N. 94 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 1993- 14 febbraio 1994

                                 N. 94
 Ordinanza   emessa   il   23   marzo   1993   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 14 febbraio 1994) dalla Corte  dei  conti,  sezione
 terza  giurisdizionale,  sul ricorso proposto da Papini Teresa contro
 il Ministero del tesoro
 Pensioni - Pensioni privilegiate di guerra - Vedova passata a nuove
    nozze - Perdita del diritto a pensione in caso  di  reddito  annuo
    superiore  al limite di legge del secondo coniuge - Irrazionalita'
    della condizione della non possidenza (in relazione a  determinati
    parametri   reddituali)   -   Pregiudizio  del  dovere-diritto  di
    mantenimento, istruzione ed educazione dei figli,  e  ostacolo  al
    matrimonio   e   alla  formazione  di  una  famiglia  legittima  -
    Riferimento alla ordinanza della Corte costituzionale n.  325/1992
    di manifesta infondatezza di analoga questione ritenuta superabile
    dal giudice rimettente in relazione alla diversa prospettazione.
 (D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 42, primo comma).
 (Cost., artt. 2, 3, 29, 30 e 31).
(GU n.12 del 16-3-1994 )
                          LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 889813 del
 registro di segreteria, proposto da Papini Teresa avverso il  decreto
 del Ministro del tesoro n. 13271 RI-GE in data 1 febbraio 1984.
    Udito,  alla  pubblica  udienza  del  giorno  23  marzo  1993,  il
 relatore, nella persona del consigliere Remo Ripoli;  vista  la  nota
 con  la  quale,  a  seguito  dell'entrata in vigore del d.l. 8 marzo
 1993, n. 54, che, tra l'altro, ha abolito l'intervento  del  pubblico
 ministero  nel  processo  pensionistico,  il  Ministero  del  tesoro,
 direzione generale dei servizi vari e delle pensioni  di  guerra,  ha
 comunicato,  in  relazione  ai  ricorsi  iscritti a ruolo all'odierna
 udienza, di rimettersi alle conclusioni rassegnate, a suo tempo,  dal
 procuratore generale ed alle decisioni del collegio;
    Esaminati gli atti;
                               F A T T O
    Papini  Teresa,  quale  vedova  dell'  ex  militare  Baldi  Antimo
 (deceduto il 4 dicembre 1945,  a  causa  di  guerra),  ha  fruito  di
 pensione indiretta di guerra dal 5 dicembre 1945 al 21 maggio 1965 ed
 essendo  passata  a nuove nozze con Rossi Giovanni il 22 maggio 1965,
 da tale data ha perso l'anzidetto diritto, per effetto dell'art.  59,
 primo  comma,  della  legge  10  agosto  1950,  n.  648 (disposizione
 riprodotta dall'art. 47, primo comma, della legge 18 marzo  1968,  n.
 313).
    Le  citate disposizioni sono state dichiarate incostituzionali con
 sentenza della Corte costituzionale n. 184/1975. Pertanto, e'  venuta
 meno  la  rilevanza  dello stato vedovile ai fini dell'acquisizione o
 conservazione del diritto a pensione indiretta di guerra,  in  quanto
 la vedova, passando a nuove nozze, non e' privata, per cio' solo, del
 diritto,  ma,  al  pari del vedovo, soltanto se ed in quanto il nuovo
 coniuge sia titolare di reddito superiore od un determinato limite.
    Conseguentemente, con istanza del 10 agosto  1976,  la  Papini  ha
 chiesto   il  ripristino  del  trattamento  pensionistico,  che,  con
 l'impugnato  decreto,  decisorio  di  ricorso  gerarchico  contro  la
 pronuncia  negativa  del  direttore generale delle pensioni di guerra
 (determinazione n. 2640852-Z,  del  16  giugno  1979),  le  e'  stato
 riconosciuto dal 1 settembre 1976 (primo giorno del mese successivo a
 quello di presentazione della relativa domanda) al 31 dicembre 1977 e
 non  oltre, in considerazione delle condizioni economiche del secondo
 marito, risultando questi in possesso, nell'anno 1978, di un  reddito
 superiore  al  limite  di  legge  allora  vigente  (L.  960.000  o L.
 1.320.000, a seconda che alla formazione del reddito concorressero  o
 non redditi di lavoro). Tanto, per effetto dell'art. 42, primo comma,
 del  testo  unico  approvato  con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, il
 quale dispone, appunto, che la  vedova  del  militare  o  del  civile
 deceduto  per  causa  di  guerra, che contragga nuove nozze, perde il
 diritto  a  pensione  se  il  congiuge  fruisca,  o  venga  a  fruire
 successivamente  al  matrimonio,  di  un  reddito  complessivo  annuo
 superiore al limite di legge.
    La  ricorrente,  con  memoria  depositata  il  1  marzo  1993,  ha
 comunicato che il suo secondo marito e' deceduto il 26 ottobre 1992.
    Pertanto,  essendo  venuto  a  cessare il cespite reddituale, sono
 tornate a sussistere, dalla predetta data, le  condizioni  economiche
 di  legge  necessarie  per  il ripristino della pensione indiretta di
 guerra della vedova.
    Ne consegue che la limitazione del diritto a pensione della vedova
 risposata imposta dal citato art. 42,  primo  comma,  del  d.P.R.  n.
 915/1978  risulta operante nella fattispecie relativamente al periodo
 di tempo (1 gennaio 1978-26 ottobre 1992) durante il quale il reddito
 del secondo marito della ricorrente ha avuto effetto  ostativo  della
 conservazione  della  pensione  indiretta  di  guerra  da parte della
 medesima.
    In ordine alla predetta disposizione (ed a quella  correlativa  di
 cui  all'art. 55 dello stesso d.P.R. concernente il vedovo risposato)
 questa Sezione, in sede di precedente esame dello stesso  ricorso  in
 epigrafe,  ha gia' prospettato alla Corte costituzionale questione di
 legittimita' in riferimento agli artt. 29, secondo comma, e 30, primo
 comma, della Costituzione (ordinanza n. 131 del 13 dicembre 1991).
    La Corte costituzionale, con ordinanza n. 325, in data 29 giugno-8
 luglio 1992, ha dichiarato, in relazione ai  prospettati  motivi,  la
 sollevata   questione   manifestamente   infondata   a  motivo  della
 estraneita' e prospettazioni di ordine pensionistico  delle  invocate
 norme   costituzionali,   essendo   l'una   diretta  a  salvaguardare
 "essenzialmente i contenuti e gli scopi etico-sociali della  famiglia
 come  societa'  naturale  fondata  sul  matrimonio  e  senza riflessi
 immediati sulle pensioni, le quali ineriscono a momenti  strettamente
 economici";  l'altra  avendo  per  oggetto  "i doveri e i diritti dei
 genitori e  dei  figli,  ...  non  tocca  il  tema  delle  situazioni
 giuridiche a contenuto patrimoniale".
                             D I R I T T O
    La   sezione,   preso   atto  dei  rilievi  espressi  dalla  Corte
 costituzionale nella ordinanza n. 325,  in  data  29  giugno8  luglio
 1992,  ravvisa,  dopo  ulteriore,  piu'  approfondito  esame del caso
 evidenziato dal ricorso in epigrafe, di poter riproporre la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 42, primo comma, del  d.P.R.
 23  dicembre  1978,  n.  915,  sotto piu' ampio profilo e con diversa
 motivazione.
    L'art. 42 anzidetto (ugualmente l'art. 55 del medesimo d.P.R., per
 il vedovo) stabilisce  che  la  vedova  di  militare  (o  di  civile)
 deceduto per causa bellica perde il diritto a pensione (indiretta) di
 guerra  se  contrae  nuove  nozze  con  chi fruisca, o venga a fruire
 successivamente  al  matrimonio,  di  un  reddito  annuo  complessivo
 superiore  al  limite  di  legge (piu' volte aggiornato, ma sempre di
 esigua misura).
    Al  riguardo,  la  Sezione  ravvisa   di   dover   preliminarmente
 considerare quanto appresso:
      il  testo  unico  delle  norme  in materia di pensioni di guerra
 emanato con d.P.R. n.  915/1978,  all'art.  1,  enuncia,  in  via  di
 principio,  che "La pensione, assegno o indennita' di guerra ( .. ..)
 costituiscono atto risarcitorio,  di  doveroso  riconoscimento  e  di
 solidarieta'  nei  confronti  di  coloro  che,  a causa della guerra,
 abbiano subito menomazioni nell'integrita' fisica o la perdita di  un
 congiunto";
      la  vedova  di  caduto  a  causa di guerra acquista il diritto a
 pensione indiretta in via autonoma (e non derivata come  la  pensione
 di  riversibilita') e quindi iure proprio (sent. Corte costituzionale
 n. 379/1989); inoltre, a tal fine, non ha  rilevanza  alcuna  il  suo
 status economico;
      a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 184/1975,
 e'   venuta   meno   la   rilevanza  dello  stato  vedovile  ai  fini
 dell'acquisizione (o conservazione del diritto a  pensione  indiretta
 di  guerra  in  quanto  la  vedova,  passando  a  nuove nozze, non e'
 privata, per cio' solo, dell'anzidetto diritto (ma, al pari di quanto
 e' stabilito per il vedovo, soltanto se e in quanto il nuovo  coniuge
 sia titolare di un certo reddito);
      la  legge  8  agosto 1991, n. 261, all'art. 5, che ha sostituito
 l'art.  77  del  testo  unico  approvato  con  d.P.R.  n.   915/1978,
 stabilisce che: "Le somme corrisposte a titolo di pensione, assegno o
 indennita'   di   cui   al  presente  decreto,  per  la  loro  natura
 risarcitoria, non costituiscono reddito.
    Tali  somme  sono,  pertanto,   irrilevanti   ai   fini   fiscali,
 previdenziali,  sanitari  ed assistenziali, ed in nessun caso possono
 essere computate, a carico dei soggetti che  le  percepiscono  e  del
 loro nucleo familiare, nel reddito richiesto per la corresponsione di
 altri trattamenti pensionistici, per la concessione di esoneri ovvero
 di benefici economici e assistenziali";
      con  norma di principio, l'art. 28 del citato d.P.R. n. 915/1978
 stabilisce la cumulabilita' del trattamento pensionistico  di  guerra
 con i redditi di lavoro e con altri trattamenti pensionistici.
    Alla  stregua  del  suindicato  quadro normativo, la perdita della
 pensione da parte della vedova di guerra come stabilita dall'art. 42,
 secondo comma, del ripetuto d.P.R.  n.  915/1978,  in  considerazione
 della  condizione  reddituale del secondo marito, appare irrazionale,
 in quanto non coerente sia con la natura risarcitoria,  espressamente
 riconosciuta dal legislatore, del trattamento pensionistico di guerra
 sia  con  l'enunciato  fine  di solidarieta' da parte dello Stato nei
 confronti di coloro  che,  a  causa  della  guerra,  abbiano  subi'to
 (menomazioni  nella  integrita' fisica o) la perdita di un congiunto.
 Gia' per tale duplice profilo, la citata disposizione di cui all'art.
 42  del  d.P.R.  n.  915/1978,  pone  in  essere  una  ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  a danno della vedova di guerra passata a
 nuove nozze.
    E cio'  non  soltanto  nel  confronto  con  le  vedove  di  guerra
 "benestanti",  in  proprio, che non perdono il diritto a pensione, ma
 anche  rispetto  a  tutte  le  situazioni  in  cui   il   trattamento
 pensionistico  di  guerra non e' influenzato dalla misura del reddito
 personale e di quello familiare del beneficiario.
    Siffatta svantaggiosa conseguenza per la vedova risposata ingenera
 fondatamente il dubbio che il secondo comma  del  predetto  art.  42,
 oltre a contrastare con il principio di uguaglianza sancito dall'art.
 3  della Costituzione, sia anche irriguardoso del principio di tutela
 dei diritti dei soggetti  che  compongono  la  famiglia  intesa  come
 "formazione   sociale"   fondata   sul   matrimonio   (art.  2  della
 Costituzione) e, nel contempo, del principio di solidarieta', di  cui
 allo  stesso  art. 2 della Costituzione, peraltro espressamente posto
 dal legislatore a fondamento delle provvidenze dello Stato  a  favore
 dei  soggetti  destinatari  della normativa in materia di trattamento
 pensionistico di guerra.
    Ove,  poi,  si  consideri  che  il  reddito  complessivo annuo del
 secondo coniuge, al suo limite minimo ostativo alla conservazione del
 reddito a pensione da parte della vedova risposata, e'  stabilito  in
 misura  appena  indispensabile  per  la  sopravvivenza di una persona
 singola, non appare razionalmente sostenibile che  la  perdita  della
 pensione   a   carico   della   vedova   trovi   giustificazione   in
 considerazione di carattere economico.
    In realta', la comminata perdita della  pensione  si  risolve  non
 solo  in  una ingiustificata discriminazione a danno della vedova, ma
 viene  anche  ad  incidere  nella   sua   sfera   personale   perche'
 suscettibile di ostacolarne la libera determinazione alle nozze.
    La  situazione  conseguente  alla norma in questione, pertanto, si
 discosta anche dalla prescrizione dell'art. 31,  primo  comma,  della
 Costituzione,  in  quanto  certamente non agevola la formazione della
 famiglia legittima e l'adempimento dei compiti relativi.
    Per tutto quanto sopra,  detta  norma  appare  discriminatoria  ed
 irragionevole  in  quanto  i  suoi  effetti vulnerano la sfera di chi
 siasi  risolto  a  contrarre  il  vincolo  familiare  al   quale   si
 riconnettono valori costituzionalmente protetti (artt. 2, 29, secondo
 comma, 30, primo comma, 31, primo comma, della Costituzione).
    Per  gli  addotti  motivi,  la  sezione ritiene non manifestamente
 infondata e rilevante ai fini del giudizio introdotto con il  ricorso
 in epigrafe la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 42,
 primo  comma,  del testo unico approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978,
 n. 915, in relazione agli artt. 2, 3, 29, secondo  comma,  30,  primo
 comma, e 31, primo comma, della Costituzione.
                               P. Q. M.
    Visti  l'art.  134  della  Costituzione e l'art. 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87;
    Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 42, primo comma, del d.P.R. 23
 dicembre 1978, n. 915, per violazione degli artt. 2, 3,  29,  secondo
 comma, 30, primo comma, 31 comma, della Costituzione;
    Sospende  il  giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione
 degli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale;
    Ordina che, a cura della stessa segreteria, la presente  ordinanza
 sia  notificata  alla  ricorrente, al Ministero del tesoro, direzione
 generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra,  al  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  e  comunicata  ai Presidenti delle due
 Camere del Parlamento.
    Cosi' provveduto in Roma, nella camera di consiglio del giorno  23
 marzo 1993.
                         Il presidente: GARRI
    Depositata in segreteria il giorno 10 giugno 1993.
                          Il segretario: MAIO

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