N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio 1994

                                N. 163
 Ordinanza  emessa  il  26  gennaio  1994 dal tribunale di Venezia nel
 procedimento di riesame nei confronti di Santoro Antonio
 Processo penale - Procedimenti in corso al momento dell'entrata in
    vigore  del  nuovo  codice  -  Norme  transitorie  -  Riesame   di
    provvedimento   di   misura   coercitiva  -  Applicabilita'  della
    procedura prevista dall'art.  309  del  c.p.p.  1988  (deposito  e
    pubblicita'  degli  atti)  -  Omessa  previsione  -  Irragionevole
    disparita' di trattamento con compressione del diritto di difesa -
    Eccesso di delega - Richiamo alla sentenza n. 68/1991).
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, artt. 245 e 250).
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 76; legge 16 novembre 1987, n.
    81, art. 6).
(GU n.14 del 30-3-1994 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'istanza presentata il 21
 gennaio 1994 da Santoro Antonio, nato a Orta Nova il 6 novembre  1934
 (imp.  n.  37),  imputato:  15)  associazione per delinquere, fino al
 settembre 1982; 16) associazione per delinquere  di  stampo  mafioso,
 fino al novembre 1986; di riesame del mandato di cattura n. 1/93, (n.
 20/87  r.g.), emesso dal giudice istruttore del Tribunale di Venezia,
 in data 23 dicembre 1993; atti pervenuti il 20 gennaio 1994;
    Rilevato che il difensore non ha chiesto di intervenire in  camera
 di consiglio ai sensi dell'art. 263-ter, sesto comma, del c.p.p.;
    A  scioglimento della riserva formulata nella predetta udienza del
 24 gennaio 1994;
    Ritenuto che la richiesta e' ammissibile, perche'  presentata  nei
 termini e con le forme previste dall'art. 263- bis del c.p.p.;
                             O S S E R V A
    Il procedimento penale n. 20/87  r.g.  nel  cui  ambito  e'  stato
 emesso  il  mandato  di  cattura impugnato, prosegue con le norme del
 codice anteriormente vigente, ai sensi dell'art.  242,  primo  comma,
 lett. c), dosp. trans.
    Ritiene   la  giurisprudenza,  e  il  collegio  non  dubita  della
 correttezza  di  tale  interpretazione,  che  nei  procedimenti   che
 proseguono  con le norme del codice abrogato, tali norme si applicano
 anche ai procedimenti incidentali  relativi  ai  provvedimenti  sulla
 liberta' personale adottati in epoca successiva all'entrata in vigore
 del   nuovo   codice,   in  quanto,  ai  sensi  dell'art.  250  delle
 disposizioni  transitorie  d.l.  28  luglio   1989,   n.   271,   le
 disposizioni del nuovo codice ivi richiamate derogano alla precedente
 disciplina  solo  per la parte richiamata, e dunque solo per cio' che
 concerne i presupposti "sostanziali" della custodia  cautelare  (cfr.
 Cass. sez. II, 25 gennaio 1990, Hernandez, in Cass. pen. 1990, II, p.
 98,  n.  44);  analogamente,  l'art.  245  disp. trans. non comprende
 l'art. 309 tra le norme di immediata vigenza anche  nei  procedimenti
 che proseguono col codice del 1930.
    La  richiesta  di  riesame di cui in epigrafe, va, in conclusione,
 esaminata con le forme degli artt. 263- bis e ter  del  c.p.p.  1930,
 ovvero  con  l'intervento  meramente  facoltativo  del difensore alla
 camera di consiglio, e, soprattutto, senza il previo  deposito  degli
 atti  sui  quali la misura coercitiva (rectius il mandato di cattura)
 si fonda, in cancelleria, a disposizione  delle  parti.  Nel  sistema
 previgente,  infatti,  alla assoluta segretezza degli atti istruttori
 non poteva derogarsi se  non  nei  casi  espressamente  consentiti  e
 poiche'  gli  artt. 263- bis e ter non prevedevano il previo deposito
 degli atti, il deposito non poteva che ritenersi vietato, (cfr. Cass.
 sez. I, 28 febbraio 1983, Ferreri).
    Va, dunque, preliminarmente esaminata, d'ufficio,  l'eccezione  di
 incostituzionalita'  degli  artt.  245  e  250  delle disposizioni di
 attuazione del vigente c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non  prevedono
 l'applicabilita'  dell'art. 309 del c.p.p. 1988 (per il quale va dato
 avviso dell'udienza in camera di  consiglio  al  difensore  d'ufficio
 dell'imputato  che  non  ne  abbia  uno,  ex art. 127 del c.p.p., col
 deposito degli atti, in cancelleria, a disposizione delle parti, fino
 al giorno dell'udienza), nei procedimenti che proseguono  col  codice
 abrogato.
    Il  tribunale  ritiene  tale questione, sollevata dalla difesa nei
 procedimenti di riesame dei coimputati Moretti, Suffre', Burotti,  La
 Rosa  Vincenzo,  Marzari e Ceccagnoli, rilevante e non manifestamente
 infondata per contrasto con gli artt. 3,  24,  secondo  comma,  e  76
 della Costituzione.
   E'  evidente  che  la  procedura  degli artt. 263- bis e ter c.p.p.
 abrogato viola il diritto di difesa, che deve essere effettivo e  non
 meramente  formale,  laddove  prevedono,  si',  la partecipazione del
 difensore, ma impediscono l'effettivo esercizio, ovvero il diritto di
 difendersi confutando cio' che si conosce e provando il contrario  di
 cio' che si conosce.
    La   distinzione,  poi,  che  si  viene  a  creare  tra  imputati,
 sottoposti a misura  cautelare  in  data  successiva  all'entrata  in
 vigore  del  codice,  per  i  quali  i  procedimenti  di riesame sono
 regolati  appunto,  dal  codice  vigente  (nel  principio  del  pieno
 contraddittorio tra le parti) e quelli per i quali il procedimento di
 riesame   e'   regolato   con   il   rito   previgente,   (quando  il
 contraddittorio,  attesa  la  segretezza  degli  atti,  e'  meramente
 formale),  e'  irragionevole  e  crea  ingiustificate  disparita'  di
 trattamento.
    Sia perche' e' dovuta al solo  dato  occasionale  dell'inserimento
 della  misura  in un procedimento pendente con le norme del "vecchio"
 rito, per ragioni di connessione, per di piu' in regime di prorogatio
 asseritamente eccezionale, ma di fatto soggetta a reiterate proroghe,
 l'ultima  delle  quali con scadenza al 31 dicembre 1994, sia perche',
 avendo l'art. 250 delle disp. trans. resi immediatamente  applicabili
 le  norme  del nuovo rito che prevedono le condizioni e i casi in cui
 possono applicarsi le misure, non v'e' ragione che il procedimento di
 riesame continui, invece,  ad  essere  disciplinato  dalla  normativa
 precedente.
    inoltre,  la conservazione della disciplina degli artt. 263- bis e
 ter del c.p.p.  1930,  appare  incostituzionale  anche  in  relazione
 all'art. 76 della Costituzione.
    Come ha insegnato, infatti, la stessa Corte costituzionale, con la
 sentenza  8  febbraio  1991, n. 68, "il completo silenzio dell'art. 6
 della legge delega, quanto a principi e criteri  direttivi  non  puo'
 intendersi  ..  alla  stregua  di  una  indiscriminata  rimessione al
 legislatore delegato dell'apprezzamento del se e del come raccordare"
 gli istituti gia'  esistenti  alle  norme  del  nuovo  codice:  "tale
 silenzio - prosegue la Corte costituzionale - va, invece, inteso come
 tacito rinvio ai principi ed ai criteri di cui all'art. 2 della legge
 delega, nel senso che le norme di coordinamento non debbono mai porsi
 in contrasto con tali principi e criteri, proprio perche' l'esercizio
 di  una  delega volta a coordinare il codice con le altre leggi dello
 Stato non puo' spingersi fino al punto di aggirare uno dei principi e
 criteri su cui il codice e' stato costruito".
    Nel caso  di  specie,  il  legislatore  delegato  nell'emanare  le
 disposizioni   transitorie,  nel  silenzio  della  legge  delega,  ha
 previsto la sopravvivenza di norme abrogate, gli  artt.  263-  bis  e
 ter,  incompatibili  coi  principi regolatori del nuovo codice che ha
 sancito, nell'art. 309, il pieno contraddittorio tra le parti,  anche
 nel procedimento di riesame.
    La  questione  e'  rilevante,  poiche'  il  tribunale  si  trova a
 decidere in camera di consiglio, senza che sia stato dato  avviso  al
 difensore  d'ufficio,  se  l'imputato  non ne avesse nominato uno, e,
 soprattutto,  senza  che  gli  atti   siano   stati   depositati   in
 cancelleria,  a  disposizione  delle parti, ovvero della difesa, che,
 volendo, avrebbe potuto esaminarli. L'accoglimento della questione di
 costituzionalita' consentirebbe di fissare la nuova udienza in camera
 di consiglio, per l'esame, nel merito,  dei  ricorsi,  con  le  forme
 dell'art. 309 del c.p.p.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 245 e 250 del d.l. 28 luglio
 1989, n. 271, in relazione agli artt. 3,  24,  secondo  comma,  e  76
 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'applicabilita'
 dell'art. 309, del vigente c.p.p. nei procedimenti in corso alla data
 di  entrata  in  vigore del codice, che proseguono con l'applicazione
 delle norme anteriormente vigenti;
    Sospende il procedimento di riesame,  fino  alla  definizione  del
 giudizio incidentale di costituzionalita';
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti, alla Corte costituzionale e
 manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione   alle   parti   del
 procedimento  e  al  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e per la
 comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato.
      Venezia, addi' 26 gennaio 1994
                       Il presidente: SALVARANI
                                          Il giudice relatore: GALASSO
 94C0319