N. 198 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 1994
N. 198 Ordinanza emessa il 5 febbraio 1994 dal tribunale di Macerata sulle richieste di riesame proposte da De Santis Lina ed altri (nel procedimento penale a carico di Malasisi Antero) Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato, anche per interposta persona, di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio, richiedendosi per il soggetto attivo la qualifica di indagato per determinati reati o di soggetto nei cui confronti si proceda per l'applicazione di una misura di prevenzione - Non definitivita' delle suddette qualifiche - Violazione del principio di irretroattivita' della legge penale con incidenza sul diritto di difesa. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, e successive modificazioni). (Cost., artt. 24 e 25).(GU n.16 del 13-4-1994 )
IL TRIBUNALE Vista la richiesta di riesame ex art. 324 del c.p.p. proposta dall'avv. Giuseppe De Rosa, quale difensore e nell'interesse di De Santis Lina, quale amministratore unico della S.r.l. Mike con sede a San Severino Marche ed in proprio, nonche' di Malasisi Antero avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 23 dicembre 1993, dal G.I.P. presso il tribunale di Camerino nell'ambito del procedimento penale n. 392/1993 R. G.I.P. a carico di Malasisi Antero, imputato del reato di cui all'art. 12-quinquies d.l. 8 giugno 1992, n. 306 conv. nella legge n. 356/1992; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza camerale odierna; O S S E R V A: L'ipotesi delittuosa contestata a Malasisi Antero (art. 12-quinques, comma 2 della legge 7 agosto 1992, n. 356 come modificato dall'art. 1 del d.l. 17 settembre 1993, n. 369) desumibile "per relationem" da analogo provvedimento di sequestro preventivo del g.i.p. in data 17 dicembre 1993, si fonda su meticolose e approfondite indagini patrimoniali che hanno acclarato, con metodologia immune da vizi evidenti, l'esistenza in capo all'imputato di disponibilita' patrimoniali "attuali" sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati e all'attivita' economica svolta (il Malasisi e' un vigile urbano) senza che ne sia stata dimostrata le legittima provenienza (v. le risultanze dell'elaborato formato dal c.t. del p.m.). Piu' in particolare il c.t. ha evidenziato come tutte le attivita' e i beni apparentemente riconducibili alla De Santis, anche nella qualita' di amministratore della societa' a r.l. Mike, sono in realta' da ricondurre nella disponibilita' dell'imputato, manifestatosi attraverso il compimento di numerosi atti di gestione. Appare quindi concretamente prospettabile la titolarita' soltanto fittizia di detti beni e attivita' (colpiti da provvedimento di sequestro preventivo) alla De Santis che, del resto si trova in eta' avanzata ed e' madre dell'imputato (indagato per il reato di usura in separato procedimento). Il decreto di sequestro preventivo impugnato sottolinea la confiscabilita' dei beni ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 12-quinquies della legge citata. E tuttavia opinione di questo tribunale, in coerenza con quanto deliberato in sede di riesame in analogo procedimento, che la norma in questione non si sottragga a riserve sotto il profilo della sua compatibilita' con il dettato costituzionale. Di qui il convincimento di sottoporre la fattispecie incriminatrice al giudizio della Consulta, sulla scorta delle considerazioni qui di seguito esposte. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinques, comma 2 della legge n. 356/1992 e succ. modif. La fattispecie di reato in discorso prevede la reclusione da due a quattro anni nei confronti di soggetti sottoposti a procedimento penale in relazione a determinati nomina Juris, ovvero a misura di prevenzione personale, e comunque, a procedimento per l'applicazione della citata misura, che risultino titolari, direttamente o per interposta persona, di disponibilita' (beni, denaro etc.) di valore sproporzionato al proprio reddito oppure alla propria attivita' economica, senza essere in grado di giustificarne la legittima provenienza. L'obiettivo perseguito dal legislatore e' quello di colpire patrimoni o attivita' ritenute illecite nella loro oggettiva attualita'. La formulazione della fattispecie e' inoltre tale da non consentire l'individuazione di un collegamento causale tra un determinato tipo di reato e l'acquisizione di beni. Non v'e' cioe' un "vincolo pertinenziale" tra le possidenze e i reati per i quali il soggetto subisce il procedimento penale. "Il legislatore, infatti, e' mosso dalla considerazione che molti di coloro i quali sono ricompresi nelle categorie soggettive di cui al secondo comma dell'art. 12-quinques, hanno in parte determinato il processo di "accumulazione selvaggia del capitale" fondato sul ricorso ed attivita' criminali ed hanno riciclato parte dei proventi in attivita' lecite di modo che un sequestro e la successiva confisca che colpissero esclusivamente quella parte di patrimonio ancora direttamente legato al ciclo criminale, non coglierebbero la vicenda nella sua interezza e non consentirebbero di incidere in radice sull'innesto dell'economia criminale nell'economia legale (cosi' tribunale di Bari, ord. del 19 ottobre 1992). La norma, dunque, si inserisce, con altre di recente produzione, nel piu' generale contesto degli strumenti volti a fronteggiare la criminalita' organizzata e ad aggredire i proventi delle organizzazioni criminali. Non competono, ovviamente, in questa sede, valutazioni sulla efficacia di questi strumenti legislativi. Va pero' rilevato che la norma di cui si sospetta l'incostituzionalita' non appare necessariamente collegabile all'area di incriminazione tipica della criminalita' organizzata. Il caso sottoposto a questo Tribunale costituisce, in tal senso, una significativa conferma. Sotto il profilo classificatorio, la norma rientra nella categoria di "reati di sospetto". A prima vista parrebbe accostabile alla previsione di cui all'art. 708 del c.p., che si connota per una funzione prevalentemente repressiva: dato il possesso di cose non confacenti allo stato del soggetto, la pericolosita' di questo dovrebbe concretizzare il sospetto che quelle cose provengano da delitti contro il patrimonio o rappresentino il pretium sceleris di delitti da commettere. La notorieta' degli argomenti, con i quali la Corte costituzionale - anche di recente (v. decisione 464/92) - ha negato la esistenza di contrasto tra la norma del Codice penale e la Carta fondamentale, ci esime dal riepilogarli. Purtuttavia un attento esame dimostra come l'affinita' tra la disponibilita' dell'art. 12-quinquies secondo comma e la norma codicistica risulta soltanto apparente. La norma dell'art. 12-quinquies e' collegata ad una qualifica soggettiva "provvisoria", relativa alla "pendenza" del procedimento penale, non cristallizzata da un giudicato di condanna. Uno stato soggettivo provvisorio, pertanto, suscettibile di "trasfigurazione", il cui esito finale (La sentenza passata in giudicato) e' estraneo alla figura di reato in esame. Quanto al restante contenuto della previsione incriminatrice, e' piuttosto agevole rilevare che non descrive "una specifica forma di offesa al bene giuridico": non predica, cioe' un "fatto", una "azione" o una "omissione" ma enuncia soltanto una "situazione". Estremamente evocativo, in proposito, il termine "risultato" utilizzato per collegare all'attore la disponibilita' di beni in misura sproporzionata. E' l'intera trama delle attivita' economiche e professionali del soggetto a costituire il presupposto del fatto reato. Di qui il sospetto di incostituzionalita' nei confronti della norma dell'art. 25, secondo comma della Costituzione che pone il divieto di pene non collegate ad un "fatto commesso". In un diritto penale volto alla tutela di beni giuridici, il "fatto" individua specifiche forme di aggressione e di offesa ai beni giuridici. La citata disposizione costituzionale riconosce siffatta funzione e la impone al legislatore. Di qui l'inammissibilita' di incriminazione che sanzionassero esclusivamente un modo di essere dell'attore, la mera pericolosita' soggettiva, i suoi atteggiamenti interiori. Non appare allora manifestamente infondato dubitare della legittimita' costituzionale della fattispecie dell'art. 12-quinques secondo comma. E' difficile - come si e' detto - scorgervi un "agire": non guarda infatti all'uomo "agente", ma all'uomo "ente". La pendenza del procedimento penale per usura (come nel nostro caso) costituisce l'occasione per rivisitare il lato patrimoniale dell'esistenza dell'autore, al fine di saggiare la congruita' o la sperequazione delle sue attuali disponibilita'. Il fulcro del "tipo" gravita non gia' sull'oggettiva pericolosita' di un fatto, ma sulla mera pericolosita' dell'autore. Si punisce, in definitiva, la pericolosita' del soggetto, attraverso una fattispecie coniata con lo stampo del diritto penale sintomatico e preventivo. Questo stato soggettivo non trova peraltro obiettiva consacrazione in precedenti penali cristallizzati nel giudicato. Viene invece "anticipato" e "individuato" all'interno di una situazione processuale ancora "in movimento" che potrebbe persino smentire, nel procedimento che la riguarda, la prognosi negativa evocata nella norma dell'art. 12-quinques secondo comma. Gravi le ripercussioni sulla concreta esercitabilita' del diritto di difesa. (art. 24 della costituzione). L'ampiezza della previsione incriminatrice rischia di compromettere la possibilita' di giustificare la sperequazione tra i beni a disposizione e il reddito dichiarato. Non risulta, infatti, agevole fornire una attendibile asserzione di legittima provenienza dei beni acquisiti, ad es. in epoca remota, specie se i relativi atti giuridici non prevedevano il compimento di particolari forme di documentazione. Ne' l'autore poteva orientare il suo comportamento alla stregua della odierna norma sanzionatoria. Questa, fondamentalmente, colpisce ogni pregresse condotte di vita, rilevanti sotto l'aspetto patrimoniale, all'epoca "svincolate" da qualsiasi disposizione orientata a "motivare" il singolo verso un determinato comportamento. Non si configura, beninteso, la violazione del principio di irretroattivita' della norma penale di cui al secondo comma dell'art. 25 della Costituzione essendo ininfluente, ai fini della configurazione del reato, l'epoca di acquisizione delle ricchezze sospette, rilevando invece la sola attuale, effettiva disponibilita', anche se iniziata prima dell'entrata in vigore della legge n. 356/1992. Il possibile contrasto con l'art. 24 secondo comma della Costituzione si collega, invece, proprio alla struttura della fattispecie incriminatrice che, sanzionando - come si e' detto poc'anzi - una "situazione" non gia' un "fatto", rischia di vanificare obiettivamente l'esercizio del diritto di difesa. Appare cosi' manifestamente infondato evocare un contrasto fra la fattispecie incriminatrice dell'art. 12-quinquiens secondo comma e l'art. 24, secondo comma della costituzione. La rilevanza delle questioni di legittimita' sin qui descritte e' di intuitiva evidenza: l'eventuale caducazione della norma determinerebbe il venir meno del sequestro per inesistenza del presupposto normativo sostanziale.
P. Q. M. Dichiara la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale del reato di cui all'art. 12-quinques secondo comma della legge n. 356/1992 e successive modificazioni in relazione agli artt. 25, secondo comma e 24 secondo comma della Costituzione; Ritenuta altresi' la rilevanza delle citate questioni; Sospende il giudizio di riesame in corso; Ordina che a cura della cancelleria gli atti siano rimessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata a De Santis Lina, al suo difensore, all'imputato Malasisi Antero, al suo difensore ed al p.m. in sede, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Macerata, cosi' deciso il 5 febbraio 1994 Il presidente: BRACHETTI Il giudice relatore: BONIFAZI 94C0391