N. 26 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 marzo 1994

                                 N. 26
 Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 15 marzo 1994 (della regione Emilia-Romagna)
 Porti e spiagge - Riordino della legislazione in materia portuale -
    Attribuzione alle regioni del compito di realizzare opere portuali
    e  gestionali  senza statuizione in favore delle regioni stesse di
    alcuna entrata  corrispondente  -  Attribuzione  al  Ministro  dei
    trasporti  del  potere  di  determinare con proprio decreto, anche
    inaudite le regioni, le caratteristiche dimensionali,  tipologiche
    e  funzionali  anche  di porti meramente turistici o di pesca e di
    individuare gli scali propri di ogni  categoria  -  Sottoposizione
    degli   interventi  da  attuarsi  dalle  regioni  a  direttive  di
    coordinamento  del  Ministro  stesso  -  Esclusione  di  qualsiasi
    competenza  regionale  per  la  concessione  di  aree e banchine -
    Previsione del versamento allo Stato del cinquanta per  cento  del
    gettito  della tassa sulle merci sbarcate - Lesione dell'autonomia
    finanziaria della regione nonche' della  competenza  regionale  in
    materia di turismo e pesca.
 (Legge 28 gennaio 1994, n. 84, artt. 4, quarto comma; 5, sesto,
    ottavo  e undicesimo comma; 13, primo comma, lettere a) e d); 18 e
    28).
 (Cost., artt. 117, 118, 119 e 81).
(GU n.14 del 30-3-1994 )
   Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in  persona  del  presidente
 della  Giunta  regionale  pro-tempore,  autorizzato con deliberazione
 della giunta regionale n. 499  del  1  marzo  1994,  rappresentata  e
 difesa,  come  da  mandato rogato dal notaio dott. Federico Stame del
 Collegio notarile di Bologna il 4 marzo 1994, rep. n.  36.119,  dagli
 avvocati  Giandomenico  Falcon  di  Padova e Luigi Manzi di Roma, con
 domicilio eletto in Roma presso  lo  stesso  avv.  Luigi  Manzi,  via
 Confalonieri,  5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per
 la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  della legge 28
 gennaio 1994, n. 84, recante "riordino della legislazione in  materia
 portuale"  (pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 28 s.u., del 4
 febbraio 1994), con riferimento agli artt. 5, ottavo e  sesto  comma,
 nonche'  13,  primo  comma, lett. d) (anche in connessione con l'art.
 28); 4, quarto comma; 5, undicesimo comma;  18  e  13,  primo  comma,
 lett.  a);  28,  per  violazione degli artt. 117, 118, 119 e 81 della
 Costituzione.
                               F A T T O
    La legge 28 gennaio 1994, n. 84, reca "riordino della legislazione
 in materia portuale": Si tratta di una legge attesa, che  supera  una
 precedente  disciplina oramai inadeguata, la quale pur muovendosi nel
 quadro dell'attuale riparto costituzionale di competenze tra Stato  e
 regioni, presenta anche aspetti positivi.
    Cio'  non  toglie  tuttavia  che la stessa legge risulti in taluni
 suoi  punti  lesiva  delle  prerogative  della  regione,  cosi'  come
 determinata  dalla  Costituzione  e  dalle  leggi  attuative,  ed  in
 particolare dal d.P.R. n. 616/1977.
    In particolare  essa  innanzitutto  lede  l'autonomia  finanziaria
 regionale  e  lo stesso equilibrio del bilancio regionale, addossando
 alla regione rilevanti oneri sia di realizzazione di  opere  portuali
 sia  gestionali,  senza  statuire in suo favore alcuna corrispondente
 entrata (come emerge in particolare dagli artt. 5, ottavo comma;  13,
 primo comma, lett. d); 28).
    In  secondo  luogo  sminuisce  il  ruolo  gia' oggi spettante alla
 regione, affidando al solo Ministro dei trasporti di determinare  con
 proprio  decreto,  persino  inaudite  le  regioni, le caratteristiche
 dimensionali, tipologiche e  funzionali  anche  dei  porti  meramente
 turistici  o  di  pesca,  e  di  individuare gli scali propri di ogni
 categoria (art. 4, quarto comma), e piu' in  generale  sottopone  gli
 interventi  da  attuarsi  dalle  regioni  a  non  meglio identificate
 "direttive di coordinamento" del Ministro stesso (art. 5,  undicesimo
 comma).
    In  terzo  luogo, la legge (art. 18, in connessione con l'art. 13,
 primo comma, lett. a) non riconosce ruolo  alcuno  nell'ambito  delle
 concessioni  di  aree  e banchine, neppure quando queste si correlino
 alla costruzione di opere pubbliche regionali o quando si  tratti  di
 concessioni   per   scopi  turistico-ricreativi,  con  lesione  delle
 competenze regionali in materia di lavori pubblici e  di  turismo,  e
 del   principio   di  assenazione  delle  deleghe  integrative  delle
 competenze, statuito per la materia in  questione  dall'art.  59  del
 d.P.R. n. 616/1977.
    Infine, essa ingiustificatamente assoggetta acquisisce al bilancio
 dello  Stato  proventi  che  costituiscono corrispettivi di attivita'
 portuali in loco, ed in  modo  unilaterale  anche  i  porti  che  non
 presentano  squilibri  di  gestione,  e  in  particolare per cio' che
 interessa  alla  regione  ricorrente  il  porto  di   Ravenna,   alla
 sottrazione  a  favore dello Stato del 50 per cento del gettito della
 tassa sulle merci sbarcate (art. 28, settimo  comma,  in  connessione
 con il primo comma).
    Sotto  i  profili  e  per le disposizioni sopra riportate la legge
 impugnata si rivela dunque  lesiva,  ed  altresi'  costituzionalmente
 illegittima per le seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    1.  -  Illegittimita'  costituzionale degli artt. 5, ottavo comma,
 13, primo comma, lett. d) e  28  in  quanto  addossano  alla  regione
 rilevanti   oneri   sia   di  realizzazione  di  opere  portuali  sia
 gestionali,  senza  statuire  in  suo  favore  alcuna  corrispondente
 entrata.
    La   nuova  legge  provvede  a  definire  le  opere  marittime  di
 competenza rispettiva dello Stato e delle regioni. In particolare, il
 sesto comma sostituisce  la  precedente  individuazione  delle  opere
 statali  determinata dall'art. 88 del d.P.R. n. 616/1977, in modo che
 e' sostanzialmente identico al precedente  tranne  che  per  l'omessa
 elencazione nelle opere statali di quelle realtive ai fari.
    Se  tali  opere rientrano ora nella competenza (e responsabilita')
 regionale, gia' a questo proposito  occorre  rilevare  che  cio'  non
 avrebbe  potuto  non  avere  influenza  -  anche in termini meramente
 programmatici - sulla determinazione delle risorse da assegnare  alle
 regioni stesse.
    Soprattutto  pero'  e'  l'ottavo  comma dello stesso art. 5 che in
 termini drastici pone a carico delle regioni,  testualmente  "l'onere
 per  la  realizzazione  delle opere di grande infrastrutturazione nei
 porti di cui alla categoria II, classe III".
    E' dunque palese che la  legge  qui  non  si  limita  al  semplice
 riconoscimento    della    competenza   regionale   (legislativa   ed
 amministrativa)  in  materia,   ma   direttamente   ed   in   termini
 prescrittivi  addossa  alle  regioni l'onere della spesa: e si tratta
 oltretutto di oneri assai rilevanti, proprio  perche'  riferiti  alle
 maggiori opere dei porti in questione.
    Tale  onere, sino ad oggi non previsto dalla legislazione statale,
 comporta dunque non solo una invasione nella potesta' legislativa  ed
 amministrativa  regionale,  impedendo  una  disciplina  regionale che
 preveda  per  tali  oneri   una   piu'   equilibrata   ed   operativa
 ripartizione,  ma  altresi'  una  lesione  dell'autonomia finanziaria
 regionale e, almeno potenzialmente,  una  lesione  del  principio  di
 copertura finanziaria delle leggi, in quanto la legge statale dispone
 spese - sia pure a carico della regione - senza alcuna verifica della
 congruenza    delle   entrate   regionali   e   per   farvi   fronte.
 Considerazioni analoghe devono farsi  con  riferimento  all'art.  13,
 primo  comma,  lett.  d),  ove  si  elencano,  tra  le  entrate delle
 autorita' portuali, i  "contributi  delle  regioni".    Naturalmente,
 nulla  vi sarebbe da eccepire se tale disposizione dovesse intendersi
 come  di  carattere   meramente   facoltizzante,   a   riconoscimento
 dell'interesse regionale nelle attivita' portuali. Va tuttavia tenuto
 presente  che  dai  lavori  preparatori della Camera dei deputati (IX
 Commissione permanente, seduta del 21 ottobre 1993)  risulta  che  il
 precedente  testo  della  disposizione  precisava che i contributi in
 questione  sarebbero  stati  "autonomamente  determinati"  e  che  si
 trattava  quindi  in  sostanza  di contributi meramente eventuali, da
 stabilirsi discrezionalmente secondo considerazioni finanziarie e  di
 politica regionale.
    La  soppressione  della  precisazione  nel testo definitivo induce
 invece a temere che alla disposizione sia nella  prassi  intesa  come
 rivolta  ad  imporre alla regione la corresponsione di contributi: ed
 in tal  senso,  anche  tale  disposizione  risulterebbe  all'evidenza
 lesiva dell'autonomia finanziaria regionale.
    Il  riferimento  all'art.  28  della legge impugnata e' rivolto in
 questo contesto a sottolinerare come, a fronte degli innegabili oneri
 nuovi ed  aggiuntivi  che  la  legge  impone  alla  regione,  nessuna
 corrispondente entrata si aggiunga.
    In  questo contesto vanno in particolare criticate le disposizioni
 dell'art. 28, quarto, quinto e sesto comma le quali  acquisiscono  al
 bilancio  dello  Stato  proventi  che  costituiscono corrispettivi di
 attivita'  portuali  in  loco,  depauperando  ingustificatamente   le
 economie locali.
    2.  -  Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, quarto comma, in
 quanto affida al  solo  Ministro  di  trasporti  di  determinare  con
 proprio  decreto,  le  caratteristiche  dimensionali,  tipologiche  e
 funzionali anche dei porti meramente  turistici  o  di  pesca,  e  di
 individuare  gli  scali  propri di ogni categoria.   L'art. 4, quarto
 comma, dispone che "le  caratteristiche  dimensionali  tipologiche  e
 funzionali  dei porti di cui alla categoria II, classi I, II e III, e
 l'appartenenza di ogni scalo alle classi medesime  sono  determinate,
 sentite  le autorita' portuali o, laddove non istituite, le autorita'
 marittime,  con  decreto  del  Ministro   dei   trasporti   e   della
 navigazione", secondo certi criteri di seguito elencati dalla legge.
 Per  le  regioni  e'  previsto soltanto che esse esprimano un parere.
 Ora, si deve considerare che tra i porti considerati  vi  sono  anche
 quelli  che  costituiscono  in sostanza opere pubbliche di competenza
 regionale, ai sensi dell'art. 5, settimo comma, della  stessa  legge;
 ed  inoltre  che  tali  porti hanno spesso essenzialmente funzioni di
 traffico turistico, o collegate alle svolgimento della pesca:  ovvero
 ad attivita' ricadenti nei due casi nella competenza regionale.
    Sotto  i  tre  profili  indicati, dunque, sembra evidente che alla
 regione deve essere riconsociuto non il potere di  dare  un  semplice
 parere  - che oltretutto si intende "reso in senso favorevole" se non
 interviene nei novanta giorni dalla richiesta  -  ma  il  ruolo  piu'
 specifico  di  stabilire  essa,  con  riferimento  ai  singoli  porti
 rientrati  nella   sua   competenza   le   concrete   caratteristiche
 dimensionali,  tipologiche e funzionali: ne' si vede d'altronde quale
 interesse statale potrebbe giustificare un potere  di  determinazione
 cosi'  penetrante  da  disciplinare  le  caratteristiche  del singolo
 porto.
    Diversamente potrebbe dirsi soltanto se il potere statale  dovesse
 essere  inteso come un potere di individuare caratteristiche estratte
 e in termini di larga massima, in modo da consentire, all'interno  di
 tali   prescrizioni,   l'intervento   di   ulteriori   e   specifiche
 caratterizzazioni regionali, collegate alle specifiche situazioni.
    Ma  sotto  tali  i  profili  le  impugnative  disposizioni   nulla
 prescrivono  o  garantiscono,  con evidente lesione delle prerogative
 regionali gia' in essere: infatti, sino ad e' in sostanza la  regione
 che   definisce  le  caratteristiche  delle  infrastrutture  portuali
 turistiche, e in genere dei porti delle classi inferiori.
    3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, undicesimo  comma,
 in   quanto  sottopone  gli  interventi  da  attuarsi  dalle  regioni
 "direttive  di  coordinamento"  del  Ministro.    L'undicesimo  comma
 dell'art.   5   prevede  a  non  meglio  identificate  "direttive  di
 coordinamento" del Ministro per gli  "interventi  da  attuarsi  dalle
 regioni,  in  conformita' ai piani regionali dei trasporti o ai piani
 di sviluppo economico-produttivo".  La previsione di  tali  direttive
 appare  costituzionalmente illegittima per l'impropria sottoposizione
 che essa operano delle regioni ad un potere statale di settore, quale
 quello ministeriale:  anziche' - ove pure la si ritenesse  necessaria
 -  alla  caratteristica  e tipica funzione governativa di indirizzo e
 coordinamento.
    Inoltre,  la  disposizione  non  definisce  affatto  il  contenuto
 possibile, lo scopo o l'oggetto stesso specifico di tali "direttive",
 contraddicendo  il  principio  di legalita' sostanziale degli atti di
 indirizzo,  costantemente   affermato   da   codesta   ecc.ma   Corte
 costituzionale.  Sia sotto il profilo della competenza che quello del
 contenuto  i poteri di direzione affidati al Ministro appaiono dunque
 incostituzionali e lesivi delle prerogative regionali.
    4. - Illegittimita' costituzionale dell'art.  18,  in  connessione
 con  l'art.  13  primo  comma,  lett.  a),  in quanto non riconoscono
 nessuna competenza regionale in relazione alle concessioni di aree  e
 banchine.    L'art.  18  attribuisce  i  poteri  concessori di aree e
 banchine destinate alle attivita' portuali alle autorita' portuali o,
 dove queste non vi siano, alle autorita' marittime.
    Ora,  se  tali  concessioni  si  intendono  limitate  ai   profili
 strettamente  gestionali dell'attivita' portuale non sorgerebbe alcun
 problema.
    Il problema nasce  invece  dalla  potenziale  interferenza  con  i
 compiti  e  poteri regionali sotto un duplice profilo: il profilo dei
 poteri regionali in materia di opere pubbliche e il profilo di quelli
 in materia di turismo.  Quanto alle opere pubbliche, e' ben noto  che
 la costruzione avviene spesso in regime di concessione di costruzione
 e  gestione. E se e' vero che nulla nella legge pare escludere per la
 regione tale possibilita', sembra pero' evidente che essa  presuppone
 la  disponibilita'  della  concessione anche dell'area su cui l'opera
 deve realizzarsi. Si consideri altresi' il mancato riconoscimento del
 potere concessorio comporta per la regione anche il  difetto  di  una
 risorsa,  in  qualche  modo  in  grado  di  riequilibrare  gli  oneri
 collegati  alle  opere  pubbliche.    Quanto  all'aspetto  turistico,
 conviene ricordare che, proprio per l'evidente connessione, l'art. 59
 del d.P.R. n. 616/1977 ha disposto che "sono delegate alle regioni le
 funzioni  amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali
 immediatamente  prospicienti,  sulle  aree  del  demanio  lacuale   e
 fluviale,  quando la utilizzazione prevista abbia finalita' turistica
 e ricreative".
    Benche' tale delega sia rimasta a lungo inattuata, la disposizione
 dell'art. 59 ha perso in nulla la sua importanza di  principio  e  di
 interpretazione  costituzionale:  sembra  evidente,  infatti,  che si
 tratta qui di una delega costituzionalmente tutelata, data la stretta
 connessione con  le  funzioni  regionali,  di  cui  costituiscono  in
 sostanza una parte.
    L'attualita' della delega e' stata anzi recentissimamente ribadita
 e confermata dal d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito nella legge
 4  dicembre  1993,  n.  494;  esso, all'art. 6, prevede che la delega
 diventi  comunque  operativa,  qualora  entro  un  anno   non   siano
 effettuati  quegli adempimenti, gia' previsti dall'art. 59 del d.P.R.
 n. 616/1977, che finora l'avevano bloccata, e dispone  che  "da  tale
 termine  le  regioni  provvedono  al  rilascio  e  al  rinnovo  delle
 concessioni demaniali marittime".
   Non si intende allora per quale ragione ed in quale senso l'art. 13
 primo  comma,  lett. a) della legge n. 84/1994 assegni alle autorita'
 portuali tra l'altro il compito di "determinare canoni di concessione
 demaniale marittima per  scopi  turistico-ricreativi"  e  "canoni  di
 concessione di aree destinate a porti turistici" andando ad invadere,
 a  quel  che  sembra, la materia disciplinata dalla predetta legge n.
 494/1993 e sottraendo alle regioni risorse direttamente  connesse  ai
 suoi  compiti costituzionali in materia di turismo.  Sotto entrambi i
 profili le disposizioni impugnate  appaiono  percio'  contrarie  alla
 Costituzione.
    5.  -  Profili  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  28,
 settimo comma, in collegamento con il primo comma.
    Le disposizioni impugnate prevedono un meccanismo di assunzione di
 oneri a carico dello Stato, cui si collega una  acquisizione  statale
 di  una  entrata  altrimenti del porto. Ma la previsione ha carattere
 indiscriminato, e si applica anche a strutture portuali per le  quali
 cio' si traduce in una sorta di espropriazione.
    Per cio' che interessa alla regione Emilia-Romagna quale esponente
 della  comunita'  regionale,  va osservato che il porto di Ravenna e'
 una struttura gestionalmente sana, in equilibrio economico. Del tutto
 ingiustificato si rivela dunque il far operare per essa il meccanismo
 disposto dall'art. 28, primo  e  settimo  comma.  In  particolare,  e
 stante  la  predetta  situazione,  del tutto ingiustificato rimane il
 versamento al bilancio dello Stato del 50 per cento del gettito della
 tassa sulle merci sbarcate: il quale si  traduce  in  pratica  in  un
 abnorme  tributo  a  carico  del  porto  di Ravenna, e nell'uso delle
 risorse da esso prodotte per finanziare  e  ripianare  situazioni  di
 squilibrio  gestionale  e  finanziario,  al  di  fuori  di  qualunque
 criterio di eguaglianza e responsabilita' di impresa e  di  gestione.
 Quanto  meno,  il  ricorso  a  tale  meccanismo avrebbe dovuto essere
 lasciato alla prudente valutazione degli interessi, nella loro scelta
 tra l'assunzione degli oneri dei mutui e degli altri oneri di cui  al
 primo  comma  a  carico  dello  Stato,  con  la conseguenza di cui al
 settimo comma, e la situazione di autonomia imprenditoriale.
   Tutto cio' premesso, la  ricorrente  regione  Emilia-Romagna,  come
 sopra rappresentata e difesa chiede:
    Voglia    l'eccellentissima    Corte   costituzionale   dichiarare
 l'illegittimita' costituzionale della legge 28 gennaio 1994,  n.  84,
 nelle  disposizioni e nei limiti sopra indicati, per violazione degli
 artt. 117, 118, 119 e 81 della Costituzione.
      Padova-Roma, addi' 4 marzo 1994
           Avv. prof. Giandomenico FALCON - Avv. Luigi MANZI

 94C0329