N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 maggio 1993- 14 febbraio 1994

                                 N. 91
 Ordinanza   emessa   il   5   maggio   1993   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 14  febbraio  1994)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Milza Massimo ed altri
 contro Ufficio italiano dei cambi
 Impiego pubblico - Divieto di allineamento stipendiale - Efficacia
    retroattiva  attribuita  con  norma qualificata di interpretazione
    autentica - Conseguente rigetto, nella specie, della richiesta  di
    allineamento  avanzata  da  dipendenti  dell'Ufficio  italiano dei
    cambi immessi nel grado di funzionario di seconda, allo stato  con
    stipendio  inferiore  rispetto  a colleghi promossi nella medesima
    qualifica in tempi piu' recenti e quindi  con  anzianita'  zero  o
    inferiore  alla  loro - Violazione dei principi di eguaglianza, di
    imparzialita' e di buon andamento - Compressione  del  diritto  di
    difesa  -  Lesione  del  principio  di tutela giurdisdizionale dei
    diritti e degli interessi legittimi senza esclusione o limitazione
    a particolari mezzi di impugnazione -  Lesione  del  principio  di
    irretroattivita' della legge.
 (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, settimo comma, convertito
    nella legge 14 novembre 1992, n. 272 (recte: 438).
 (Cost., artt. 3, 24, 97, 101, 108 e 113)).
(GU n.12 del 16-3-1994 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 2620/91 da
 Milza  Massimo,  Policastro  Maurizio   e   Lo   Coco   Anna   Maria,
 rappresentati  e  difesi  dall'avv. Alberto Angeletti e presso il suo
 studio  elettivamente  domiciliati  in   Roma,   via   Pierluigi   da
 Palestrina,  19,  contro l'Ufficio italiano dei cambi, in persona del
 presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno  de
 Carolis  e  Paolo  Giovanni  Guiso  e  presso  di  essi elettivamente
 domiciliato in Roma, via Quattro Fontane, 123, per ottenere:
       a) l'annullamento del silenzio rifiuto su istanza  inviata  dai
 ricorrenti il 10 gennaio 1991 e successiva diffida notificata il 4, 5
 e  il 6 giugno 1991 nonche' di tutti gli atti presupposti, connessi e
 conseguenziali;
       b) la declaratoria del diritto  ad  ottenere  la  ricostruzione
 della  carriera,  ai  fini  economici,  con  attribuzione,  ai  sensi
 dell'art. 4 del d.l. n. 681/1982 convertito in  legge  n.  869/1982,
 dello  stipendio  in  godimento  ai  dipendenti  immessi nel grado di
 funzionario di II in possesso di una anzianita'  nel  medesimo  grado
 inferiore  a  quella  dei  ricorrenti,  che  fruisca  della piu' alta
 regtribuzione. Il tutto con decorrenza dalla data di  immissione  nel
 grado  di  funzionario  di II di ciascun dipendente, con la piu' alta
 retribuzione  che  ha  scavalcato  i   ricorrenti   nel   trattamento
 economico,  con  conseguente corresponsione delle somme arretrate che
 risulteranno dovute, con interessi e rivalutazione;
       c) la declaratoria del diritto  ad  ottenere  una  retribuzione
 proporzionale  al  grado  di  funzionario  di  II  in  relazione alla
 anzianita'  di  servizio  e  nel  grado.  Con  conseguente   condanna
 dell'amministrazione ad adeguare la retribuzione dei ricorrenti a far
 data  dall'immissione  nel grado suddetto ovvero dal 1 luglio 1985 o,
 quantomeno, dal 1 luglio 1988; e per quanto necessario:
       d) l'annullamento degli artt. 114 del r.o.p.  approvato  il  25
 febbraio 1987 e 105 del r.o.p. approvato il 24 settembre 1986 nonche'
 di  tutte  le altre norme di tali regolamenti nella parte in cui, non
 prevedendo il principio del c.d.  "allineamento  retributivo",  hanno
 reso   possibile   lo  scavalcamento  nel  trattamento  economico  di
 dipendenti in possesso di minore anzianita'  nel  grado  rispetto  ai
 ricorrenti.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto di costituzine in giudizio dell'Ufficio italiano dei
 cambi;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Uditi alla pubblica udienza del 5 maggio 1993 (relatore  il  cons.
 Maria  Grazia  Cappugi) l'avv. Angeletti per i ricorrenti e l'avv. De
 Carolis per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con ricorso notificato il 24 luglio 1991 e depositato il 2  agosto
 successivo  i signori Massimo Milza, Maurizio Policastro e Anna Maria
 Lo Coco hanno adito questo tribunale formulando le  domande  indicate
 in epigrafe.
    I ricorrenti, dipendenti dell'U.I.C. assunti tra il 1972 e il 1974
 (nella carriera operativa con il grado di aiuto contabile, transitati
 nella  carriera  direttiva  del pregresso ordinamento con il grado di
 segretario e collocati nel grado di funzionario di II con  decorrenza
 rispettivamente dal 1 luglio 1980 il sig. Milza, dal 1 luglio 1981 il
 sig.  Policastro  e dal 1 luglio 1982 la sig.ra Lo Coco), premesso in
 fatto di aver potuto constatare, dopo avere conseguito la  promozione
 nel  grado  di  funzionario  di  II  della carriera direttiva, che ad
 alcuni dipendenti provenienti dalla carriera operativa (con il  grado
 di  coadiutore  o di coadiutore principale) e transitati nel grado di
 funzionario di II successivamente (come il  sig.  Walter  Rosato  con
 decorrenza 1 luglio 1988 o il sig. Marcello Di Paolo con decorrenza 1
 luglio  1990),  pur  non  avendo  alcuna anzianita' in tale grado, e'
 stata  attribuita  al  momento  della  promozione  una   retribuzione
 superiore  a quella da essi percepita, retribuzione che ha consentito
 ai primi (con minore anzianita' nel grado) di scavalcare i ricorrenti
 (piu' anziani nel grado), ponendo cosi' in essere  una  sperequazione
 stipendiale tanto evidente quanto illegittima, a sostegno del gravame
 hanno dedotto i seguenti motivi:
    1.  -  Violazione  dei principi generali in materia di trattamento
 economico dei pubblici dipendenti. Eccesso di potere  per  disparita'
 di   trattamento,  illogicita',  ingiustizia  manifesta,  difetto  di
 motivazione.
    I ricorrenti denunciano che dipendenti dell'U.I.C. transitati dopo
 di loro (nella carriera direttiva e)  nel  grado  di  funzionario  di
 seconda godano di retribuzione maggiore di quella da essi percepita.
    A tale inconveniente, reso possibile da alcune norme regolamentari
 vigenti nell'U.I.C. in materia di trattamento economico del personale
 dipendente,  si  deve  porre  rimedio, si assume nel ricorso, facendo
 applicazione del principio  del  c.d.  "allineamento  stipendiale"  o
 "galleggiamento",  sancito dall'art. 4, secondo comma, seconda parte,
 del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20  novembre
 1982,  n.  839  per  il  personale della dirigenza statale e ritenuto
 dalla  giurisprudenza  rimedio  correttivo  di   carattere   generale
 applicabile a tutto il pubblico impiego;
    2.  -  Altra  violazione  dei  principi  generali  in  materia  di
 trattamento economico dei pubblici dipendenti, in relazione  all'art.
 36  della  Costituzione  e  all'art.  33  del  t.u.  n.  3  del 1957.
 Ingiustizia manifesta, illogicita' e disparita' di trattamento.
    La sperequazione retributiva sopra denunciata viola  il  principio
 generale   per  il  quale  il  trattamento  economico  dell'impiegato
 pubblico deve essere proporzionato  alla  qualita'  e  quantita'  del
 lavoro  svolto.  E  difatti  gli  istanti si sono venuti a trovare in
 posizione economica deteriore rispetto a  dipendenti  inquadrati  nel
 medesimo grado, ma con minore anzianita'.
    3.  -  Eccesso di potere per omessa estensione del giudicato e per
 disparita' di trattamento.
    L'U.I.C.  illegittimamente  non  avrebbe   esteso   il   giudicato
 formatosi  su  decisioni della magistratura amministrativa (Consiglio
 di Stato, sezione  VI,  n.  410/1990;  t.a.r.  Lazio,  sez.  III,  n.
 481/1991)  rese su fattispecie di scavalcamento retributivo identiche
 a quella che riguarda i ricorrenti.
    Si e' costituito in giudizio l'Ufficio italiano  cambi,  chiedendo
 la reiezione del ricorso.
    In prossimita' dell'udienza ambo le parti hanno depositato memorie
 sviluppando  ulteriori  rilievi  difensivi,  anche  in relazione alla
 normativa sopravvenuta in materia di allineamento stipendiale.
    Assegnato alla odierna udienza pubblica e ivi chiamato, il ricorso
 e' stato trattato oralmente dalle parti, che  hanno  insistito  nelle
 rispettive posizioni, e ritenuto in decisione.
                             D I R I T T O
    1.  -  Come  accennato  in fatto, i ricorrenti, premesso di essere
 stati  retributivamente  scavalcati  (nel  grado  di  funzionario  di
 seconda)  da  colleghi pervenuti allo stesso grado successivamente, e
 dunque in possesso di anzianita' zero o di anzianita'  in  ogni  caso
 minore,  hanno  chiesto  senza esito in via amministrativa e chiedono
 ora con il ricorso in esame l'applicazione  nei  loro  confronti  del
 principio  del  c.d.  allineamento  stipendiale di cui all'art. 4 del
 d.l. 27 settembre 1982, n.  681,  convertito  con  modificazioni  in
 legge  20 novembre 1982, n. 869, il quale (nel secondo comma, seconda
 parte) dispone che "Al personale con  stipendio  inferiore  a  quello
 spettante  al  collega  con  pari o minore anzianita' di servizio, ma
 promosso   successivamente,   e'   attribuito   lo    stipendio    di
 quest'ultimo".
    2.  -  La  sezione  si e' gia' piu' volte occupata della questione
 posta con la presente impugnativa e ancora di recente, in conformita'
 del resto con il  piu'  generale  orientamento  della  giurisprudenza
 amministrativa, e in fattispecie in cui parte pubblica resistente era
 lo  stesso  Ufficio italiano cambi, ha statuito che - in applicazione
 del  principio  dell'allineamento  stipendiale  di  cui  all'art.  4,
 secondo  comma, del d.l. n. 681/1982 convertito in legge n. 869/1982
 -  al  dipendente  con  trattamento  economico  inferiore  a   quello
 spettante  al  collega  promosso  successivamente  e'  attribuito  il
 trattamento economico di quest'ultimo a decorrere dalla data  in  cui
 si  e' verificata tale disparita' di trattamento (cfr., per tutte, la
 sentenza 6 marzo 1992, n. 220, Sarti c U.I.C., e  giurisprudenza  ivi
 citata).  Nella  stessa  occasione  la sezione ha avuto anche modo di
 precisare che la portata  generale  del  principio  dell'allineamento
 stipendiale,  contrariamente  a  quanto  allora  affermava  la  parte
 resistente, era stata confermata dalla legge 8 agosto 1991,  n.  265,
 la  quale,  assumendo come presupposto l'esistenza di quel principio,
 aveva solo inteso porre alcune limitazioni alla sua applicazione  nei
 confronti del personale di magistratura e personale equiparato.
    3. - Alla stregua della propria giurisprudenza, e piu' in generale
 della  giurisprudenza  amministrativa,  il  ricorso  dovrebbe  essere
 accolto e, per l'effetto, dovrebbe dichiararsi il diritto rivendicato
 dai ricorrenti con il proposto gravame.   Il collegio  peraltro,  non
 puo'  ignorare che nelle more del presente giudizio e successivamente
 alla  richiamata  sentenza della sezione, sono intervenuti eventi che
 hanno profondamente modificato il quadro normativo di riferimento: si
 allude, cioe', al d.l.  11  luglio  1992,  n.  333,  convertito  con
 modificazioni  nella  legge 8 agosto 1992, n. 359, che (con l'art. 2,
 quarto comma) ha abrogato, a decorrere dalla data della  sua  entrata
 in  vigore, le disposizioni sull'allineamento stipendiale, tra cui la
 norma  base  contenuta  nell'art.  4  del  d.l.  n.   869/1982;   e,
 soprattutto,  al  d.l.  19  settembre  1992, n. 384 convertito nella
 legge 14 novembre 1992, n.   438, che (nell'art.  7,  settimo  comma)
 reca:  "L'art.  2, 4 comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359,  va
 interpretato  nel  senso  che  dalla  data  di  entrata in vigore del
 predetto decreto-legge non possono essere piu' adottati provvedimenti
 di  allineamento  stipendiale,  ancorche'  aventi  effetti  anteriori
 all'11  luglio  1992".   Ora, se la prima norma (art. 2, 4 comma, del
 d.l. n. 333/1992) puo' non precludere il riconoscimento del  diritto
 rivendicato in questa sede, in quanto l'abrogazione dell'allineamento
 stipendiale  ivi  disposto  puo'  valere soltanto per il futuro e non
 puo' cosi' negativamente incidere su diritti  sorti  nel  passato  in
 virtu'  delle  norme abrogate, come nel concreto caso di specie; dove
 gli  scavalcamenti  denunciati  si  sono  tutti  verificati  in  data
 anteriore  all'11  luglio 1992, certamente preclude il riconoscimento
 di tale diritto la seconda norma (art.  7,  7  comma,  del  d.l.  n.
 384/1992),  che  vieta  l'adozione  di  provvedimenti di allineamento
 stipendiale (non solo  per  il  futuro,  ma)  anche  per  il  passato
 (ancorche'   riferiti   a  periodi  anteriori  all'11  luglio  1992),
 travolgendo cosi' e/o  vanificando  posizioni  giuridiche  soggettive
 aventi consistenza di diritti soggettivi gia' perfezionati.
    4.  -  Sulla base del sopravvenuto quadro normativo il ricorso, al
 contrario,  dovrebbe  essere  respinto,  non  potendosi   condividere
 l'assunto   dei   ricorrenti   (formulato   nella  memoria  difensiva
 depositata in prossimita' della pubblica udienza e poi ripreso  nella
 discussione orale) secondo cui essi invocherebbero l'applicazione nei
 loro  confronti  (non  gia' e non tanto dell'art. 4, terzo comma, del
 d.l. n. 681/1982 quanto) di  un  principio  generale,  quale  quello
 dell'allineamento  stipendiale,  sancito  da  tutta la giurisprudenza
 amministrativa (e in particolare dalla  decisione  del  Consiglio  di
 Stato,   sez.   VI,   n.   486/1992),  principio  ribadito  anche  da
 disposizioni normative successive,  come  l'art.  1  della  legge  n.
 468/1987, e che sarebbe, a loro avviso, applicabile indipendentemente
 dalle  norme  di  legge  che lo hanno introdotto (e dal loro destino,
 sembra di capire). Ritiene, invece,  il  Collegio  che  il  principio
 dell'allineamento   stipendiale   in   tanto  esiste  e  puo'  essere
 concretamente applicato in  quanto  esiste  nell'ordinamento  e  puo'
 essere  applicata in via diretta o indiretta la norma di legge che lo
 prevede. Se questa viene meno perche' modificata e/o abrogata - e nel
 caso di specie, ex art. 2, 4 comma, del d.l. n.  333/1992  e'  stata
 soppressa  non  solo  la  norma  del  d.l. n. 681 del 1982 che aveva
 previsto in  origine  l'istituto  dell'allineamento  stipendiale,  ma
 anche  le altre norme che ne avevano esteso l'applicazione - anche il
 principio ivi posto ne segue inevitabilmente la sorte.
    5. - E' cosi'  rilevante  per  la  decisione  del  ricorso  e  non
 manifestamente  infondata  nei  sensi di cui appresso la questione di
 legittimita' costituzionale sotto  diversi  profili  dell'art.  7,  7
 comma,  del d.l. n. 384/1992 convertito nella legge n. 438/1992.  Un
 primo  profilo  di  legittimita'  costituzionale attiene, come questo
 tibunale ha avuto gia' modo di rilevare (t.a.r.  Lazio,  sez.  I,  24
 marzo 1993, n. 496), al possibile contrasto con gli artt. 3, 24 e 113
 della Costituzione. L'art. 7, 7 comma, del d.l. n. 384/1992 inibisce
 al  giudice  amministrativo  la  pronuncia  anche  su  questioni gia'
 sottoposte al suo giudizio e in cio' puo'  ravvisarsi  la  violazione
 dell'art.  24  della Costituzione (diritto di difesa) e del principio
 sancito nel successivo art. 113 per il quale contro  gli  atti  della
 pubblica  amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale
 dei diritti e degli interessi legittimi.  In  particolare  emerge  il
 contrasto  con il secondo comma dell'art. 113, dove si precisa che la
 tutela  giurisdizionale  non  puo'  essere  esclusa  o   limitata   a
 particolari  mezzi  di  impugnazione  o  per determinate categorie di
 atti.  Nel  caso  in  esame  un  aspetto  specifico  del  trattamento
 economico  dei ricorrenti sul quale verte il giudizio (l'accertamento
 del diritto all'allineamento stipendiale, nei confronti  di  colleghi
 promossi successivamente), sussumibile fino all'entrata in vigore del
 d.l. n. 333/1992 sotto la disciplina abrogata con l'art. 2, 4 comma,
 del  citato  d.l., viene sottratto alla pronuncia del giudice con un
 meccanismo invero inconsueto, di  interpretazione  autentica  di  una
 disposizione  abrogativa  di  alcune  disposizioni,  il cui contenuto
 essenziale e' pero' quello di impedire una pronuncia di  accoglimento
 della  domanda  dei  ricorrenti  con possibile violazione delle norme
 costituzionali sopra richiamate.  Sempre con riguardo ai  poteri  del
 giudice, un secondo profilo di legittimita' costituzionale attiene al
 possibile contrasto con gli artt. 3, 101 e 108 della Costituzione. Il
 giudice  viene privato del potere di pronunciare, sia in positivo che
 in negativo, sulla domanda dei ricorrenti e gli e' inibito di  tenere
 conto  della  legislazione vigente al momento della presentazione del
 ricorso e al momento in cui si  sono  verificati  i  presupposti  sui
 quali   si   fonda   la   domanda   (scavalcamento   dei  ricorrenti,
 verificatosi, come gia' detto, in epoca anteriore all'11 luglio 1992,
 da  parte  di   colleghi   promossi   nel   grado   successivamente).
 L'indipendenza,   l'autonomia   e  la  pienezza  della  giurisdizione
 amministrativa possono essere incise da prescrizioni  specifiche  del
 legislatore  dirette  non  gia'  a  disciplinare  ex novo o anche con
 effetti retroattivi determinate  situazioni  o  rapporti  ma  aventi,
 invece,   la   funzione   di   elidere   indirizzi  giurisprudenziali
 manifestatisi  in  determinati  ambiti   della   propria   competenza
 giurisdizionale  (cfr.  ancora  la  decisione  n.    496/1993 della I
 sezione di questo tribunale, cui adde anche t.a.r. Lombardia, sezione
 di Brescia, 31 marzo 1993, n. 236).
    6. - Se poi si ha riguardo (non piu' ai  poteri  del  giudice  ma)
 alla  posizione  dei ricorrenti, un ulteriore profilo di legittimita'
 costituzionale attiene al possibile contrasto con gli artt.  3  e  97
 della  Costituzione.  Che  l'art.  7,  7 comma, del d.l. n. 384/1992
 (nella parte in cui reca che dalla data  di  entrata  in  vigore  del
 decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333  "non  possono  essere piu'
 adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche'  aventi
 effetti  anteriori  all'11  luglio 1992") dissimuli, sotto le spoglie
 della norma interpretativa,  una  norma  retroattiva,  che  viene  ad
 incidere  negativamente  su  posizioni  giuridiche  soggettive aventi
 consistenza di diritti soggettivi gia' perfezionati,  sembra  sia  da
 avere per certo. Del resto, che si tratti di norma effettivamente non
 interpretativa,  e'  reso evidente tra l'altro dal fatto che a nessun
 dubbio interpretativo aveva dato (e dava) adito l'art.  2,  4  comma,
 del  d.l.  n.  333/1992, che si era limitato a sopprimere dalla data
 della  sua  entrata  in  vigore  specifiche  norme  che   prevedevano
 l'allineamento  stipendiale,  quando,  per  insegnamento  della Corte
 costituzionale, soltanto una effettiva oscurita' e l'ambiguita' della
 legge  tale  da  creare  contrasti  dottrinali  e   giurisprudenziali
 potrebbero    giustificare    una    legge    interpretativa   (Corte
 costituzionale  n.  187/1981)  e  comunque   anche   in   tali   casi
 l'interpretazione  autentica  dovrebbe  valere per il futuro, per non
 incidere, vanificandole, su eventuali  pronunce  giurisdizionali,  di
 contrario  avviso,  nel  frattempo divenute definitive. La previsione
 nell'art.  7,  7  comma,  del  d.l.  n.  384/1992,  in  assenza  dei
 presupposti  anzidetti, della impossibilita' di adozione di ulteriori
 provvedimenti  di  allineamento  stipendiale,  ancorche'  riferiti  a
 periodi anteriori all'11 luglio 1992, si configura percio' come nuova
 norma,   di   carattere   retroattivo,   soppressiva  delle  relative
 situazioni soggettive gia' maturate. Ma al riguardo si deve osservare
 che il principio della irretroattivita' della legge (non penale), pur
 non essendo espressamente enunciato da alcuna  norma  costituzionale,
 e'  senza  dubbio principio cardine del nostro ordinamento giuridico,
 principio definito dalla Corte costituzionale antica conquista  della
 nostra  civilta'  giuridica  (Corte  costituzionale,  n. 118/1957, n.
 133/1975, n. 91/1982), e la sua deroga si pone come fatto eccezionale
 da   utilizzare   solo   in   presenza   di   una   effettiva   causa
 giustificatrice,  prevalente  sui  rapporti preferiti e sul principio
 dell'affidamento (Corte costituzionale, n. 155/1990).
    Il principio di  irretroattivita'  della  legge  soddisfa  infatti
 numerosi    valori   di   rilevanza   costituzionale,   come   quello
 dell'affidamento,  della  trasparenza  nei  rapporti  tra   Stato   e
 cittadino,  della  certezza  dei  diritti  maturati  per  i quali gli
 interessati coltivano legittime aspettative, della correttezza  della
 funzione   giurisdizionale   chiamata   ad  accertare  tali  diritti,
 paralizzata anch'essa nel  suo  lineare  svolgimento  dall'intervento
 retroattivo  del legislatore, ed altri ancora (t.a.r. Lombardia, sez.
 Brescia, citata decisione n. 236/1993;  t.a.r.  Liguria,  sez.  I,  5
 febbraio  1993,  n.  33).    La norma retroattiva produce inoltre una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra dipendenti  pubblici  in
 analoghe  situazioni,  in  violazione dell'art. 3 della Costituzione,
 come appare chiaro  solo  che  si  pensi  al  differente  trattamento
 riservato  a chi abbia gia' ottenuto un provvedimento di allineamento
 stipendiale  prima  dell'entrata  in  vigore  della  norma  in  esame
 rispetto a chi invece, per un motivo o per l'altro, in relazione allo
 stesso  periodo di maturazione del diritto, non abbia ancora ottenuto
 il medesimo beneficio.  Questa situazione di  sperequazione  potrebbe
 altresi' negativamente riverberarsi, come pure e' stato notato, sulla
 stessa   efficienza   dell'amministrazione,   poiche'   il   pubblico
 dipendente  non  allineato  vedrebbe  conservato  un   piu'   elevato
 trattamento economico a favore di colleghi casualmente gia' raggiunti
 da  provvedimenti  di allineamento e cio', prima o poi, finirebbe con
 l'influire  negativamente  sul  suo   rendimento,   con   conseguente
 violazione  del principio di buon andamento e di imparzialita' di cui
 all'art. 97  della  Costituzione  (t.a.r.  Liguria,  sez.  I,  citata
 decisione n. 33/1993).
    7.  -  Per  le  considerazioni  suesposte  il collegio ritiene non
 manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 24, 97,  101,
 108   e   113   della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 7, 7 comma, della legge 14 novembre 1992, n.
 438, di conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, e ne
 rimette l'esame alla Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Sospende il giudizio in  corso  e  rimette  gli  atti  alla  Corte
 costituzionale   per   l'esame   della   questione   di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 7, settimo comma,  del  d.l.  19  settembre
 1992,  n.  384,  convertito  dalla legge 14 novembre 1992, n. 272, in
 relazione agli articoli 3, 24, 97, 101, 108 e 113 della Costituzione;
    Dispone che la presente ordinanza, a cura  della  segreteria,  sia
 notificata  a  tutte  le parti in causa e al Presidente del Consiglio
 dei Ministri  e  sia  comunicata  ai  presidenti  dei  due  rami  del
 Parlamento.
    Cosi' deciso in Roma, il 5 maggio 1993.
                         Il presidente: BALBA
                                    I consiglieri: CAPPUCCI MONTICELLI
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