N. 38 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 marzo 1994

                                 N. 38
 Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 29 marzo 1994 (della regione Toscana)
 Lavori pubblici - Legge quadro in materia di lavori pubblici -
    Esclusione   che   nella   licitazione  privata  possa  procedersi
    all'aggiudicazione con  il  criterio  dell'offerta  economicamente
    piu'   vantaggiosa   ed   esclusione,   altresi',  delle  varianti
    progettuali -  Inibizione  all'amministrazione  di  verificare  ed
    eventualmente escludere le offerte anormalmente basse - Esclusione
    dell'affidamento  a  trattativa privata per gli appalti di importo
    superiore a cinque milioni di ECU - Obbligo di  affidamento  delle
    concessioni  di  lavori  pubblici  mediante  licitazione privata -
    Sottoposizione delle regioni a controlli amministrativi statali  -
    Previsione  del  parere  obbligatorio  del Consiglio superiore dei
    lavori pubblici per tutti i progetti di opere pubbliche di importo
    superiore a cento milioni di ECU, nonche'  del  parere  vincolante
    dello   stesso   Consiglio  sull'affidamento  di  lavori  pubblici
    mediante appalto concorso -  Sottoposizione  della  programmazione
    regionale   dei   lavori  pubblici  ad  una  serie  di  vincoli  o
    restrizioni - Affidamento al Ministro dei  lavori  pubblici  della
    definizione   dello   schema   tipo  di  programma  trimestrale  -
    Previsione di  limiti  in  materia  di  programmazione  di  lavori
    pubblici  e relativi finanziamenti - Previsione dell'emanazione da
    parte del Governo di  atti  di  indirizzo  e  coordinamento  senza
    nessuna    specificazione    dei   presupposti   e   contenuti   -
    Qualificazione delle norme impugnate quale  principi  fondamentali
    in materia di lavori pubblici - Lamentata invasione della sfera di
    competenza   della  regione  in  materia  di  lavori  pubblici  di
    interesse  regionale  -  Riferimenti  alle  sentenze  della  Corte
    costituzionale nn. 139/1990 e 359/1991.
 (Legge 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 1, secondo e terzo comma, 3,
    primo,  secondo  e  sesto comma; 4, primo, sesto, quattordicesimo,
    sedicesimo e diciassettesimo comma; 6,  quinto  comma;  7,  primo,
    secondo,  terzo  e  quinto  comma; 14; 20, quarto comma; 24, primo
    comma, lett. b)).
 (Cost., artt. 3, 97, 117 e 118).
(GU n.16 del 13-4-1994 )
   Ricorso  per  la  regione  Toscana,  in persona del presidente pro-
 tempore della giunta regionale, autorizzato con  deliberazione  della
 giunta  regionale  n. 2206 del 14 marzo 1994, rappresentato e difeso,
 per mandato a margine del presente atto, dagli avvocati Vito  Vacchi,
 Lucia  Bora  e  Fabio  Lorenzoni, ed elettivamente domiciliato presso
 quest'ultimo in Roma, via Alessandria n. 130,  contro  il  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore  per  la  dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale degli artt. 1, secondo e  terzo  comma;
 3,  primo,  secondo  e sesto comma; 4, primo, sesto, quattordicesimo,
 sedicesimo,  diciassettesimo  comma;  6,  quinto  comma;  7,   primo,
 secondo, terzo e quinto comma; 14; 20, quarto comma; 24, primo comma,
 lett.  b)  della  legge  11  febbraio  1994,  n. 109 "Legge quadro in
 materia di lavori pubblici".
    1) Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 41 del  19
 febbraio  1994  e'  stata  pubblicata  la  legge quadro in materia di
 lavori pubblici n. 109/1994.
    Secondo l'art.  1,  la  legge  vuole  assicurare  che  l'attivita'
 amministrativa  in  materia di opere e lavori pubblici "si uniformi a
 criteri di efficienza e di efficacia, secondo procedure improntate  a
 tempestivita',  trasparenza  e  correttezza, nel rispetto del diritto
 comunitario e della libera concorrenza tra gli  operatori";  per  tal
 fine, essa si pone come normativa organica di disciplina di tutti gli
 appalti  pubblici,  ivi  compresi  i lavori di importo inferiore alla
 soglia di applicazione della normativa comunitaria.
    La normativa ha  quindi  il  positivo  intento  di  "risanare"  il
 settore  della  realizzazione delle opere pubbliche, di moralizzare e
 rendere trasparente l'attivita' amministrativa; tuttavia alcune delle
 sue disposizioni  ledono  sensibilmente  l'autonomia  legislativa  ed
 amministrativa  delle  regioni,  costituzionalmente  garantita  nella
 materia dei lavori pubblici di interesse regionale.
    1- A) L'art. 1, secondo comma, della legge-quadro prevede che "Per
 la disciplina delle opere e dei lavori pubblici di  competenza  delle
 regioni anche a statuto speciale, delle province autonome di Trento e
 di  Bolzano  e  degli  enti  infraregionali  da queste finanziati, le
 disposizioni della presente legge cotituiscono norme fondamentali  di
 riforma  economico-sociale  e principi della legislazione dello Stato
 ai sensi degli statuti delle regioni a statuto speciale  e  dell'art.
 117   della  Costituzione,  anche  per  il  rispetto  degli  obblighi
 internazionali dello Stato.
    La norma si iscrive  nel  sistema  previsto  dall'art.  117  della
 Costituzione  secondo  cui,  come e' noto, le regioni ordinarie hanno
 competenza legislativa concorrente (con  quella  dello  Stato)  nelle
 materie  indicate dallo stesso art. 117 (e quindi anche nella materia
 dei "lavori pubblici di interesse regionale".
    Tale potesta' legislativa puo' essere esercitata "nei  limiti  dei
 principi  fondamentali  stabiliti  dalle leggi dello Stato", principi
 che trovano la loro sede naturale di  espressione  nelle  c.d.  leggi
 cornice. Sebbene non sia escluso che lo Stato possa intervenire nelle
 materie  regionali  con  disposizioni che accanto ai principi pongano
 anche norme (legislative) di  dettaglio  o  che  addirittura  pongano
 norme  esclusivamente  di  dettaglio,  e'  pur vero che la normazione
 statale di dettaglio si applica fin quando  la  regione,  esercitando
 concretamente   la   sua   potesta'  legislativa,  non  intervenga  a
 disciplinare la materia con proprie  leggi  rispettose  dei  principi
 contenuti nelle leggi statali.
    Rispetto   a   questa   configurazione   del  rapporto  fra  fonte
 legislativa statale e fonte legislativa regionale, l'art. 1,  secondo
 comma, della legge-quadro eleva tutte le disposizioni contenute nella
 legge stessa al rango di principi della materia.
    In  tal modo le singole disposizioni della legge statale finiscono
 per  vincolare  totalmente  l'esercizio  della  potesta'  legislativa
 regionale.  Il problema era stato posto, ma inutilmente, dalla stessa
 commissione  parlamentare  per  le  questioni  regionali  che   aveva
 opportunamente  evidenziato  come  il ricorso al limite delle riforme
 economico-sociali producesse l'effetto di comprimere illegittimamente
 le autonomie regionali (v. parere com. bic. 15 luglio  1993  -  Pres.
 Guerzoni).
    Un  ulteriore elemento che conferma la volonta' del legislatore di
 elevare tutte le disposizioni al  rango  di  principi  della  materia
 viene  dall'art. 1, comma quarto, il quale dispone che le norme della
 legge non possano essere derogate, modificate o abrogate se  non  per
 dichiarazione   espressa   con   specifico   riferimento   a  singole
 disposizioni.
    Le norme della legge-quadro, sono cosi'  "rafforzate"  nella  loro
 vigenza  e  non  possono  essere  modificate  o  abrogate  se non per
 disposizioni espressa: e  cio'  proprio  perche'  il  legislatore  ha
 inteso  attribuire  a  tutte  le  disposizioni  della legge-quadro la
 valenza di "norme di principio".
    La legge statale dunque intende accreditarsi come  un  insieme  di
 disposizioni  tutte  inderogabili confermando al tendenza "espansiva"
 che ha caratterizzato l'intervento della legislazione  statale  nelle
 materie   di  competenza  regionale  e,  in  tal  modo,  la  potesta'
 legislativa regionale diviene potesta' attuativa,  anziche'  di  tipo
 concorrente,    con   evidente   violazione   dell'art.   117   della
 Costituzione.
    1- B) L'art. 1, terzo comma, dispone che: "Il  Governo,  ai  sensi
 dell'art.  2, terzo comma, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n.
 400,  emana  atti  di  indirizzo   e   coordinamento   dell'attivita'
 amministrativa delle regioni in conformita' alle norme della presente
 legge".
    Nel  contesto  della legge-quadro l'attribuzione di tale potere di
 indirizzo e coordinamento  non  e'  accompagnata  dall'individuazione
 delle  esigenze  unitarie da soddisfare e dalla definizione di chiari
 criteri-guida per il suo esercizio; e cio'  costituisce  lesione  del
 principio  di legalita' sostanziale piu' volte richiamato dalla Corte
 costituzionale in relazione alla legittimita' di  tale  attivita'  di
 indirizzo e coordinamento.
    2) L'art. 3 della legge opera la delegificazione della materia dei
 lavori  pubblici  rinviando ad un regolamento governativo l'ulteriore
 disciplina con riferimento:
      alla programmazione,  alla  progettazione,  alla  direzione  dei
 lavori,   al   collaudo   e   alle  attivita'  di  supporto  tecnico-
 amministrativo con le annesse normative tecniche;
      alle procedure di affidamento degli appalti e delle  concessioni
 di lavori pubblici, nonche' degli incarichi di progettazione;
      alle  forme  di  pubblicita'  e  di  conoscibilita'  degli  atti
 procedimentali, anche mediante informazione televisiva o trasmissione
 telematica, nonche' alle procedure di accesso agli atti;
      ai  rapporti  funzionali  tra  i  soggetti  che  concorrono alla
 realizzazione dei lavori e alle relative competenze.
    Tale regolamento e' adottato su proposta del Ministero dei  lavori
 pubblici,  di  concerto  con  i  Ministri  dell'ambiente e per i beni
 culturali ed  ambientali,  sentiti  i  Ministri  interessati,  previo
 parere  del  Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell'autorita'
 per la  vigilanza  sui  lavori  pubblici,  nonche'  delle  competenti
 commissioni parlamentari; esso viene a costituire, insieme alla legge
 "l'ordinamento  generale  in  materia  di  lavori  pubblici" (art. 3,
 secondo comma).
    Tale dizione legislativa (unita  a  quella  dell'art.  2,  secondo
 comma,  che  espressamente  prevede  la  generale  applicabilita' del
 regolamento anche alle  regioni)  induce  a  ritenere  che  anche  il
 regolamento governativo diventera' fonte di principi inderogabili che
 costituiranno  un  limite  alla legislazione regionale, in violazione
 dell'art.  117  della  Costituzione  e  del  limite  posto   per   la
 delegificazione  dell'art.  17,  secondo comma, della legge 23 agosto
 1988, n. 400.
    Cio' perche' i limiti alla potesta' legislativa regionale  possono
 essere stabiliti con legge e l'art. 17, secondo comma, della legge n.
 400/1988  ammette  che una materia possa essere delegificata solo ove
 non vi sia una riserva assoluta di legge.
    A tale proposito la Corte costituzionale ha affermato che gli atti
 regolamentari,   ivi   compresi   quelli   delegati,   non    possono
 legittimamente  contenere  una  disciplina  riferita  alle materie di
 competenza regionale (sent. n. 204, 391 e 465 del 1991; 97/1992) e la
 liceita' di regolamenti statali in materie regionali e' stata ammessa
 solo ove tali regolamenti abbiano contenuti tecnici e non coinvolgano
 "scelte ed indirizzi d'ordine politico-amministrativo"  (sentenze  n.
 483 e 507 del 1991; 461/1992).
    La  violazione  delle  regole  costituzionali  relative all'ordine
 delle fonti normative, cosi' come chiarite dalla Corte costituzionale
 (in base alle quali un atto regolamentare non puo' porre norme  volte
 a  limitare  la  sfera  delle  competenze delle regioni), si accentua
 esaminando gli oggetti specifici che il regolamento  dovra'  definire
 (art. 3, sesto comma) in quanto il regolamento non avra' un contenuto
 esclusivamente  tecnico (come si deduce dal contenuto del regolamento
 indicato dal sesto comma dell'art. 3). A cio' va aggiunto  che  tutta
 la  legge,  in  svariate  disposizioni,  rinvia  a  tale  regolamento
 delegato molti aspetti di disciplina sostanziale  della  materia  (si
 veda,  solo  a titolo esemplificativo, l'art. 7, terzo comma, per cui
 il  regolamento  disciplina  le   funzioni   del   responsabile   del
 rocedimento;  l'art.  28,  settimo  comma,  lettera  c),  per  cui il
 regolamento individua casi di collaudo in corso d'opera).
    Ne' la legittimita' del  regolamento  previsto  dall'art.  3  puo'
 essere  recuperata  intendendo  che lo stesso sia atto di indirizzo e
 coordinamento e percio' idoneo  a  vincolare  le  regioni;  cio'  sia
 perche'  la  legge gia' dispone all'art. 1, comma terzo, l'emanazione
 di tale atto, sia perche' il regolamento previsto dall'art. 3  e'  un
 atto  normativo  e  quindi  non  presenta  ne' il contenuto tipizzato
 (indirizzi  e  criteri   di   coordinamento   rivolti   a   vincolare
 teleologicamente  l'esercizio di potesta'), ne' la peculiarita' della
 forma propria degli atti di indirizzo e coordinamento.
    3)  L'art.  4  istituisce  l'autorita' per la vigilanza sui lavori
 pubblici, quale  organismo  autonomo  ed  indipendente,  composto  da
 cinque  esperti  in  settori tecnici, economici e giuridici, nominati
 dai Presidenti della Camera e del Senato.
    Tale autorita' esercita la vigilanza sui lavori pubblici, anche di
 interesse regionale (art. 4, primo comma).
    Il sesto comma dell'articolo specifica  i  poteri  dell'autorita',
 anche   nei   confronti   delle   regioni  e  degli  enti  regionali.
 Precisamente  si  stabilisce  che  tale  autorita'  puo'   richiedere
 documenti, informazioni e chiarimenti in ordine di lavori pubblici in
 corso o da iniziare; puo' disporre, anche su richiesta di chiunque ne
 abbia   interesse,   ispezioni;   puo'  disporre  perizie  e  analisi
 economiche  e  statistiche  nonche'  la  consultazione  di   esperti;
 l'eventuale  rifiuto  ed  omissione di fornire la documentazione e le
 informazioni richieste sono puniti con una  sanzione  amministrativa,
 fermo restando il potere di trasmissione degli atti al giudice penale
 e alla procura della corte dei conti.
    Al  servizio  ispettivo  - posto alle dipendenze dell'autorita' ed
 articolato in un nucleo centrale e in nuclei regionali - e' demandato
 il compito di  svolgere  accertamenti  ed  indagini  ispettive  nelle
 materie di competenza dell'autorita' stessa.
    Tali  ampi  e  penetranti  poteri  ispettivi,  che  comportano una
 interferenza nella gestione dell'azione  amministrativa,  contrastano
 con  l'art.  118,  primo  comma, della Costituzione, che riserva alle
 regioni autonomia amministrativa nelle materie di cui  all'art.  117,
 fra  cui  rientrano i lavori pubblici di interesse regionale. Inoltre
 il  suddetto  potere  ispettivo  viene  a  costituire  una  forma  di
 controllo  sull'attivita'  amministrativa  regionale, non prevista da
 alcuna norma costituzionale ed anzi in contrasto con il  sistema  dei
 controlli   sulle   regioni   come   definito   dall'art.  125  della
 Costituzione.
    3-  A)  L'art.  4  in  esame  prevede  poi  che  alle   dipendenze
 dell'autorita'   opera  anche  l'osservatorio  dei  lavori  pubblici,
 articolato in una sezione centrale e in sezioni regionali aventi sede
 presso  i  provveditorati  regionali  alle  opere  pubbliche   (comma
 quattordici).
    I  compiti  di tale osservatorio sono puntualizzati dal sedicesimo
 comma della norma in esame:  in  tale  articolazione  compiuta  detto
 organismo  si  sovrappone,  per  compiti e funzioni, agli osservatori
 gia' istituiti dalle regioni ai sensi della legge 17  febbraio  1987,
 n. 79. Infatti l'unico riconoscimento che la nuova legge accorda agli
 osservatori  regionali e' previsto dal quindicesimo comma della norma
 in questione, ove si dispone che l'osservatorio di nuova  istituzione
 operi   mediante  procedure  informatiche,  sulla  base  di  apposite
 convenzioni anche con gli organismi istituiti dalle regioni.
    Tale duplicazione  di  organi  e  la  sovrapposizione  di  compiti
 snatura  il ruolo degli osservatori regionali, rendendoli marginali e
 subalterni, in evidente violazione  delle  competenze  amministrative
 riservate  alle  regioni  in  materia,  ai  sensi dell'art. 118 della
 Costituzione.
    La violazione di tale norma si accompagna a quella degli artt. 3 e
 97 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza e della
 violazione del principio di buona amministrazione  da  parte  di  una
 norma   che   disconosce  la  titolarita'  delle  funzioni  regionali
 (funzioni,  tra  l'altro,  gia'  in  esercizio,  mediante  l'avvenuta
 istituzione degli osservatori regionali) e che crea una irrazionale e
 disorganica duplicazione di organismi similari.
    3-  B)  Il  diciassettesimo comma della norma in esame dispone che
 tutte le amministrazioni aggiudicatrici  (quindi  anche  le  regioni)
 sono  tenute  a comunicare a tale osservatorio, tutti i dati relativi
 ai lavori pubblici di importo superiore a 80.000  ECU,  tra  cui,  ad
 esempio,  il  contenuto  dei  bandi e dei verbali di gara, i soggetti
 invitati, l'inizio, l'avanzamento e  l'ultimazione  dei  lavori,  con
 l'importo   finale   degli   stessi.  Si  prevede  poi  una  sanzione
 amministrativa, applicata direttamente dall'autorita', per i soggetti
 che omettano di fornire i dati suddetti  o  che  li  comunichino  non
 veritieri.
    Anche  tale  previsione,  come  quella del precedente sesto comma,
 viola le attribuzioni  regionali  in  materia  trasferita,  garantita
 dall'art.  118,  primo  comma,  della  Costituzione; la violazione e'
 aggravata dalla diretta applicabilita' da parte dell'autorita'  delle
 sanzioni  amministrative anche alle regioni, come nei confronti di un
 ente   gerarchicamente   sottordinato   e    privo    di    autonomia
 costituzionalmente garantita.
    4)  L'art.  6,  quinto  comma,  prevede l'espressione di un parere
 obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici su  tutti  i
 progetti  di  opere  pubbliche  di importo superiore a 100 milioni di
 ECU, nonche', a prescindere da tale importo, su tutti i progetti  per
 i quali il parere sia richiesto dall'autorita'.
    La  norma  (qualora  dovesse essere interpretata, come sembra, nel
 senso della  sua  applicabilita'  anche  alle  regioni)  si  pone  in
 contrasto    con    l'esercizio    delle    funzioni   amministrative
 costituzionalmente garantite ai sensi  dell'art.  118,  primo  comma,
 della Costituzione.
    5)  L'art.  7  detta  misure per l'adeguamento della funzionalita'
 della pubblica amministrazione, disponendo, al primo  comma,  che  le
 amministrazioni  aggiudicatrici  nominano,  nell'ambito della propria
 struttura tecnica ed amministrativa, tra le figure professionali  in-
 dicate dal regolamento, un unico responsabile del procedimento.
    Il  secondo comma della norma specifica i compiti del responsabile
 del procedimento; ulteriori compiti sono poi previsti anche da  altre
 norme  della  legge, quali ad esempio l'art. 17, quarto comma, e art.
 27, secondo comma (per cui il responsabile del procedimento accetta e
 certifica le carenze di organico che impediscono alle amministrazioni
 aggiudicatrici di espletare direttamente la redazione dei progetti  e
 la  direzione  dei lavori; l'art. 28, ottavo comma, (per cui nei casi
 di  affidamento  dei  lavori  in  concessione  il  responsabile   del
 procedimento  esercita  le  funzioni di vigilanza in tutte le fasi di
 realizzazione dei lavori verificando il rispetto della  convenzione).
 Il  regolamento  delegato  di  cui  all'art.  3  disciplinera' poi le
 ulteriori funzioni del responsabile del procedimento, coordinando con
 esse i compiti del direttore dei lavori (comma terzo dell'articolo in
 esame).
    Tale  disposizione  appare  costituzionalmente  illegittima  nella
 parte  in  cui  prevede  che  il  responsabile del procedimento debba
 essere nominato tra le figure professionali indicate dal  regolamento
 e  nella  parte  in  cui  impartisce  obblighi  diretti  allo  stesso
 responsabile del procedimento;  cio'  per  violazione  dell'art.  117
 della   Costituzione  che  garantisce  autonomia  organizzativa  alle
 regioni.
    Il  rinvio  al  regolamento,  contenuto nel citato terzo comma, di
 definire i compiti ulteriori del  responsabile  del  procedimento  e'
 incostituzionale  per i motivi sopra esposti al punto 2) in relazione
 all'art. 3 della legge.
    5- A) Il medesimo art. 7, al comma  quinto,  prevede  che  per  le
 opere di rilievo nazionale o di iniziativa di amministrazioni statali
 ricomprese  nella  programmazione  di  settore  e  per le quali siano
 immediatamente utilizzabili i finanziamenti,  l'intesa  Stato-regione
 di  cui  all'art.  81  del  d.P.R. n. 616/1977 possa essere acquisita
 nell'ambito della conferenza dei servizi, se non perfezionatasi entro
 sessanta giorni dalla richiesta.
    A tale proposito non  va  dimenticato  che,  in  base  alla  nuova
 normativa  sull'istituto  della  conferenza  dei  servizi, introdotta
 dall'art. 2, tredicesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537,
 qualora nella conferenza sia necessaria l'unanimita' e la stessa  non
 sia  raggiunta, le relative determinazioni possono essere assunte dal
 Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,  previa  deliberazione  del
 Consiglio  dei  Ministri  e  tali  determinazioni  hanno  il medesimo
 effetto giuridico dell'approvazione all'unanimita'.
    Pertanto il comma quinto dell'art. 7 in questione e' lesivo  delle
 attribuzioni  regionali  perche' sposta il livello dell'intesa Stato-
 regione da un piano politico (art. 81  d.P.R.  n.  616/1977)  ad  uno
 amministrativo (conferenza dei servizi) e perche', in caso di mancata
 intesa,   elimina   nel  procedimento  sostitutivo  il  parere  della
 commissione parlamentare per le questioni regionali,  violando  cosi'
 il  principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, piu' volte
 enunciato dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 37  e  464/1991  e
 462/1992).
    6)  L'art. 14 detta la disciplina relativa alla programmazione dei
 lavori pubblici.
    Si prevede che  le  amministrazioni  aggiudicatrici  approvino  il
 programma   dei   lavori  pubblici  da  eseguire  nel  triennio,  con
 l'indicazione  dei  mezzi,  stanziati   nonche'   disponibili;   tale
 programma   deve  prevedere  l'elenco  dei  lavori  per  settore;  la
 priorita' di intervento;  il  piano  finanziario  complessivo  e  per
 settore;  i  tempi  di  attuazione  degli  interventi.  Nel programma
 possono essere inclusi, secondo un ordine di priorita', per tipologia
 di opere, solo i lavori di cui sia stato redatto almeno  il  progetto
 preliminare  e  la  cui  utilita'  sia stata accertata in base ad una
 verifica costi/benefici.
    Il programma e' redatto in conformita' agli strumenti  urbanistici
 e  se  gli  enti  locali sono sprovvisti degli strumenti urbanistici,
 devono adottarli entro un anno dalla data di entrata in vigore  della
 legge,  pena  l'esclusione  da  ogni  contributo o agevolazione dello
 Stato in materia di lavori pubblici.
    L'iter procedurale del programma prevede l'adozione  dello  schema
 di  programma;  la  sua  pubblicazione per sessanta giorni al fine di
 raccogliere   le   osservazioni   e   proposte   ed   il   definitivo
 pronunciamento dell'ente competente sulle stesse.
    Fatti  salvi  gli  interventi  imposti  da  eventi imprevedibili o
 calamitosi e le modifiche dipendenti da nuove leggi,  regolamenti,  o
 atti amministrativi statali o regionali, le amministrazioni pubbliche
 non  possono  concedere finanziamenti per opere e lavori pubblici non
 ricompresi  nei  programmi  o  quando la richiesta non ne rispetti le
 priorita'.
    Tale norma e'  lesiva  del  ruolo  delle  regioni  quali  enti  di
 programmazione,  nella  rilevante  materia  delle  opere pubbliche di
 interesse regionale. Il suddetto  ruolo  di  ente  di  programmazione
 discende  dalle norme costituzionali (art. 118 della Costituzione) in
 base alle quali la regione non gestisce  l'attivita'  amministrativa,
 che  deve  essere  delegata  agli  enti  locali,  ma  legifera e, sul
 versante    amministrativo,    coordina    e    programma    l'azione
 amministrativa.
    In  attuazione  di  tali  norme  costituzionali, la legge 8 giugno
 1990, n. 142, ha  dettato  i  principi  dell'ordinamento  degli  enti
 locali  e dei rapporti tra regione ed enti locali, non derogabili, ai
 sensi dell'art. 128  della  Costituzion,  se  non  mediante  espressa
 modificazione delle disposizioni contenute nella stessa legge.
    Le  disposizioni  contenute  nella  citata  legge n. 142/1990 sono
 dunque norme di immediata attuazione  del  dettato  costituzionale  e
 pertanto  contengono  una  disciplina  organica  atta  a  fungere  da
 parametro interposto nei giudizi di costituzionalita'  concernenti  i
 rapporti Stato-regioni.
    Tanto  premesso, deve essere rilevato che l'art. 3, sesto, settimo
 ed ottavo comma, della legge n. 142/1990,  assegna  alle  regioni  il
 compito  di  individuare  gli  atti e gli strumenti di programmazione
 socio-economica e di pianificazione territoriale degli  enti  locali,
 che  siano  rilevanti  ai fini della programmazione regionale. Questo
 potere  ordinamentale  in   materia   di   atti   di   programmazione
 riconosciuto  alle  regioni  si  sostanzia  in un complesso lavoro di
 analisi, di ricognizione e di legislazione volto alla definizione  di
 un  sistema  integrato,  tra  regioni  ed  enti  locali,  di  atti  e
 procedimenti programmatori. La regione  Toscana  ha  esercitato  tale
 competenza  dando avvio al suddetto lavoro: la l.r. 9 giugno 1992, n.
 26, rappresenta la delineazione della prima fondamentale cornice.
    Il citato art. 3  della  legge  n.  142/1990  si  basa  sul  pieno
 riconoscimento  della  competenza programmatoria regionale e pertanto
 comporta  la  rinuncia  da  parte   dello   Stato,   ad   intervenire
 ulteriormente  nella  previsione  e definizione di atti programmatori
 degli enti locali, per evitare interferenze  con  la  nuova  funzione
 regionale  che  e',  di  per  se',  notevolmente  complessa  dato che
 l'attivita' programmatoria degli enti locali e' a  tutt'oggi  libera,
 sia in termini di atti che di procedimenti adottabili.
    Il  citato  art.  14 della legge-quadro, nel dettare minutamente i
 contenuti del programma triennale dei lavori pubblici, che  gli  enti
 locali  sono  tenuti  ad  adottare,  addirittura  prevedendo  che  il
 Ministro dei lavori pubblici definisca con proprio decreto lo  schema
 tipo  del  programma  (quinto  comma)  e nel disciplinare gli effetti
 dello stesso programma, sottrae il settore  dei  lavori  pubblici  di
 interesse  regionale  alla  potesta'  ordinamentale  delle regioni ed
 incide negativamente sulla possibilita' di ricondurre  a  sistema  il
 complesso degli atti di programmazione locali e regionali; tutto cio'
 in  violazione  del  citato art. 3 della legge n. 112/1990, e quindi,
 del  ruolo  regionale  derivante  dagli  articoli  117  e  118  della
 Costituzione.
    Inoltre  il  quarto  comma  dell'art.  3  della  legge n. 142/1990
 dispone:  "La  regione  determina  gli   obiettivi   generali   della
 programmazione  economico-sociale  e  territoriale  e  su questa base
 ripartisce le risorse destinate al  finanziamento  del  programma  di
 investimenti degli enti locali". Tale norma si basa sulla costruzione
 di un meccanismo integrato di finanziamenti statali e regionali, gov-
 ernato  dalle  regioni,  ai  fini dell'attuazione dei programmi degli
 enti locali, ivi compresi quelli relativi ai lavori pubblici.
    Il citato art. 14  della  nuova  legge,  invece,  si  basa  su  un
 rapporto   di  finanziamenti  diretto  tra  l'ente  locale  e  l'ente
 erogatore che, quindi, non viene mediato dalle scelte  programmatiche
 compiute  dagli  atti del sistema delle autonomie locali e regionali;
 cio' in quanto le amministrazioni che erogano  i  finanziamenti  sono
 tenute  solo  ad  accertare  che  l'opera  sia  inclusa nel programma
 dell'ente locale e che sia rispettato l'ordine di priorita'  in  esso
 stabilito, ne' e' previsto un ruolo regionale per la verifica a monte
 della  rispondenza del programma triennale dell'ente locale agli atti
 di programmazione regionale.
    Il suddetto meccanismo dei finanziamenti indebolisce  notevolmente
 la programmazione regionale, il cui effetto propulsivo e di indirizzo
 deve   necessariamente  organizzarsi  intorno  a  scelte  di  sintesi
 rispetto alle frammentate necessita' dei singoli enti locali.
    E' infatti sulla base dei diversi programmi presentati dagli  enti
 locali  che la regione determina priorita' regionali o di area vasta,
 coordinando anche le opzioni  diverse  e  contrastanti  espresse  dai
 comuni  e  dalle  province  (si  pensi, ad esempio, alle previsioni e
 localizzazioni degli impianti di smaltimento  dei  rifiuti).  D'altra
 parte  occorre tener conto che si verifica spesso il concorso di piu'
 amministrazioni nell'erogazione delle risorse finanziarie  necessarie
 alla realizzazione di un'opera.
    Anche  per tale aspetto, quindi, la norma si pone in contrasto con
 il ruolo della regione, cosi' come definito dall'art. 3  della  legge
 n.  142/1990,  in  attuazione  di principi costituzionali di cui agli
 articoli 117 e 118 della Costituzione.
    7) L'art. 20, quarto comma, prevede che l'affidamento  di  appalti
 mediante la procedura dell'appalto-concorso e' consentito ai soggetti
 appaltanti   (ivi   comprese,  dunque,  le  regioni),  previo  parere
 vincolante del consiglio superiore dei lavori pubblici.
    Anche tale norma, tanto  piu'  per  il  carattere  vincolante  del
 parere,     lede     le     competenze    amministrative    regionali
 costituzionalmente garantite in  materia,  ai  sensi  dell'art.  118,
 primo comma, della Costituzione.
    8)  L'art. 24 disciplina, al primo comma, i casi in cui e' ammesso
 l'affidamento dei lavori a trattativa privata: per gli appalti sino a
 150 mila ECU si opera un rinvio all'art. 41 del r.d. 23 maggio  1924,
 n. 827, (lettera a) e per gli appalti di importo superiore a 150 mila
 ECU  ma  inferiori  a 5 milioni di ECU, la trattativa e' ammessa solo
 per il ripristino di opere gia' esistenti e funzionanti danneggiate e
 rese inutilizzabili da eventi di natura calamitosa, qualora motivi di
 urgenza rendano incompatibili i termini imposti dalle altre procedure
 di affidamento degli appalti (lettera b).
    La direttiva comunitaria 93/37 del 14 giugno 1993 che  si  applica
 per  gli  appalti pubblici di lavori di importo superiore a 5 milioni
 di ECU, all'art.  7  ammette  la  procedura  negoziata,  anche  senza
 pubblicazione  preliminare  di  un  bando di gara, in casi molto piu'
 numerosi di quelli previsti dalla citata lettera b) dell'art. 24.
    Tale  norma della nuova legge si pone, in base al gia' citato art.
 1, quale principio e quindi vincola le regioni al suo  rispetto,  con
 la  conseguenza  che  le  regioni stesse dovranno attenersi al rigido
 disposto dell'art. 24, primo  comma,  lettera  b)  per  i  lavori  di
 importo  inferiore alla soglia di applicazione della citata direttiva
 comunitaria, mentre potranno prevedere  il  ricorso  alla  trattativa
 privata  per  i  lavori superiori a 5 milioni di ECU nei casi ammessi
 dalla stessa direttiva.
    Il limite imposto dalla lettera b), dell'art. 24, in rapporto alla
 diversa e piu' ampia normativa  comunitaria,  appare  quindi  violare
 l'art.  3 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza,
 perche'  non  ammette  il  ricorso  alla  trattativa  privata   negli
 specifici   casi   in   cui  lo  stesso  e'  consentito  per  importi
 notevolmente superiori.
                                P. Q. M.
    Si chiede che la Corte  costituzionale  dichiari  l'illegittimita'
 costituzionale  degli  articoli  1 (secondo e terzo comma), 3 (primo,
 secondo e sesto comma), 4 (primo, sesto, quattordicesimo, sedicesimo,
 diciassettesimo comma), 6 (quinto comma), 7 (primo, secondo, terzo  e
 quinto  comma),  14,  20  (quarto comma), 24 (primo comma, lettera b)
 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, per contrasto con gli  articoli
 3, 97, 117, 118 della Costituzione.
      Firenze-Roma, addi' 16 marzo 1994
                Avv. Vito Vacchi - Avv. Fabio Lorenzoni

 94C0397