N. 143 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 1994

                                N. 143
 Ordinanza  emessa  il  24  gennaio  1994  dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Pisa  nel  procedimento  penale  a
 carico di Musumeci Silvio
 Processo penale - Misure cautelari - Divieto di custodia cautelare
    per  la  persona  affetta  da  HIV e nei casi di AIDS conclamata -
    Disparita'  di  trattamento,  in  punto  di  liberta'   personale,
    rispetto  a  soggetti  affetti dalla stessa patologia, ma in stadi
    diversi, e a quelli affetti da patologie diverse altrettanto gravi
    e irreversibili - Lesione dei diritti  inviolabili  dell'uomo,  in
    particolare   di   quello   di  essere  tutelato  di  fronte  alle
    aggressioni criminali.
 (C.P.P. 1988, art. 286-bis).
 (Cost., artt. 2 e 3).
(GU n.13 del 23-3-1994 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Vista la richiesta del p.m. di emissione  di  un  provvedimento  di
 custodia  cautelare  in  carcere  a  carico  di Musumeci Silvio, e la
 contestuale richiesta di promovimento della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 286- bis  del  c.p.p.  nella  parte  in  cui
 impedisce l'adozione del citato provvedimento a carico dell'indagato;
    Ritenuto di dover condividere la richiesta del p.m., e rilevato;
                               IN  FATTO
    Per illustrare il concreto rilievo della questione che costituisce
 l'oggetto  della  presente  denuncia  di  incostituzionalita'  appare
 opportuno premettere quanto segue:
      1)  Musumeci  Silvio e' soggetto con reiterati precedenti penali
 per violazione della normativa in materia di armi, della legislazione
 sugli stupefacenti, per estorsione ed altro;
      2) egli e' attualmente sottoposto a giudizio,  dinanzi  all'A.G.
 di  Lucca,  per  i  reati  di  partecipazione ad associazione di tipo
 mafioso, di estorsione continuata, di omicidio tentato ed altro;
      3) copia degli atti del predetto  procedimento  -  che  detiene,
 come  si  vedra',  interesse anche ai fini della questione che qui si
 solleva - e' stata acquisita dal p.m., ai  sensi  dell'art.  371  del
 c.p.p., al presente procedimento;
      4)  dall'esame  di  quegli  atti  si  ricava  che il Musumeci e'
 accusato di essere esponente di spicco  del  tristemente  noto  "clan
 Musumeci",  operante  da  alcuni  anni  nella  fascia  costiera della
 Toscana, il quale, avvalendosi della condizione di assoggettamento  e
 di omerta' originata dall'abituale ricorso alla violenza da parte dei
 suoi  affiliati,  ha  posto  in  essere  una sistematica attivita' di
 taglieggiamento  soprattutto  ai  danni  dei  titolari  di   pubblici
 esercizi operanti in questa parte della regione;
      5)  sempre  dall'esame  di  quegli  atti si ricava che l'odierno
 indagato, raggiunto da un  provvedimento  di  custodia  cautelare  in
 carcere  emesso  il  18  ottobre  1991 da quel g.i.p., con successivo
 provvedimento in data 11 febbraio 1992 fu scarcerato e collocato agli
 arresti  domiciliari  in  quanto  risultato   affetto   da   A.I.D.S.
 conclamata.
    L'art. 286- bis del c.p.p. pone infatti un indifferenziato divieto
 di  custodia  cautelare  in  carcere  a  carico  di  indagati i quali
 risultino  affetti,  come   appunto   il   Musumeci,   da   "A.I.D.S.
 conclamata".
    Questo  premesso, e venendo ora ai fatti che costituiscono oggetto
 del presente procedimento, si deve ricordare che sono stati  raccolti
 elementi  di  prova, rappresentati da indagini di p.g., dichiarazioni
 di persone informate sui fatti e confessioni di coindagati, che hanno
 illustrato come subito dopo il collocamento agli arresti  domiciliari
 concessogli  dall'a.g.  di  Lucca il Musumeci abbia ripreso a gestire
 una sistematica attivita' estorsiva, stavolta attuata soprattutto  in
 danno  dei  titolari  di alcune case da gioco clandestine operanti su
 Pisa (alcuni dei quali, peraltro, gia' vittime di  pregressi  episodi
 estorsivi  riferibili  sempre all'odierno indagato, per i quali pende
 il citato procedimento lucchese).
    Risulta, in particolare, che gia' in data 20 aprile 1993, e quindi
 ad appena due mesi di distanza dalla sua scarcerazione,  il  Musumeci
 convoco'  presso il suo domicilio i gestori di due di codeste case da
 gioco - che ivi furono casualmente trovati dalla p.g. in occasione di
 un controllo - per imporre  loro  il  pagamento  di  una  determinata
 percentuale sugli incassi settimanali.
    Risulta  altresi' che da allora l'indagato inizio' a riscuotere le
 somme provento della sua attivita' estorsiva servendosi  dell'operato
 di  correi  - quasi tutti sottoposti a custodia cautelare nell'ambito
 del presente procedimento, e confessi - e perfino dell'operato di sua
 moglie, anch'essa affetta da infezione da H.I.V.,  ma  sottoposta,  a
 differenza  del  marito,  a  custodia  cautelare in carcere in quanto
 risultata portatrice di un numero di linfociti T/CD4 compatibile  con
 l'accennata coercitiva.
    Allo  stato,  dunque,  mentre  sono ristretti in carcere i gregari
 dell'organizzazione criminosa facente capo  all'attuale  indagato,  e
 perfino  la  moglie  di  questi, pure affetta da infezione da H.I.V.,
 questo  giudice  e'  impossibilitato,  per  il   divieto   impostogli
 dall'art.  286-  bis del c.p.p., ad adottare a carico del Musumeci un
 provvedimento  cautelare  piu'  grave   di   quello   degli   arresti
 domiciliari,   pur  essendo  dimostrata  per  facta  concludentia  la
 inidoneita' di quest'ultima misura  -  della  quale  l'indagato  gia'
 fruisce,  come  si  e'  visto,  per  disposizione  di altra a.g. - ad
 impedire la prosecuzione dell'attivita' criminosa da parte di costui,
 e pur  essendo  per  altro  verso  dimostrato,  di  nuovo  per  facta
 concludentia,  come le condizioni di salute di questi non siano tanto
 gravi da impedirgli di avviare, organizzare e gestire  un  articolato
 programma  estorsivo  quale  quello emerso nell'ambito della presente
 indagine.
    La rilevanza della questione di costituzionalita'  dell'art.  286-
 bis  del  c.p.p.  che  qui si propone e' agevolmente deducibile dalla
 circostanza che e' esattamente per effetto della norma  in  questione
 che questo giudice e' impossibilitato ad adottare un provvedimento di
 restrizione  carceraria  che il titolo del reato ascritto al Musumeci
 (art. 275 terzo comma  del  c.p.p.)  e  le  esigenze  di  prevenzione
 speciale  in  concreto ravvisabili nel caso di specie (art. 274 lett.
 c) c.p.p.) consiglierebbero altrimenti di emettere.
    Detta questione appare non  manifestamente  infondata  sulla  base
 delle considerazioni che qui di seguito si propongono.
                              IN DIRITTO
    La  questione  della  sottoponibilita'  a  custodia  cautelare  in
 carcere di indagati i quali versino in gravi condizioni di salute  e'
 stata affrontata e risolta in via generale dal legislatore con l'art.
 275,  quarto  comma,  c.p.p. il quale dispone, come e' noto, che "non
 puo' essere disposta la custodia  cautelare  in  carcere,  salvo  che
 sussistano   esigenze  cautelari  di  eccezionale  rilevanza,  quando
 imputata e' ( ..) una persona che si trova in  condizioni  di  salute
 particolarmente  gravi  che non consentono le cure necessarie in caso
 di detenzione".
    Il contemperamento  tra  il  diritto  alla  salute  delle  persone
 indagate  e le esigenze di tutela della collettivita' e' stato dunque
 raggiunto dal legislatore all'insegna di un  duplice  limite:  da  un
 lato  il  divieto  di  custodia  cautelare  in  carcere opera solo in
 presenza di condizioni di salute talmente gravi da non  poter  essere
 efficacemente  curate  in ambiente carcerario; da un altro lato, esso
 e'  comunque  superabile  quando  sussistano  esigenze  cautelari  di
 eccezionale  intensita'  e rilevanza.  E' acquisito in giurisprudenza
 come la norma in questione imponga al  giudice  di  procedere  ad  un
 attento bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco, in modo da
 assicurare  che  quanto  piu'  elevato  sia il livello delle esigenze
 cautelari da realizzare nel  caso  concreto,  correlativamente  tanto
 piu'   gravi   debbano  essere  le  condizioni  di  salute  idonee  a
 giustificare  l'esclusione  della  custodia  in  carcere  (cass.   10
 settembre  1991;  cass.  23 aprile 1992).  La lex generalis affida in
 altre  parole  al  giudice  -  con  una   soluzione   improntata   ad
 incontestabile razionalita' - il compito di valutare, volta per volta
 e  in  concreto,  da  un  lato  il  grado delle esigenze cautelari da
 assicurare in relazione ai reati per i quali si procede, e dall'altro
 lo stato di compromissione delle condizioni di salute  dell'indagato,
 anche  soppesando  prudentemente il riflesso che queste possano avere
 su quelle: nel  senso  che  quando  lo  scadimento  delle  condizioni
 sanitarie dell'indagato sia tale da farne ritenere fortemente ridotta
 la pericolosita', meno gravi possano essere per conseguenza le misure
 limitative  della  sua liberta' personale; e per converso; qualora il
 suo stato di salute si riveli del  tutto  ininfluente  a  scongiurare
 taluno dei pericula indicati dall'art. 274 del c.p.p., legittimamente
 possa  esserne  disposta  la  coercizione cautelare in carcere.  Tale
 generale disciplina e' stata radicalmente derogata - con  riferimento
 alla  speciale  ipotesi  di indagati affetti da infezioni da H.I.V. -
 dall'art. 286- bis del c.p.p. introdotto nell'ordinamento  dal  d.l.
 14  maggio  1993, n. 139, convertito in legge 14 luglio 1993, n. 222.
 Con detta disposizione e' stato introdotto il principio  del  divieto
 della  custodia  cautelare  in  carcere  per  gli indagati affetti da
 infezione  da  H.I.V.  i  quali  versino  in   una   "situazione   di
 incompatibilita'  con  lo  stato di detenzione".   I presupposti e le
 modalita'   di   accertamento   della    predetta    situazione    di
 incompatibilita'  sono  stati  disciplinati  dalla  norma in due modi
 radicalmente distinti:
      1) con l'imposizione di una presunzione  juris  et  de  jure  di
 incompatibilita'  con la custodia cautelare in carcere per i soggetti
 affetti da "A.I.D.S. conclamata" (definita secondo i criteri  dettati
 dalla circolare del Ministero della sanita' 13 febbraio 1987, n. 5) o
 da  "grave  deficienza  immunitaria"  (definita  dalla  presenza  nel
 soggetto di un numero di linfociti T/CD4 pari o inferiore a  100  per
 mmc, giusta le previsioni dell'art. 1, d.m. 25 maggio 1993);
      2)  con  l'affidamento  al giudice del compito di valutarla caso
 per caso nell'ipotesi di "rilevante deficienza immunitaria" (definita
 dalla presenza di linfociti  T/CD4  in  numero  superiore  a  100  ma
 inferiore  a  200 per mmc), tenendo conto in particolare "del periodo
 residuo di custodia cautelare" da subirsi da parte  dell'indagato,  e
 "degli  effetti  che  sulla  pericolosita'  del detenuto hanno le sue
 attuali condizioni fisiche".
    Mentre quest'ultima previsione si muove sostanzialmente,  come  si
 vede,  nell'alveo  della  disciplina  generale dettata dall'art. 275,
 quarto comma, del c.p.p., merita invece piu'  attenta  considerazione
 la  prima  parte  della  norma in esame, che e' d'altronde quella che
 rileva in concreto nel caso oggetto del presente provvedimento.
    Con  essa   e'   stato   infatti   introdotto   un   assoluto   ed
 indifferenziato   divieto   di   custodia  cautelare  in  carcere  in
 connessione a situazioni di fatto (patologia da A.I.D.S. conclamata o
 deficit immunitario grave, definito dal numero  di  linfociti  T/CD4)
 ritenute  juris  et  de jure significative di incompatibilita' con lo
 stato di carcerazione.  Tale indifferenziato divieto preclude  dunque
 al  giudice di operare sia quel bilanciamento tra diritto alla salute
 della persona indagata ed esigenze di tutela della collettivita'  che
 si  e'  visto essere imposto dall'art. 275, quarto comma, del c.p.p.,
 sia - che e' accertamento  sostanzialmente  non  dissimile  -  quella
 valutazione  circa  gli "effetti che sulla pericolosita' del detenuto
 hanno le sue attuali condizioni fisiche" prevista per le  forme  meno
 gravi  di  infezione  da  H.I.V.  dall'art. 286- bis del c.p.p.  Ora,
 mentre nessuna censura potrebbe essere mossa  alla  disposizione  che
 qui  si  denuncia  qualora le situazioni di fatto da essa considerate
 fossero effettivamente rivelatrici di assoluta  incompatibilita'  con
 lo  stato di carcerazione (intesa, da un lato, come impossibilita' di
 cura in  ambiente  carcerario,  e  dall'altro  come  riduzione  della
 pericolosita'  dell'indagato  in  relazione  alle  sue  condizioni di
 salute),  sorgono  invece  seri  motivi  di  perplessita'  quando  si
 rifletta  sul  fatto  che  la  patologia  da A.I.D.S. conclamata o il
 deficit immunitario espresso dal numero di linfociti T/CD4 nel sangue
 non sono, di per loro, necessariamente produttivi  delle  conseguenze
 che da essi si pretende, juris et de jure, di inferire.
    Si  deve  infatti  ritenere  che,  ai fini della valutazione delle
 reali condizioni di salute di un soggetto  affetto  da  infezione  da
 H.I.V.  abbiano  rilievo, piu' che il dato - tutto sommato astratto -
 del numero di linfociti T/CD4 presenti nel  plasma,  e  piu'  che  la
 presenza di una qualsiasi delle infezioni opportuniste previste dalla
 circolare  del  Ministero  della  sanita'  13 febbraio 1987, n. 5, la
 natura, la localizzazione, la gravita' di queste ultime: ben  potendo
 darsi  che un soggetto con un patrimonio immunitario inferiore ai 100
 T/CD4 mmc o portatore di una non grave infezione opportunista goda di
 fatto di uno stato  di  relativo  benessere  tale,  da  un  lato,  da
 renderne  possibile un adeguato trattamento in ambiente carcerario, e
 da altro lato da non sminuirne significativamente la pericolosita'.
    Il caso oggetto del presente procedimento  offre  una  convincente
 esemplificazione dell'assunto che qui si sostiene. Musumeci Silvio e'
 si' affetto da patologia da A.I.D.S. conclamata. Ma le sue condizioni
 di  salute  non  gli hanno impedito di riprendere, dal suo domicilio,
 una nuova serie di  attivita'  estorsive,  in  parte  dirette  contro
 soggetti  gia'  vittime  di  analoghe  sue  coartazioni  criminose in
 passato.  Risulta  per  altro  verso  che  attualmente  le   esigenze
 terapeutiche  dell'indagato  sono  adeguatamente  soddisfatte da cure
 domiciliari accoppiate  a  saltuarie  traduzioni  presso  un  reparto
 ospedaliero  di  malattie  infettive,  il  che  rende evidente che le
 stesse   potrebbero   altrettanto,   e   forse    addirittura    piu'
 adeguatamente, essere soddisfatte presso un centro clinico carcerario
 attrezzato, con eventuali brevi periodi di ricovero esterno.
    Le disposizioni dettate in parte qua dall'art. 286- bis del c.p.p.
 appaiono  dunque  costituzionalmente censurabili da due diversi punti
 di vista.
    Innanzitutto  nell'ottica  della  violazione  del   principio   di
 uguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione.  Tale violazione e'
 ravvisabile sia in raffronto alla disciplina generale dettata, per le
 persone  che  versino  in  gravi condizioni di salute, dall'art. 275,
 quarto comma, del c.p.p., sia in relazione alla  speciale  disciplina
 prevista  dallo  stesso  art.  286- bis del c.p.p. per la particolare
 fattispecie della "rilevante deficienza immunitaria" da infezione  da
 H.I.V.    In ordine al primo punto si deve ritenere che sia del tutto
 ingiustificato, perche' privo di qualsiasi fondamento  sia  sanitario
 che  criminologico, il diverso trattamento riservato agli ammalati di
 A.I.D.S. conclamata o da  grave  deficienza  immunitaria  rispetto  a
 quello  previsto  per  la generalita' degli indagati affetti da altre
 gravi patologie. Mentre questi ultimi,  come  si  e'  visto,  possono
 essere  sottoposti a custodia cautelare in carcere previa valutazione
 dell'intensita' delle esigenze cautelari sussistenti a  loro  carico,
 che   in   casi  limite  puo'  addirittura  prevalere  sull'accertata
 incompatibilita' con lo stato  detentivo,  i  primi  non  possono  in
 nessun  caso  essere  sottoposti a detta misura, senza alcun riguardo
 ne'  per  la  loro  effettiva  pericolosita' ne' per le loro concrete
 condizioni di salute.
    Il  che  appare,  come  si  accennava,  del   tutto   illogico   e
 ingiustificato,   atteso  il  fatto  che  gli  ammalati  di  A.I.D.S.
 conclamata (e il Musumeci ne e' l'esemplificazione) possono  trovarsi
 in  concreto,  sul  piano delle esigenze cautelari formulabili a loro
 carico e delle necessita' terapeutiche da  soddisfare,  in  posizione
 non  deteriore  rispetto  a  quella  di  altri  indagati  affetti  da
 patologie altrettanto gravi ed irreversibili.
    Un  secondo  profilo   di   disparita'   di   trattamento   appare
 ravvisabile,  all'interno  dello  stesso  art.  286-  bis del c.p.p.,
 rispetto  alla  disciplina  prevista  per  gli  indagati  affetti  da
 "deficienza immunitaria rilevante", definita, come si e' visto, da un
 determinato livello convenzionale (piu' di 100 e meno di 200 per mmc)
 di  linfociti  T/CD4 nel plasma. Anche questi soggetti possono essere
 infatti  sottoposti  a  custodia   cautelare   in   carcere,   previa
 valutazione  del  "periodo  residuo"  di  custodia da subire e "degli
 effetti che sulla pericolosita' del detenuto  hanno  le  sue  attuali
 condizioni fisiche".
    Tale  disposizione  appare anch'essa in stridente ed irragionevole
 contrasto con l'assoluto  divieto  di  carcerazione  previsto,  senza
 alcun  riguardo  per  le  loro  effettive condizioni personali, per i
 soggetti  affetti  da  A.I.D.S.  conclamata  o  deficit   immunitario
 "grave",  non  avendo  alcun  fondamento, ne' logico ne' scientifico,
 l'idea - evidentemente assunta dal legislatore  a  linea  ispiratrice
 del  suo  intervento  -  che  un  numero  di  linfociti T/CD4 di poco
 superiore  o  inferiore  a  100   possa   tracciare   un   discrimine
 attendibile,  sul  piano  delle esigenze cautelari e delle necessita'
 terapeutiche, tra due categorie di ammalati in vista dei  trattamenti
 custodiali radicalmente differenziati previsti per costoro.
    La concreta fattispecie sottoposta a questo Giudice offre di nuovo
 una  convincente  esemplificazione  dell'assunto  qui  svolto:  si e'
 infatti gia' visto come,  in  applicazione  dell'art.  286-  bis  del
 c.p.p.  (e  dell'art.  275,  terzo  comma,  del c.p.p.), abbia dovuto
 essere disposta la custodia  cautelare  in  carcere  a  carico  della
 moglie del Musumeci, pure essa affetta da infezione da H.I.V., ma con
 un  patrimonio immunitario ancora compatibile coi limiti previsti dal
 d.-m. 25 maggio 1993. E' doveroso chiederci allora quale senso logico
 abbia che debba essere sottoposta a  custodia  cautelare  in  carcere
 un'indagata  in posizione chiaramente marginale rispetto a quella del
 marito, laddove e' invece precluso ex lege  ogni  accertamento  delle
 condizioni   di   questi,  pure  chiaramente  portatore  di  esigenze
 terapeutiche sostanzialmente non dissimili da quelle  di  costei,  ma
 dotato di una pericolosita' sociale incomparabilmente maggiore.
    Un   secondo   profilo   di  incostituzionalita'  della  norma  e'
 ravvisabile in rapporto all'art. 2 della Costituzione nella parte  in
 cui  riconosce  e  garantisce  i diritti inviolabili dell'uomo, tra i
 quali deve essere  sicuramente  ricompreso  anche  quello  di  essere
 tutelato di fronte a chi compia atti di aggressione criminale a danno
 dei propri interessi e diritti.
    L'art.  286-  bis  del  c.p.p.,  nella  parte che qui si denuncia,
 comporta  invece  un'inesplicabile  compressione  delle  esigenze  di
 tutela  della  collettivita'  che  viene privata dell'unico strumento
 cautelare  idoneo  ad  impedire   la   protrazione   o   la   ripresa
 dell'attivita'  criminosa  da  parte  di  una  categoria  di soggetti
 (affetti da A.I.D.S. conclamata o da  deficit  immunitario  grave)  a
 favore  della  quale  si  e' in certo modo ritagliata una sostanziale
 "licenza di delinquere".   Vero e' che deve  essere  riconosciuto  al
 legislatore  uno spazio di discrezionalita' nel contemperare tra loro
 il diritto alla salute degli indagati con il diritto  alla  sicurezza
 del resto dei consociati: ma tale spazio di discrezionalita' in tanto
 puo'   essere  ritenuto  legittimo  in  quanto  esercitato  in  forme
 comprensibili e razionalmente giustificabili.  Il che non  e'  quanto
 avvenuto  nel  caso  concreto,  posto  che la scelta di campo operata
 dalla norma in favore di uno solo degli interessi in  gioco  trascura
 irragionevolmente di considerare che soggetti in condizioni sanitarie
 quali quelle considerate dall'art.  286- bis possono essere tuttavia,
 al  di  la' di una fictio legis che ha nella sostanza il valore di un
 esercizio di wishful thinking (credere vero qualcosa  perche'  lo  si
 desidera  intensamente), ancora capaci di ledere gravemente i diritti
 della collettivita' e dei singoli, senza che per altro verso sussista
 necessariamente un'impossibilita' al  loro  trattamento  in  ambiente
 carcerario.
    Impedire  al  giudice di valutare in concreto la sussistenza delle
 circostanze suaccennate  ai  fini  delle  decisioni  sullo  stato  di
 liberta'   degli   indagati   significa  dunque  far  scontare  dalla
 collettivita' il peso di una presunzione legislativa che,  nella  sua
 insindacabilita'  e  assolutezza,  appare lontana dalla verita' delle
 cose.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p. nella parte
 in cui prevede il divieto della custodia  cautelare  in  carcere  nei
 confronti  di  soggetti  affetti  da  A.I.D.S.  conclamata o da grave
 deficienza immunitaria, in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma,
 della Costituzione;
    Sospende la decisione sulla richiesta di provvedimento cautelare a
 carico di Musumeci Silvio;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Ordina  la  notifica  della  presente  ordinanza al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  alla  procura  generale  presso  la  corte
 d'appello  di  Firenze  e  all'indagato,  e  la  sua comunicazione ai
 Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.
      Pisa, addi' 24 gennaio 1994
           Il giudice per le indagini preliminari: SALUTINI

 94C0299