N. 38 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 marzo 1994
N. 38 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 29 marzo 1994 (della regione Toscana) Lavori pubblici - Legge quadro in materia di lavori pubblici - Esclusione che nella licitazione privata possa procedersi all'aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa ed esclusione, altresi', delle varianti progettuali - Inibizione all'amministrazione di verificare ed eventualmente escludere le offerte anormalmente basse - Esclusione dell'affidamento a trattativa privata per gli appalti di importo superiore a cinque milioni di ECU - Obbligo di affidamento delle concessioni di lavori pubblici mediante licitazione privata - Sottoposizione delle regioni a controlli amministrativi statali - Previsione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici per tutti i progetti di opere pubbliche di importo superiore a cento milioni di ECU, nonche' del parere vincolante dello stesso Consiglio sull'affidamento di lavori pubblici mediante appalto concorso - Sottoposizione della programmazione regionale dei lavori pubblici ad una serie di vincoli o restrizioni - Affidamento al Ministro dei lavori pubblici della definizione dello schema tipo di programma trimestrale - Previsione di limiti in materia di programmazione di lavori pubblici e relativi finanziamenti - Previsione dell'emanazione da parte del Governo di atti di indirizzo e coordinamento senza nessuna specificazione dei presupposti e contenuti - Qualificazione delle norme impugnate quale principi fondamentali in materia di lavori pubblici - Lamentata invasione della sfera di competenza della regione in materia di lavori pubblici di interesse regionale - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 139/1990 e 359/1991. (Legge 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 1, secondo e terzo comma, 3, primo, secondo e sesto comma; 4, primo, sesto, quattordicesimo, sedicesimo e diciassettesimo comma; 6, quinto comma; 7, primo, secondo, terzo e quinto comma; 14; 20, quarto comma; 24, primo comma, lett. b)). (Cost., artt. 3, 97, 117 e 118).(GU n.16 del 13-4-1994 )
Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente pro- tempore della giunta regionale, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 2206 del 14 marzo 1994, rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, dagli avvocati Vito Vacchi, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, via Alessandria n. 130, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, secondo e terzo comma; 3, primo, secondo e sesto comma; 4, primo, sesto, quattordicesimo, sedicesimo, diciassettesimo comma; 6, quinto comma; 7, primo, secondo, terzo e quinto comma; 14; 20, quarto comma; 24, primo comma, lett. b) della legge 11 febbraio 1994, n. 109 "Legge quadro in materia di lavori pubblici". 1) Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 41 del 19 febbraio 1994 e' stata pubblicata la legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109/1994. Secondo l'art. 1, la legge vuole assicurare che l'attivita' amministrativa in materia di opere e lavori pubblici "si uniformi a criteri di efficienza e di efficacia, secondo procedure improntate a tempestivita', trasparenza e correttezza, nel rispetto del diritto comunitario e della libera concorrenza tra gli operatori"; per tal fine, essa si pone come normativa organica di disciplina di tutti gli appalti pubblici, ivi compresi i lavori di importo inferiore alla soglia di applicazione della normativa comunitaria. La normativa ha quindi il positivo intento di "risanare" il settore della realizzazione delle opere pubbliche, di moralizzare e rendere trasparente l'attivita' amministrativa; tuttavia alcune delle sue disposizioni ledono sensibilmente l'autonomia legislativa ed amministrativa delle regioni, costituzionalmente garantita nella materia dei lavori pubblici di interesse regionale. 1- A) L'art. 1, secondo comma, della legge-quadro prevede che "Per la disciplina delle opere e dei lavori pubblici di competenza delle regioni anche a statuto speciale, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti infraregionali da queste finanziati, le disposizioni della presente legge cotituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale e principi della legislazione dello Stato ai sensi degli statuti delle regioni a statuto speciale e dell'art. 117 della Costituzione, anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato. La norma si iscrive nel sistema previsto dall'art. 117 della Costituzione secondo cui, come e' noto, le regioni ordinarie hanno competenza legislativa concorrente (con quella dello Stato) nelle materie indicate dallo stesso art. 117 (e quindi anche nella materia dei "lavori pubblici di interesse regionale". Tale potesta' legislativa puo' essere esercitata "nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato", principi che trovano la loro sede naturale di espressione nelle c.d. leggi cornice. Sebbene non sia escluso che lo Stato possa intervenire nelle materie regionali con disposizioni che accanto ai principi pongano anche norme (legislative) di dettaglio o che addirittura pongano norme esclusivamente di dettaglio, e' pur vero che la normazione statale di dettaglio si applica fin quando la regione, esercitando concretamente la sua potesta' legislativa, non intervenga a disciplinare la materia con proprie leggi rispettose dei principi contenuti nelle leggi statali. Rispetto a questa configurazione del rapporto fra fonte legislativa statale e fonte legislativa regionale, l'art. 1, secondo comma, della legge-quadro eleva tutte le disposizioni contenute nella legge stessa al rango di principi della materia. In tal modo le singole disposizioni della legge statale finiscono per vincolare totalmente l'esercizio della potesta' legislativa regionale. Il problema era stato posto, ma inutilmente, dalla stessa commissione parlamentare per le questioni regionali che aveva opportunamente evidenziato come il ricorso al limite delle riforme economico-sociali producesse l'effetto di comprimere illegittimamente le autonomie regionali (v. parere com. bic. 15 luglio 1993 - Pres. Guerzoni). Un ulteriore elemento che conferma la volonta' del legislatore di elevare tutte le disposizioni al rango di principi della materia viene dall'art. 1, comma quarto, il quale dispone che le norme della legge non possano essere derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa con specifico riferimento a singole disposizioni. Le norme della legge-quadro, sono cosi' "rafforzate" nella loro vigenza e non possono essere modificate o abrogate se non per disposizioni espressa: e cio' proprio perche' il legislatore ha inteso attribuire a tutte le disposizioni della legge-quadro la valenza di "norme di principio". La legge statale dunque intende accreditarsi come un insieme di disposizioni tutte inderogabili confermando al tendenza "espansiva" che ha caratterizzato l'intervento della legislazione statale nelle materie di competenza regionale e, in tal modo, la potesta' legislativa regionale diviene potesta' attuativa, anziche' di tipo concorrente, con evidente violazione dell'art. 117 della Costituzione. 1- B) L'art. 1, terzo comma, dispone che: "Il Governo, ai sensi dell'art. 2, terzo comma, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, emana atti di indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni in conformita' alle norme della presente legge". Nel contesto della legge-quadro l'attribuzione di tale potere di indirizzo e coordinamento non e' accompagnata dall'individuazione delle esigenze unitarie da soddisfare e dalla definizione di chiari criteri-guida per il suo esercizio; e cio' costituisce lesione del principio di legalita' sostanziale piu' volte richiamato dalla Corte costituzionale in relazione alla legittimita' di tale attivita' di indirizzo e coordinamento. 2) L'art. 3 della legge opera la delegificazione della materia dei lavori pubblici rinviando ad un regolamento governativo l'ulteriore disciplina con riferimento: alla programmazione, alla progettazione, alla direzione dei lavori, al collaudo e alle attivita' di supporto tecnico- amministrativo con le annesse normative tecniche; alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici, nonche' degli incarichi di progettazione; alle forme di pubblicita' e di conoscibilita' degli atti procedimentali, anche mediante informazione televisiva o trasmissione telematica, nonche' alle procedure di accesso agli atti; ai rapporti funzionali tra i soggetti che concorrono alla realizzazione dei lavori e alle relative competenze. Tale regolamento e' adottato su proposta del Ministero dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell'ambiente e per i beni culturali ed ambientali, sentiti i Ministri interessati, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell'autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici, nonche' delle competenti commissioni parlamentari; esso viene a costituire, insieme alla legge "l'ordinamento generale in materia di lavori pubblici" (art. 3, secondo comma). Tale dizione legislativa (unita a quella dell'art. 2, secondo comma, che espressamente prevede la generale applicabilita' del regolamento anche alle regioni) induce a ritenere che anche il regolamento governativo diventera' fonte di principi inderogabili che costituiranno un limite alla legislazione regionale, in violazione dell'art. 117 della Costituzione e del limite posto per la delegificazione dell'art. 17, secondo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Cio' perche' i limiti alla potesta' legislativa regionale possono essere stabiliti con legge e l'art. 17, secondo comma, della legge n. 400/1988 ammette che una materia possa essere delegificata solo ove non vi sia una riserva assoluta di legge. A tale proposito la Corte costituzionale ha affermato che gli atti regolamentari, ivi compresi quelli delegati, non possono legittimamente contenere una disciplina riferita alle materie di competenza regionale (sent. n. 204, 391 e 465 del 1991; 97/1992) e la liceita' di regolamenti statali in materie regionali e' stata ammessa solo ove tali regolamenti abbiano contenuti tecnici e non coinvolgano "scelte ed indirizzi d'ordine politico-amministrativo" (sentenze n. 483 e 507 del 1991; 461/1992). La violazione delle regole costituzionali relative all'ordine delle fonti normative, cosi' come chiarite dalla Corte costituzionale (in base alle quali un atto regolamentare non puo' porre norme volte a limitare la sfera delle competenze delle regioni), si accentua esaminando gli oggetti specifici che il regolamento dovra' definire (art. 3, sesto comma) in quanto il regolamento non avra' un contenuto esclusivamente tecnico (come si deduce dal contenuto del regolamento indicato dal sesto comma dell'art. 3). A cio' va aggiunto che tutta la legge, in svariate disposizioni, rinvia a tale regolamento delegato molti aspetti di disciplina sostanziale della materia (si veda, solo a titolo esemplificativo, l'art. 7, terzo comma, per cui il regolamento disciplina le funzioni del responsabile del rocedimento; l'art. 28, settimo comma, lettera c), per cui il regolamento individua casi di collaudo in corso d'opera). Ne' la legittimita' del regolamento previsto dall'art. 3 puo' essere recuperata intendendo che lo stesso sia atto di indirizzo e coordinamento e percio' idoneo a vincolare le regioni; cio' sia perche' la legge gia' dispone all'art. 1, comma terzo, l'emanazione di tale atto, sia perche' il regolamento previsto dall'art. 3 e' un atto normativo e quindi non presenta ne' il contenuto tipizzato (indirizzi e criteri di coordinamento rivolti a vincolare teleologicamente l'esercizio di potesta'), ne' la peculiarita' della forma propria degli atti di indirizzo e coordinamento. 3) L'art. 4 istituisce l'autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici, quale organismo autonomo ed indipendente, composto da cinque esperti in settori tecnici, economici e giuridici, nominati dai Presidenti della Camera e del Senato. Tale autorita' esercita la vigilanza sui lavori pubblici, anche di interesse regionale (art. 4, primo comma). Il sesto comma dell'articolo specifica i poteri dell'autorita', anche nei confronti delle regioni e degli enti regionali. Precisamente si stabilisce che tale autorita' puo' richiedere documenti, informazioni e chiarimenti in ordine di lavori pubblici in corso o da iniziare; puo' disporre, anche su richiesta di chiunque ne abbia interesse, ispezioni; puo' disporre perizie e analisi economiche e statistiche nonche' la consultazione di esperti; l'eventuale rifiuto ed omissione di fornire la documentazione e le informazioni richieste sono puniti con una sanzione amministrativa, fermo restando il potere di trasmissione degli atti al giudice penale e alla procura della corte dei conti. Al servizio ispettivo - posto alle dipendenze dell'autorita' ed articolato in un nucleo centrale e in nuclei regionali - e' demandato il compito di svolgere accertamenti ed indagini ispettive nelle materie di competenza dell'autorita' stessa. Tali ampi e penetranti poteri ispettivi, che comportano una interferenza nella gestione dell'azione amministrativa, contrastano con l'art. 118, primo comma, della Costituzione, che riserva alle regioni autonomia amministrativa nelle materie di cui all'art. 117, fra cui rientrano i lavori pubblici di interesse regionale. Inoltre il suddetto potere ispettivo viene a costituire una forma di controllo sull'attivita' amministrativa regionale, non prevista da alcuna norma costituzionale ed anzi in contrasto con il sistema dei controlli sulle regioni come definito dall'art. 125 della Costituzione. 3- A) L'art. 4 in esame prevede poi che alle dipendenze dell'autorita' opera anche l'osservatorio dei lavori pubblici, articolato in una sezione centrale e in sezioni regionali aventi sede presso i provveditorati regionali alle opere pubbliche (comma quattordici). I compiti di tale osservatorio sono puntualizzati dal sedicesimo comma della norma in esame: in tale articolazione compiuta detto organismo si sovrappone, per compiti e funzioni, agli osservatori gia' istituiti dalle regioni ai sensi della legge 17 febbraio 1987, n. 79. Infatti l'unico riconoscimento che la nuova legge accorda agli osservatori regionali e' previsto dal quindicesimo comma della norma in questione, ove si dispone che l'osservatorio di nuova istituzione operi mediante procedure informatiche, sulla base di apposite convenzioni anche con gli organismi istituiti dalle regioni. Tale duplicazione di organi e la sovrapposizione di compiti snatura il ruolo degli osservatori regionali, rendendoli marginali e subalterni, in evidente violazione delle competenze amministrative riservate alle regioni in materia, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione. La violazione di tale norma si accompagna a quella degli artt. 3 e 97 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza e della violazione del principio di buona amministrazione da parte di una norma che disconosce la titolarita' delle funzioni regionali (funzioni, tra l'altro, gia' in esercizio, mediante l'avvenuta istituzione degli osservatori regionali) e che crea una irrazionale e disorganica duplicazione di organismi similari. 3- B) Il diciassettesimo comma della norma in esame dispone che tutte le amministrazioni aggiudicatrici (quindi anche le regioni) sono tenute a comunicare a tale osservatorio, tutti i dati relativi ai lavori pubblici di importo superiore a 80.000 ECU, tra cui, ad esempio, il contenuto dei bandi e dei verbali di gara, i soggetti invitati, l'inizio, l'avanzamento e l'ultimazione dei lavori, con l'importo finale degli stessi. Si prevede poi una sanzione amministrativa, applicata direttamente dall'autorita', per i soggetti che omettano di fornire i dati suddetti o che li comunichino non veritieri. Anche tale previsione, come quella del precedente sesto comma, viola le attribuzioni regionali in materia trasferita, garantita dall'art. 118, primo comma, della Costituzione; la violazione e' aggravata dalla diretta applicabilita' da parte dell'autorita' delle sanzioni amministrative anche alle regioni, come nei confronti di un ente gerarchicamente sottordinato e privo di autonomia costituzionalmente garantita. 4) L'art. 6, quinto comma, prevede l'espressione di un parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici su tutti i progetti di opere pubbliche di importo superiore a 100 milioni di ECU, nonche', a prescindere da tale importo, su tutti i progetti per i quali il parere sia richiesto dall'autorita'. La norma (qualora dovesse essere interpretata, come sembra, nel senso della sua applicabilita' anche alle regioni) si pone in contrasto con l'esercizio delle funzioni amministrative costituzionalmente garantite ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. 5) L'art. 7 detta misure per l'adeguamento della funzionalita' della pubblica amministrazione, disponendo, al primo comma, che le amministrazioni aggiudicatrici nominano, nell'ambito della propria struttura tecnica ed amministrativa, tra le figure professionali in- dicate dal regolamento, un unico responsabile del procedimento. Il secondo comma della norma specifica i compiti del responsabile del procedimento; ulteriori compiti sono poi previsti anche da altre norme della legge, quali ad esempio l'art. 17, quarto comma, e art. 27, secondo comma (per cui il responsabile del procedimento accetta e certifica le carenze di organico che impediscono alle amministrazioni aggiudicatrici di espletare direttamente la redazione dei progetti e la direzione dei lavori; l'art. 28, ottavo comma, (per cui nei casi di affidamento dei lavori in concessione il responsabile del procedimento esercita le funzioni di vigilanza in tutte le fasi di realizzazione dei lavori verificando il rispetto della convenzione). Il regolamento delegato di cui all'art. 3 disciplinera' poi le ulteriori funzioni del responsabile del procedimento, coordinando con esse i compiti del direttore dei lavori (comma terzo dell'articolo in esame). Tale disposizione appare costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede che il responsabile del procedimento debba essere nominato tra le figure professionali indicate dal regolamento e nella parte in cui impartisce obblighi diretti allo stesso responsabile del procedimento; cio' per violazione dell'art. 117 della Costituzione che garantisce autonomia organizzativa alle regioni. Il rinvio al regolamento, contenuto nel citato terzo comma, di definire i compiti ulteriori del responsabile del procedimento e' incostituzionale per i motivi sopra esposti al punto 2) in relazione all'art. 3 della legge. 5- A) Il medesimo art. 7, al comma quinto, prevede che per le opere di rilievo nazionale o di iniziativa di amministrazioni statali ricomprese nella programmazione di settore e per le quali siano immediatamente utilizzabili i finanziamenti, l'intesa Stato-regione di cui all'art. 81 del d.P.R. n. 616/1977 possa essere acquisita nell'ambito della conferenza dei servizi, se non perfezionatasi entro sessanta giorni dalla richiesta. A tale proposito non va dimenticato che, in base alla nuova normativa sull'istituto della conferenza dei servizi, introdotta dall'art. 2, tredicesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, qualora nella conferenza sia necessaria l'unanimita' e la stessa non sia raggiunta, le relative determinazioni possono essere assunte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e tali determinazioni hanno il medesimo effetto giuridico dell'approvazione all'unanimita'. Pertanto il comma quinto dell'art. 7 in questione e' lesivo delle attribuzioni regionali perche' sposta il livello dell'intesa Stato- regione da un piano politico (art. 81 d.P.R. n. 616/1977) ad uno amministrativo (conferenza dei servizi) e perche', in caso di mancata intesa, elimina nel procedimento sostitutivo il parere della commissione parlamentare per le questioni regionali, violando cosi' il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, piu' volte enunciato dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 37 e 464/1991 e 462/1992). 6) L'art. 14 detta la disciplina relativa alla programmazione dei lavori pubblici. Si prevede che le amministrazioni aggiudicatrici approvino il programma dei lavori pubblici da eseguire nel triennio, con l'indicazione dei mezzi, stanziati nonche' disponibili; tale programma deve prevedere l'elenco dei lavori per settore; la priorita' di intervento; il piano finanziario complessivo e per settore; i tempi di attuazione degli interventi. Nel programma possono essere inclusi, secondo un ordine di priorita', per tipologia di opere, solo i lavori di cui sia stato redatto almeno il progetto preliminare e la cui utilita' sia stata accertata in base ad una verifica costi/benefici. Il programma e' redatto in conformita' agli strumenti urbanistici e se gli enti locali sono sprovvisti degli strumenti urbanistici, devono adottarli entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, pena l'esclusione da ogni contributo o agevolazione dello Stato in materia di lavori pubblici. L'iter procedurale del programma prevede l'adozione dello schema di programma; la sua pubblicazione per sessanta giorni al fine di raccogliere le osservazioni e proposte ed il definitivo pronunciamento dell'ente competente sulle stesse. Fatti salvi gli interventi imposti da eventi imprevedibili o calamitosi e le modifiche dipendenti da nuove leggi, regolamenti, o atti amministrativi statali o regionali, le amministrazioni pubbliche non possono concedere finanziamenti per opere e lavori pubblici non ricompresi nei programmi o quando la richiesta non ne rispetti le priorita'. Tale norma e' lesiva del ruolo delle regioni quali enti di programmazione, nella rilevante materia delle opere pubbliche di interesse regionale. Il suddetto ruolo di ente di programmazione discende dalle norme costituzionali (art. 118 della Costituzione) in base alle quali la regione non gestisce l'attivita' amministrativa, che deve essere delegata agli enti locali, ma legifera e, sul versante amministrativo, coordina e programma l'azione amministrativa. In attuazione di tali norme costituzionali, la legge 8 giugno 1990, n. 142, ha dettato i principi dell'ordinamento degli enti locali e dei rapporti tra regione ed enti locali, non derogabili, ai sensi dell'art. 128 della Costituzion, se non mediante espressa modificazione delle disposizioni contenute nella stessa legge. Le disposizioni contenute nella citata legge n. 142/1990 sono dunque norme di immediata attuazione del dettato costituzionale e pertanto contengono una disciplina organica atta a fungere da parametro interposto nei giudizi di costituzionalita' concernenti i rapporti Stato-regioni. Tanto premesso, deve essere rilevato che l'art. 3, sesto, settimo ed ottavo comma, della legge n. 142/1990, assegna alle regioni il compito di individuare gli atti e gli strumenti di programmazione socio-economica e di pianificazione territoriale degli enti locali, che siano rilevanti ai fini della programmazione regionale. Questo potere ordinamentale in materia di atti di programmazione riconosciuto alle regioni si sostanzia in un complesso lavoro di analisi, di ricognizione e di legislazione volto alla definizione di un sistema integrato, tra regioni ed enti locali, di atti e procedimenti programmatori. La regione Toscana ha esercitato tale competenza dando avvio al suddetto lavoro: la l.r. 9 giugno 1992, n. 26, rappresenta la delineazione della prima fondamentale cornice. Il citato art. 3 della legge n. 142/1990 si basa sul pieno riconoscimento della competenza programmatoria regionale e pertanto comporta la rinuncia da parte dello Stato, ad intervenire ulteriormente nella previsione e definizione di atti programmatori degli enti locali, per evitare interferenze con la nuova funzione regionale che e', di per se', notevolmente complessa dato che l'attivita' programmatoria degli enti locali e' a tutt'oggi libera, sia in termini di atti che di procedimenti adottabili. Il citato art. 14 della legge-quadro, nel dettare minutamente i contenuti del programma triennale dei lavori pubblici, che gli enti locali sono tenuti ad adottare, addirittura prevedendo che il Ministro dei lavori pubblici definisca con proprio decreto lo schema tipo del programma (quinto comma) e nel disciplinare gli effetti dello stesso programma, sottrae il settore dei lavori pubblici di interesse regionale alla potesta' ordinamentale delle regioni ed incide negativamente sulla possibilita' di ricondurre a sistema il complesso degli atti di programmazione locali e regionali; tutto cio' in violazione del citato art. 3 della legge n. 112/1990, e quindi, del ruolo regionale derivante dagli articoli 117 e 118 della Costituzione. Inoltre il quarto comma dell'art. 3 della legge n. 142/1990 dispone: "La regione determina gli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale e su questa base ripartisce le risorse destinate al finanziamento del programma di investimenti degli enti locali". Tale norma si basa sulla costruzione di un meccanismo integrato di finanziamenti statali e regionali, gov- ernato dalle regioni, ai fini dell'attuazione dei programmi degli enti locali, ivi compresi quelli relativi ai lavori pubblici. Il citato art. 14 della nuova legge, invece, si basa su un rapporto di finanziamenti diretto tra l'ente locale e l'ente erogatore che, quindi, non viene mediato dalle scelte programmatiche compiute dagli atti del sistema delle autonomie locali e regionali; cio' in quanto le amministrazioni che erogano i finanziamenti sono tenute solo ad accertare che l'opera sia inclusa nel programma dell'ente locale e che sia rispettato l'ordine di priorita' in esso stabilito, ne' e' previsto un ruolo regionale per la verifica a monte della rispondenza del programma triennale dell'ente locale agli atti di programmazione regionale. Il suddetto meccanismo dei finanziamenti indebolisce notevolmente la programmazione regionale, il cui effetto propulsivo e di indirizzo deve necessariamente organizzarsi intorno a scelte di sintesi rispetto alle frammentate necessita' dei singoli enti locali. E' infatti sulla base dei diversi programmi presentati dagli enti locali che la regione determina priorita' regionali o di area vasta, coordinando anche le opzioni diverse e contrastanti espresse dai comuni e dalle province (si pensi, ad esempio, alle previsioni e localizzazioni degli impianti di smaltimento dei rifiuti). D'altra parte occorre tener conto che si verifica spesso il concorso di piu' amministrazioni nell'erogazione delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione di un'opera. Anche per tale aspetto, quindi, la norma si pone in contrasto con il ruolo della regione, cosi' come definito dall'art. 3 della legge n. 142/1990, in attuazione di principi costituzionali di cui agli articoli 117 e 118 della Costituzione. 7) L'art. 20, quarto comma, prevede che l'affidamento di appalti mediante la procedura dell'appalto-concorso e' consentito ai soggetti appaltanti (ivi comprese, dunque, le regioni), previo parere vincolante del consiglio superiore dei lavori pubblici. Anche tale norma, tanto piu' per il carattere vincolante del parere, lede le competenze amministrative regionali costituzionalmente garantite in materia, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. 8) L'art. 24 disciplina, al primo comma, i casi in cui e' ammesso l'affidamento dei lavori a trattativa privata: per gli appalti sino a 150 mila ECU si opera un rinvio all'art. 41 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827, (lettera a) e per gli appalti di importo superiore a 150 mila ECU ma inferiori a 5 milioni di ECU, la trattativa e' ammessa solo per il ripristino di opere gia' esistenti e funzionanti danneggiate e rese inutilizzabili da eventi di natura calamitosa, qualora motivi di urgenza rendano incompatibili i termini imposti dalle altre procedure di affidamento degli appalti (lettera b). La direttiva comunitaria 93/37 del 14 giugno 1993 che si applica per gli appalti pubblici di lavori di importo superiore a 5 milioni di ECU, all'art. 7 ammette la procedura negoziata, anche senza pubblicazione preliminare di un bando di gara, in casi molto piu' numerosi di quelli previsti dalla citata lettera b) dell'art. 24. Tale norma della nuova legge si pone, in base al gia' citato art. 1, quale principio e quindi vincola le regioni al suo rispetto, con la conseguenza che le regioni stesse dovranno attenersi al rigido disposto dell'art. 24, primo comma, lettera b) per i lavori di importo inferiore alla soglia di applicazione della citata direttiva comunitaria, mentre potranno prevedere il ricorso alla trattativa privata per i lavori superiori a 5 milioni di ECU nei casi ammessi dalla stessa direttiva. Il limite imposto dalla lettera b), dell'art. 24, in rapporto alla diversa e piu' ampia normativa comunitaria, appare quindi violare l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza, perche' non ammette il ricorso alla trattativa privata negli specifici casi in cui lo stesso e' consentito per importi notevolmente superiori.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1 (secondo e terzo comma), 3 (primo, secondo e sesto comma), 4 (primo, sesto, quattordicesimo, sedicesimo, diciassettesimo comma), 6 (quinto comma), 7 (primo, secondo, terzo e quinto comma), 14, 20 (quarto comma), 24 (primo comma, lettera b) della legge 11 febbraio 1994, n. 109, per contrasto con gli articoli 3, 97, 117, 118 della Costituzione. Firenze-Roma, addi' 16 marzo 1994 Avv. Vito Vacchi - Avv. Fabio Lorenzoni 94C0397