N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 dicembre 1993

                                 N. 66
 Ordinanza   emessa   il   2  dicembre  1993  dal  tribunale  di  Roma
 sull'istanza proposta da Waundah Martin Nzauo
 Liberta' personale - Cittadino extracomunitario sottoposto a
    detenzione con sentenza definitiva (pena residua inferiore  a  tre
    anni)  -  Possibilita', su propria determinazione, di chiedere, in
    alternativa, l'espulsione dallo Stato italiano  -  Preclusione  di
    fatto dell'esecuzione della condanna - Impedimento dell'attuazione
    delle finalita' rieducativa e di prevenzione della pena.
 (D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, art. 7, comma 12-bis, e successive
    modificazioni).
 (Cost., art. 27).
(GU n.11 del 9-3-1994 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  in camera di consiglio la seguente ordinanza sulla
 richiesta presentata da Waundah Martin Nzauo, nato a Makakos  (Kenya)
 il 28 giugno 1959, di espulsione ai sensi dell'art. 7, commi 12-bis e
 12-ter  del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito nella legge 28
 febbraio 1990, n. 39, come modificato dalla legge 12 agosto 1993,  n.
 296;
    Con  istanze  presentate  in  date 21 luglio e 4 settembre 1993 il
 cittadino kenyota  Waundah  Martin  Nzauo,  condannato  con  sentenza
 passata in giudicato del tribunale di Roma in data 2 luglio 1991 alla
 pena  di  anni  quattro di reclusione e L. 30.000.000 di multa per il
 reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti e detenuto  dal
 24  giugno  1991;  chiedeva  di  essere  espulso dallo Stato ai sensi
 dell'art. 7 commi 12-bis e 12-ter del  d.l.  30  dicembre  1989,  n.
 416, e successive modifiche;
    Richieste  informazioni  alla polizia giudiziaria e alla direzione
 della casa circondariale in cui l'istante e' detenuto,  si  accertava
 che  Waundah  Martin  Nzauo  e'  in  possesso  di  valido  e regolare
 passaporto.
    Il pubblico ministero in data 8 novembre 1993 chiedeva che venisse
 dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  8 del d.l. 14 giugno 1993, n. 187, per
 violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Il collegio ritiene non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  7, comma 12-bis del d.l. 30
 dicembre 1989, n. 416, e successive modifiche in riferimento all'art.
 27, terzo comma, della Costituzione, questione la cui  rilevanza  nel
 caso   concreto  appare  evidente  sussistendo  i  presupposti  e  le
 condizioni per l'accoglimento della richiesta di espulsione;
    La norma di cui chiede  l'applicazione  consente  infatti  che  il
 cittadino  straniero  sottoposto  a custodia cautelare per uno o piu'
 delitti, consumati o tentati, diversi da  quelli  indicati  dall'art.
 275,  terzo  comma, del c.p.p. ovvero condannato con sentenza passata
 in giudicato ad una pena che, anche se costituente parte  residua  di
 maggior pena, non sia superiore a tre anni di reclusione possa essere
 espulso,   su   richiesta   sua  o  del  difensore,  nello  Stato  di
 appartenenza o di provenienza. L'espulsione non puo' essere  disposta
 se   sussistono   inderogabili   esigenze   processuali,  normalmente
 inesistenti dopo la pronuncia della sentenza di primo  grado,  ovvero
 ricorrono  gravi  ragioni personali di salute o gravi pericoli per la
 sicurezza e l'incolumita' in  conseguenza  di  eventi  bellici  e  di
 epidemie,   casi  in  cui  difficilmente  peraltro  lo  straniero  ha
 interesse a chiedere l'espulsione.
    Il giudice che procede o il giudice dell'esecuzione, a seconda che
 lo   straniero  che  richiede  l'espulsione  sia  un  imputato  o  un
 condannato, deve unicamente - ai sensi del comma 12-ter  dell'art.  7
 del  d.l.  cit.  -  acquisire informazioni dagli organi di polizia e
 accertare il possesso da parte dello straniero del  passaporto  o  di
 documento  equipollente. Nessun ulteriore accertamento e' previsto ai
 fini della decisione sulla richiesta di espulsione.
    L'esecuzione  dell'espulsione  sospende  -  ai  sensi  del   comma
 12-quater  dell'art.  7  del  d.l.  cit.  - i termini della custodia
 cautelare e l'esecuzione della pena. Si tratta, sia per  la  custodia
 cautelare  che  per la pena, di una sospensione a tempo indeterminato
 in quanto il ripristino  dello  stato  di  detenzione  potra'  essere
 attuato  solo  nel  caso  di rientro nel territorio dello Stato dello
 straniero espulso, il quale ovviamente non avra'  alcun  interesse  a
 ritornare  in  Italia  per  essere  nuovamente  sottoposto  al regime
 detentivo. Il legislatore del  resto  ha  inteso  l'espulsione  dello
 straniero  come  una  misura  definitiva  tanto  che  e' prevista una
 sanzione penale (reclusione da sei mesi a due anni), con possibilita'
 di arresto anche al di fuori dei casi di flagranza, per lo  straniero
 che non osserva le prescrizioni del provvedimento di espulsione (art.
 comma-sexies  del  d.l.  cit.). La previsione di una specifica norma
 incriminatrice rivela  l'intenzione  del  legislatore  di  porre  nei
 confronti  dello straniero espulso un'ulteriore remora al suo rientro
 nel territorio dello Stato.
   L'esecuzione dell'espulsione si risolve pertanto in una sostanziale
 parziale impunita' nei confronti dello staniero che  si  trovi  nelle
 condizioni  previste  dal  comma 12-bis dell'art. 7 del d.l. cit. e,
 essendo munito di valido passaporto, ottenga di essere espulso.
    Il collegio si chiede se tale norma non contrasti con il principio
 costituzionale  della  funzione  rieducatrice  della  pena   previsto
 dall'art.  27,  terzo  comma, della Costituzione, cui recentemente la
 sentenza della Corte costituzionale n.  313  del  2  luglio  1990  ha
 riconosciuto un piu' esteso ambito di applicazione.
    Nella  sentenza  predetta  la Corte si e' infatti discostata dalle
 precedenti pronunce che limitavano la finalita' di rieducazione della
 pena prevista dal terzo comma dell'art. 27  della  Costituzione  alla
 fase  esecutiva  (sentenze  nn. 12/1966, 21/1971, 167/1973, 143 e 264
 del 1974, 119/1975, 25/1979, 104/1982, 137/1983, 237/1984, 23, 102  e
 169  del  1985 e 1023/1988) e individuavano, basandosi sulla generica
 cd. concezione polifunzionale, le finalita' essenziali della pena  in
 pari  misura nella rieducazione, nella dissuasione, nella prevenzione
 e nella difesa sociale.  La  Corte  ha  per  contro  affermato  nella
 sentenza  n.  313/1990 il principio che la tendenza alla rieducazione
 costituisce  "una  delle   qualita'   essenziali   e   generali   che
 caratterizzano  la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano
 da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
 concreto si estingue".
    Del resto gia' nella sentenza n. 364/1988 la Corte  costituzionale
 aveva  valorizzato il principio di rieducazione addirittura sul piano
 della struttura del reato  nella  parte  in  cui  afferma  che  "  ..
 comunque si intenda la funzione rieducativa ( ..) essa postula almeno
 la  colpa  dell'agente  in relazione agli elementi piu' significativi
 della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la rieducazione  di  chi,
 non essendo almeno in colpa (rispetto al fatto), non ha certo bisogno
 di essere rieducato".
    Ne  consegue  che  la  finalita'  rieducativa  deve  essere tenuta
 presente non solo dal giudice dell'esecuzione, della  sorveglianza  e
 dalle autorita' penitenziarie per individualizzare il trattamento del
 condannato  nella fase dell'esecuzione in vista del suo reinserimento
 nella societa' ma anche dal giudice della cognizione, il quale  nella
 fase  della  commisurazione  alla  stregua  degli  elementi  indicati
 dall'art. 133 del c.p. della pena in concreto opera sul  piano  della
 prevenzione  speciale,  e  dallo stesso legislatore nella funzione di
 prevenzione generale svolta attraverso la scelta della sanzione e  le
 determinazione dei limiti edittali.
    Il   collegio  chiede  alla  Corte  di  valutare  se  le  ragioni,
 essenzialmente di politica penitenziaria, poste  a  fondamento  della
 norma  che  prevede l'espulsione del cittadino straniero sottoposto a
 custodia cautelare o condannato possa rendere di fatto  inapplicabile
 il principio costituzionale della rieducazione;
    L'applicazione  della  norma in questione infatti rende inefficaci
 le valutazioni fatte dal legislatore nel momento in cui, in  funzione
 di  prevenzione  generale,  ha  previsto  un  determinato trattamento
 sanzionatorio  in  ragione  della  diversa  gravita'   delle   azioni
 criminose, attenuando sensibilmente l'effetto dissuasivo che comunque
 e'  inerente alla pena. Il cittadino straniero che intende commettere
 un'azione criminosa ha infatti  la  sicurezza  di  poter  beneficiare
 quanto  meno  di  una  riduzione  di  tre  anni sulla pena che dovra'
 espiare  un   caso   di   condanna   definitiva   anche   per   reati
 particolarmente  gravi  (solo per gli stranieri sottoposti a custodia
 cautelare l'espulsione  e'  esclusa  se  si  procede  per  i  delitti
 indicati  nell'art.  275,  terzo  comma,  del  c.p.p.)  o  di  essere
 sottoposto ad una custodia cautelare di breve durata se il reato  non
 rientra  tra  quelli  indicati  nell'art.  275 del c.p.p. Nel caso di
 organizzazioni  criminali  dedite  al  traffico   internazionale   di
 sostanze  stupefacenti,  che  si  valgono  generalmente di "corrieri"
 stranieri  per  introdurre  nel   territorio   italiano   consistenti
 quantitativi  di  sostanze  stupefacenti,  l'applicazione della norma
 dell'art. 7, comma 12-bis, del d.l. cit. finira' prevedibilmente per
 incentivare l'attivita' criminosa,  essendo  diminuito  sensibilmente
 per i "corrieri" il rischio di lunghe detenzioni in caso di arresto.
    L'applicazione  della  norma  in  esame  priva  per altro verso di
 significato  le  determinazioni  sulla   pena   del   giudice   della
 cognizione,  il  quale  nella  prospettiva  di  un'efficace  funzione
 rieducatrice commisura la pena tenendo presenti  tutti  gli  elementi
 relativi  alla  gravita'  del fatto e alla capacita' a delinquere del
 colpevole, elementi che variano  da  caso  a  caso  e  consentono  un
 giudizio  diversificato anche in presenza di violazioni astrattamente
 uguali.
    Per il caso dei  condannati  con  sentenza  passata  in  giudicato
 inoltre  appare  evidente  che l'espulsione dello straniero impedisce
 l'attuazione di un trattamento rieducativo  individualizzato  la  cui
 funzione rieducatrice non e' mai stata messa in dubbio.
    Non   sembra  infine  equiparabile  l'espulsione  dello  straniero
 condannato con sentenza passata in giudicato all'indulto, che condona
 in tutto o in parte la pena inflitta e la commuta in un'altra  specie
 di  pena stabilita dalla legge. L'indulto infatti e' provvedimento di
 clemenza di carattere generale  e  tendenzialmente  eccezionale  che,
 come  prescritto  dall'art.  79, terzo comma, della Costituzione, non
 puo'  applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione
 del disegno di legge mentre la norma dell'art. 7, comma  12-bis,  del
 d.l.  cit.  non ha limiti temporali di applicazione e riguarda anche
 gli stranieri  sottoposti  a  custodia  cautelare  o  condannati  con
 sentenza  passata  in  giudicato  per  reati commessi successivamente
 all'entrata in  vigore  della  norma  in  questione  che  beneficiano
 comunque almeno di una riduzione di tre anni di pena detentiva.
                                P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  1  della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 7, comma 12-bis, del d.l. 30
 dicembre 1989, n. 416, e successive modifiche in  relazione  all'art.
 27,  terzo  comma,  della Costituzione nella parte in cui prevede che
 "nei confronti degli stranieri sottoposti a  custodia  cautelare  per
 uno  o  piu' delitti, consumati o tentati, diversi da quelli indicati
 dall'art. 275, terzo comma, del codice  di  procedura  penale  ovvero
 condannati  con  sentenza passata in giudicato ad una pena che, anche
 se costituente parte residua di maggior pena, non sia superiore a tre
 anni di reclusione e' disposta l'immediata espulsione nello Stato  di
 appartenenza o di provenienza";
    Sospende   il   procedimento   in   corso  e  dispone  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al richiedente, al pubblico ministero e al presidente del
 Consiglio dei Ministri e sia comunicata inoltre ai  presidenti  delle
 due Camere del Parlamento.
      Roma, addi' 2 dicembre 1993
                        Il presidente: PLOTINO
                                           I giudici: GRIECO - CAMMINO
 94C0190