N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 dicembre 1993
N. 144 Ordinanza emessa il 22 dicembre 1993 dal tribunale di Verona sul reclamo proposto da S.p.a. pastificio Rana nei confronti di Guarienti Guglielmo Processo civile - Procedimenti cautelari - Reclamo avverso l'ordinanza di rigetto - Omessa previsione - Impossibilita' di riproporre la domanda rebus sic stantibus - Lamentata disparita' di trattamento rispetto alle ordinanze di accoglimento per le quali e' previsto il reclamo - Compressione del diritto di difesa. (C.P.C., art. 669-terdecies, primo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.13 del 23-3-1994 )
IL TRIBUNALE Oggetto: Reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies del c.p.c. Nel procedimeno di cui al reclamo ex art. 669-terdecies del c.p.c. promosso da pastificio Rana S.p.a. in persona di Rana Giovanni con gli avv.ti Sergio Mancini e prof. Claudio Consolo, giusto mandato in calce al ricorso per sequestro giudiziario 10 agosto 1993 reclamante, nei confronti di Guarienti Gugliemo con gli avv.ti Enrico Caccella di Verona e Sergio Camerino di Venezia per mandato a margine della comparsa di primo grado convenuto, avverso l'ordinanza 8 novembre 1993 di rigetto della domanda di sequestro giudiziario proposto nei confronti di Guglielmo Guarienti nella causa civile pendente avanti il trib. di Verona (g.i. dott. Carmelo Sigilli) fra: Agostino e Guariente Guarienti di Brenzone, attori, avv.ti Righetti Luigi di Verona ed Ernesto Ferettini di Brescia); Guglielmo Guarienti di Brenzone, conventuto, (avv.ti Enrico Cascella di Verona e Sergio Camerino di Venezia); pastificio Rana S.p.a., intervenuta, (avv.ti Sergio Mancini e prof. Claudio Consolo). CONCLUSIONI Reclamante: Si chiede la riforma dell'ordinanza cautelare reclamata, previa rimessione alla Consulta della questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 669-terdecies del c.p.c. per la parte in cui sembra escludere la reclamabilita' dei dinieghi di tutela cautelare. Convenuto: Si chiede percio' il rigetto del reclamo avversario e la condanna del reclamante alla rifusione delle spese e degli onorari di causa. Attori: Si chiede il rigetto del reclamo. Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 gennaio 1948, n. 1, e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per i seguenti MOTIVI 1. - Con ricorso ex art. 700 del c.p.c. in data 10 agosto 1993, formulato nell'ambito del giudizio promosso da Guarienti Agostino e Guarienti Guariente contro Guarienti Guglielmo in funzione della condanna di quest'ultimo all'adempimento del contratto a suo tempo intercorso fra le parti in ordine alla cessione di alcuni beni immobili siti in comune di Garda, localita' San Vigilio, e nel corso del quale la stessa societa' ricorrente era intervenuta ex art. 105 del c.p.c. chiedendo il rigetto delle domande attoree e la condanna del convenuto anzi citato a trasferire la proprieta' dei medesimi immobili ex art. 2932 del c.c., il pastificio Rana S.p.a. formulava richiesta al giudice istruttore di disporre il sequestro giudiziario dei beni oggetto di causa, stante per l'appunto il conflitto fra le varie parti del giudizio sussistente in ordine alla proprieta' di essi. Disposta la comparizione delle parti, con ordinanza 8 novembre 1993 il giudice istruttore rigettava il ricorso, in via principale adducendo la carenza dell'indispensabile nesso strumentale fra la domanda cautelare e quelle di merito, non concernenti queste ultime il rilascio degli immobili oggetto dei dedotti contratti preliminari. Avverso tale ordinanza proponeva reclamo al tribunale il pastificio Rana S.p.a., ai sensi dell'art. 669-terdecies del c.p.c., in primo luogo sostenendone l'ammissibilita' "per la illegittimita' alla soluzione differenziata secundum eventum litis emergente dalla previsione normativa in questione (tale rimedio essendo infatti previsto avverso i soli provvedimenti di accoglimento delle domande cautelari e non invece contro quelli di rigetto di esse), quale per l'appunto ritenuta idonea ad esporre la norma stessa, sullo specifico punto, a censura di illegittimita' costituzionale in relazione agli artt. 3 e 24 Costituzione, e nel merito insistendo nelle proprie domande. Concludeva quindi la medesima chiedendo la riforma dell'impugnata ordinanza, previa rimessione alla Consulta della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 669-terdecies del c.p.c. per la parte in cui escluderebbe la reclamabilita' dei provvedimenti di diniego della tutela cautelare. Disposta la comparizione delle parti, all'udienza 10 dicembre 1993 il convenuto e gli attori rimarcavano l'improponibilita' e/o inammissibilita' del reclamo, ai sensi per l'appunto dell'art. 669-terdecies del c.p.c. al contempo contestando gli attori la fondatezza delle censure d'incostituzionalita' avanzate dalla societa' ricorrente, e cio' in relazione sia all'art. 3 che all'art. 24 della Costituzione. Raccolte le deduzioni delle parti, il tribunale si riservava infine di decidere. 2. - Cio' premesso, e tali deduzioni valutate, e' dell'avviso il Collegio di dover dichiarare la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' del pastificio Rana S.p.a sollevata. La quale invero si prospetta innanzitutto rilevante in relazione alla decisione del presente reclamo, posto che, come e' pacifico, soltanto una favorevole definizione di essa, con conseguente pronunzia di illegittimita' costituzionale dell'art. 669-terdecies del c.p.c., limitata alla parte contestata, consentirebbe al Tribunale di poter passare alla valutazione nel merito delle doglianze della societa' anzidetta, e quindi anche di procedere all'eventuale riforma dell'ordinanza 8 novembre 1993 del giudice istruttore. Per quanto attiene invece alla serieta' "della questione, e' utile ricordare come sin dalla pubblicazione della legge 26 novembre 1990, n. 353 (provvedimenti urgenti per il processo civile), con specifico riferimento alla parte di essa mirata alla razionalizzazione della precedente normativa in tema di procedimento cautelare, la previsione di cui all'art. 669-terdecies del c.p.c. abbia suscitato fra gli studiosi della materia reazioni generalmente negative, per l'appunto connesse alle strutturali limitazioni del nuovo istituto del reclamo ed ai possibili profili di incostituzionalita' in esse ravvisabili. Si e' invero espressa la dottrina sul punto, a titolo esemplificativo, nel senso ora di "arbitraria e irragionevole discriminazione fra le ipotesi previste negli artt. 669-septies e 669-octies, con riferimento al regime del reclamo istituito nell'art. 669-terdecies" (Tarzia), ora di perplessita' in ordine all'istituzione di un controllo limitato alle sole ordinanze che concedono i provvedimenti cautelari, da cui scaturirebbe il dilemma fra un'interpretazione della norma idonea ad estenderne la portata anche ai provvedimenti negativi e la decisione invece di sollevare il problema di costituzionalita' del riduttivo disposto di essa (Saletti), ora di limitazione non del tutto persuasiva, potendo anche il rigetto della domanda cautelare creare quell'assetto irreversibile di interessi per la cui tutela e' stato predispsoto il reclamo (Olivieri), ora di ingiustificata sperequazione fra le posizioni del resistente e del richiedente, per l'appunto connessa all'introdotta previsione di un cd. gravame secundum eventum litis (Consolo), ora infine di violazione della partia' di armi tra i contendenti garantita dall'art. 24 della Costituzione, con conseguente disparita' di trattamento tra situazioni identiche non giustificabile ex art. 3 Costituzione. Sulla falsariga di siffatte posizioni si e' poi recentemente schierato il tribunale di Bologna con la propria ordinanza 21 luglio 1993 con la quale, sull'affermazione che la previsione di un siffatto reclamo secundum eventum litis introdurrebbe "una compressione del principio di parita' delle parti di un procedimento cautelare talche' l'art. 669-terdecies, primo comma del c.p.c. appare in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione", ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma de qua. Su posizioni distinte e contrapposte risultano invece a oggi schierati in campo dottrinale il Proto Pisani, il quale ritiene giustificata sul piano costituzionale la non reclamabilita' del provvedimento negativo in quanto finalizzata a soddisfare un'esigenza interna di funzionalita' del processo, ponendo di fatto essa un limite alla proliferazione dei reclami, ed in campo giurisprudenziale il tribunale di Padova (V. ord. 18 giungo 1993), favorevole a far rientrare nella sfera di discrezionalita' del legislatore ordinario ogni scelta su modalita' e limiti di assoggettamento a reclamo dei provvedimenti emessi in tema di misure cautelari, essendosi nella fattispecie in presenza di posizioni diseguali e quindi passibili di non coincidente tutela processuale, nei limiti peraltro sempre della necessaria ragionevolezza. Orbene la stessa sussistenza di un siffatto serrato dibattito sull'argomento appare al tribunale, benche' propenso a condividere il formulato giudizio di legittimita' costituzionale della norma contestata, circostanza di per se' idonea a giustificare l'iniziativa dalla stessa societa' reclamante sollecitata. Non necessariamente infatti il giudizio di fondatezza di una norma deve porsi come preclusivo alla pronunzia di non manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalita' di essa, e cio' soprattutto avuto riguardo alla circostanza che il sistema previsto dalla legge costituzionale n. 1 del 1948 (che definisce i capisaldi della materia) appare improntato ad un sostanziale favore sul promovimento delle questioni di costituzionalita', le quali devono infatti essere rimesse alla Consulta quando risultino non manifestamente infondate e non invece quando appaiano fondate, e quindi in tutti i casi in cui nell'applicazione di una determinata norma nascano dubbi sulla costituzionalita' di essa, e non riesca il giudice a motivare il proprio convincimento su questa ultima in modo pieno e del tutto convincente. Per l'appunto applicato al caso in esame un siffatto principio ritiene a questo punto il tribunale che vi siano le condizioni per sollecitare l'intervento della Consulta sulla materia oggetto di controversia, non potendosi negare esser essa, se non permeata, quantomeno lambita da sufficienti margini di dubbio, intimamente correlati, piu' che al contenuto in se' dell'art. 669-terdecies del c.p.c., alle conseguenze pratiche di esso nel contesto di un sistema caratterizzato, nell'ipotesi specifica di provvedimenti di rigetto dell'istanza cautelare, da una sorta di giudicato sul punto, quale a sua volta collegato all'impossibilita' per la parte interessata di ripresentare l'istanza stessa in assenza di mutamento delle cirostanze di fatto e di diritto poste alla base di essa ( ex art. 669-septies del c.p.c.). Ne' la dedotta intrinseca debolezza di un siffatto meccanismo preclusivo (coprendo l'accertamento del giudice adito solo il dedotto e non anche il deducibile, e attesa altresi' l'ampiezza dello ius novorum concesso dalla norma) puo' pienamente rassicurare sulla sostanziale parita' di tutela, costituzionalmente garantita, dal legislatore assicurata con la legge n. 353/1990 alle due parti del procedimento cautelare. Indifferente dovendo invero risultare al sistema il contenuto del provvedimento emesso dal giudice (e cioe' di accoglimento o di rigetto di un'istanza), e solo dovendosi avere riguardo, ai fini della concreta verifica del realizzarsi di una lesione dell'anzidetto diritto costituzionale di paritaria difesa, alla possibilita' per le parti in contesa di porre in qualche modo rimedio allo specifico assetto di interessi da detto provvedimento determinato, non chiaramente infondato appare il dubbio che la parte la quale abbia visto rigettare la propria domanda di misura cautelare si venga di fatto a trovare, per l'impossibilita' di dolersi con altro Giudice della asserita erronea valutazione delle proprie ragioni ed al contempo di riformulare l'istanza se non mutandone l'impostazione (se e quanto cio' fosse possibile), in una situazione di sostanziale disparita' di trattamento rispetto alla parte che invece, in caso di accoglimento dell'istanza anzidetta, si vede riconosciuta la possibilita' di prontamente reagire alla situazione determinata dal provvedimento positivo del giudice, e di dolersi quindi di decisioni ritenute ingiuste, e cio' in virtu' per l'appunto della introdotta previsione, piu' che di un doppio grado di giudizio, della ripetuta valutazione della sussistenza delle condizioni dalla legge fissate per la concessione della chiesta misura cautelare. Dal momento infine che, qualora ravvisata nella fattispecie, una simile disparita' di trattmento fra le parti (una sola delle quali penalizzata da una situazione di stabile negazione di tutela nel tempo atta a realizzare una lesione di fatto del diritto costituzionale di difesa) si porrebbe in evidente contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, non rimane al tribunale che decidere per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ai fini della risoluzione della questione di legittimita' del citato art. 669-terdecies, primo comma del c.p.c. con conseguente sospensione del procedimento di reclamo.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 669-terdecies, primo comma, del c.p.c., in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la possibilita' del reclamo avverso il provvedimento di diniego della misura cautelare; Sospende il procedimento in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza venga notificata, a cura della cancelleria, alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che venga comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato. Verona, addi' 22 dicembre 1993 Il presidente: CHIMENZ 94C0300