N. 13 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 febbraio 1994
N. 13 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'8 febbraio 1994 (del commissario dello Stato per la regione Sicilia) Regione Sicilia - Impiego regionale - Proroga dei termini di efficacia delle graduatorie concorsuali relative agli enti di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482 e alla regione (rispettivamente a trentasei e a quarantotto mesi) ed utilizzazione delle stesse per la copertura dei posti vacanti e disponibili riservati - Erogazione, da parte dell'assessore regionale per il lavoro, la previdenza sociale, la formazione professionale e l'emigrazione, di retribuzioni per il personale a tempo indeterminato degli enti che, a seguito della mancata inclusione nel piano formativo annuale approvato ai sensi della legge regionale 6 marzo 1976, n. 24, oppure a seguito della revoca del finanziamento dei corsi o a causa di contenzioso economico contabile pendente o per qualsiasi altra causa siano comunque nella impossibilita' di assicurare la prosecuzione della relativa attivita' - Interventi diretti a favorire il pensionamento anticipato per il personale in servizio alla data del 30 marzo 1989 e successivamente licenziato anche prima dell'entrata in vigore della legge impugnata, o da licenziare per riduzioni di posti di lavoro che comportino processi di ristrutturazione, accorpamento o liquidazione - Lamentata violazione del principio di uguaglianza per trattamenti differenziati di situazioni omogenee senza adeguata causa giustificatrice, dei principi di imparzialita' e buon andamento della p.a., nonche', solo relativamente all'ultima disposizione di legge sopra menzionata, di copertura finanziaria. (Delibera legislativa regione Sicilia 20 gennaio 1994). (Cost., artt. 3, 81 e 97).(GU n.10 del 2-3-1994 )
L'assemblea regionale siciliana, nella seduta del 20 gennaio 1994, ha approvato il disegno di legge n. 635 dal titolo "Modifica del termine per l'adozione degli statuti e dei regolamenti di contabilita' dei comuni. Proroga di termini in materia urbanistica, per la costituzione delle province regionali e per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione", pervenuto a questo commissariato il 24 gennaio 1994, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello statuto speciale. Come si evince dalla lunghezza della rubrica il provvedimento legislativo costituisce una sorta di legge contenitore, le cui singole disposizioni interessano i piu' disparati settori di intervento regionale e sono frutto di riproposizione di norme stralciate da separati disegni di legge, di cui due non erano ancora stati esaminati dalle competenti commissioni permanenti, o trovano addirittura origine in emendamenti presentati in aula ed approvati senza il necessario approfondimento delle competenti commissioni, ai sensi dell'art. 12 dello statuto speciale, pur in presenza di serie perplessita' sull'opportunita' e sulla legittimita' dell'iniziativa prospettata da parte di taluni deputati. Orbene, dalla complessiva disamina dell'intero provvedimento, si e' rilevato che le disposizioni di cui agli artt. 5, 6 e 7 danno adito a censure di carattere costituzionale. L'art. 5 ("Termine di efficacia delle graduatorie concorsuali") dispone: "L'art. 7 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 11, e' sostituito dal seguente: 1. Le graduatorie concorsuali degli enti e quelle relative alle categorie di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, o altre categorie protette, sono efficaci per la durata di trentasei mesi e devono essere utilizzate per la copertura dei posti vacanti e disponibili riservati. E' fatto obbligo all'amministrazione regionale di procedere, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, al ricalcolo dei posti da attribuirsi in forza della legge 2 aprile 1968, n. 482, tenendo conto del numero dei dipendenti effettivamente in servizio presso l'amministrazione. 2. Le graduatorie concorsuali dell'amministrazione regionale sono efficaci per la durata di quarantotto mesi e devono essere utilizzate per la copertura dei posti vacanti e disponibili riservati". Tale norma cosi' come formulata e' censurabile non solo sotto il profilo del mancato rispetto dei principi di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, ma anche per violazione dell'art. 19 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546. Per quanto attiene la violazione dei principi costituzionali si rileva che la norma in questione e' affetta da palese irragionevolezza riguardo ai fini che il legislatore intende con essa perseguire. In proposito e' opinione diffusa nella migliore dottrina (da ultimo Franco Modugno, Enciclopedia del Diritto Voce "Validita'") "che la stessa potesta' del legislatore di scegliere e graduare i fini da perseguire implica l'adozione di una o piu' rationes che ispirano la legge, ma che condizionano al tempo stesso le disposizioni in essa contenute, sotto il profilo della loro congruita', con esclusione quindi di elementi di irragionevolezza e di non contraddittorieta' rispetto al conseguimento dei fini prescelti. L'attivita' legislativa, in quanto assume la veste di vera e propria funzione, non e' propriamente "libera" (nel senso di arbitraria), bensi' discrezionale nel senso di "ragionevolmente libera". Orbene il legislatore regionale, nell'adottare la disposizione oggetto del presente atto di gravame, introduce, come si avra' modo di illustrare nel prosieguo, una disciplina non confacente, se non addirittura contraria, al reale intento perseguito. In proposito, deve rilevarsi che nella stessa relazione illustrativa predisposta dalla prima commissione permanente al disegno di legge n. 582 e' esplicitamente manifestato che scopo dell'iniziativa e' quello di prorogare di un ulteriore anno le attuali graduatorie dei concorsi banditi dalla amministrazione regionale e dagli enti sottoposti alla sua vigilanza, nelle more di una complessiva ricognizione del proprio personale e di un approfondito esame dell'utilizzazione di quest'ultimo. L'originaria stesura del predetto disegno d'iniziativa governativa, infatti, si prefiggeva il fine di ricoprire i posti resisi disponibili a seguito della contestuale previsione di un aumento numerico della dotazione organica dell'amministrazione regionale con i soggetti risultati idonei in concorsi gia' espletati per le qualifiche interessate. Nel corso del breve dibattito tenutosi in aula, inoltre, (all. 1) il presidente della commissione nonche' relatore, nel ribattere alle obiezioni di un deputato che paventava la vanificazione del principio di recente introdotto con la l.r. n. 25/1993 del concorso per titoli, evidenziando che dalla suddetta proroga di tutte le graduatorie sarebbe risultata inevitabilmente inficiata l'applicabilita' concreta della precedente innovativa disciplina, faceva espresso riferimento alle contingenti necessita' dell'assessorato al bilancio ed all'opportunita' di utilizzare la graduatoria di un concorso precedentemente bandito (e di cui, si ha motivo di ritenere, sia gia' cessata l'efficacia). Orbene, la stesura definitiva della norma, lungi dal far fronte alla cennata esigenza immediata e contingente dell'amministrazione, introduce piuttosto una disciplina a regime, valida cioe' anche per tutti i concorsi che saranno banditi successivamente alla data di entrata in vigore della legge e che si pone palesemente in contrasto, anche per gli effetti novativi rispetto alla preesistente normativa, con i principi desumibili dalla sopravvenuta legislazione nazionale di riferimento. L'art. 5 in questione riproduce infatti con difformita' puramente lessicale (trentasei mesi anzicche' tre anni) e con l'esclusione dell'amministrazione regionale, la disposizione dell'art. 7 della l.r. 30 aprile 1991, n. 11, riconfermando cosi' procedure di assunzione di appartenenti alle categorie protette non piu' ammissibili a seguito dell'entrata in vigore degli artt. 36 e 42 del d.lgs. n. 29/1993 che hanno profondamente innovato la disciplina della materia de qua. Sul punto e' di basilare importanza rilevare che uffici amministrativi regionali chiamati a dare applicazione al cennato art. 7 della l.r. n. 11/1991 (all. 2) avevano sottoposto all'attenzione del legislatore, in seguito anche all'acquisizione di pareri dell'ufficio legislativo e legale della presidenza della regione e del consiglio di giustizia amministrativa, l'opportunita' di procedere ad una revisione della norma al fine di renderla compatibile con le nuove vincolanti disposizioni. Alla luce di quanto esposto appare oltremodo irragionevole il comportamento del legislatore siciliano che con la presente disposizione nei fatti torna a disciplinare, in maniera palesemente confliggente con i parametri legislativi e costituzionali cui dovrebbe rigorosamente attenersi, una materia che esula dalla propria competenza. La disciplina delle assunzioni di appartenenti a categorie protette da parte di pubbliche amministrazioni e' stata infatti interamente innovata dalle disposizioni di cui agli artt. 36 e 42 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche, per quanto attiene specificamente all'istituto della chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento formate dagli appartenenti alla categoria protetta di cui al titolo primo della legge n. 482/1968. L'intervento, ancorche' sopravvenuto, del legislatore nazionale in materia di esclusiva sua spettanza, in quanto concernente la tutela di una particolare categoria di soggetti (id est legge n. 482/1968) che non puo' avere per sua intrinseca natura un trattamento differenziato nell'ambito del territorio nazionale, ha di per se' la forza di abrogare, espressamente o implicitamente, qualsiasi norma regionale (art. 7 della l.r. n. 11/1991) che su quella materia fosse per l'innanzi in vigore, non rilevando se validamente o meno, per le parti con essa incompatibili, (sentenza Corte costituzionale n. 151/1974). Di palmare evidenza e', pertanto, l'illegittimita' della norma ora approvata dall'assemblea che nel riprodurre, come prima cennato, la preesistente disposizione, da ritenersi superata dalla legislazione statale, ha riconfermato innovativamente ed in assenza di specifici approfondimenti e specifiche contingenti esigenze una disciplina confliggente con quella preminente dello Stato. La stessa disposizione, inoltre, al secondo comma fa riferimento, ai fini dell'efficacia quadriennale della graduatoria, all'utilizzazione delle stesse per la copertura dei posti "disponibili riservati" ponendo cosi' in essere un'indebito vulnus alle legittime aspettative dei soggetti appartenenti alle categorie protette. Non e' lecito, infatti, consentire che a soggetti, ancorche' appartenenti a categorie protette ex della legge n. 482/1968 risultati idonei in concorsi pubblici per posti disponibili, siano attribuiti posti riservati resisi vacanti, poiche' tale ipotesi concretizzerebbe una lesione delle aspettative di altri riservatari che non hanno partecipato a detti concorsi. Si osserva, inoltre, che la difformita' con la legislazione nazionale e conseguentemente la lesione del diritto soggettivo degli appartenenti alla categoria protetta, risulta piu' evidente, come prima esposto, dalla variazione dei criteri di reclutamento introdotta dall'art. 24, terzo comma, della legge n. 67/1z988 e dell'art. 2, lett. u), della legge n. 421/1992, e basata esclusivamente sulla preminenza del grado di mutilazione ed invalidita'. Non peregrina e', altresi', l'ipotesi che in ossequio alla disposizione oggetto di censura, posti vacanti e disponibili riservati siano ricoperti da persone che, benche' idonee al concorso cui la graduatorie si riferisce, non abbiano alcun titolo a beneficiare della riserva dei posti. Per tale ultima fattispecie la norma de qua darebbe pertanto origine ad una illegittimita' trasformazione dell'originario carattere concorsuale della selezione facendole assumere i tratti di un'assunzione ad personam (Corte costituzionale sentenza n. 266/1993). Non va sottaciuto, altresi', per evidenziare ulteriormente l'illegittimita' della norma, che il legislatore non si limita a circoscrivere nel tempo, in considerazione del preannunciato riordino dell'amministrazione regionale, l'efficacia della disposizione, ma introduce senza alcuna logica ed espressa motivazione, una disciplina a regime in contrasto anche con le nuove tendenze in atto seguite a livello nazionale. In considerazione proprio dell'inequivocabile carattere di norma a regime della disposizione, ulteriore e diversa censura di costituzionalita' va posta nei riguardi dell'art. 7 della l.r. n. 11/1991, cosi' come introdotto dall'art. 5 del disegno di legge in questione, sebbene il legislatore siciliano goda, in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale, di competenza esclusiva ai sensi dell'art. 14, lett. q), dello statuto. In buona sostanza, con la norma in questione si prevede la possibilita' di immettere in servizio candidati giudicati idonei di un concorso conclusosi ormai da tre o quattro anni, con criteri valutazione probabilmente superati. Cio' pregiudica automaticamente la possibilita' per l'ente pubblico di selezionare nuovi candidati e di procedere alla scelta di elementi piu' meritevoli, e professionalmente aggiornati, vanificando altresi' l'aspettativa di altri cittadini di accedere a pubblici impieghi. Il criterio di prolungare per un cosi' notevole periodo di tempo la validita' delle graduatorie non appare pertanto ragionevole ne' ispirato a criteri di buona amministrazione. Appare, peraltro, poco logico che si proceda alla disciplina, in assenza di una organica riforma dell'impiego regionale, della sola efficacia delle graduatorie disattendendo l'invito del legislatore nazionale (art. 2, lett. T), della legge n. 421/1992) a regolamentare globalmente le procedure concorsuali di accesso all'amministrazine, tenuto conto della politica occupazionale seguita in campo nazionale in base alla quale si abbrevia il termine di validita' delle graduatorie (art. 2, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1993) al chiaro fine di consentire maggiori possibilita' di accesso alla p.a. ai giovani in cerca di occupazione. Il termine di validita' della graduatoria, determinato al momento in diciotto mesi in virtu' del suddetto art. 2, ventiduesimo comma, della legge n. 537/1993, seppure non possa considerarsi a stretto rigore vincolante per il legislatore regionale che si ripete, opera, nella fattispecie, con esclusione delle categorie protette, in regime di competenza esclusiva, costituisce pur sempre un parametro di riferimento cui commisurare la congruita' e la ragionevolezza dell'intervento legislativo ai fini della sua valutazione sotto il profilo della rispondenza al principio costituzionale di buona amministrazione. La previsione del termine quadriennale di validita' delle graduatorie, unicum nell'ordinamento nazionale, configura pertanto, in assenza, si ribadisce, di una organica riforma delle modalita', dei criteri e delle procedure per l'accesso alle pubbliche amministrazioni nonche' di specifiche motivazioni connesse alle peculiarita' dell'ordinamento regionale ed all'esistenza di particolari situazioni locali, una palese violazione dell'art. 97 della Costituzione e dell'art. 3 sotto il profilo della disparita' di trattamento. Atteso, infine, che logico presupposto della disposizione oggetto di gravame e' costituito dall'art. 7 della l.r. n. 11/1991, che rimarrebbe in vigore in caso di accoglimento del ricorso commissariale, si chiede all'ecc.ma Corte di volerne dichiarare ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953 l'illegittimita' costituzionale essendone sopravvenuta l'incompatibilita' con l'ordinanza nazionale ora vigente (Corte costituzionale, sentenze numeri 496 e 497 del 1993). Parimenti l'art. 6, che di seguito si trascrive, da adito a rilievi di carattere costituzionale sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione: "Provvidenze per il personale della formazione professionale. 1. L'assessore regionale per il lavoro, la previdenza sociale, la formazione professionale e l'emigrazione e' autorizzato ad erogare tramite gli uffici provinciali del lavoro le retribuzioni per il personale a tempo indeterminato di quegli enti che, a seguito della mancata inclusione nel piano formativo annuale approvato ai sensi della legge regionale 6 marzo 1976, n. 24, oppure a seguito della revoca del finanziamento dei corsi, o a causa di contenzioso economico-contabile pendente o per qualsiasi altra causa siano comunque nell'impossibilita' di assicurare la prosecuzione della relativa attivita' ai sensi del quarto comma dell'art. 16 della legge regionale 15 maggio 1991, n. 27. 2. Il pagamento avverra' sulla base degli elementi forniti dagli enti di appartenenza come previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, recepito con gli artt. 2 e 7 della legge regionale 1 settembre 1993, n. 25". La disposizione e' stata inserita nel corpo del disegno di legge n. 635 a seguito di un emendamento presentato da alcuni deputati senza che sia stata data la possibilita' alle competenti commissioni ed al Governo regionale di valutarne la congruita' e la compatibilita' con la preesistente normativa in materia di formazione professionale e di assistenza ai lavoratori. Infatti, sebbene possa comprendersi l'intento del legislatore di far fronte con le proprie risorse alle esigenze del numeroso personale in servizio presso enti privati convenzionati con la regione per lo svolgimento di corsi di formazione professionale, che per vari e diversi motivi si presume in atto non abbia percepito la retribuzione, non puo' farsi a meno di rilevare che l'intervento posto in essere dalla norma non e' corrispondente al principio costituzionale del buon andamento della p.a. e cio' sotto diversi ordini di considerazione. Giova osservare preliminarmente che in Sicilia la materia della formazione professionale e' disciplinata dalla l.r. n. 24/1976, la quale prevede un sistema di convenzioni con appositi enti privati che svolgono attivita' formativa previo inserimento nel piano regionale annuale, che costituisce l'indispensabile presupposto per l'erogazione dei finanziamenti pubblici destinati a sopperire alle spese sostenute per lo svolgimento dei corsi medesimi e per il personale. Tale disciplina normativa e' stata di recente oggetto di numerose critiche provenienti dai piu' svariati settori politici e della societa' civile che hanno indotto il Governo regionale ed anche alcuni gruppi parlamentari a presentare disegni di legge con cui si avvia una radicale inversione di tendenza rispetto alla logica ispiratrice della l.r. n. 24/1976 e, soprattutto, si mira a collegare la formazione professionale all'attivita' di indirizzo e di programmazione svolta dalla regione in stretta correlazione con le reali o prevedibili esigenze del mercato del lavoro. Oggetto di particolare attenzione del legislatore regionale e' stata anche la definizione dell'assetto giuridico ed economico del personale addetto alla formazione professionale, costituito da circa 6.000 unita', tant'e' che con l.r. n. 25/1993 agli artt. 2 e 7 si era premurato, anticipando i contenuti della preannunciata riforma, di garantire a detto personale la continuita' lavorativa ed il trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria. Orbene, nel solco di tale particolare benevola attenzione del legislatore regionale nei riguardi del personale degli enti privati, che svolgono attivita' formativa va inserita la disposizione de qua la cui unica finalita' appare essere quella di garantire in ogni caso, ed a qualsiasi condizione, la corresponsione della retribuzione. E' difficile, invero, rinvenire alcuna finalita' di pubblico interesse, se non quella generica di misura anti-congiunturale per mantenere pressoche' costante il livello occupazionale di una determinata categoria di lavoratori, nella norma teste' approvata che accomuna situazioni diverse, peraltro fra loro non omogenee, di mancata corresponsione da parte degli enti di emolumenti al personale in questione che non ha alcun diretto rapporto di servizio con l'amministrazione regionale. In favore di tale personale e' prevista l'erogazione, anche indipendentemente dalla effettiva prestazione lavorativa, a carico del bilancio regionale, delle retribuzioni ad esso spettanti in virtu' del contratto collettivo nazionale di categoria. Ne' vale il richiamo operato dal secondo comma "agli elementi forniti dagli enti di appartenenza come previsto dal contratto nazionale di lavoro" a sanare l'incongruita' della erogazione a carico della finanza regionale delle retribuzioni anche ad unita' di personale che, pur essendo in servizio non svolgono attivita' formativa per conto della regione. Tale disposizione infatti, a parte che si pone in rapporto antinomico con la precedente che assicura espressamente la corresponsione degli emolumenti addirittura nell'ipotesi in cui per qualsiasi causa sia impossibile la prosecuzione dell'attivita', e' da intendersi piuttosto quale strumento per la determinazione del quan- tum debeatur in favore delle singole unita' di personale in relazione alle qualifiche ed all'orario di servizio prestato. Sfiora il paradosso cosi' la previsione della disposta sostituzione del pubblico al privato, per una finalita' assistenziale di categoria in totale assenza di un reale, concreto corrispettivo in termini di prestazione lavorativa da parte dei beneficiari nonche' di una, seppure ipotetica, possibilita' di rivalsa nei confronti degli enti diretti datori di lavoro inadempienti. Vengono, infatti, delineate quattro distinte ipotesi: che gli enti datori di lavoro non siano stati inclusi nel piano formativo annuale redatto ed approvato dall'assessorato regionale al lavoro per cui i destinatari della norma prestano ed hanno prestato attivita' formativa in settori non ritenuti di utilita' per la pubblica amministrazione; che i finanziamenti destinati agli enti in questione siano stati revocati in presenza di irregolarita' od inadempienze o inadeguatezza dell'attivita' formativa svolta, per cui il servizio eventualmente non risponderebbe a riconosciute finalita' di interesse pubblico; che i finanziamenti regionali siano cessati o sospesi per l'esistenza di un contenzioso economico-contabile con i privati, per cui e' lecito supporre che quest'ultimo possa vertere anche in materia di emolumenti al personale; che infine, ipotesi residuale e di chiusura, per qualsiasi causa gli enti non abbiano comunque la possibilita' di assicurare la prosecuzione della relativa attivita'. Ad ulteriore sostegno della rilevata incostituzionalita' della norma va osservato che questa si configura come disciplina non contingente bensi' di efficacia non limitata nel tempo, le cui refluenze finanziarie sono state quantificate, in sede di chiarimenti forniti dall'amministrazione regionale ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 488/1969, in circa quaranta miliardi di lire annue. Dagli elementi informativi forniti dall'amministrazione regionale (all. 3) si evince, altresi', che le possibilita' di recupero delle somme erogate sono oltremodo esigue poiche' la rivalsa della regione in caso di revoca del finanziamento puo' essere disposta nei confronti dell'ente inadempiente soltanto nel momento in cui e' adottato il relativo provvedimento e qualora, nonostante la revoca, l'Ente prosegua indebitamente l'attivita'. Qualora, inoltre, siano pendenti procedimenti contenziosi la possibilita' di recuperare le somme erogate e' subordinata alla soccombenza dell'ente nel contenzioso stesso. La stessa amministrazione regionale riconosce, altresi', l'impossibilita' di procedere al recupero delle retribuzioni corrisposte per l'espletamento di compiti implicitamente o esplicitamente non ritenuti compatibili con le finalita' del piano formativo annuale, per i periodi anteriori alla revoca della convenzione, atteso che le prestazioni lavorative o di altra natura sono state comunque rese in connessine con la gestione dei corsi. Inoltre, e' stato rappresentato in proposito che proprio per la fattispecie teste' descritta i beneficiari sono al momento circa 1.000 unita'. E' di tutta evidenza, e non necessita di ulteriore commento, l'entita' dell'impegno finanziario, a fondo perduto, che la regione intende assumere in assenza, si ribadisce, di alcuna finalita' pubblica ed in considerazione del rilevante numero di destinatari nonche' dell'indeterminato protrarsi nel tempo dell'efficacia della norma. Come ammesso dalla stessa amministrazione regionale, a conferma delle perplessita' sorte al ricorrente in sede di interpretazione della disposizione de qua, e' consentita l'erogazione di emolumenti stipendiali al personale anche in situazioni di inattivita' dovuta alle cause ostative previste dal testo normativo. L'assessore, infatti, sarebbe autorizzato a procedere alla corresponsione delle somme anche nei periodi intercorrenti tra l'attivazione delle proce- dure di mobilita' interna ex art. 27 del c.c.n.l. n. 89/1991 e la nuova destinazione lavorativa, indipendentemente dalla lunghezza di tale periodo. Una ulteriore censura di carattere costituzionale va posta nei confronti dell'articolo in questione per palese violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Manca, infatti, a fronte di un cospicuo e certo impegno finanziario della regione, sia la quantificazione in via legislativa della spesa e, soprattutto, il riferimento alle risorse erariali con cui provvedere. Non puo', invero, ritenersi legittima un'imputazione implicita ed indiretta al capitolo 34109 del bilancio regionale, che in atto e' destinato a sopperire esclusivamente a tutti gli oneri connessi alla attivita' formativa di cui alla l.r. n. 24/1976 e non anche a misure di sostegno del reddito del personale addetto al settore. Un eventuale attingimento alle disponibilita' del predetto capitolo di spesa in via unicamente amministrativa, costituirebbe un'indebita distrazione dei fondi dalle finalita' in precedenza legislativamente disposte. Seppure si voglia ricomprendere l'intervento in questione nella materia della assistenza sociale, esso appare oltremodo lesivo del principio dell'uniformita' di trattamento sancito dall'art. 3 della Costituzione, in assenza di analoghe misure assistenziali nella legislazione nazionale di riferimento, cui il legislatore siciliano e' tenuto ad uniformarsi nell'esercizio della potesta' concorrente di cui all'art. 17, lett. f), dello statuto speciale poiche' si concretizza in una formale surroga dell'ente pubblico al datore di lavoro privato. L'art. 7, che da' parimenti adito a censure per palese violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, testualmente recita: "Modifica dell'art. 12 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 36. 1. Il secondo comma dell'art. 12 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 36, e' sostituito con i seguenti: 2. Il fondo e' destinato ad incentivare gli interventi che consentano l'esodo del personale in servizio alla data del 30 marzo 1989, anche mediante forme di pensionamento anticipato. 2-bis. Il pensionamento anticipato puo' essere disposto per il personale in servizio alla suddetta data e successivamente licenziato anche prima dell'entrata in vigore della presente legge, o da licenziare per riduzioni di posti di lavoro che comportino processi di ristrutturazioni, accorpamento, fusione o liquidazione, a condizione che entro la data del 31 dicembre 1992 detto personale abbia maturato quindici anni di contribuzione a qualsiasi titolo utile ai fini del collocamento in pensione". Per una migliore intelligenza della disposizione, in se' particolarmente oscura e apparentemente priva di ogni logicita', e' indispensabile ricostruire il precedente contesto normativo in cui si inserisce. Il legislatore siciliano con l'art. 12 della l.r. n. 36/1991 ha in pratica conferito una sorta di delega in bianco al presidente della regione ad emanare un decreto, su proposta dell'assessore per l'agricoltura e le foreste, per la determinazione delle modalita' di gestione del costituendo fondo di dieci miliardi di lire al fine di favorire i processi di ristrutturazione delle cooperative agricole e delle cantine sociali e loro consorzi. Il secondo comma, che ora si intende sostituire e integrare, prevedeva che il fondo in questione fosse destinato ad incentivare interventi che consentissero, anche attraverso forme di pensionamento anticipato, l'esodo volontario del personale in servizio presso le cantine e le cooperative agricole che intendessero avviare processi di ristrutturazione aziendale. Il presidente della regione, con proprio decreto del 19 gennaio 1993 (all. 4), ha provveduto ad integrare e rendere operativo il disposto legislativo teste' descritto prevedendo articolate forme di provvidenze economiche di vario tipo ed entita' per agevolare l'esodo volontario dei dipendenti delle aziende in questione. Orbene, la disposizione contenuta nell'art. 7 qui oggetto di censura, introduce nel corpo dell'art. 12 due commi, di cui il primo sostanzialmente riproduce la precedente norma omettendo la stretta connessione pero' al processo di ristrutturazione aziendale, avviato o da avviare, delle cantine e delle cooperative agricole, ed il secondo attribuisce la facolta' di disporre il pensionamento anticipato dei dipendenti a particolari condizioni. E' di tutta evidenza l'assoluta incongruenza dal punto di vista giuridico dell'espressione "il pensionamento anticipato puo' essere disposto per il personale in servizio" che impedisce allo scrivente, e cosi' anche alle amministrazioni destinatarie, di cogliere il reale significato e conseguentemente la ratio perseguita dal legislatore siciliano. Il pensionamento anticipato, infatti, non puo' essere di certo disposto dal legislatore regionale, ne' tantomeno dall'amministrazione regionale, vertendo l'argomento in materia previdenziale e per di piu' concernente lavoratori dipendenti da aziende private, i quali ultimi soltanto sono eventualmente facultati a richiederlo. Riesce difficile cosi' trovare una logica motivazine all'iniziativa del legislatore che consenta di valutarla conforme ai principi di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione pubblica. Ne', d'altronde, sono di particolare ausilio nell'opera di interpretazione della norma i lavori parlamentari, in quanto dal confuso dibattito tenutosi in aula e' emerso solo che scopo ultimo degli onorevoli proponenti l'emendamento sarebbe quello di consentire, attraverso un improprio intervento di "interpretazione autentica" che dipendenti gia' licenziati dalle aziende interessate beneficino delle provvidenze di cui all'art. 12 della l.r. n. 36/1991. Ma se l'intervento del legislatore e' quello di porre chiarezza, a fini anche perequativi, non si puo' di certo sostenere che lo scopo sia stato raggiunto, poiche' si e' introdotta una norma dalla palese incongruenza giuridica e nella migliore delle ipotesi bisognevole di ulteriori interventi interpretativi. A cio' si aggiunga che non e' dato rinvenire negli stessi lavori parlamentari se gli ulteriori beneficiari delle provvidenze economiche, precedentemente licenziati dai datori di lavoro prima dell'avviso della procedura di ristrutturazione e riconversione aziendale, siano in atto privi di occupazione o se, piuttosto, si siano nuovamente inseriti medio tempore, nel mondo del lavoro. La disposizione teste' approvata, inoltre, non si sofferma nel chiarire se i benefici siano dovuti ex nunc o ex tunc, con conseguente impossibilita' di valutazione dell'onere finanziario da sostenere con le disponibilita' del fondo, che in ipotesi potrebbe risultare incapiente, atteso che, per il richiamo effettuato dal terzo comma dell'art. 12 della legge n. 36/1991, le stesse provvidenze devono erogarsi anche al personale dei consorzi agricoli provinciali. In ogni caso, qualunque significato voglia darsi alla norma di oscuro tenore, appare evidente che essa conferisce benefici non previsti dalla legislazione nazionale in materia di assistenza ai lavoratori, ne' costituisce un intervento complementare correlato a contingenti e peculiari esigenze di una categoria generale di soggetti, ma piuttosto attribuisce provvidenze che, per il ristretto ambito applicativo, assumono la veste di ingiustificati privilegi. Non in virtu' di una interpretazione autentica della originaria norma, bensi' in base a nuova disposizione con finalita' diverse non connesse cioe' alla agevolazione di processi di ristrutturazione ed accorpamento di cantine sociali e cooperative agricole - con evidenti riflessi positivi per il rilancio di un'attivita' economica trainante dell'isola e di interesse per l'intera collettivita' - sarebbero corrisposti benefici a singole persone escluse dall'applicazione dell'art. 12 della l.r. n. 36/1991, al fine di superare gli ostacoli derivanti da un parere espresso dall'avvocatura dello Stato (all. 5) secondo il quale le provvidenze previste dalla suddetta norma sarebbero destinate soltanto ai dipendenti in servizio alla data del 30 marzo 1989 e a quelli licenziati a seguito di processi di ristrutturazione avviati successivamente alla data del 19 gennaio 1993. Tale disposizione, pertanto, non e' da ritenersi confacente al principio di buona amministrazione poiche' nei fatti, nell'anteporre e privilegiare l'interesse di determinati soggetti, - di cui, peraltro per le ragioni esposte non e' possibile quantificare in via preventiva il numero - gia' espulsi dal settore produttivo in questione si sottraggono risorse finanziarie originariamente destinate nell'interesse dell'intera collettivita', al rilancio dell'economia.
P. Q. M. e con riserva di presentare memorie illustrative nei termini di legge, il sottoscritto dott. Vittorio Piraneo commissario dello Stato per la regione siciliana; Visto l'art. 28 dello statuto speciale con il presente atto impugna le sottoelencate norme del disegno di legge n. 635 dal titolo "Modifica del termine per l'adozione degli statuti e dei regolamenti di contabilita' dei comuni. Proroga di termini in materia urbanistica, per la costituzione delle province regionali e per l'efficacia delle graduatorie concorsuali. Interventi in materia di formazione professionale e di cooperazione" approvato dall'assemblea regionale siciliana nella seduta del 20 gennaio 1994 e comunicato a questo commissariato ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello statuto speciale il 24 gennaio 1994: art. 5 per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonche' degli artt. 17 e 19 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, dell'art. 2, lettere T ed U della legge n. 421/1992; art. 6 per violazione degli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione; art. 7 per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Palermo, addi' 29 gennaio 1994 Il commissario dello Stato per la regione siciliana: prefetto Vittorio PIRANEO 94C0139