  ministero
 (incidendo  sull'art. 449) di compiere prima quella instaurazione del
 giudizio direttissimo gli  accertamenti  necessari  ad  integrare  il
 requisito  della  decidibilita'  allo  stato  degli atti", trova gia'
 risposta nella citata sentenza n. 92/1992,  la'  dove  codesta  Corte
 rileva  che  un  sindacato del giudice sulle scelte investigative del
 pubblico ministero "non e' concretamente possibile" sia  perche'  "la
 natura  eminentemente  soggettiva  e  discrezionale  di  tali  scelte
 comporta che analoghe caratteristiche finirebbe fatalmente per  avere
 il  sindacato  del  giudice",  sia  perche'  un tale sindacato non e'
 armonizzabile con il sistema del codice, nel quale il principio della
 "completezza"  delle  indagini  va  misurato  sul  metro  non  di  un
 accertamento pieno ma "di quanto necessario all'esercizio dell'azione
 penale".
    La  seconda  delle soluzioni prospettate dallo stesso tribunale di
 Milano,  secondo  la  quale  dovrebbe  "prevedersi  che  il  consenso
 dell'organo  dell'accusa  alla  instaurazione del giudizio abbreviato
 possa essere condizionato  all'espletamento  da  parte  del  giudice"
 degli  accertamenti  necessari  ad  integrare  la  decidibilita',  si
 risolverebbe   in   realta'   in   una   previsione   di    immanente
 ingiustificatezza del dissenso del pubblico ministero.
    Invero,  in  presenza  di  una  norma  che attribuisse al pubblico
 ministero  il  potere/dovere  di   condizionare   il   suo   consenso
 all'espletamento  delle  attivita'  integrative,  il dissenso sarebbe
 sempre ingiustificato, giacche' il meccanismo previsto dall'art. 452,
 secondo comma, del c.p.p. - che, secondo l'interpretazione prevalente
 richiamata dalla stessa Corte nella  sentenza  n.  92/1992,  consente
 l'assunzione  di ogni tipo di prova - costituirebbe risorsa normativa
 sufficiente per realizzare in  qualunque  situazione  processuale  il
 requisito  della  decidibilita'  e  quindi  per  superare  il vincolo
 derivante dalle scelte investigative del pubblico ministero (cfr.  la
 citata sentenza n. 92/1992).
    In  altre  parole,  nell'ipotetico quadro normativo in discorso la
 decidibilita'  allo  stato  degli  atti   non   potrebbe   costituire
 condizione  giustificatrice  del dissenso del pubblico ministero, con
 la  conseguenza  che   il   giudice   dovrebbe   sempre   dichiararlo
 ingiustificato ed applicare la riduzione della pena a conclusione del
 dibattimento.  Tale  quadro  normativo  percio'  non sarebbe idoneo a
 riportare il giudizio abbreviato a razionale coerenza con i  principi
 costituzionali   perche'   non   salvaguarderebbe   "quel   nesso  di
 inscindibilita' tra riduzione della pena  ed  effettiva  celebrazione
 del  giudizio  abbreviato"  che codesta Corte "ha riconosciuto essere
 nota caratterizzante il nuovo  istituto"  (sentenza  n.  92/1992  che
 richiama le precedenti nn. 27/1990 e 176/1991).
    Agli  stessi  rilievi si presta la soluzione prospettata da questo
 giudice nell'ordinanza 8 gennaio 1991 in alternativa a quella fondata
 sulla secca eliminazione del consenso del pubblico ministero.
    A ben guardare, in realta', il tribunale  prospettava  alla  Corte
 una  "interpretativa di rigetto" che, da un lato, avrebbe consentito,
 nell'immediato, di ricondurre il giudizio abbreviato al rispetto  del
 principio  costituzionale di legalita' delle pene e, dall'altro lato,
 avrebbe potuto costituire un efficace stimolo per il legislatore, che
 non avrebbe non potuto avvertire l'urgenza di intervenire  una  volta
 che  la  Corte  - interpretando l'art. 452, secondo comma, del c.p.p.
 nel senso prospettato dal giudice remittente  -  fosse  pervenuta  in
 pratica  all'affermazione,  normativamente  vincolante,  di immanente
 infondatezza del diniego del pubblico ministero.
    Senonche' la Corte  non  ha  ritenuto  di  poter  aderire  a  tale
 prospettazione - che avrebbe comunque lasciato irrisolta la questione
 del  nesso fra effettivita' del giudizio abbreviato e riduzione della
 pena - richiamando  l'invito  al  legislatore  gia'  formulato  nella
 sentenza n. 92 del 1992.
    Ma,  come  s'e'  detto,  il  legislatore  e' rimasto inerte, cosi'
 rilegittimando una nuova verifica della  non  manifesta  infondatezza
 della questione da parte di codesta Corte, che ha piu' volte ammonito
 che le misure normative giustificate da situazioni transitorie - tale
 poteva  considerarsi,  nel  marzo 1992, la fase di "assestamento" dei
 nuovi istituti del codice processuale e in particolare  del  giudizio
 abbreviato,  inciso  con le pronunce di illegittimita' costituzionale
 proprio sul punto del consenso  del  pubblico  ministero  -  "perdono
 legittimita'  se  ingiustificatamente  protratte  nel  tempo"  (Corte
 costituzionale 1› febbraio 1982, n. 15).
    La riconsiderazione della questione - palesemente rilevante per la
 decisione  del  caso  di  specie,  in  cui  agli  imputati   potrebbe
 applicarsi  la  riduzione  della  pena  nonostante  il  dissenso  del
 pubblico ministero alla trasformazione del giudizio  direttissimo  in
 giudizio  abbreviato - appare del resto necessario anche alla stregua
 dei nuovi profili sopra illustrati e che portano alla conclusione che
 la eliminazione del consenso del pubblico ministero  e'  l'unica  via
 per  conciliare  con i principi costituzionali di uguaglianza (art. 3
 della  Costituzione)  e  di  stretta   legalita'   (art.   25   della
 Costituzione)  la permanenza del giudizio abbreviato nell'ordinamento
 processuale.
    Tale  eliminazione  puo'   agevolmente   ottenersi   mediante   la
 dichiarazione  di illegittimita' dell'inciso contenuto nell'art. 452,
 secondo comma, del c.p.p. "e il pubblico ministero vi consente".
    Cosi' rimodellata, la  predetta  norma  consentirebbe,  merce'  il
 meccanismo   di   integrazione   probatoria   in  essa  previsto,  la
 trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato anche
 nei casi in cui le scelte investigative e  processuali  del  pubblico
 ministero  determinino  una  situazione  immediata di indecidibilita'
 allo  stato  degli  atti.  Il  che  consentirebbe  di  conciliare  il
 principio   di   discrezionalita'  della  strategia  processuale  del
 pubblico ministero con i principi di uguaglianza e di legalita' delle
 pene che - come diffusamente illustrato nell'ordinanza 8 gennaio 1991
 -   sono   violati   dall'attuale   assetto  normativo  del  giudizio
 abbreviato.
    Per  altro  verso,  l'assetto  normativo  che  risulterebbe  dalla
 dichiarazione  di  illegittimita'  della  norma  sopra indicata - che
 comporterebbe  la  instaurazione  del  giudizio  abbreviato  sol  che
 l'imputato  lo  richieda - risulterebbe pur sempre molto proficuo per
 l'effetto deflattivo che giustifica la riduzione della pena.  Infatti
 anche  nei  casi di non immediata decidibilita', sarebbero pur sempre
 utilizzabili gli atti di indagine della  polizia  giudiziaria  e  del
 pubblico  ministero,  sicche'  l'assunzione delle prove - nelle forme
 semplificate  della  camera  di  consiglio  -  sarebbe  limitata   ai
 necessari  atti  integrativi,  con  evidente ed incisivo profitto per
 l'economia processuale. Ancora piu' evidente e incisivo  sarebbe  poi
 il  benefico  effetto  di  economia  processuale  per  i  casi in cui
 attualmente il giudice,  ritenendo  ingiustificato  il  dissenso  del
 pubblico ministero, accordi all'imputato la riduzione della pena dopo
 la integrale assunzione delle prove nelle forme del dibattimento.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'inciso  "e  il  pubblico  ministero vi consente"
 contenuto nell'art. 452, secondo comma, del c.p.p. in relazione  agli
 artt. 3 e 25 della Costituzione;
    Sospende  il giudizio in corso e ordina la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Manda alla cancelleria di  notificare  la  presente  ordinanza  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e di comunicarla ai Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
                        Il presidente: SARACENI

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