N. 13 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 febbraio 1994

                                 N. 13
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria l'8 febbraio 1994 (del commissario  dello  Stato  per  la
 regione Sicilia)
 Regione Sicilia - Impiego regionale - Proroga dei termini di
    efficacia  delle graduatorie concorsuali relative agli enti di cui
    alla legge 2 aprile 1968, n. 482 e alla regione (rispettivamente a
    trentasei e a quarantotto mesi) ed utilizzazione delle stesse  per
    la   copertura   dei  posti  vacanti  e  disponibili  riservati  -
    Erogazione, da parte dell'assessore regionale per  il  lavoro,  la
    previdenza  sociale,  la formazione professionale e l'emigrazione,
    di retribuzioni per il personale a tempo indeterminato degli  enti
    che,  a  seguito  della  mancata  inclusione  nel  piano formativo
    annuale approvato ai sensi della legge regionale 6 marzo 1976,  n.
    24,  oppure a seguito della revoca del finanziamento dei corsi o a
    causa di contenzioso economico contabile pendente o per  qualsiasi
    altra  causa  siano comunque nella impossibilita' di assicurare la
    prosecuzione della  relativa  attivita'  -  Interventi  diretti  a
    favorire  il pensionamento anticipato per il personale in servizio
    alla data del 30 marzo 1989  e  successivamente  licenziato  anche
    prima   dell'entrata   in  vigore  della  legge  impugnata,  o  da
    licenziare  per  riduzioni  di  posti  di  lavoro  che  comportino
    processi   di  ristrutturazione,  accorpamento  o  liquidazione  -
    Lamentata violazione del principio di uguaglianza per  trattamenti
    differenziati   di   situazioni   omogenee  senza  adeguata  causa
    giustificatrice, dei principi di imparzialita'  e  buon  andamento
    della p.a., nonche', solo relativamente all'ultima disposizione di
    legge sopra menzionata, di copertura finanziaria.
 (Delibera legislativa regione Sicilia 20 gennaio 1994).
 (Cost., artt. 3, 81 e 97).
(GU n.10 del 2-3-1994 )
    L'assemblea regionale siciliana, nella seduta del 20 gennaio 1994,
 ha  approvato  il  disegno  di  legge n. 635 dal titolo "Modifica del
 termine  per  l'adozione  degli  statuti   e   dei   regolamenti   di
 contabilita'  dei  comuni. Proroga di termini in materia urbanistica,
 per la costituzione delle province regionali e per l'efficacia  delle
 graduatorie   concorsuali.   Interventi   in  materia  di  formazione
 professionale e di cooperazione", pervenuto a questo commissariato il
 24 gennaio 1994, ai sensi  e  per  gli  effetti  dell'art.  28  dello
 statuto speciale.
    Come  si  evince  dalla  lunghezza  della rubrica il provvedimento
 legislativo costituisce  una  sorta  di  legge  contenitore,  le  cui
 singole   disposizioni   interessano  i  piu'  disparati  settori  di
 intervento  regionale  e  sono  frutto  di  riproposizione  di  norme
 stralciate  da separati disegni di legge, di cui due non erano ancora
 stati esaminati dalle competenti commissioni  permanenti,  o  trovano
 addirittura  origine  in  emendamenti presentati in aula ed approvati
 senza il necessario approfondimento delle competenti commissioni,  ai
 sensi  dell'art.  12 dello statuto speciale, pur in presenza di serie
 perplessita' sull'opportunita' e sulla  legittimita'  dell'iniziativa
 prospettata da parte di taluni deputati.
    Orbene,  dalla  complessiva disamina dell'intero provvedimento, si
 e' rilevato che le disposizioni di cui agli artt.  5,  6  e  7  danno
 adito a censure di carattere costituzionale.
    L'art.  5  ("Termine  di efficacia delle graduatorie concorsuali")
 dispone: "L'art. 7 della legge regionale 30 aprile 1991,  n.  11,  e'
 sostituito dal seguente:
    1.  Le  graduatorie  concorsuali degli enti e quelle relative alle
 categorie di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, o altre  categorie
 protette,  sono  efficaci  per  la  durata di trentasei mesi e devono
 essere utilizzate per la copertura dei posti  vacanti  e  disponibili
 riservati.   E'   fatto   obbligo  all'amministrazione  regionale  di
 procedere, entro sei  mesi  dall'entrata  in  vigore  della  presente
 legge,  al  ricalcolo dei posti da attribuirsi in forza della legge 2
 aprile  1968,  n.  482,  tenendo  conto  del  numero  dei  dipendenti
 effettivamente in servizio presso l'amministrazione.
    2.  Le graduatorie concorsuali dell'amministrazione regionale sono
 efficaci per la durata di quarantotto mesi e devono essere utilizzate
 per la copertura dei posti vacanti e disponibili riservati".
    Tale norma cosi' come formulata e' censurabile non solo  sotto  il
 profilo  del  mancato  rispetto dei principi di cui agli artt. 3 e 97
 della Costituzione, ma anche per violazione dell'art. 19  del  d.lgs.
 23 dicembre 1993, n. 546.
    Per  quanto  attiene  la violazione dei principi costituzionali si
 rileva  che  la   norma   in   questione   e'   affetta   da   palese
 irragionevolezza riguardo ai fini che il legislatore intende con essa
 perseguire.
    In  proposito  e'  opinione  diffusa  nella  migliore dottrina (da
 ultimo Franco Modugno, Enciclopedia  del  Diritto  Voce  "Validita'")
 "che  la  stessa  potesta'  del legislatore di scegliere e graduare i
 fini da perseguire implica l'adozione di  una  o  piu'  rationes  che
 ispirano   la   legge,   ma  che  condizionano  al  tempo  stesso  le
 disposizioni  in  essa  contenute,  sotto  il  profilo   della   loro
 congruita',  con  esclusione quindi di elementi di irragionevolezza e
 di  non  contraddittorieta'  rispetto  al  conseguimento   dei   fini
 prescelti.
    L'attivita'  legislativa,  in  quanto  assume  la  veste di vera e
 propria  funzione,  non  e'  propriamente  "libera"  (nel  senso   di
 arbitraria),  bensi'  discrezionale  nel  senso  di  "ragionevolmente
 libera".
    Orbene il legislatore  regionale,  nell'adottare  la  disposizione
 oggetto  del  presente atto di gravame, introduce, come si avra' modo
 di illustrare nel prosieguo, una disciplina non  confacente,  se  non
 addirittura contraria, al reale intento perseguito.
    In   proposito,   deve   rilevarsi   che  nella  stessa  relazione
 illustrativa  predisposta  dalla  prima  commissione  permanente   al
 disegno  di  legge  n.  582  e'  esplicitamente manifestato che scopo
 dell'iniziativa e' quello  di  prorogare  di  un  ulteriore  anno  le
 attuali   graduatorie  dei  concorsi  banditi  dalla  amministrazione
 regionale e dagli enti sottoposti alla sua vigilanza, nelle  more  di
 una   complessiva   ricognizione   del  proprio  personale  e  di  un
 approfondito esame dell'utilizzazione di quest'ultimo.
    L'originaria   stesura   del   predetto    disegno    d'iniziativa
 governativa,  infatti,  si  prefiggeva  il  fine di ricoprire i posti
 resisi disponibili a  seguito  della  contestuale  previsione  di  un
 aumento   numerico   della  dotazione  organica  dell'amministrazione
 regionale con i soggetti risultati idonei in concorsi gia'  espletati
 per le qualifiche interessate.
    Nel  corso del breve dibattito tenutosi in aula, inoltre, (all. 1)
 il presidente della commissione nonche' relatore, nel ribattere  alle
 obiezioni di un deputato che paventava la vanificazione del principio
 di recente introdotto con la l.r. n. 25/1993 del concorso per titoli,
 evidenziando  che  dalla  suddetta  proroga  di  tutte le graduatorie
 sarebbe risultata inevitabilmente inficiata l'applicabilita' concreta
 della precedente innovativa disciplina, faceva  espresso  riferimento
 alle   contingenti   necessita'   dell'assessorato   al  bilancio  ed
 all'opportunita'  di  utilizzare  la  graduatoria  di   un   concorso
 precedentemente bandito (e di cui, si ha motivo di ritenere, sia gia'
 cessata l'efficacia).
    Orbene,  la  stesura  definitiva della norma, lungi dal far fronte
 alla cennata esigenza immediata e  contingente  dell'amministrazione,
 introduce  piuttosto  una disciplina a regime, valida cioe' anche per
 tutti i concorsi che saranno banditi  successivamente  alla  data  di
 entrata in vigore della legge e che si pone palesemente in contrasto,
 anche  per gli effetti novativi rispetto alla preesistente normativa,
 con i principi desumibili dalla sopravvenuta  legislazione  nazionale
 di riferimento.
    L'art.  5 in questione riproduce infatti con difformita' puramente
 lessicale (trentasei mesi anzicche'  tre  anni)  e  con  l'esclusione
 dell'amministrazione  regionale,  la  disposizione  dell'art. 7 della
 l.r.  30  aprile  1991,  n.  11,  riconfermando  cosi'  procedure  di
 assunzione   di   appartenenti   alle  categorie  protette  non  piu'
 ammissibili a seguito dell'entrata in vigore degli artt. 36 e 42  del
 d.lgs.  n.  29/1993  che  hanno  profondamente innovato la disciplina
 della materia de qua.
    Sul  punto  e'  di  basilare  importanza   rilevare   che   uffici
 amministrativi regionali chiamati a dare applicazione al cennato art.
 7  della  l.r.  n. 11/1991 (all. 2) avevano sottoposto all'attenzione
 del  legislatore,  in  seguito  anche  all'acquisizione   di   pareri
 dell'ufficio  legislativo  e  legale della presidenza della regione e
 del  consiglio  di  giustizia   amministrativa,   l'opportunita'   di
 procedere   ad   una  revisione  della  norma  al  fine  di  renderla
 compatibile con le nuove vincolanti disposizioni.
    Alla luce di quanto  esposto  appare  oltremodo  irragionevole  il
 comportamento   del   legislatore   siciliano  che  con  la  presente
 disposizione nei fatti torna a disciplinare, in  maniera  palesemente
 confliggente   con  i  parametri  legislativi  e  costituzionali  cui
 dovrebbe rigorosamente attenersi, una materia che esula dalla propria
 competenza.
    La  disciplina  delle  assunzioni  di  appartenenti  a   categorie
 protette  da  parte  di  pubbliche  amministrazioni  e' stata infatti
 interamente innovata dalle disposizioni di cui agli artt. 36 e 42 del
 d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e  successive  modifiche,  per  quanto
 attiene  specificamente  all'istituto  della  chiamata numerica degli
 iscritti nelle liste di collocamento formate dagli appartenenti  alla
 categoria protetta di cui al titolo primo della legge n. 482/1968.
    L'intervento, ancorche' sopravvenuto, del legislatore nazionale in
 materia  di  esclusiva sua spettanza, in quanto concernente la tutela
 di una particolare categoria di soggetti (id est legge  n.  482/1968)
 che   non  puo'  avere  per  sua  intrinseca  natura  un  trattamento
 differenziato nell'ambito del territorio nazionale, ha di per se'  la
 forza  di  abrogare,  espressamente o implicitamente, qualsiasi norma
 regionale (art. 7 della l.r. n. 11/1991) che su quella materia  fosse
 per  l'innanzi in vigore, non rilevando se validamente o meno, per le
 parti con  essa  incompatibili,  (sentenza  Corte  costituzionale  n.
 151/1974).
    Di palmare evidenza e', pertanto, l'illegittimita' della norma ora
 approvata  dall'assemblea  che nel riprodurre, come prima cennato, la
 preesistente disposizione, da ritenersi superata  dalla  legislazione
 statale,  ha  riconfermato innovativamente ed in assenza di specifici
 approfondimenti e  specifiche  contingenti  esigenze  una  disciplina
 confliggente con quella preminente dello Stato.
    La  stessa disposizione, inoltre, al secondo comma fa riferimento,
 ai    fini    dell'efficacia    quadriennale    della    graduatoria,
 all'utilizzazione   delle   stesse   per   la   copertura  dei  posti
 "disponibili riservati" ponendo cosi' in  essere  un'indebito  vulnus
 alle  legittime  aspettative dei soggetti appartenenti alle categorie
 protette.
    Non e' lecito,  infatti,  consentire  che  a  soggetti,  ancorche'
 appartenenti   a  categorie  protette  ex  della  legge  n.  482/1968
 risultati idonei in concorsi pubblici per  posti  disponibili,  siano
 attribuiti  posti  riservati  resisi  vacanti,  poiche'  tale ipotesi
 concretizzerebbe  una  lesione delle aspettative di altri riservatari
 che non hanno partecipato a detti concorsi.
    Si osserva,  inoltre,  che  la  difformita'  con  la  legislazione
 nazionale  e conseguentemente la lesione del diritto soggettivo degli
 appartenenti alla categoria protetta,  risulta  piu'  evidente,  come
 prima   esposto,   dalla   variazione  dei  criteri  di  reclutamento
 introdotta dall'art. 24, terzo  comma,  della  legge  n.  67/1z988  e
 dell'art.   2,   lett.   u),   della  legge  n.  421/1992,  e  basata
 esclusivamente  sulla  preminenza  del  grado   di   mutilazione   ed
 invalidita'.
    Non  peregrina  e',  altresi',  l'ipotesi  che  in  ossequio  alla
 disposizione  oggetto  di  censura,  posti  vacanti   e   disponibili
 riservati  siano ricoperti da persone che, benche' idonee al concorso
 cui  la  graduatorie  si  riferisce,  non  abbiano  alcun  titolo   a
 beneficiare della riserva dei posti.
    Per  tale  ultima  fattispecie  la  norma  de qua darebbe pertanto
 origine  ad   una   illegittimita'   trasformazione   dell'originario
 carattere  concorsuale della selezione facendole assumere i tratti di
 un'assunzione  ad  personam   (Corte   costituzionale   sentenza   n.
 266/1993).
    Non   va   sottaciuto,  altresi',  per  evidenziare  ulteriormente
 l'illegittimita' della norma, che il  legislatore  non  si  limita  a
 circoscrivere nel tempo, in considerazione del preannunciato riordino
 dell'amministrazione  regionale,  l'efficacia  della disposizione, ma
 introduce senza alcuna logica ed espressa motivazione, una disciplina
 a regime in contrasto anche con le nuove tendenze in atto  seguite  a
 livello nazionale.
    In considerazione proprio dell'inequivocabile carattere di norma a
 regime   della   disposizione,   ulteriore   e   diversa  censura  di
 costituzionalita' va posta nei riguardi dell'art.  7  della  l.r.  n.
 11/1991,  cosi'  come  introdotto dall'art. 5 del disegno di legge in
 questione, sebbene il legislatore siciliano goda, in materia di stato
 giuridico ed economico del proprio personale, di competenza esclusiva
 ai sensi dell'art. 14, lett. q), dello statuto.
    In buona sostanza,  con  la  norma  in  questione  si  prevede  la
 possibilita'  di  immettere in servizio candidati giudicati idonei di
 un concorso conclusosi ormai da  tre  o  quattro  anni,  con  criteri
 valutazione probabilmente superati.
    Cio'   pregiudica   automaticamente  la  possibilita'  per  l'ente
 pubblico di selezionare nuovi candidati e di procedere alla scelta di
 elementi piu' meritevoli, e professionalmente aggiornati, vanificando
 altresi' l'aspettativa di altri  cittadini  di  accedere  a  pubblici
 impieghi.
    Il  criterio  di prolungare per un cosi' notevole periodo di tempo
 la validita' delle graduatorie non appare  pertanto  ragionevole  ne'
 ispirato a criteri di buona amministrazione.
    Appare,  peraltro,  poco logico che si proceda alla disciplina, in
 assenza di una organica riforma dell'impiego  regionale,  della  sola
 efficacia  delle  graduatorie  disattendendo l'invito del legislatore
 nazionale (art. 2, lett. T), della legge n. 421/1992) a regolamentare
 globalmente le procedure concorsuali di  accesso  all'amministrazine,
 tenuto  conto della politica occupazionale seguita in campo nazionale
 in base  alla  quale  si  abbrevia  il  termine  di  validita'  delle
 graduatorie  (art. 2, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1993) al
 chiaro fine di consentire maggiori possibilita' di accesso alla  p.a.
 ai giovani in cerca di occupazione.
    Il  termine di validita' della graduatoria, determinato al momento
 in diciotto mesi in virtu' del suddetto art. 2,  ventiduesimo  comma,
 della  legge  n.  537/1993,  seppure non possa considerarsi a stretto
 rigore vincolante per il legislatore regionale che si ripete,  opera,
 nella fattispecie, con esclusione delle categorie protette, in regime
 di  competenza  esclusiva,  costituisce  pur  sempre  un parametro di
 riferimento  cui  commisurare  la  congruita'  e  la   ragionevolezza
 dell'intervento  legislativo  ai  fini della sua valutazione sotto il
 profilo  della  rispondenza  al  principio  costituzionale  di  buona
 amministrazione.
    La   previsione   del  termine  quadriennale  di  validita'  delle
 graduatorie, unicum nell'ordinamento nazionale,  configura  pertanto,
 in  assenza,  si  ribadisce, di una organica riforma delle modalita',
 dei  criteri  e  delle  procedure  per   l'accesso   alle   pubbliche
 amministrazioni  nonche'  di  specifiche  motivazioni  connesse  alle
 peculiarita'   dell'ordinamento   regionale   ed   all'esistenza   di
 particolari  situazioni  locali,  una  palese violazione dell'art. 97
 della Costituzione e dell'art. 3 sotto il profilo della disparita' di
 trattamento.
    Atteso, infine, che logico presupposto della disposizione  oggetto
 di  gravame  e'  costituito  dall'art.  7  della l.r. n. 11/1991, che
 rimarrebbe  in  vigore  in   caso   di   accoglimento   del   ricorso
 commissariale,  si  chiede  all'ecc.ma Corte di volerne dichiarare ai
 sensi  dell'art.  27  della   legge   n.   87/1953   l'illegittimita'
 costituzionale    essendone   sopravvenuta   l'incompatibilita'   con
 l'ordinanza nazionale ora  vigente  (Corte  costituzionale,  sentenze
 numeri 496 e 497 del 1993).
    Parimenti  l'art.  6,  che  di  seguito  si  trascrive, da adito a
 rilievi di carattere costituzionale sotto il profilo della violazione
 degli artt. 3 e 97 della Costituzione:
    "Provvidenze per il personale della formazione professionale.
    1. L'assessore regionale per il lavoro, la previdenza sociale,  la
 formazione  professionale  e  l'emigrazione e' autorizzato ad erogare
 tramite gli uffici provinciali del  lavoro  le  retribuzioni  per  il
 personale  a  tempo indeterminato di quegli enti che, a seguito della
 mancata inclusione nel piano formativo  annuale  approvato  ai  sensi
 della  legge  regionale  6  marzo 1976, n. 24, oppure a seguito della
 revoca  del  finanziamento  dei  corsi,  o  a  causa  di  contenzioso
 economico-contabile  pendente  o  per  qualsiasi  altra  causa  siano
 comunque nell'impossibilita'  di  assicurare  la  prosecuzione  della
 relativa attivita' ai sensi del quarto comma dell'art. 16 della legge
 regionale 15 maggio 1991, n. 27.
    2.  Il  pagamento avverra' sulla base degli elementi forniti dagli
 enti di appartenenza come previsto dal contratto collettivo nazionale
 di lavoro, recepito con gli artt. 2  e  7  della  legge  regionale  1
 settembre 1993, n. 25".
    La  disposizione  e' stata inserita nel corpo del disegno di legge
 n. 635 a seguito di un  emendamento  presentato  da  alcuni  deputati
 senza  che sia stata data la possibilita' alle competenti commissioni
 ed  al  Governo  regionale  di   valutarne   la   congruita'   e   la
 compatibilita' con la preesistente normativa in materia di formazione
 professionale e di assistenza ai lavoratori.
    Infatti,  sebbene  possa comprendersi l'intento del legislatore di
 far  fronte  con  le  proprie  risorse  alle  esigenze  del  numeroso
 personale  in  servizio  presso  enti  privati  convenzionati  con la
 regione per lo svolgimento di corsi di formazione professionale,  che
 per  vari  e diversi motivi si presume in atto non abbia percepito la
 retribuzione, non puo' farsi a  meno  di  rilevare  che  l'intervento
 posto  in  essere  dalla  norma  non  e'  corrispondente al principio
 costituzionale del buon andamento della p.a.  e  cio'  sotto  diversi
 ordini di considerazione.
    Giova  osservare  preliminarmente  che in Sicilia la materia della
 formazione professionale e' disciplinata dalla l.r.  n.  24/1976,  la
 quale prevede un sistema di convenzioni con appositi enti privati che
 svolgono  attivita'  formativa previo inserimento nel piano regionale
 annuale,   che   costituisce   l'indispensabile    presupposto    per
 l'erogazione  dei  finanziamenti  pubblici destinati a sopperire alle
 spese sostenute per lo  svolgimento  dei  corsi  medesimi  e  per  il
 personale.
    Tale  disciplina normativa e' stata di recente oggetto di numerose
 critiche provenienti dai  piu'  svariati  settori  politici  e  della
 societa'  civile  che  hanno  indotto  il  Governo regionale ed anche
 alcuni gruppi parlamentari a presentare disegni di legge con  cui  si
 avvia  una  radicale  inversione  di  tendenza  rispetto  alla logica
 ispiratrice della l.r. n. 24/1976 e, soprattutto, si mira a collegare
 la  formazione  professionale  all'attivita'  di   indirizzo   e   di
 programmazione  svolta  dalla  regione in stretta correlazione con le
 reali o prevedibili esigenze del mercato del lavoro.
    Oggetto di particolare attenzione  del  legislatore  regionale  e'
 stata  anche  la  definizione dell'assetto giuridico ed economico del
 personale addetto alla formazione professionale, costituito da  circa
 6.000 unita', tant'e' che con l.r. n. 25/1993 agli artt. 2 e 7 si era
 premurato,  anticipando  i  contenuti della preannunciata riforma, di
 garantire  a  detto  personale  la  continuita'  lavorativa   ed   il
 trattamento  economico  e normativo previsto dal contratto collettivo
 nazionale di lavoro della categoria.
    Orbene, nel solco di  tale  particolare  benevola  attenzione  del
 legislatore  regionale nei riguardi del personale degli enti privati,
 che svolgono attivita' formativa va inserita la disposizione  de  qua
 la  cui  unica  finalita'  appare  essere quella di garantire in ogni
 caso,  ed   a   qualsiasi   condizione,   la   corresponsione   della
 retribuzione.
    E'  difficile,  invero,  rinvenire  alcuna  finalita'  di pubblico
 interesse, se non quella generica di  misura  anti-congiunturale  per
 mantenere   pressoche'  costante  il  livello  occupazionale  di  una
 determinata categoria di lavoratori, nella norma teste' approvata che
 accomuna situazioni diverse,  peraltro  fra  loro  non  omogenee,  di
 mancata corresponsione da parte degli enti di emolumenti al personale
 in  questione  che  non  ha  alcun  diretto  rapporto di servizio con
 l'amministrazione regionale.
    In favore  di  tale  personale  e'  prevista  l'erogazione,  anche
 indipendentemente  dalla  effettiva  prestazione lavorativa, a carico
 del bilancio regionale,  delle  retribuzioni  ad  esso  spettanti  in
 virtu' del contratto collettivo nazionale di categoria.
    Ne'  vale  il  richiamo  operato  dal secondo comma "agli elementi
 forniti dagli  enti  di  appartenenza  come  previsto  dal  contratto
 nazionale  di  lavoro"  a  sanare  l'incongruita'  della erogazione a
 carico della finanza regionale delle retribuzioni anche ad unita'  di
 personale  che,  pur  essendo  in  servizio  non  svolgono  attivita'
 formativa per conto della regione.
    Tale disposizione  infatti,  a  parte  che  si  pone  in  rapporto
 antinomico   con   la   precedente   che  assicura  espressamente  la
 corresponsione degli emolumenti addirittura nell'ipotesi in  cui  per
 qualsiasi causa sia impossibile la prosecuzione dell'attivita', e' da
 intendersi  piuttosto quale strumento per la determinazione del quan-
 tum debeatur in favore delle singole unita' di personale in relazione
 alle qualifiche ed all'orario di servizio prestato.
    Sfiora  il  paradosso   cosi'   la   previsione   della   disposta
 sostituzione del pubblico al privato, per una finalita' assistenziale
 di categoria in totale assenza di un reale, concreto corrispettivo in
 termini di prestazione lavorativa da parte dei beneficiari nonche' di
 una,  seppure  ipotetica, possibilita' di rivalsa nei confronti degli
 enti diretti datori di lavoro inadempienti.
    Vengono, infatti, delineate quattro distinte ipotesi:
      che gli enti datori di lavoro non siano stati inclusi nel  piano
 formativo  annuale redatto ed approvato dall'assessorato regionale al
 lavoro per cui i destinatari della norma prestano ed  hanno  prestato
 attivita'  formativa  in  settori  non  ritenuti  di  utilita' per la
 pubblica amministrazione;
      che i finanziamenti destinati agli enti in questione siano stati
 revocati in presenza di irregolarita' od inadempienze o inadeguatezza
 dell'attivita' formativa svolta, per cui  il  servizio  eventualmente
 non risponderebbe a riconosciute finalita' di interesse pubblico;
      che  i  finanziamenti  regionali  siano  cessati  o  sospesi per
 l'esistenza di un contenzioso economico-contabile con i privati,  per
 cui  e'  lecito  supporre  che  quest'ultimo  possa  vertere anche in
 materia di emolumenti al personale;
      che infine, ipotesi residuale e di chiusura, per qualsiasi causa
 gli enti non  abbiano  comunque  la  possibilita'  di  assicurare  la
 prosecuzione della relativa attivita'.
    Ad  ulteriore  sostegno  della  rilevata incostituzionalita' della
 norma va osservato  che  questa  si  configura  come  disciplina  non
 contingente  bensi'  di  efficacia  non  limitata  nel  tempo, le cui
 refluenze finanziarie sono state quantificate, in sede di chiarimenti
 forniti dall'amministrazione  regionale  ai  sensi  dell'art.  3  del
 d.P.R. n. 488/1969, in circa quaranta miliardi di lire annue.
    Dagli  elementi informativi forniti dall'amministrazione regionale
 (all. 3) si evince, altresi', che le possibilita' di  recupero  delle
 somme  erogate sono oltremodo esigue poiche' la rivalsa della regione
 in  caso  di  revoca  del  finanziamento  puo'  essere  disposta  nei
 confronti  dell'ente  inadempiente  soltanto  nel  momento  in cui e'
 adottato il relativo provvedimento e qualora, nonostante  la  revoca,
 l'Ente prosegua indebitamente l'attivita'.
    Qualora,  inoltre,  siano  pendenti  procedimenti  contenziosi  la
 possibilita' di recuperare  le  somme  erogate  e'  subordinata  alla
 soccombenza dell'ente nel contenzioso stesso.
    La   stessa   amministrazione   regionale   riconosce,   altresi',
 l'impossibilita'  di  procedere  al   recupero   delle   retribuzioni
 corrisposte   per   l'espletamento   di   compiti   implicitamente  o
 esplicitamente non ritenuti compatibili con le  finalita'  del  piano
 formativo   annuale,  per  i  periodi  anteriori  alla  revoca  della
 convenzione, atteso che le prestazioni lavorative o di  altra  natura
 sono state comunque rese in connessine con la gestione dei corsi.
    Inoltre,  e'  stato  rappresentato in proposito che proprio per la
 fattispecie teste' descritta i  beneficiari  sono  al  momento  circa
 1.000 unita'.
    E'  di  tutta  evidenza,  e  non  necessita di ulteriore commento,
 l'entita' dell'impegno finanziario, a fondo perduto, che  la  regione
 intende  assumere  in  assenza,  si  ribadisce,  di  alcuna finalita'
 pubblica ed in considerazione del  rilevante  numero  di  destinatari
 nonche'  dell'indeterminato  protrarsi nel tempo dell'efficacia della
 norma.
    Come ammesso dalla stessa amministrazione  regionale,  a  conferma
 delle  perplessita'  sorte  al  ricorrente in sede di interpretazione
 della disposizione de qua, e' consentita l'erogazione  di  emolumenti
 stipendiali  al  personale  anche in situazioni di inattivita' dovuta
 alle  cause  ostative  previste  dal  testo  normativo.  L'assessore,
 infatti,  sarebbe  autorizzato  a procedere alla corresponsione delle
 somme anche nei periodi intercorrenti tra l'attivazione delle  proce-
 dure  di  mobilita'  interna  ex art. 27 del c.c.n.l. n. 89/1991 e la
 nuova destinazione lavorativa, indipendentemente dalla  lunghezza  di
 tale periodo.
    Una  ulteriore  censura  di  carattere costituzionale va posta nei
 confronti dell'articolo in questione per palese violazione  dell'art.
 81, quarto comma, della Costituzione.
    Manca,   infatti,   a  fronte  di  un  cospicuo  e  certo  impegno
 finanziario della regione, sia la quantificazione in via  legislativa
 della  spesa e, soprattutto, il riferimento alle risorse erariali con
 cui provvedere.
    Non puo', invero, ritenersi legittima un'imputazione implicita  ed
 indiretta  al  capitolo  34109 del bilancio regionale, che in atto e'
 destinato a sopperire esclusivamente a tutti gli oneri connessi  alla
 attivita'  formativa di cui alla l.r. n. 24/1976 e non anche a misure
 di sostegno del reddito del personale addetto al settore.
    Un  eventuale  attingimento  alle  disponibilita'   del   predetto
 capitolo  di  spesa  in  via unicamente amministrativa, costituirebbe
 un'indebita distrazione  dei  fondi  dalle  finalita'  in  precedenza
 legislativamente disposte.
    Seppure  si  voglia  ricomprendere l'intervento in questione nella
 materia della assistenza sociale, esso appare  oltremodo  lesivo  del
 principio  dell'uniformita'  di trattamento sancito dall'art. 3 della
 Costituzione, in  assenza  di  analoghe  misure  assistenziali  nella
 legislazione  nazionale  di riferimento, cui il legislatore siciliano
 e' tenuto ad uniformarsi nell'esercizio della potesta' concorrente di
 cui  all'art.  17,  lett.  f),  dello  statuto  speciale  poiche'  si
 concretizza  in  una  formale surroga dell'ente pubblico al datore di
 lavoro privato.
    L'art. 7, che da' parimenti adito a censure per palese  violazione
 degli artt. 3 e 97 della Costituzione, testualmente recita: "Modifica
 dell'art. 12 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 36.
    1.  Il  secondo comma dell'art. 12 della legge regionale 23 maggio
 1991, n. 36, e' sostituito con i seguenti:
    2.  Il  fondo  e'  destinato  ad  incentivare  gli  interventi che
 consentano l'esodo del personale in servizio alla data del  30  marzo
 1989, anche mediante forme di pensionamento anticipato.
    2-bis.  Il  pensionamento  anticipato  puo' essere disposto per il
 personale in servizio alla suddetta data e successivamente licenziato
 anche prima  dell'entrata  in  vigore  della  presente  legge,  o  da
 licenziare  per  riduzioni di posti di lavoro che comportino processi
 di  ristrutturazioni,  accorpamento,  fusione   o   liquidazione,   a
 condizione  che  entro  la  data del 31 dicembre 1992 detto personale
 abbia maturato quindici anni  di  contribuzione  a  qualsiasi  titolo
 utile ai fini del collocamento in pensione".
    Per   una   migliore   intelligenza  della  disposizione,  in  se'
 particolarmente oscura e apparentemente priva di ogni  logicita',  e'
 indispensabile ricostruire il precedente contesto normativo in cui si
 inserisce.
    Il legislatore siciliano con l'art. 12 della l.r. n. 36/1991 ha in
 pratica  conferito  una sorta di delega in bianco al presidente della
 regione  ad  emanare  un  decreto,  su  proposta  dell'assessore  per
 l'agricoltura  e le foreste, per la determinazione delle modalita' di
 gestione del costituendo fondo di dieci miliardi di lire al  fine  di
 favorire  i processi di ristrutturazione delle cooperative agricole e
 delle cantine sociali e loro consorzi.
    Il secondo comma, che  ora  si  intende  sostituire  e  integrare,
 prevedeva  che  il  fondo in questione fosse destinato ad incentivare
 interventi che consentissero, anche attraverso forme di pensionamento
 anticipato, l'esodo volontario del personale in  servizio  presso  le
 cantine  e  le cooperative agricole che intendessero avviare processi
 di ristrutturazione aziendale.
    Il presidente della regione, con proprio decreto  del  19  gennaio
 1993  (all.  4),  ha  provveduto  ad integrare e rendere operativo il
 disposto legislativo teste' descritto prevedendo articolate forme  di
 provvidenze economiche di vario tipo ed entita' per agevolare l'esodo
 volontario dei dipendenti delle aziende in questione.
    Orbene,  la  disposizione  contenuta  nell'art.  7  qui oggetto di
 censura, introduce nel corpo dell'art. 12 due commi, di cui il  primo
 sostanzialmente  riproduce  la  precedente norma omettendo la stretta
 connessione pero' al processo di ristrutturazione aziendale,  avviato
 o  da  avviare,  delle  cantine  e  delle cooperative agricole, ed il
 secondo  attribuisce  la  facolta'  di  disporre   il   pensionamento
 anticipato dei dipendenti a particolari condizioni.
    E'  di  tutta  evidenza l'assoluta incongruenza dal punto di vista
 giuridico dell'espressione "il pensionamento anticipato  puo'  essere
 disposto  per il personale in servizio" che impedisce allo scrivente,
 e cosi' anche alle amministrazioni destinatarie, di cogliere il reale
 significato e conseguentemente la ratio  perseguita  dal  legislatore
 siciliano.
    Il  pensionamento  anticipato,  infatti,  non puo' essere di certo
 disposto     dal     legislatore     regionale,     ne'     tantomeno
 dall'amministrazione   regionale,  vertendo  l'argomento  in  materia
 previdenziale e per di  piu'  concernente  lavoratori  dipendenti  da
 aziende private, i quali ultimi soltanto sono eventualmente facultati
 a richiederlo.
    Riesce    difficile    cosi'   trovare   una   logica   motivazine
 all'iniziativa del legislatore che consenta di valutarla conforme  ai
 principi  di  ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione
 pubblica.
    Ne',   d'altronde,  sono  di  particolare  ausilio  nell'opera  di
 interpretazione della norma i  lavori  parlamentari,  in  quanto  dal
 confuso  dibattito  tenutosi  in aula e' emerso solo che scopo ultimo
 degli  onorevoli   proponenti   l'emendamento   sarebbe   quello   di
 consentire,  attraverso  un  improprio intervento di "interpretazione
 autentica" che dipendenti gia' licenziati dalle  aziende  interessate
 beneficino  delle  provvidenze  di  cui  all'art.  12  della  l.r. n.
 36/1991.
    Ma se l'intervento del legislatore e' quello di porre chiarezza, a
 fini anche perequativi, non si puo' di certo sostenere che  lo  scopo
 sia  stato raggiunto, poiche' si e' introdotta una norma dalla palese
 incongruenza giuridica e nella migliore delle ipotesi bisognevole  di
 ulteriori interventi interpretativi.
    A  cio'  si aggiunga che non e' dato rinvenire negli stessi lavori
 parlamentari  se  gli   ulteriori   beneficiari   delle   provvidenze
 economiche,  precedentemente  licenziati  dai  datori di lavoro prima
 dell'avviso  della  procedura  di  ristrutturazione  e  riconversione
 aziendale,  siano  in  atto  privi di occupazione o se, piuttosto, si
 siano nuovamente inseriti medio tempore, nel mondo del lavoro.
    La disposizione teste' approvata, inoltre,  non  si  sofferma  nel
 chiarire  se  i  benefici  siano  dovuti  ex  nunc  o  ex  tunc,  con
 conseguente impossibilita' di valutazione dell'onere  finanziario  da
 sostenere  con  le  disponibilita' del fondo, che in ipotesi potrebbe
 risultare incapiente, atteso che,  per  il  richiamo  effettuato  dal
 terzo   comma   dell'art.  12  della  legge  n.  36/1991,  le  stesse
 provvidenze devono erogarsi anche al personale dei consorzi  agricoli
 provinciali.
    In  ogni  caso,  qualunque  significato voglia darsi alla norma di
 oscuro tenore, appare  evidente  che  essa  conferisce  benefici  non
 previsti  dalla  legislazione  nazionale  in materia di assistenza ai
 lavoratori, ne' costituisce un intervento complementare  correlato  a
 contingenti  e  peculiari  esigenze  di  una  categoria  generale  di
 soggetti, ma piuttosto attribuisce provvidenze che, per il  ristretto
 ambito applicativo, assumono la veste di ingiustificati privilegi.
    Non  in  virtu'  di una interpretazione autentica della originaria
 norma, bensi' in base a nuova disposizione con finalita' diverse  non
 connesse  cioe'  alla agevolazione di processi di ristrutturazione ed
 accorpamento di cantine sociali e cooperative agricole - con evidenti
 riflessi positivi per il rilancio di un'attivita' economica trainante
 dell'isola e di interesse  per  l'intera  collettivita'  -  sarebbero
 corrisposti  benefici  a  singole  persone  escluse dall'applicazione
 dell'art. 12 della l.r. n. 36/1991, al fine di superare gli  ostacoli
 derivanti  da un parere espresso dall'avvocatura dello Stato (all. 5)
 secondo  il  quale  le  provvidenze  previste  dalla  suddetta  norma
 sarebbero  destinate soltanto ai dipendenti in servizio alla data del
 30 marzo 1989  e  a  quelli  licenziati  a  seguito  di  processi  di
 ristrutturazione  avviati  successivamente  alla  data del 19 gennaio
 1993.
    Tale disposizione, pertanto, non e'  da  ritenersi  confacente  al
 principio  di buona amministrazione poiche' nei fatti, nell'anteporre
 e  privilegiare  l'interesse  di  determinati  soggetti,  -  di  cui,
 peraltro  per le ragioni esposte non e' possibile quantificare in via
 preventiva il  numero  -  gia'  espulsi  dal  settore  produttivo  in
 questione   si   sottraggono   risorse   finanziarie  originariamente
 destinate  nell'interesse  dell'intera  collettivita',  al   rilancio
 dell'economia.
                               P. Q. M.
 e  con  riserva  di  presentare  memorie  illustrative nei termini di
 legge, il sottoscritto dott. Vittorio Piraneo commissario dello Stato
 per la regione siciliana;
    Visto l'art. 28  dello  statuto  speciale  con  il  presente  atto
 impugna le sottoelencate norme del disegno di legge n. 635 dal titolo
 "Modifica  del termine per l'adozione degli statuti e dei regolamenti
 di  contabilita'  dei  comuni.  Proroga   di   termini   in   materia
 urbanistica,  per  la  costituzione  delle  province  regionali e per
 l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in  materia  di
 formazione  professionale e di cooperazione" approvato dall'assemblea
 regionale siciliana nella seduta del 20 gennaio 1994 e  comunicato  a
 questo  commissariato  ai  sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello
 statuto speciale il 24 gennaio 1994:
      art. 5 per violazione degli artt. 3  e  97  della  Costituzione,
 nonche'  degli  artt.  17  e  19 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546,
 dell'art. 2, lettere T ed U della legge n. 421/1992;
      art. 6 per violazione degli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione;
      art. 7 per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
       Palermo, addi' 29 gennaio 1994
 Il  commissario  dello  Stato  per  la  regione  siciliana:  prefetto
 Vittorio PIRANEO
 94C0139