N. 36 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 marzo 1994
N. 36 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 marzo 1994 (della provincia autonoma di Trento) Lavori pubblici - Legge-quadro in materia di lavori pubblici - Qualificazione di tutte le disposizioni di legge impugnata quali norme fondamentali di riforma economica-sociale e quali principi della legislazione dello Stato - Previsione del vincolo della abrogazione espressa e specifica per operare qualsiasi modifica della disciplina posta dalla legge-quadro - Istituzione dell'"Autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici", organo statale per il quale non e' prevista alcuna partecipazione delle regioni, ne' e' contemplata qualsivoglia forma di consultazione delle stesse nella sua composizione, costituzione e funzionamento delle strutture da esso dipendenti - Previsione, in caso di pregiudizio causato all'erario dall'esecuzione dei lavori, di sanzioni disciplinari comminate da detta Autorita' a soggetti appartenenti alle regioni - Lamentata invasione della sfera di competenza della regione in materia di lavori pubblici di interesse provinciale. (Legge 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 1, secondo comma, 2, secondo comma, 3 e 4). (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, n. 17, e 16).(GU n.16 del 13-4-1994 )
Ricorso della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, giusta deliberazione della giunta n. 2528 dell'11 marzo 1994, rappresentata e difesa - in virtu' di procura speciale del 15 marzo 1994, per atto notar Pierluigi Mott in Trento (rep. n. 59708) - dall'avv. prof. Sergio Panunzio, e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3; contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica; per la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 1, secondo comma (ed altre disposizioni collegate); degli artt. 2, secondo comma, e 3; e dell'art. 4 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, recante "legge quadro in materia di lavori pubblici". F A T T O In base agli artt. 8, n. 17, e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) la provincia autonoma ricorrente e' titolare di competenze legislative ed amministrative di tipo primario (od esclusivo) in materia di "lavori pubblici di interesse provinciale". Tali competenze sono nella piena disponibilita' della provincia anche a seguito della emanazione delle relative norme d'attuazione dello statuto, di cui al d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381. Nell'esercizio delle suddette competenze, la materia e' stata da tempo ampiamente disciplinata da varie leggi provinciali. In particolare si ricordano la legge provinciale 10 settembre 1973, n. 40 ("interventi straordinari per opere pubbliche e norme in materia di lavori pubblici"); la legge provinciale 3 gennaio 1983, n. 2 ("norme per l'esecuzione di lavori pubblici di interesse provinciale"), che ha dettato una organica disciplina della materia, via via integrata da leggi successive, come in particolare l'art. 18 della legge provinciale 1 febbraio 1993, n. 3 (legge finanziaria provinciale); e la recente legge 10 settembre 1993, n. 26 ("norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti"), quest'ultima diretta appunto a "bonificare" la materia degli appalti, a seguito delle note e recenti vicende emerse anche in sede giudiziaria, e che dedica l'intero secondo capo (artt. 8 e segg.) alle "misure di trasparenza", prevede- ndo severi controlli sulle procedure di appalti e lavori pubblici, attribuendo a specifici funzionari provinciali il compito di coordinare le procedure relative ai lavori pubblici, ed istituendo un apposito "osservatorio provinciale dei lavori pubblici". Cio' premesso, nella Gazzetta Ufficiale n. 41 del 19 febbraio u.s. e' stata pubblicata la legge 11 febbraio 1994, n. 109, dal titolo "legge quadro in materia di lavori pubblici". Come e' detto espressamente nella relazione del Ministro dei lavori pubblici che accompagnava il relativo disegno di legge n. 2145 (presentato alla camera dei Deputati il 21 gennaio 1993), la legge n. 109/1994 vuole costituire una risposta dello Stato ai problemi che, nella materia dei lavori pubblici e degli appalti, sono emersi a seguito di numerosi e ben noti procedimenti penali ("tangentopoli"). A questo scopo la legge in questione - che in base all'art. 2 ha un ambito oggettivo e soggettivo di applicazione estremamente vasto e tale, comunque, da farvi ritenere compresi tutti i lavori pubblici affidati da regioni, provincie, comuni, ed enti pubblici locali - disciplina dettagliatamente vari aspetti della materia: vigilanza sui lavori pubblici, partecipazione alle gare, qualificazione dei soggetti, redazione progetti, procedura di scelta del contraente, responsabili del procedimento, ecc., ecc. Ai fini del presente ricorso viene innanzitutto in evidenza l'art. 1 della legge n. 109/1994 il quale, al secondo comma, stabilisce che "per la disciplina delle opere e dei lavori pubblici di competenza delle regioni anche a statuto speciale, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti infraregionali da queste finanziati, le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale, e principi della legislazione dello Stato ai sensi degli statuti delle regioni a statuto speciale e dell'art. 117 della Costituzione, anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato". Il successivo art. 3 disciplina la "delegificazione" - ai sensi dell'art. 17, secondo comma, della legge n. 400/1988 - della materia dei lavori pubblici, con particolare riguardo agli aspetti principali della medesima indicati nel primo comma. Al secondo comma l'art. 3 stabilisce che "nell'esercizio della potesta' regolamentare di cui al primo comma il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta apposito regolamento, di seguito cosi' denominato, che, insieme alla presente legge, costituisce l'ordinamento generale in materia di lavori pubblici, recando altresi' norme di esecuzione ai sensi del sesto comma. Il predetto atto assume come norme regolatrici, nell'ambito degli istituti giuridici introdotti dalla normativa comunitaria vigente e comunque senza pregiudizio dei principi della liberta' di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, la presente legge, nonche', per quanto non da essa disposto, la legislazione antimafia e le disposizioni nazionali di recepimento della normativa comunitaria vigente nella materia di cui al primo comma". Ed in particolare al comma quarto l'art. 3 stabilisce anche che "sono abrogati, con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento, gli atti normativi indicati che disciplinano la materia di cui al primo comma, ad eccezione delle norme della legislazione antimafia. Sempre a proposito dell'art. 3 della legge n. 109/1994, occorre anche rilevare come, in base al secondo comma dell'art. 2 della stessa legge ("le norme della presente legge e del regolamento di cui all'art. 3, secondo comma, si applicano: .."). Per cui non sembra dubbio che, nella intenzione del legislatore, l'emanando regolamento debba applicarsi anche alle regioni e provincie autonome di Trento e Bolzano, atteso che queste rientrano negli enti pubblici di cui alla lettera a) del citato secondo comma dell'art. 2. Anche la legge quadro in questione, con l'art. 4 istituisce poi, con sede in Roma, l'"autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici" cui sono attribuiti rilevanti poteri di vigilanza, di accertamento e controllo " .. mella materia dei lavori pubblici, anche di interesse regionale" (primo comma). In particolare al sesto comma si prevede che detta autorita' possa richiedere ad " .. ogni .. pubblica amministrazione e ad ogni ente regionale .. documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori pubblici in corso e da iniziare, al conferimento di incarichi di progettazione, agli affidamenti dei lavori; .. puo' disporre ispezioni .. perizie ed analisi economiche e statistiche ..". Il successivo ottavo comma dispone sanzioni disciplinari (previste dall'ordinamento per gli impiegati civili dello Stato) per i funzionari appartenenti a pubbliche amministrazioni che rifiutino od omettano di fornire informazioni o di esibire documenti alla richiedente autorita'. Il decimo comma prevede poi che alle dipendenze dell'autorita' medesima siano costituiti ed operino un servizio ispettivo ed un osservatorio dei lavori pubblici; stabilisce il successivo dodicesimo comma dell'art. 4 che quest'ultimo organismo "svolge accertamenti ed indagini ispettive nelle materie di competenza dell'autorita'; informa gli organi amministrativi delle responsabilita' riscontrate a carico di amministratori e pubblici dipendenti ..". Il quattordicesimo comma stabilisce che l'osservatorio e' articolato in una sezione centrale e in "sezioni regionali aventi sede presso i provveditorati regionali alle opere publiche". Ancora l'art. 4, al diciassettesimo comma, prescrive poi che "le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri enti aggiudicatori .. sono tenuti a comunicare all'osservatorio dei lavori pubblici .. "entro termini ristretti il contenuto dei bandi, dei verbali di gara, l'elenco dei soggetti invitati, l'importo di aggiudicazione, il nominativo dell'aggiudicatario e quello del progettista; nonche' l'inizio, gli stati di avanzamento e di ultimazione dei lavori, l'effettuazione dei collaudi, l'importo fiscale dei lavori; sanzionando eventuali inadempienze con l'irrogazione di una sanzione amministrativa per un importo sino a 50 milioni. Le surriferite disposizioni della legge n. 109/1994 (e le altre ad esse collegate che si indicheranno qui di seguito) sono lesive delle competenze costituzionalmente riconosciute alla provincia autonoma ricorrente, che pertanto le impugna per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione, da parte dell'art. 1, seconda comma, e di altre disposizioni della legge n. 109/1994, delle competenze provinciali di cui agli artt. 4, n. 17 e n. 1; e 16 (nonche' 54, primo comma, n. 5) delo statuto speciale Trentino-Alto Adige, e relative norme d'attuazione. 1.1. - La legge impugnata disciplina, nel suo complesso, una materia di competenza esclusiva della provincia ricorrente, quale e' quella dei lavori pubblici (ma per certi aspetti - come poi meglio si vedra' - anche l'"ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto", di cui all'art. 8, n. 1, dello statuto), e da questa positivamente disciplinato con proprie leggi. In particolare la legge in questione riguarda anche i lavori pubblici che per il loro importo non sono soggetti alle norme comunitarie, e che sono stasti da ultimo disciplinati dalla citata legge provinciale n. 26/1993 (art. 3). Ancorche' la legge in questione si autoqualifichi nel titolo come "legge quadro", essa contiene in realta' una disciplina oltremodo minuziosa e dettagliata di numerosi aspetti della materia dei lavori pubblici di competenza esclusiva della provincia ricorrente. Una disciplina di dettaglio per lo piu' incompatibile rispetto a quella stabilita dalla legge provinciale (e spesso divergente anche rispetto a quella comunitaria). Basti pensare, per esempio, alla minuziosa disciplina contenuta nel gia' citato art. 4, in materia di vigilanza sui lavori pubblici e di organizzazione e funzionamento della Autorita' per la vigilanza, ed in materia di "responsabile del procedimento". Ma, a questo riguardo, molti altri esempi si potrebbero fare. Cosi', si consideri l'art. 7 della legge impugnata, che detta una disciplina gia' di per se' analitica delle procedure di affidamento dei lavori, ed in particolare: impone al primo comma, che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori ai sensi degli artt. 4, 5 e 6 della legge n. 241/1990 nominino, nell'ambito delle proprie strutture tecniche ed amministrative un unico responsabile del procedimento per le fasi della programmazione dei lavori, della progettazione, dell'affidamento e dell'esecuzione dei medesimi; e nei commi successivi regola ulteriormente l'attivita' del suddetto responsabile unico, rinviando per il resto addirittura all'emanando regolamento governativo, con una disciplina che e' incompatibile con la competenza legislativa esclusiva spettante alla provincia e con la disciplina legislativa da essa gia' dettata in materia (v. la citata legge provinciale n. 26/1993, art. 9; e v. anche la legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23, recante "Principi per la democratizzazione, la semplificazione e la partecipazione all'azione amministrativa provinciale e norme in materia di procedimento amministrativo", artt. 5 e segg.). Ma si consideri anche l'art. 8 della legge impugnata, che detta una disciplina gia' di per se' analitica della "qualificazione" dei soggetti "operanti" in materia di lavori pubblici, per il resto rinviando (secondo comma) anch'esso al successivo regolamento governativo (secondo uno schema ricorrente in molte disposizioni della legge in questione, che - come si vedra' successivamente - e' di per se' lesivo, sotto ulteriori profili, delle competenze della provincia ricorrente); e che all'ottavo comma vieta anche l'utilizzazione "degli albi speciali o di fiducia predisposti anche dai soggetti di cui all'art. 2". Oppure si consideri la minuziosa disciplina stabilita dagli artt. 16 e 17 per le "attivita' di progettazione" e la "redazione dei progetti"; o quella stabilita dall'art. 19 sui "sistemi di realizzazione dei lavori pubblici", che - fra l'altro - al quarto comma, fa divieto di appaltare lavori "a misura"; o quella dell'art. 21 sui criteri di aggiudicazione dei lavori e sulla costituzione delle commissioni esaminatrici; o quella dell'art. 28 sui "collaudi e vigilanza"; e cosi' via. Orbene, disposizioni legislative siffatte non possono in alcun modo essere obiettivamente considerate come "norme fondamentali di riforma economico-sociale". Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare ripetutamente come (per usare le parole della sent. n. 349/91) "la qualificazione delle disposizioni di una legge quali norme fondamentali di riforma economico-sociale non possa discendere soltanto dalla definizione adottata dal legislatore, ma debba trovare 'puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro scopo o dalla loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati' (v. sentt. n. 85 del 1990 e n. 1033 del 1988, con richiami alla giurisprudenza precedente), assumendo a questo fine particolare valore il carattere riformatore della disciplina, l'incidenza della stessa in settori di rilevante importanza per la vita economico-sociale, la formulazione limitata all'enunciazione delle sole 'norme fondamentali' connesse ad un interesse unitario dello Stato". In particolare, con la sentenza n. 1033/1988, codesta ecc.ma Corte ha altresi' ulteriormente precisato che le norme "fondamentali" di riforma economico-sociale debbono in ogni caso (in quanto norme- principio) lasciare alle regioni e province autonome "uno spazio normativo sufficiente per adattare alle proprie peculiarita' locali i principi e gli istituti introdotti dalle leggi nazionali di riforma (sent. n. 219/1984)". Sotto piu' profili le disposizioni della legge impugnata mancano dei caratteri suddetti (che comunque in alcun modo potrebbero essere riconosciuti - come pretende il secondo comma dell'art. 1 - a tutte le disposizioni della legge n. 109/1994). Tali caratteri mancano non solo perche' gia' sembra eccessivo riconoscere alla legge in questione il carattere di legge di "riforma economico-sociale" (non potendosi considerare tale ogni legge che intervenga a modificare e razionalizzare la normativa di settori pur rilevanti dell'ordinamento); ma perche' in ogni caso, si tratta, all'evidenza, di una legge che (accanto ad alcune norme di principio) contiene soprattutto disposizioni di dettaglio che pongono vincoli specifici nei confronti dei soggetti pubblici e privati. Non solo, ma tale carattere della legge in questione e' vieppiu' aggravato dal fatto che gli spazi (invero scarsi) non coperti dalla disciplina della legge n. 109/1994 sono da questa stessa demandati alla disciplina non gia' dalle regioni e province autonome (che vantano in questa materia competenze legislative addirittura esclusive), ma sono invece affidati alla disciplina di regolamenti governativi³ Questo si deve dire non solo in relazione alla disciplina stabilita dall'art. 3 della legge impugnata (che costituisce oggetto delle specifiche censure che saranno fra breve illustrate), ma di tantissimi altri articoli della legge (alcuni gia' citati) che in vario modo rinviano al regolamento per la ulteriore disciplina della materia (per es. artt. 7, terzo comma; 8 e 28. Tale circostanza, come meglio si dira' in relazione alle impugnate disposizioni dell'art. 3, determina di per se' una lesione delle competenze della provincia ricorrente, ma qui essa viene richiamata in particolar modo perche' rende ancor piu' grave ed evidente il fatto che l'impianto complessivo della legge e' diretto a togliere ogni spazio alle scelte del legislatore regionale e provinciale, onde in alcun modo si puo' riconoscere alle disposizioni (a tutte le disposizioni) in essa contenute il carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale. Di qui la denunciata incostituzionalita' del secondo comma dell'art. 1 della legge n. 109/1994, nonche' delle altre disposizioni dalla stessa sopra richiamate. 1.2. - Sembra opportuno osservare, a questo punto, anche per prevenire eventuali obiezioni avversarie, che la qualificazione di tutte le disposizioni della legge n. 109/1994 come "norme fondamentali di riforma economico-sociale", di cui al secondo comma dell'art. 1, non puo' trovare giustificazione e spiegazione nella circostanza che quello stesso secondo comma afferma (con una formulazione, peraltro, non felice dal punto di vista della forma e di dubbio significato) che le disposizioni della legge in questione costituiscono, appunto, "norme fondamentali di riforma economico- sociale e principi della legislazione dello Stato ai sensi degli statuti delle regioni a statuto speciale e dell'art. 117 della Costituzione, anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato". Al riguardo si osserva sin d'ora (riservandoci di ritornare piu' ampiamente su cio' in una successiva memoria) che se con quella formulazione - come sembra - il legislatore ha cercato di dare alla legge n. 109/1994 una sorta di "copertura comunitaria", in realta' tale copertura e' inconsistente, perche' se si considera obiettivamente il contenuto della legge n. 109/1994 appare chiaramente come la sua finalita' non e' affatto quella di dare attuazione alle direttive comunitarie vigenti in materia di lavori pubblici. Al riguardo basti per ora considerare che, da un lato la direttiva n. 84/440 C.E.E., in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici gia' era stata recepita dal decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406; e dall'altro che in realta' la legge n. 109 stabilisce una disciplina per molti aspetti difforme rispetto a quella delle direttive comunitarie, che pone numerosi e gravi problemi di coordinamento con le medesime (basti per ora pensare, solo per fare un esempio, che l'art. 24 della legge n. 109/1994 praticamente esclude la trattativa privata per gli appalti di importo superiore a 150.000 Ecu, ponendosi cosi' in contrasto con quanto stabilito dalla disciplina comunitaria e dallo stesso decreto legislativo n. 406/1991, gia' citato). Non e' un caso, del resto, che - al di la' delle generiche affermazioni contenute nel testo della legge e nella relazione governativa - nessuna disposizione della legge in questione indica quali sarebbero le specifiche direttive e discipline comunitarie che con essa si intenderebbero recepire ed attuare. Si deve poi osservare, sul punto, che non e' comunque possibile ritenere che delle disposizioni legislative di attuazione di norme comunitarie siano per cio' stesso anche delle "norme fondamentali di riforma economico-sociale". A questo proposito sia consentito ricordare quanto affermato da codesta ecc.ma Corte, ancora nella gia' citata sentenza n. 349/1991 (a proposito di una analoga disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 1 della legge 15 gennaio 1991, n. 30): "Ne' il fatto di aver riferito la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale alle sole norme che attuino la normativa comunitaria puo' essere tale da giustificare (a parte ogni rilievo sulla assoluta indeterminatezza del richiamo operato) la legittimita' della disposizione impugnata, dal momento che le leggi statali di attuazione della normativa comunitaria non possono essere di per se' assimilate - indipendentemente dalla considerazione dei particolari contenuti della disciplina di volta in volta adottata - a leggi di riforma economico-sociale". 2. - Violazione, da parte dell'art. 3 e dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 109/1994, delle competenze provinciali di cui agli artt. 4, nn. 17 e 1, e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige, e relative norme d'attuazione; nonche' dei principi costituzionali relativi ai rapporti tra le fonti (art. 70 della Costituzione), del principio di legalita' e di preferenza di legge. Si e' visto come l'art. 3 abbia delegificato la materia dei lavori pubblici, attribuendo al Governo il potere di emanare un regolamento che, assieme alla stessa legge n. 109/1994, costituira' "l'ordinamento generale in materia di lavori pubblici" (art. 3, secondo comma). Si e' anche visto come, alla stregua di quanto stabilito dal precedente art. 2, secondo comma, lett. a), della stessa legge sia difficile dubitare che anche il regolamento di cui all'art. 3 sia applicabile alle regioni e province autonome; con la ulteriore conseguenza che la "delegificazione" ha dunque per oggetto anche le leggi regionali e provinciali in materia di lavori pubblici, e che dunque anche queste risulteranno abrogate - secondo quanto dispone il quarto comma dell'art. 3 - "con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento". Orbene, se questo - come sembra - e' il significato che il legislatore ha voluto attribuire alla disciplina qui impugnata (come induce a fare ritenere anche il fatto che pure l'art. 3 in questione sarebbe "norma fondamentale di riforma economico-sociale" ai sensi del secondo comma dell'art. 1, e quindi - sempre negli intendimenti del legislatore - in grado di comprimere anche le competenze legisla- tive esclusive delle regioni e province autonome), allora tale disciplina e' palesemente incostituzionale. Infatti, i principi costituzionali che regolano il sistema delle fonti non consentono che la legge ordinaria (statale) possa delegificare direttamente la legislazione regionale, consentendo al regolamento governativo di sostituirsi a quest'ultima; e comunque essi vietano - come ormai ripetutamente precisato da codesta ecc.ma Corte (fra le piu' recenti sent. n. 359/1993) - ai regolamenti del Governo di intervenire nelle materie di competenza regionale o provinciale (come del resto e' testualmente vietato dall'art. 17, primo comma, lett. b), della legge n. 400/1988, con una norma che e' chiaramente espressione di un principio costituzionale). Ma non e' tutto. Le disposizioni impugnate della legge n. 109/1994 sono incostituzionali e lesive delle competenze delle regioni e delle province autonome pure sotto un ulteriore profilo, anch'esso peraltro attinente ai principi costituzionali che presiedono alla "delegificazione". Ci si riferisce al fatto che l'art. 3, in primo luogo, non costituisce una precisa determinazione delle norme legislative regolatrici della materia delegificata e che il regolamento dovra' rispettare (secondo quanto e' espressamente richiesto anche dal secondo comma dell'art. 17 della legge n. 400/1988); ma, soprattutto, ci si riferisce al fatto che l'art. 3 (v. spec. il quarto comma, di cui si e' riportato il testo in precedenza, nel quale il riferimento agli "atti normativi indicati" e' privo di qualsiasi effettivo valore individuativo) non indica quali disposizioni legislative (statali ed eventualmente - per quanto si e' detto - anche regionali e provinciali) dovrebbero risultare abrogate per effetto della entrata in vigore del regolamento. L'art. 3, in realta', riferisce l'effetto abrogativo genericamente alla materia senza individuare le disposizioni abrogate. In tal modo si ha, da un lato, una carenza di definizione dell'oggetto del potere riconosciuto al Governo, che non ha riscontro neppure nel caso della delegazione legislativa (art. 76 della Costituzione). Dall'altro, e soprattutto, ne deriva che l'effetto abrogativo delle norme legisla- tive delegificate non e' piu' riconducibile alla stessa legge che "delegifica" (in ipotesi alla legge n. 109), sia pure condizionato sospensivamente all'entrata in vigore del regolamento; quell'effetto finisce inevitabilmente per essere ricondotto direttamente allo stesso atto regolamentare (il che e' proprio cio' che la formulazione dell'art. 17, terzo comma, della legge n. 400/8 ha inteso espressamente escludere, per rendere compatibile la delegificazione con i principi costituzionali). Pertanto la impugnata disciplina dell'art. 3 della legge n. 109/1994 viola altresi' i principi costituzionali (art. 70 della Costituzione) relativi al rapporto tra fonti legislative e regolamentari ed alla gerarchia delle fonti, di legalita' e di preferenza di legge. 3. - Violazione, da parte dell'art. 4 della legge n. 109/1994, delle competenze provinciali di cui agli artt. 4, nn. 1 e 17; 16; 54, primo comma, n. 5; e 107 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige, e relative norme d'attuazione. Si e' gia' ricordato in precedenza quale sia il contenuto dell'art. 4 della legge impugnata, intitolato "Autorita' per la vigilanza". Quest'articolo istituisce un organismo centrale per la vigilanza sui lavori pubblici (appunto l'"autorita'") con poteri anche ispettivi, di controllo e sanzionatori. Il primo comma dell'art. 4 riferisce la disciplina in questione alla vigilanza sui lavori pubblici "anche di interesse regionale" (e percio', sembra doversi ritenere, anche a quelli di interesse "provinciale", ex art. 8, n. 17 dello statuto). Inoltre l'autorita' e' articolata a livello periferico (nuclei regionali del servizio ispettivo, e sezioni regionali dell'osservatorio), per cui sembra che esso eserciti le proprie funzioni anche nei confronti della provincia autonoma ricorrente e relative aziende ed enti strumentali, nonche' degli enti locali del rispettivo territorio. La disciplina stabilita dall'art. 4 (spec. sesto, ottavo, dodicesimo e diciassettesimo comma) e' nel suo complesso lesiva sia delle competenze provinciali in materia di lavori pubblici (art. 8, n. 17 dello statuto), sia di quelle n materia di ordinamento degli uffici provinciali e del relativo personale (art. 8, n. 1); ed al tempo steso essa e' lesiva sia del regime costituzionale dei controlli sugli atti della provincia (che sono riservati alla Corte dei conti, nei modi stabiliti dalle norme d'attuazione dello statuto di cui al d.P.R. 1 gennaio 1973, n. 49, artt. 42 e segg.), sia del regime del controllo sui comuni e sugli enti locali esistenti nel territorio provinciale, che in base all'art. 54, primo comma, n. 5 dello statuto Trentino-Alto Adige e' riservato alla giunta provinciale. Se anche quelle contenute nell'art. 4 fossero delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, esse non potrebbero comunque sovvertire il regime dei controlli e della vigilanza sulle attivita' della provincia, dei comuni e degli altri enti locali esistenti nel territorio provinciale, modificando gli organi titolari del controllo, ed il tipo di controllo, che sono previsti dallo statuto e dalle norme d'attuazione. In ogni caso, l'affidamento ad una autorita' statale (la "autorita'" di cui all'art. 4) dei compiti di vigilanza in questione e' incompatibile con la disciplina della vigilanza sugli appalti e lavori pubblici provinciali che l'art. 8 della citata legge provinciale n. 26/1993 affida al presidente della giunta provinciale, coadiuvato dall'apposito "Collegio di ispettori provinciali"; cosi' come - sempre se applicabile alla provincia ricorrente - la disciplina dell'art. 4 relativa all'istituendo "Osservatorio dei lavori pubblici" (organo statale con articolazioni periferiche) e' incompatibile con la disciplina dell'"Osservatorio provinciale dei lavori pubblici" stabilita dall'art. 10 della stessa legge provinciale n. 26/1993. In particolare, per quanto attiene poi alla prevista possibilita' per la "autorita'" di richiedere informazioni, documenti e chiarimenti, nonche' di disporre ispezioni, a carico di amministrazioni aggiudicatrici, e ad ogni ente (art. 4, sesto comma), le norme impugnate incidono sulla gia' citata disciplina legislativa provinciale relativa, oltre che ai lavori pubblici, anche alla organizzazione e alle attivita' degli uffici provinciali (cfr. la deliberazione della giunta provinciale 11 marzo 1987, n. 9470, recante il "testo coordinato delle disposizioni contenute nella legge provinciale 29 aprile 1983, n. 12, e successive modificazioni". Nuovo ordinamento dei servizi e del personale della provincia autonoma di Trento). Inoltre l'art. 4 prevede l'applicazione di sanzioni disciplinari (addirittura di quelle stesse che sono previste dall'"ordinamento per gli impiegati dello Stato": art. 4, ottavo comma) ed accertamenti ed indagini ispettive con denuncia di responsabilita' per amministratori e pubblici dipendenti (art. 4, dodicesimo comma) da svolgersi dal servizio ispettivo per conto dell'autorita' di vigilanza anche nei confronti della provincia autonoma ricorrente. Anche tale particolare disciplina e' incostituzionale, costituendo violazione della competenza legislativa provinciale primaria in materia di "ordinamento del personale", ed avendo la legislazione provinciale gia' compiutamente regolato i doveri e le responsabilita', nonche' le sanzioni disciplinari dei dipendenti provinciali (v. il "Nuovo ordinamento dei servizi e del personale della provincia autonoma di Trento", cit., spec. artt. 97 e segg.). Al riguardo non si puo' non sottolineare anche la irrazionalita' di una norma che colpisce le infrazioni ed obblighi di legge commessi da dipendenti regionali o provinciali con le sanzioni disciplinari stabilite invece per gli impiegati dello Stato: pur avendo tutte le regioni e le province autonome disciplinato con proprie leggi la materia delle sanzioni disciplinari dei propri dipendenti. Ancora invasiva delle competenze legislative ed amministrative provinciali relative all'ordinamento dei propri uffici ed alla disciplina dei lavori pubblici di interesse provinciale e' pure, in particolare, la disciplina stabilita dal diciassettesimo comma dell'art. 4, che impone l'obbligo di trasmissione entro tempi stretti di una numerosissima serie di atti inerenti procedure di appalto, con la previsione di una ingente sanzione pecuniaria in caso di inosservanza. Tale norma, infatti, e' incostituzionalmente invasiva della disciplina legislativa e dell'assetto amministrativo provinciali, se riferita all'obbligo dei dipendenti provinciali di effettuare la suddetta trasmissione documentale per opere appaltate direttamente dalla provincia; ed e' altresi' invasiva della competenza legislativa provinciale di settore, se riguardante procedure di appalto esperite in applicazione della citata legge provinciale n. 20/1993 (anche degli enti di cui all'art. 1, quarto comma).
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare incostituzionale in parte qua le impugnate disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Roma, addi' 18 marzo 1994 Prof. avv. Sergio PANUNZIO 94C0395