N. 82 ORDINANZA 23 febbraio - 10 marzo 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati  militari - Deterioramento colposo di cose mobili - Punibilita'
 con la reclusione fino a sei mesi -  Discrezionalita'  legislativa  -
 Esistenza  dell'istituto  della richiesta di procedimento nei casi di
 tenuita' delle  singole  fattispecie  -  Richiamo  alla  sentenza  n.
 280/1987  e  alla  ordinanza  n.  216/1989  della  Corte  - Manifesta
 inammissibilita'.
 
 (C.P.M.P., artt. 169 e 170).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.12 del 16-3-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott.  Cesare
    RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 169 e 170 del
 codice  penale  militare  di pace,promosso con ordinanza emessa il 14
 aprile 1993  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  militare  di La Spezia nel procedimento penale a carico di
 Fiocco Antonio, iscritta al n. 549  del  registro  ordinanze  1993  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 39, prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 gennaio 1994 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto che nel corso di un giudizio penale  il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso il Tribunale militare di La Spezia, con
 l'ordinanza in epigrafe, ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3
 della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale degli
 articoli 169 e 170 del codice penale militare di pace;
      che la questione investe le richiamate disposizioni nella  parte
 in cui esse prevedono la punibilita', con la reclusione militare fino
 a sei mesi, dei fatti di deterioramento colposo di cose mobili "anche
 di  scarsissimo  rilievo  economico" appartenenti all'amministrazione
 militare,  cio'  che  contrasterebbe  con il parametro costituzionale
 invocato sotto un duplice profilo:
        a) per la ingiustificata  disparita'  di  trattamento  che  le
 norme  determinerebbero,  nel  raffronto  con  il sistema del diritto
 penale comune che non  contempla  una  forma  colposa  del  reato  di
 danneggiamento,  tra i militari e i cittadini (nonche', segnatamente,
 tra i militari e i dipendenti civili  dell'amministrazione  militare)
 rispetto alla commissione di analoghi fatti, a svantaggio dei primi;
        b) per irragionevolezza della disciplina, che appresterebbe in
 tal  modo tutela penale al patrimonio militare non gia' in rapporto a
 criteri coerenti con l'oggetto della tutela stessa,  bensi'  soltanto
 in  dipendenza  di  una  circostanza  estrinseca rispetto al medesimo
 oggetto, come e' la qualifica di militare - o  meno  -  del  soggetto
 attivo;
      che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la questione venga dichiarata inammissibile o
 infondata.
    Considerato che la  questione  e'  indirizzata  ad  eliminare  dal
 novero delle fattispecie punibili catalogate dall'art. 169 del codice
 penale  militare  di  pace quella del "deterioramento" di cose mobili
 appartenenti all'amministrazione  militare,  allorche'  commesso  per
 colpa ( ex art. 170 dello stesso codice);
      che  una  prospettiva  del  genere  involge,  all'evidenza,  una
 selezione e una scelta  nell'ambito  di  plurime  opzioni  possibili,
 giacche' la determinazione di sub-fattispecie equivalenti nell'ambito
 della    stessa    disposizione    incriminatrice   costituisce   una
 manifestazione di volonta' del  legislatore,  cui  compete  stabilire
 quali  fatti  debbano essere sanzionati penalmente,e in che modo, nel
 limite della non-irragionevolezza della scelta;
      che, infatti, la connotazione  discrezionale  della  prospettata
 eliminazione  della  sub-fattispecie del "deteriorare cose mobili" si
 rivela  laddove  si  consideri  lo   sbilanciamento   dell'equilibrio
 normativo,  sia  interno  che  esterno  alla  norma impugnata, che ne
 deriverebbe: un equilibrio,  sia  nella  definizione  delle  condotte
 causative  di danno ex artt. 169-170 citati, sia nella calibratura di
 altre fattispecie contigue o in rapporto di specificazione con quella
 impugnata (come ad es. gli artt. 164 e 165 del codice penale militare
 di pace), che verrebbe ad essere alterato dalla richiesta ablazione;
      che, d'altra parte, proprio la  prospettazione  del  rimettente,
 allorche'  ripetutamente sottolinea lo "scarsissimo valore economico"
 delle cose deteriorate, quale elemento rafforzativo di censura  delle
 norme in rapporto alla concreta vicenda del giudizio a quo, indica un
 ulteriore profilo di discrezionalita' legislativa sottesa alla scelta
 di  selezionare  in  modo  diverso  le  condotte punibili, molteplici
 essendo  i  criteri  e  i  parametri  ai  quali,in  ipotesi,  sarebbe
 possibile  accordare  rilevanza  a  tal  fine  (e  lo  stesso giudice
 rimettente ne enumera alcuni: valore del bene, funzione specifica  di
 esso,  coefficiente  di  responsabilita' del soggetto attivo, e cosi'
 via);
      che, su quest'ultimo punto, si deve osservare sia  che  il  dato
 obiettivo  della  tenuita' del danno trova riscontro nella previsione
 dell'attenuante di cui all'art. 171, n. 2) del codice  in  argomento,
 sia  che  la  prospettiva  tutta  e solo patrimoniale da cui muove il
 rimettente non e' pienamente coerente con il carattere plurioffensivo
 del  reato,  collocato  nell'ambito  dei  reati  contro  il  servizio
 militare;
      che e' dunque espressione delle attribuzioni del legislatore, in
 sede di  revisione  della  disciplina  penale  militare,  l'accennato
 profilo  dell'eventuale  rilievo  da  annettere al grado di effettiva
 offensivita'  del  fatto;   un   profilo   che   attualmente,   oltre
 all'attenuante   sopra  ricordata,  puo'  essere  utilmente  valutato
 attraverso un uso piu' ragionevole  ed  attento  dell'istituto  della
 richiesta  di procedimento, necessario per la punibilita' del reato a
 norma dell'art. 260, secondo comma, del  codice  penale  militare  di
 pace,  in  modo  da  escludere  dal novero della sfera del penalmente
 apprezzabile fattispecie del genere di quella che ha  dato  luogo  al
 presente giudizio;
      che,  pertanto, la questione, come gia' ritenuto da questa Corte
 con riguardo a prospettazioni in parte coincidenti (ord. n.  216  del
 1989; sent. n. 280 del 1987), involge scelte - non costituzionalmente
 obbligate  - affidate alla discrezionalita' legislativa, e va percio'
 dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  degli  articoli  169  e  170 del codice
 penale militare di pace, sollevata, in riferimento all'art.  3  della
 Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari presso il
 Tribunale militare di La Spezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 10 marzo 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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