N. 124 SENTENZA 24 marzo - 7 aprile 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sanita'  pubblica  -  Regioni  Emilia-Romagna,  Lombardia e provincia
 autonoma di Trento  -  Istituti  zooprofilattici  -  Conferimento  al
 Ministro della sanita' della funzione di indirizzo e di coordinamento
 in   tema  di  determinazione  dei  requisiti  minimi  strutturali  e
 tecnologici con statuizione dei  criteri  organizzativi  uniformi  ai
 quali  gli istituti devono uniformarsi - Richiesta, per la nomina del
 direttore generale, l'intesa  con  la  Conferenza  permanente  per  i
 rapporti   tra  lo  Stato,  le  regioni  e  le  province  autonome  -
 Designazione da parte del Ministro della sanita' e del  Ministro  del
 tesoro  rispettivamente  di  uno  dei  tre  membri  del  collegio dei
 revisori - Illegittimita' costituzionale - Non fondatezza.
 
 (D.Lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 2,  primo  comma,  3,  terzo  e
 quarto  comma;  d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 1, primo, terzo,
 quarto e quinto comma, 2, secondo e quinto comma, 3, primo,  secondo,
 quinto  e  sesto comma, 4, 5, primo comma, 6, primo comma, lett.  a),
 10 e 10, primo comma).
 
 (Cost., artt. 76, 117, 118, 119; d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, artt.
 8, n. 21, 9, n. 10, e 16).
 
(GU n.16 del 13-4-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano   VASSALLI,   prof.   Francesco  GUIZZI,  prof.  Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  1,  primo,
 terzo, quarto e quinto comma, 2, primo, secondo e quinto comma, 3, 4,
 5, 6, primo comma, lettera a), e 10 del decreto legislativo 30 giugno
 1993,  n. 270, recante: "Riordinamento degli istituti zooprofilattici
 sperimentali, a norma dell'art. 1, primo  comma,  lettera  h),  della
 legge  23  ottobre  1992, n. 421", promossi con ricorsi delle Regioni
 Emilia-Romagna e Lombardia e  della  Provincia  autonoma  di  Trento,
 notificati  rispettivamente il 2 e il 1 settembre 1993, depositati in
 cancelleria il 9 e l'11 successivi ed iscritti ai nn. 45, 53 e 54 del
 registro ricorsi 1993;
    Visti gli atti di costituzione del Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  gennaio  1994  il  Giudice
 relatore Massimo Vari;
    Uditi  l'avvocato  Giandomenico  Falcon  per  la  Regione  Emilia-
 Romagna,  l'avvocato  Valerio  Onida  per  la  Regione Lombardia e la
 Provincia autonoma di Trento e l'avvocato dello  Stato  Pier  Giorgio
 Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  tre  ricorsi  regolarmente  notificati  e depositati le
 Regioni Emilia-Romagna e Lombardia nonche'  la  Provincia  automa  di
 Trento  hanno  sollevato  questione di legittimita' costituzionale di
 varie  norme  del  decreto  legislativo  30  giugno  1993,   n.   270
 (Riordinamento  degli  istituti zooprofilattici sperimentali, a norma
 dell'art. 1, primo comma, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n.
 421).
    2. - La Regione Emilia-Romagna ha impugnato gli  artt.  1,  primo,
 quarto  e  quinto comma; 2, primo e secondo comma; 3, secondo, terzo,
 quarto e sesto comma; 5, primo comma; 6, primo comma,  lettera  a)  e
 10,  primo  comma, del menzionato decreto, per violazione degli artt.
 117, 118, 119 e 76 della Costituzione.
   3. - Il ricorso rileva che il provvedimento  e'  stato  emanato  in
 attuazione  dell'art.  1, primo comma, lettera h), della legge n. 421
 del 1992, secondo il quale il Governo avrebbe dovuto  adottare,  "per
 rendere  piene  ed  effettive le funzioni che vengono trasferite alle
 regioni",  norme  per  la  riforma  del  Ministero   della   sanita',
 comprendendovi  il  "riordino"  degli  istituti zooprofilattici. Alla
 luce di tale unico criterio direttivo, sarebbe da  escludere  che  il
 Governo, attraverso il conseguente decreto delegato, avesse il potere
 di   diminuire  "il  grado  di  regionalizzazione  delle  istituzioni
 sanitarie", gia' realizzato dalla legge 23 dicembre 1975, n. 745, che
 ha dato attuazione all'assetto costituzionale  e  ha  determinato  le
 funzioni rispettive dello Stato e delle regioni.
    Il  decreto impugnato mirerebbe invece a "reinserire" gli istituti
 zooprofilattici in un  quadro  di  riferimento  statale,  comprimendo
 irrazionalmente   ed   illegittimamente   competenze  regionali  gia'
 stabilite.
    Sarebbe, percio', in contrasto con la legge di  delega  l'art.  1,
 primo  comma,  che  definisce  gli  istituti  stessi quali "strumenti
 tecnico-scientifici dello  Stato,  delle  regioni  e  delle  province
 autonome, per le materie di rispettiva competenza", travolgendo cosi'
 l'assetto e la collocazione istituzionale dei medesimi, con mutamenti
 che vanno ben al di la' del "riordino".
    4.  -  Ugualmente non prevista nella delega sarebbe l'attribuzione
 al Ministro  della  sanita'  di  nuove  funzioni,  sicche'  sarebbero
 illegittimi:  l'art.  2,  secondo comma - lettere da a) ad l) - nella
 parte  in  cui  riconosce   al   Ministro   stesso   nuove   funzioni
 amministrative non meramente riproduttive di funzioni gia' spettanti;
 l'art.  3,  che  gli demanda il potere di nomina di un componente del
 consiglio di amministrazione (secondo comma) e  di  un  revisore  dei
 conti  (quarto  comma);  l'art. 5, primo comma, che gli conferisce il
 potere di stabilire le prestazioni a pagamento e  i  criteri  per  la
 determinazione,  da  parte  delle  regioni,  delle  relative tariffe;
 l'art.  2,  primo  comma,  che  prevede  il  potere  ministeriale  di
 indirizzo  e  coordinamento,  in violazione, oltretutto, dei principi
 concernenti tale funzione, sia sotto  il  profilo  della  titolarita'
 collegiale  che della necessita' di una disciplina sostanziale per il
 suo esercizio.
    5. - Non meno illegittima sarebbe la sostanziale sottrazione  alle
 regioni della potesta' legislativa in materia di organizzazione degli
 istituti,  operata  sia attraverso l'art. 10, primo comma - in quanto
 abroga l'art. 1, secondo comma, della legge n. 745 del 1975 che  tale
 potesta'  riconosceva  -  sia attraverso l'art. 3, secondo comma, che
 disciplina  minutamente  l'organizzazione  dell'ente,  ivi   compresa
 l'individuazione  degli  organi, il numero dei componenti dell'organo
 di amministrazione, la titolarita' dei poteri di nomina e le relative
 procedure. Rilevato che, per il collegio dei revisori, addirittura la
 nomina   e'   a   maggioranza   statale   ed  evidenziata,  altresi',
 l'incongruita' della disposizione che prevede la nomina del direttore
 generale d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra  lo
 Stato,  le  regioni e le province autonome, ci si duole del fatto che
 la potesta' legislativa regionale in  tema  di  organizzazione  venga
 ridotta  a  potesta'  meramente integrativa, in violazione, oltre che
 dei principi contenuti nella  delega,  dell'art.  117,  primo  comma,
 della Costituzione, trattandosi di materie "pacificamente regionali",
 ai  sensi  dell'art.  27,  primo comma, lettera l) e dell'art. 66 del
 d.P.R. n. 616 del 1977.
    6. -  Non  dissimili  motivi  di  illegittimita',  per  violazione
 dell'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  oltre  che  dei
 principi della legge di delega,  colpirebbero,  secondo  il  ricorso,
 l'art.  1,  quinto  comma,  nella parte in cui prevede un regolamento
 ministeriale per il coordinamento  dei  compiti  degli  istituti  con
 quelli  previsti dalla legge 23 giugno 1970, n. 503, modificata dalla
 legge 11 marzo 1974, n. 101, e dalla legge 23 dicembre 1975, n.  745.
 Corrispondentemente   sarebbero  illegittime  anche  le  disposizioni
 dell'art.  1,  quarto  comma,  in  quanto  non  prevede  la  potesta'
 regionale  di precisare e integrare i compiti degli istituti e l'art.
 10 che ha abrogato l'art. 4 della legge 23 dicembre 1975, n. 745, che
 tale potesta' legislativa regionale contemplava.
    7. - Infine,  la  Regione  Emilia-Romagna  impugna  la  previsione
 dell'art. 6, primo comma, lettera a), relativa al finanziamento degli
 istituti,  per  violazione,  da  un lato, del principio della delega,
 secondo il quale le norme di riordino "non devono comportare oneri  a
 carico   dello   Stato"  e,  dall'altro,  dell'autonomia  finanziaria
 regionale, garantita dall'art. 119 della Costituzione, atteso che  si
 dispone di quella parte del Fondo sanitario che, ai sensi del decreto
 legislativo n. 502 del 1992, deve essere ripartita tra le regioni.
    8.  -  Con  il  ricorso  proposto  dalla  Regione Lombardia, viene
 contestata la  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  1,  primo,
 terzo, quarto e quinto comma; 2, primo, secondo e quinto comma; 3 del
 decreto  legislativo  n.  270  del  1993.  La Regione ricorrente, con
 argomentazioni in gran parte analoghe a quelle della Regione  Emilia-
 Romagna,  lamenta  che  varie  disposizioni  del  predetto  decreto -
 ponendosi, tra l'altro, in contraddizione con la direttiva  contenuta
 nella  delega,  volta  a rendere "piene ed effettive" le funzioni che
 vengono trasferite alle regioni - contrastino con  gli  artt.  117  e
 118, nonche' con l'art. 76 della Costituzione.
   Ricordato  che,  con  la  legge n. 745 del 23 dicembre 1975, si era
 provveduto   all'integrale   regionalizzazione   degli   istituti   e
 rammentato,  altresi',  il  trasferimento  di  funzioni alle regioni,
 operato con gli artt. 27, primo comma, lettera l), e 66 del d.P.R. n.
 616 del 1977, ci si duole, in particolare, del fatto  che  l'art.  10
 preveda   espressamente   l'abrogazione   delle   disposizioni  della
 menzionata legge n.  745  del  1975,  che  avevano  consentito  detta
 regionalizzazione,  censurando  l'art.  1,  primo  comma, del decreto
 impugnato che definisce gli  istituti  strumenti  tecnico-scientifici
 sia dello Stato che delle regioni e delle province autonome, e, cosi'
 pure,  il  terzo  comma  che prevede che essi operino nell'ambito del
 Servizio sanitario nazionale.
    Costituisce  oggetto  di  doglianza  anche  il  quinto comma dello
 stesso articolo, il quale  dispone  che  il  Ministro  della  sanita'
 coordini gli attuali compiti degli istituti con quelli previsti dalle
 disposizioni,  non  abrograte,  delle leggi precedenti, e cio' faccia
 con un regolamento ministeriale,  solo  d'intesa  con  la  Conferenza
 permanente  per i rapporti Stato-regioni, non essendo affatto chiaro,
 ad  avviso  della   ricorrente,   come   dovrebbe   esplicarsi   tale
 coordinamento,  posto  che  l'art.  4  della  legge  n. 745 del 1975,
 relativo  ai  compiti   degli   istituti   zooprofilattici,   risulta
 interamente abrogato dall'art. 10 del decreto legislativo impugnato.
    Anche   per   altra  via,  il  decreto  legislativo  in  questione
 consentirebbe  una   indiretta   e   costituzionalmente   illegittima
 riappropriazione  di  competenze  da  parte  dello  Stato,  la' dove,
 all'art.  1,  quarto  comma,  prevede  un  elenco   accorpato   delle
 competenze  degli  istituti  zooprofilattici, senza precisare se tali
 attribuzioni siano di pertinenza regionale o  interregionale,  ovvero
 statale.
    Per  contro, la legge 23 dicembre 1975, n. 745, dopo aver indicato
 le competenze statali residue (art.  2),  aveva  cura  di  precisare,
 all'art.  4,  i compiti che le regioni avrebbero dovuto affidare agli
 istituti, nel presupposto che si  fosse  in  presenza  di  competenze
 regionali.
    9.  - Censure analoghe a quelle avanzate nel ricorso della Regione
 Emilia-Romagna sono poi rivolte alle previsioni dell'art. 2, sia  per
 la funzione di indirizzo e coordinamento attribuita, dal primo comma,
 al  Ministro  della sanita', quanto ai requisiti minimi strutturali e
 tecnologici degli istituti e ai criteri organizzativi  uniformi;  sia
 per  quanto  disposto  dal secondo comma che, dopo aver stabilito che
 compete allo Stato il coordinamento tecnico-funzionale degli istituti
 e l'attribuzione agli stessi di compiti  di  "interesse  nazionale  e
 internazionale",  affida  al  Ministro  della  sanita'  una  serie di
 competenze  assai  genericamente  individuate,  che  incidono   sulle
 funzioni  di  spettanza  regionale,  senza  che  ne sia precisato con
 criteri oggettivi  il  carattere  di  interesse  nazionale.  Onde  il
 Ministro   si   trova   a   poter  discrezionalmente  disporre  dello
 svolgimento di attribuzioni nelle materie  di  competenza  regionale,
 senza alcuna seria delimitazione di oggetto e di contenuto.
    10. - L'art. 3 e' censurato per la disciplina di estremo dettaglio
 della  organizzazione interna degli istituti, con conseguente lesione
 delle competenze regionali. Del tutto simbolica  -  ad  avviso  delle
 ricorrenti  -  appare,  percio',  la disposizione dell'art. 2, quinto
 comma,  secondo  la  quale  le  regioni  disciplinano  le   modalita'
 gestionali,  organizzative  e  di  funzionamento  degli  istituti. Si
 lamenta, poi, il fatto che il secondo comma dell'art. 3 ripristini la
 diretta presenza dello Stato, ancorche' in  proporzioni  minoritarie,
 nel  consiglio  di amministrazione; che il terzo comma stabilisca che
 la nomina del direttore generale e' fatta non dalla sola  Regione  in
 cui  l'istituto  ha  sede  legale,  ma  da  questa  d'intesa  con  la
 Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni; e,  infine,
 che  il  quarto  comma preveda che due membri su tre del collegio dei
 revisori siano rappresentanti  dei  ministeri,  segnando,  anche  per
 questa via, una preminenza degli organi statali nel controllo e nella
 vigilanza sugli istituti.
    11.  -  La  Provincia  autonoma di Trento impugna l'art. 1, primo,
 terzo, quarto e quinto comma; l'art. 2, primo, secondo e quinto comma
 e gli artt. 3, 4, 5 e 10 del decreto n. 270 del 1993, per  violazione
 dell'art.  8,  numero  21;  dell'art. 9, numero 10 e dell'art. 16 del
 d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione  del  testo  unico  delle
 leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-
 Alto  Adige)  e delle relative norme di attuazione, nonche' dell'art.
 76  della  Costituzione;  deducendo,   in   particolare,   quanto   a
 quest'ultimo  articolo,  la violazione dei limiti della delega, quali
 si evincono non solo dalla lettera h) dell'art. 1, primo comma, della
 legge 23 ottobre 1992, n. 421, ma anche dalla lettera  z),  la  quale
 prevede  che  "restano  salve  le  competenze e le attribuzioni delle
 regioni a Statuto speciale e delle  province  autonome  di  Trento  e
 Bolzano".
    12.   -   Le   motivazioni  prospettate  in  quest'ultimo  ricorso
 coincidono sostanzialmente con quelle addotte dalla Regione Lombardia
 quanto alle censure rivolte, sotto il profilo della violazione  della
 delega e della compressione delle competenze provinciali, all'art. 1,
 primo,  terzo,  quarto  e  quinto comma; all'art. 2, primo, secondo e
 quinto comma e all'art. 3.
   Precisato che, ai sensi del d.P.R. n. 670 del  1972,  la  Provincia
 autonoma  ha  non  solo  competenza  ripartita in materia di igiene e
 sanita' (art. 9, numero 10), ma anche competenza primaria in  materia
 di "patrimonio zootecnico ed ittico" (art. 8, numero 21) e rammentati
 gli  artt.  27,  primo  comma,  lettera l) e 66 del d.P.R. n. 616 del
 1977, il ricorso investe, con le sue  censure,  anche  l'art.  4  del
 decreto   denunciato,   che   disciplina  in  maniera  dettagliata  e
 vincolante la revisione ed approvazione degli statuti degli istituti.
 Analogamente alla Regione Emilia-Romagna, viene  impugnato  il  primo
 comma  dell'art.  5,  che  rimette  ad  un decreto del Ministro della
 sanita', sia  pure  d'intesa  con  la  Conferenza  Stato-regioni,  di
 stabilire  le  prestazioni  erogate  a  pagamento  dagli istituti e i
 criteri per la determinazione, da parte delle regioni e  delle  prov-
 ince autonome, delle relative tariffe, violando la procedura prevista
 per  l'emanazione  degli  atti di indirizzo e coordinamento.  Infine,
 riguardo all'art. 10, la Provincia autonoma di Trento osserva che  il
 primo comma, prevedendo la abrogazione delle disposizioni che avevano
 attribuito alle regioni e alle province autonome le funzioni relative
 agli  istituti  zooprofilattici,  procede  ad una "ristatalizzazione"
 della disciplina in materia.
    13. - La Presidenza del Consiglio dei  ministri,  costituitasi  in
 tutti  e  tre i giudizi, ha presentato identiche deduzioni, chiedendo
 che le questioni siano dichiarate non fondate.
    Sostiene l'Avvocatura che il decreto in esame ha voluto  procedere
 ad   un   riassetto   delle   attribuzioni  regionali,  tenuto  conto
 essenzialmente del fatto che la ricerca scientifica  sperimentale  e'
 preminente  sulle  altre  finalita'  ed  e'  costitutiva della natura
 stessa degli istituti, sicche', essendo la ricerca scientifica  nella
 materia di cui trattasi riservata allo Stato, si e' altresi' ritenuta
 competenza   ministeriale   quella   concernente  la  costituzione  e
 formazione degli istituti. D'altra parte,  la  nuova  disciplina  non
 verrebbe neppure a snaturare completamente il quadro risultante dalla
 normativa  previgente,  se si considera che anche la legge n. 745 del
 1975 (artt. 2 e 5) manteneva comunque allo Stato alcune competenze in
 materia.  Rammentato, inoltre, che l'importanza  delle  attivita'  di
 ricerca  sperimentale  degli istituti si e' venuta ad accrescere, con
 la sempre maggiore rilevanza dei problemi di sanita' veterinaria  nel
 quadro  comunitario,  si  osserva  come  un  esame  particolareggiato
 dell'art. 2, secondo comma, del decreto ponga ancor piu' in  evidenza
 l'aspetto  nazionale  ed internazionale delle attivita' ivi elencate.
 Circa la presunta violazione dei principi  e  criteri  dettati  dalla
 legge  delegante,  l'Avvocatura  sostiene che la consapevolezza della
 primaria importanza nazionale,  internazionale  e  comunitaria  delle
 funzioni  statali  svolte  dagli  istituti  zooprofilattici, che puo'
 individuarsi nel decreto legislativo,  non  e'  in  contrasto  con  i
 principi  della  delega, considerando che l'art. 1 della legge n. 421
 del  1992,  ha  previsto  il  riordino   degli   istituti   medesimi,
 nell'ambito  della  lettera  h),  con  un accostamento non casuale ad
 altri istituti di rilevanza  nazionale.    Inoltre,  l'Avvocatura  fa
 rilevare  che  le innovazioni apportate non avrebbero trasformato gli
 istituti in organismi periferici dello Stato, come  testimoniano,  ai
 sensi  degli artt. 3 e 4 del decreto impugnato, i limitati interventi
 statali nel loro ordinamento e nella loro gestione.  Quanto,  infine,
 alla censura contro l'art. 6, primo comma, lettera a), proposta dalla
 ricorrente  Regione  Emilia-Romagna,  si osserva che il finanziamento
 degli istituti gia' in precedenza avveniva mediante assegnazione alle
 regioni e province autonome della  quota  annuale  accantonata  nella
 disponibilita'  del  Fondo  sanitario  nazionale, mentre nessun onere
 aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato e' stato introdotto.
    14. - Nell'imminenza dell'udienza, hanno presentato memorie  tutte
 e tre le regioni ricorrenti.
    La  Regione  Emilia-Romagna, nel ribadire le argomentazioni svolte
 in sede di ricorso, sostiene in particolare che:
       a) non ha alcun rilievo  il  fatto  che  anche  nel  precedente
 sistema   talune  funzioni  relative  agli  istituti  zooprofilattici
 fossero di spettanza statale; cio' testimonierebbe, al contrario, che
 lo Stato possedeva gia' sufficienti strumenti per svolgere  i  propri
 compiti   nel   settore,   senza   aver  bisogno  di  procedere  alla
 "deregionalizzazione" degli istituti;
       b) riguardo alla  censura  rivolta  all'art.  6,  primo  comma,
 lettera   a)   del   decreto  legislativo,  la  Regione  conferma  le
 argomentazioni svolte,  rilevando  come  la  ripartizione  del  Fondo
 sanitario  tra  le  regioni,  gia'  prevista dall'art. 12 del decreto
 legislativo n. 502 del 1992, sia confermata dal  decreto  legislativo
 "correttivo"   n.   517   del   1993,   sicche',  in  definitiva,  il
 finanziamento risulta a carico delle  regioni,  in  presenza  di  una
 legge  che mira a costituire illegittimamente enti misti, ne' davvero
 regionali, ne' del tutto statali.
    La Regione Lombardia  e  la  Provincia  autonoma  di  Trento,  con
 identiche  memorie,  ribadiscono  le censure gia' avanzate in sede di
 ricorso, sostenendo, in particolare, che:
       a) gli istituti non svolgono attivita' di "ricerca  scientifica
 astratta",   ma  di  ricerca  applicata,  strumentale  rispetto  alle
 competenze amministrative trasferite  alle  regioni  ai  sensi  degli
 artt. 27 e 66 del d.P.R. n. 616 del 1977;
       b) ancor piu' legata strumentalmente all'attivita' produttiva e
 ai  servizi  veterinari  e'  poi l'attivita' di assistenza, supporto,
 vigilanza e  formazione  affidata  agli  istituti,  onde  il  profilo
 essenziale  di questi ultimi non e' quello di enti di ricerca, bensi'
 quello  di  enti  operativi  al servizio dell'apparato amministrativo
 competente in materia di sanita' e degli allevatori;
       c) se si ritiene che l'art. 1, primo comma,  lettera  h)  della
 legge  delega  consente  al  Governo il potere di "ristatalizzazione"
 degli istituti, la delega conferita deve essere considerata priva  di
 criteri  direttivi in ordine a tale ipotetica nuova disciplina, e per
 cio' stesso in contrasto con l'art. 76 della Costituzione;
       d)  il  rilievo  comunitario  degli  istituti  e  la  crescente
 incidenza delle direttive comunitarie nel loro campo di attivita' non
 puo'  giustificare  un  trasferimento  di  competenze  a favore dello
 Stato, in quanto, visto anche l'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, il
 legislatore statale non e' vincolato ad affidare le funzioni connesse
 all'attuazione delle norme comunitarie  ad  enti  facenti  parte  del
 sistema  amministrativo dello Stato (valendo se mai, in tali settori,
 a garanzia degli adempimenti  comunitari,  le  procedure  sostitutive
 previste dalla legge).
                        Considerato in diritto
    1.  -  Va,  preliminarmente,  disposta  la riunione dei giudizi in
 epigrafe,  i  quali  impugnano  il  medesimo  testo  legislativo  con
 doglianze,  in  buona  misura, identiche o quanto meno connesse sotto
 diversi profili.
    2. - Quanto al merito, occorre  rilevare  come  i  ricorsi,  nella
 molteplicita' delle prospettazioni ed argomentazioni che ne sono alla
 base,  finiscono  per  investire  gran  parte  delle disposizioni del
 decreto legislativo n. 270  del  1993,  con  censure  sostanzialmente
 riconducibili a quattro specifiche tipologie, nell'ambito di ciascuna
 delle quali sono individuabili vari motivi di doglianza.
    3.  -  Con  il  primo  gruppo  di  censure,  si  denunciano  varie
 disposizioni del decreto, ponendo un problema di carattere  generale,
 e  cioe'  quello della riconduzione, ad opera del decreto legislativo
 n. 270  del  1993,  degli  istituti  zooprofilattici  dall'ambito  di
 incidenza  delle funzioni regionali a quello proprio dello Stato, con
 una "ristatalizzazione" degli  stessi,  contrastante  con  l'art.  76
 della  Costituzione,  a causa della violazione dei criteri e principi
 della legge delega e in particolare:
      del principio secondo  il  quale  le  norme  delegate  avrebbero
 dovuto  rendere  piene  ed  effettive  le  funzioni  trasferite  alle
 regioni;
      di quello secondo il quale le norme di  riordino  non  avrebbero
 dovuto   comportare  oneri  a  carico  dello  Stato:  censura  questa
 prospettata  in  particolare  dalla   Regione   Emilia-Romagna,   con
 riferimento   all'art.   6,  primo  comma,  lettera  a)  del  decreto
 impugnato;
      di quello della salvaguardia  delle  competenze  e  attribuzioni
 delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, stabilito
 dalla  lettera  z)  dell'art.  1, primo comma, della legge n. 421 del
 1992: censura questa prospettata in particolare  dalla  Provincia  di
 Trento.
    4.  -  Un  secondo  gruppo  di  censure  e'  quello  che, fermo il
 denunciato  eccesso  di  delega,   lamenta   altresi'   l'illegittima
 compressione  delle  funzioni  legislative  ed  amministrative  delle
 Regioni e della Provincia ricorrenti, con violazione,  per  le  prime
 due,  degli artt. 117 e 118 della Costituzione e, per la terza, degli
 artt.  8, numero 21; 9, numero 10, e 16 dello Statuto speciale per il
 Trentino-Alto Adige e relative norme di  attuazione.  Censura  questa
 che  investe  varie  disposizioni del decreto impugnato, vale a dire:
 l'art.  1,  in  quanto,  al  primo  comma,  definisce  gli   istituti
 "strumenti  tecnico-scientifici dello Stato" prevedendo nel contempo,
 al quarto comma, l'elenco delle competenze di essi senza precisare  -
 come osservano la Regione Lombardia e la Provincia autonoma di Trento
 -  se tali attribuzioni siano di pertinenza regionale, interregionale
 ovvero statale e  senza  prevedere,  a  differenza  del  passato,  la
 potesta'  legislativa  delle  regioni  di  precisare  ed  integrare i
 compiti degli istituti medesimi; lo stesso art. 1, in quanto prevede,
 al terzo comma, che gli istituti  operino  nell'ambito  del  Servizio
 sanitario  nazionale, consentendo una riappropriazione di funzioni da
 parte dello Stato, ed in quanto stabilisce, al quinto comma,  che  il
 Ministro,  con proprio regolamento, coordini i compiti degli istituti
 con quelli previsti dalle leggi precedenti, venendo a sostituire alla
 potesta' legislativa regionale un regolamento ministeriale; l'art. 2,
 secondo comma, in quanto assegna al Ministro della  sanita'  funzioni
 in   precedenza  regionalizzate  e  il  cui  carattere  di  interesse
 nazionale non e' in alcun modo precisato dalla  legge;  l'art.  3,  e
 segnatamente   il   secondo   comma,   che   disciplina   minutamente
 l'organizzazione dell'ente, a detrimento della  potesta'  legislativa
 della Regione, come traspare dall'art. 3, sesto comma, onde del tutto
 simbolica sarebbe la disposizione dell'art. 2, quinto comma, la quale
 prevede   che   le  regioni  disciplinino  le  modalita'  gestionali,
 organizzative e di funzionamento degli istituti; l'art. 4, in quanto,
 secondo  la  Provincia  autonoma  di  Trento,   regola   in   maniera
 dettagliata e vincolante le modalita' di revisione e attuazione degli
 statuti;  l'art.  10,  primo  comma, che abroga le disposizioni della
 precedente legislazione che avevano attribuito alle  regioni  e  alle
 province autonome le funzioni relative agli istituti zooprofilattici.
    5. - Un terzo gruppo di censure riguarda altre norme che, ferma la
 lamentata   lesione   delle  competenze  regionali,  evidenzierebbero
 ulteriori  specifici   profili   di   illegittimita'.   Trattasi   in
 particolare:
      dell'art.  2,  primo comma, che affida al Ministro della sanita'
 una funzione di indirizzo e coordinamento, in tema di  determinazione
 dei  requisiti  strutturali,  tecnologici  e di criteri organizzativi
 uniformi, senza rispettare il principio della titolarita'  collegiale
 della   funzione   stessa   nonche'   l'esigenza  di  una  disciplina
 sostanziale che delimiti l'esercizio del potere;
      dell'art. 3, secondo comma, nella parte in  cui  attribuisce  al
 Ministro  medesimo poteri di nomina di un componente del consiglio di
 amministrazione,  ripristinando  in  questo  la   presenza,   benche'
 minoritaria, dello Stato;
      dell'art.  3,  terzo  comma, che prevede la nomina del direttore
 generale, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, anziche'  a  cura
 della sola regione interessata;
      dell'art.  3,  quarto  comma,  che attribuisce ai Ministri della
 sanita' e del tesoro il potere di nomina di due su tre componenti del
 collegio dei revisori;
      dell'art. 5, primo  comma,  che  contempla  una  disciplina  per
 decreto  ministeriale  di  materie  -  attinenti  alle  prestazioni a
 pagamento e ai criteri di determinazione delle relative tariffe - che
 richiederebbero invece atti di  indirizzo  e  coordinamento:  censura
 questa  prospettata dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia di
 Trento.
    6. - Infine, sotto  un  ulteriore  particolare  profilo,  la  sola
 Regione  Emilia-Romagna deduce il contrasto del decreto impugnato con
 i principi sull' autonomia finanziaria  delle  regioni  ex  art.  119
 della  Costituzione, segnatamente per quanto riguarda la disposizione
 dell'art. 6, primo comma, lettera a), in ordine alla destinazione  di
 quote del Fondo sanitario nazionale.
    7.   -   Cosi'  precisati  i  termini  delle  questioni,  osserva,
 anzitutto, la Corte come, per valutare la fondatezza degli  accennati
 motivi  di  impugnativa,  occorra,  anzitutto,  determinare,  in  via
 generale,  l'esatta  portata  della  delega  conferita   al   Governo
 dall'art.  1  della  legge  n.  421  del  1992,  alla  stregua di una
 compiuta, e non  solo  parziale,  considerazione  delle  enunciazioni
 desumibili  dalla  disposizione  su  cui  essa  riposa. Dall'esame di
 quest'ultima si evince che l'obiettivo del consolidamento, in termini
 di effettivita', delle funzioni  regionali,  giusta  quanto  previsto
 dalla  lettera  h),  del  primo  comma dello stesso art. 1, come pure
 quello della salvaguardia delle  funzioni  delle  province  autonome,
 alla  quale  si  riferisce la lettera z), non erano, contrariamente a
 quanto sostenuto dalle ricorrenti, i  soli  criteri  direttivi  della
 delega  al Governo, giacche' questa si prefiggeva generali obiettivi,
 enunciati  in  apertura,  concernenti,  tra  l'altro,  "l'ottimale  e
 razionale utilizzazione delle risorse destinate al Servizio sanitario
 nazionale", il "perseguimento della migliore efficienza del medesimo"
 nonche'   il   "contenimento   della  spesa".  Trattasi,  invero,  di
 indicazioni dalle quali non e' dato prescindere,  nella  ricerca  dei
 principi  e  criteri  che dovevano guidare l'Esecutivo nell'esercizio
 della delega conferita dallo stesso  art.  1,  che  erano  certamente
 quelli  di  garantire  l'effettivita'  delle funzioni trasferite alle
 regioni e alle province autonome, ma tutto  cio'  nell'ambito  di  un
 progetto  di  riordinamento della materia della sanita', che aveva di
 mira   l'efficienza   del   sistema   generale   e   l'ottimizzazione
 nell'impiego  delle risorse. In questo quadro si colloca, come emerge
 dalla lettura dell'art. 1,  anche  la  riforma  del  Ministero  della
 sanita'  -  cui  rimangono  funzioni  di indirizzo e di coordinamento
 nonche' tutte le funzioni attribuite dalle leggi dello Stato  per  la
 sanita'  pubblica  -  e  s'inserisce  pure  il riordino, accanto agli
 istituti  zooprofilattici,  dell'Istituto   superiore   di   sanita',
 dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro,
 nonche'  degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. E
 cio' secondo regole - precisa ancora la norma di  delega  -  che  non
 comportino oneri a carico dello Stato.
    8.   -  Valutati  gli  obiettivi  di  efficienza  del  sistema  ed
 ottimizzazione dell'impiego delle risorse, come pure  le  contestuali
 finalita'  di  contenimento  della spesa, che il legislatore delegato
 era tenuto a perseguire, secondo quanto voluto dalla legge n. 421 del
 1992, la Corte ritiene che il Governo non abbia esorbitato dai limiti
 dei poteri ad esso conferiti  quando  ha  ridisegnato  la  fisionomia
 degli  istituti  zooprofilattici, considerando che gli stessi operano
 in ambiti nei quali convergono non solo gli interessi  di  regioni  e
 province  autonome  in  materia  di  igiene e sanita' veterinaria, ma
 anche interessi  di  carattere  nazionale,  conseguenti,  oltretutto,
 all'adempimento di obblighi internazionali e comunitari.
   9.   -   Le   ricorrenti   regioni,   nel  lamentare  l'illegittima
 riappropriazione di competenze da  parte  dello  Stato,  invocano  il
 quadro  di  ripartizione delle stesse quale risulta dal d.P.R. n. 616
 del 1977, e in particolare dall'art. 27,  primo  comma,  lettera  l),
 secondo  il  quale,  tra  le  funzioni  amministrative  relative alla
 materia  assistenza  sanitaria,  trasferite  alle   regioni   stesse,
 rientrano  quelle  relative "all'igiene e assistenza veterinaria, ivi
 compresa la profilassi, l'ispezione, la polizia e la vigilanza  sugli
 animali e sulla loro alimentazione, nonche' sugli alimenti di origine
 animale".  Richiamano,  altresi',  l'art.  66 dello stesso d.P.R., il
 quale riconduce tra le funzioni  trasferite  anche  quelle  attinenti
 alle  attivita'  zootecniche  e,  in  particolare, al miglioramento e
 all'incremento zootecnico, al  servizio  diagnostico  delle  malattie
 trasmissibili degli animali e delle zoonosi, alla gestione dei centri
 di fecondazione artificiale.  Dal canto suo, la Provincia autonoma di
 Trento  adduce  di  avere non solo competenza ripartita in materia di
 igiene e sanita' (art. 9, numero  10,  dello  Statuto  speciale),  ma
 anche  competenza  primaria  in  materia  di patrimonio zootecnico ed
 ittico  (art.  8,  numero  21  dello  stesso  Statuto),   non   senza
 evidenziare  che  ad  essa, con d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, sono
 state estese, in quanto necessario,  le  norme  di  trasferimento  di
 funzioni  di cui al gia' citato art. 27, primo comma, lettera l), del
 d.P.R. n. 616 del 1977.
    Al  riguardo  occorre  rilevare,  anzitutto,  l'improprieta'   del
 richiamo  alla materia della zootecnia che attiene - come la Corte ha
 avuto occasione, anche recentemente di chiarire (sentenza n. 123  del
 1992)  -  a  tutt'altro ambito che non a quello della zooprofilassi e
 delle patologie animali in genere.
    Va osservato, poi, che, pur a tener  conto  del  trasferimento  di
 funzioni  operato  dalle  norme  invocate dalle ricorrenti a sostegno
 della loro impugnativa, non per questo e' dato affermare, cosi'  come
 fa  taluno  dei  ricorsi,  che  gli istituti operassero in ambiti nei
 quali era venuta ormai meno ogni competenza dello Stato.  Un completo
 quadro dei rapporti fra competenze  statali  e  regionali  non  puo',
 infatti,  ignorare,  nonostante  il  trasferimento  di  funzioni alle
 regioni, la permanenza allo Stato - disposta dall'art. 6 della  legge
 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale
 -  delle funzioni amministrative in tema di rapporti internazionali e
 profilassi internazionale anche in materia  veterinaria  e,  piu'  in
 generale,   di   altre   funzioni   in   materia   di  zooprofilassi,
 individuazione  di  malattie  infettive  e  diffusive  del  bestiame,
 produzioni  farmacologiche,  secondo  quanto  specificato dalla norma
 stessa.
    Una piu' esauriente rassegna delle competenze dello Stato  impone,
 inoltre,  di  non  trascurare  gli  obblighi  gravanti su di esso per
 effetto della normativa comunitaria.  A  tanto  provvede  proprio  la
 previsione  dell'art.  2,  secondo  comma,  lettera  l),  del decreto
 impugnato, che contempla la possibilita'  di  istituire,  presso  gli
 istituti   zooprofilattici,   centri   specialistici   di   referenza
 nazionale, comunitaria e internazionale.  Alla luce di quanto  detto,
 e'  dato  concludere  che  il  legislatore  delegato, nel por mano al
 riordino degli istituti zooprofilattici, ha operato tenendo  presente
 l'ampia  articolazione della materia considerata dalla legge delega e
 cioe'  quella  della  sanita', ambito nel quale gli istituti in esame
 risultano, non da ora, inseriti con la loro attivita', valutando, nel
 contempo,   proprio   in   vista   degli   indicati   obiettivi    di
 razionalizzazione  e  ottimizzazione,  il  fondamentale  ruolo  e  le
 peculiari competenze spettanti allo Stato, come  e'  dato  constatare
 dai riferimenti normativi sopra illustrati.
    10.  -  La  Corte  ritiene  che non sussista neanche, almeno negli
 aspetti piu' generali e salvo alcuni specifici profili dei  quali  si
 dira', la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione nonche'
 degli  artt.  8,  numero  21; 9, numero 10 e 16 del d.P.R. n. 670 del
 1972, in un settore in cui si rinvengono materie proprie anche  della
 competenza statale.
    Non appare condivisibile, anzitutto, l'affermazione, contenuta nei
 ricorsi della Regione Lombardia e della Provincia autonoma di Trento,
 secondo  la  quale  gli  istituti erano stati pienamente assoggettati
 alla competenza  legislativa  e  amministrativa  delle  regioni,  con
 contestuale perdita di ogni competenza da parte dello Stato in ordine
 ai medesimi.  Infatti, l'art. 2 della legge 23 dicembre 1975, n. 745,
 dal  quale  derivava  la  precedente  disciplina  ordinamentale,  non
 eliminava del tutto  le  funzioni  dello  Stato  sugli  istituti,  in
 relazione  alla  competenza  del Governo a promuovere e sviluppare le
 iniziative zoosanitarie necessarie per l'intero territorio  nazionale
 e a fissare le direttive tecniche di attuazione di piani nazionali di
 profilassi  per  la  difesa e la lotta contro le malattie infettive e
 diffusive degli animali e per il controllo degli alimenti di  origine
 animale.    Restavano gia' allora riservate, del pari, allo Stato, in
 virtu' dell'art. 2, la vigilanza zoosanitaria ai confini e i rapporti
 con l'estero, oltre alle competenze di cui all'art.  5  della  stessa
 legge  n. 745, quanto alle autorizzazioni per la produzione di sieri,
 vaccini, virus, anatossine, tossine  diagnostiche,  nonche'  di  ogni
 altro   prodotto   occorrente   nella   lotta   contro   le  malattie
 trasmissibili  degli  animali,  con  particolare  riguardo  a  quelle
 localmente piu' diffuse.
    11.  -  Alla  stregua  del  quadro  normativo  sopra  esposto,  il
 riassetto  operato  dal  provvedimento  denunciato,  visto  sotto  il
 profilo  dei rapporti fra competenze statali e competenze regionali e
 provinciali,  appare  giustificato  dal  preminente   rilievo   degli
 interessi  nazionali  in  ordine  alle  varie  attivita'  -  relative
 precipuamente  al  campo  della  ricerca,  studio,   sperimentazione,
 controllo  e  sorveglianza  epidemiologica  -  affidate agli istituti
 considerati, dovendosi, tra l'altro, apprezzare il  riassetto  stesso
 alla  luce  dell'accostamento che, nella norma della legge di delega,
 viene fatto fra gli  enti  qui  considerati  ed  altri  di  rilevanza
 nazionale che operano con finalita', in buona misura, analoghe, quali
 l'Istituto  superiore  di  sanita'  e  l'Istituto  superiore  per  la
 prevenzione e la sicurezza del lavoro. Ne' al nuovo ordinamento degli
 istituti puo' di certo  ostare,  cosi'  come  sembrano  sostenere  le
 ricorrenti, la precedente regionalizzazione, quale che fosse il grado
 di  avvenuta  realizzazione  della stessa. Va considerato al riguardo
 che, nella meno recente disciplina, gli istituti - definiti  (art.  1
 della  legge  23  giugno  1970,  n.  503)  enti  sanitari  di diritto
 pubblico, sottoposti alla vigilanza del Ministero della sanita' -  si
 configuravano  come  enti strumentali dello Stato. L'attrazione degli
 stessi nella sfera delle funzioni legislative e amministrative  delle
 regioni,  realizzata dalla successiva legge 23 dicembre 1975, n. 745,
 non  impedi'  ovviamente  che,  nell'ambito  di  attivita'  ad   essi
 assegnato,  continuassero  a  sussistere interessi propri anche dello
 Stato,  connessi,  tra   l'altro,   alla   ricerca   sperimentale   e
 all'accertamento delle malattie degli animali. Se si considera che in
 tale  ambito  gli  stessi  continuano  a  svolgere  tuttora  la  loro
 attivita' - che, alla stregua dell'art. 1, secondo comma, del decreto
 legislativo impugnato, attiene,  infatti,  alla  ricerca  scientifica
 sperimentale  veterinaria,  oltreche'  all'accertamento  dello  stato
 sanitario degli animali e  di  salubrita'  dei  prodotti  di  origine
 animale  -  ne  discende  che  ben  poteva  il  legislatore nazionale
 procedere, per fini di razionalizzazione degli apparati e di migliore
 impiego delle risorse, e quale che sia stato  il  precedente  assetto
 giuridico  degli  istituti medesimi, al loro riordino, attraverso una
 nuova   articolazione   delle   competenze   statali,   regionali   e
 provinciali.  In  linea  generale, va rammentato l'insegnamento della
 giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, anche in presenza di
 un trasferimento o di una delega di funzioni, al legislatore  statale
 e'  dato intervenire successivamente, incidendo non irragionevolmente
 sulla consistenza ed estensione delle funzioni trasferite o delegate,
 con  lo  scopo  di  correggere  o  rivedere  la  ripartizione   delle
 competenze in funzione di esigenze di carattere unitario.
    Naturalmente   occorre  verificare  -  e  di  cio'  v'e'  positivo
 riscontro nel caso esaminato - che non  solo  sussista  un  interesse
 nazionale  il  quale  appaia  ragionevolmente  collegato  ad esigenze
 unitarie, ma altresi' che la disciplina posta in essere dallo  Stato,
 considerata  nei  suoi  concreti  svolgimenti e nelle sue particolari
 modalita', sia non solo contenuta  nei  precisi  limiti  delle  reali
 esigenze   sottostanti   all'interesse   invocato,  ma  appaia  anche
 essenziale e necessaria per l'attuazione del medesimo. E questo tanto
 piu' quando si tratti, come nella specie, di organizzare,  attraverso
 la  strumentalita'  dell'ente, un servizio che sia di interesse tanto
 per lo Stato che per le regioni, in quanto  i  principi  sul  riparto
 delle  competenze  non  possono impedire alla legislazione statale di
 porre  in  essere  strumenti  normativi  ed  organizzativi  volti  al
 perseguimento  dei fini generali del servizio stesso, in riferimento,
 tra l'altro, alle esigenze  di  coordinamento  e  di  uniformita'  di
 regole.
    12.  -  Alle  medesime  conclusioni  porta  anche  la problematica
 relativa agli obblighi incombenti sullo Stato per l'attuazione  della
 normativa  comunitaria,  giacche',  secondo la giurisprudenza, spetta
 allo Stato il potere di  attuazione  della  normativa  stessa  quando
 risulti   la   rilevanza  nazionale  dell'interesse.  Ne',  in  senso
 contrario, puo' valere il richiamo fatto da talune  delle  ricorrenti
 all'art.  6 del d.P.R. n. 616 del 1977, che trasferisce alle regioni,
 nelle  materie  definite  dal  decreto  stesso,  anche  le   funzioni
 amministrative   relative   all'applicazione  dei  regolamenti  della
 Comunita' europea nonche' all'attuazione delle direttive.
    Tale potere di attuazione, la  cui  configurazione  va  rinvenuta,
 oltre  che nella norma citata, nella disciplina contenuta nelle leggi
 n. 183 del 1987 e n. 86 del 1989, si qualifica e  si  definisce  alla
 luce  dei  criteri  che presiedono alla ripartizione delle competenze
 fra Stato e regioni nelle singole materie che,  di  volta  in  volta,
 costituiscono oggetto della disciplina comunitaria.
    13.  - Le considerazioni sopra svolte inducono, dunque, a ritenere
 insussistente la denunciata  lesione  delle  competenze  regionali  e
 provinciali  da  parte dell'art. 1 del decreto impugnato, nella parte
 (primo  comma)  in  cui  determina  la  collocazione  propria   degli
 istituti,  definendoli  "strumenti  tecnico-scientifici  dello Stato,
 delle regioni e delle province autonome per le materie di  rispettiva
 competenza".  Quanto  alla norma, contenuta nel terzo comma - secondo
 la quale essi "operano nell'ambito del Servizio sanitario  nazionale,
 garantendo  ai  servizi  veterinari  delle  regioni  e delle province
 autonome  e  delle  unita'  sanitarie  locali  le  prestazioni  e  la
 collaborazione  tecnico scientifica necessaria all'espletamento delle
 funzioni in materia di igiene e sanita'  pubblica  veterinaria  -  si
 tratta  di  disposizione che, lungi dal supportare la doglianza della
 Regione Lombardia e della Provincia di Trento, circa la  compressione
 delle  competenze  regionali e provinciali, esplicita e garantisce il
 rapporto di strumentalita' che lega gli istituti non solo allo  Stato
 ma anche agli altri enti regionali e provinciali.
    Il  quarto comma e' denunciato, come gia' detto, dalle ricorrenti,
 sia perche' non precisa se le  attribuzioni  affidate  agli  istituti
 siano  di  pertinenza regionale, interregionale o statale, sia per il
 fatto di non prevedere  la  potesta'  legislativa  delle  regioni  di
 precisare  e  integrare  i  compiti dei medesimi. Una volta stabilito
 che, in attuazione della Costituzione, spetta alla legge dello  Stato
 di  operare  la  ripartizione  delle  competenze  in ambiti nei quali
 confluiscono  interessi  nazionali  e  interessi  regionali,   appare
 giustificato  che  sia  la  norma  statale a indicare direttamente le
 competenze degli istituti, senza che la norma stessa sia, per questo,
 tenuta a  specificare  se  le  competenze  attribuite  agli  istituti
 medesimi  attengano  all'ambito  regionale  o  statale;  problema che
 spettera' piuttosto all'interprete di risolvere.
    L'infondatezza delle censure rivolte verso l'art. 1, primo,  terzo
 e  quarto comma, finisce per coinvolgere, in analoga pronunzia, anche
 la censura avverso il quinto comma, prospettata per il fatto  che  la
 norma  prevede  che,  con  regolamento adottato ai sensi dell'art. 17
 della legge 23 agosto 1988, n.  400,  il  Ministro  della  sanita'  -
 d'intesa  con  la  Conferenza  permanente  per  i rapporti tra Stato,
 regioni e province autonome - coordini i compiti degli  istituti  con
 quelli  previsti dalla legge 23 giugno 1970, n. 503, modificata dalla
 legge 11 marzo 1974, n. 101, e dalla legge 23 dicembre 1975, n.  745.
 Se  compete  alla legge statale di definire i compiti degli istituti,
 non e' illegittima  la  previsione  di  un  regolamento  ministeriale
 avente  la  funzione  di  raccordare fra di loro le leggi statali che
 prevedano sia i compiti nuovi che quelli residuali.
    14. - Del pari infondate sono le  censure  rivolte  nei  confronti
 dell'art.  2,  secondo  comma, il quale stabilisce le competenze che,
 sul piano amministrativo, spettano al Ministro della sanita'  per  la
 promozione  delle  attivita'  di  ricerca, di verifica, di studio, di
 raccordo a livello comunitario e internazionale che possono ritenersi
 affidate agli istituti.  L'attribuzione  di  siffatte  competenze  al
 Ministro  della sanita' appare sufficientemente definita nell'oggetto
 e nel contenuto,  contrariamente  a  quanto  assunto  da  taluno  dei
 ricorsi,   anche  perche'  si  correla  non  solo  alla  funzione  di
 coordinamento  tecnico-funzionale,  contestualmente  affidata   dalla
 norma  allo  Stato, ma anche a quelle aree di attivita' che - come e'
 dato  evincere  dallo  stesso  secondo  comma  dell'art. 2 - assumono
 rilievo  sul  piano  dell'interesse  nazionale  e  internazionale  ed
 altresi'  comunitario, secondo quanto contemplato anche dalla lettera
 l) della stessa disposizione, vale  a  dire  in  settori  di  stretta
 pertinenza  statale.  Ma  questo  non lede, alla stregua del rapporto
 strumentale che lega gli istituti non solo allo  Stato,  ma  altresi'
 alle  regioni  e  alle  province autonome, gli spazi di competenza di
 queste ultime, viste le  prestazioni  e  la  collaborazione  tecnico-
 scientifica  che,  ai sensi del gia' richiamato terzo comma dell'art.
 1, gli istituti sono tenuti a garantire ai servizi  veterinari  delle
 regioni e delle province autonome e delle unita' sanitarie locali.
    L'equilibrata  distribuzione  di competenze fra Stato e regioni e'
 resa manifesta, d'altro canto, anche dall'attribuzione  alle  seconde
 del compito di definire, attraverso il piano sanitario regionale, gli
 obiettivi  e  l'indirizzo  per  l'attivita'  degli  istituti (art. 2,
 quarto comma),  nonche'  di  disciplinare  le  modalita'  gestionali,
 organizzative  e  di  funzionamento  dei  medesimi,  nel rispetto dei
 principi previsti dal decreto, come pure di  esercitare  funzioni  di
 vigilanza   amministrativa,   di  indirizzo  e  verifica,  unitamente
 all'adozione di criteri di valutazione dei costi, dei rendimenti e di
 verifica dell'utilizzazione delle risorse (art. 2, quinto comma).
    15. - Ragioni identiche a quelle gia' esposte portano  a  ritenere
 infondate,  salvo  quanto  detto  piu' avanti, anche le doglianze che
 tutti e tre i ricorsi rivolgono all'art. 3, sull'organizzazione degli
 istituti, norma denunciata in via generale per  la  sottrazione  alle
 regioni  della relativa potesta' legislativa, ridotta a mera potesta'
 integrativa, e per la disciplina di estremo dettaglio posta in essere
 con il decreto in questione; e, sotto piu' specifico aspetto, per  il
 ripristino  della  diretta presenza di un rappresentante ministeriale
 nel consiglio di amministrazione (secondo comma).
    Fermo, per il profilo piu'  generale,  quanto  gia'  osservato  in
 ordine  alla  portata della delega ed alle esigenze di riordino degli
 istituti,  secondo  criteri  di   uniformita'   di   disciplina,   e'
 sufficiente  qui  osservare  che  e'  la  stessa  molteplicita' degli
 interessi coinvolti a giustificare, nel consiglio di amministrazione,
 la  presenza  di  componenti  di  estrazione  ministeriale,  peraltro
 limitata, nella specie, ad un componente su cinque.
    Dalla   infondatezza  delle  questioni  di  cui  sopra,  discende,
 conseguentemente, l'infondatezza anche  della  censura  avanzata  nei
 confronti  dell'art.  3,  sesto  comma,  la'  dove si prevede che "le
 regioni adottano le  restanti  norme  organizzative",  e  cosi'  pure
 l'infondatezza  della  doglianza  che la Provincia autonoma di Trento
 propone avverso il successivo art. 4,  denunciato  per  il  fatto  di
 disciplinare  in  maniera  dettagliata  e  vincolante le modalita' di
 revisione e approvazione degli statuti degli istituti.
    Invero,  la  disposizione  di  cui  trattasi  null'altro  fa   che
 rimettere   agli   istituti,   nel  rispetto  della  loro  autonomia,
 l'esercizio, sia pure entro un termine stabilito, della  potesta'  di
 adeguare   gli  statuti  alle  nuove  disposizioni;  riservando,  nel
 contempo,  alle  regioni,  ove  l'istituto  ha  sede,  il  potere  di
 approvazione  degli  statuti  stessi, secondo un procedimento che, in
 caso  di  istituti  interregionali,   assicura,   come   e'   giusto,
 l'intervento consultivo anche delle altre regioni e province autonome
 interessate.
    16. - L'infondatezza delle doglianze circa la pretesa compressione
 delle  funzioni  regionali, nella ricostruzione del sistema normativo
 sopra  operata,  comporta,  per  conseguenziale  implicazione,  anche
 l'infondatezza   della  censura  relativa  all'art.  10  del  decreto
 legislativo, denunciato dalle ricorrenti per avere abrogato le  norme
 che  avevano  attribuito  alle  regioni  e  alle province autonome le
 precedenti funzioni relative agli istituti zooprofilattici.
    17. - Fondata e', invece, la censura  rivolta  all'art.  2,  primo
 comma,  nella  parte  in  cui conferisce al Ministro della sanita' la
 funzione di indirizzo e di coordinamento in  tema  di  determinazione
 dei  requisiti  minimi  strutturali e tecnologici, nonche' di criteri
 organizzativi uniformi ai quali gli istituti devono conformarsi.
    La  funzione   di   indirizzo   e   coordinamento   dell'attivita'
 amministrativa  e',  infatti,  soggetta,  quanto  a  fondamento  e ad
 esercizio, a puntuali requisiti di forma  e  di  sostanza:  di  forma
 perche'  la  funzione  stessa deve, in corrispondenza ad un principio
 desumibile dalla stessa Costituzione, trovare  svolgimento  in  forma
 collegiale  e  cioe'  con una delibera del Consiglio dei ministri; di
 sostanza, perche' occorre idonea base legislativa  per  salvaguardare
 il   principio   di   legalita'  sostanziale,  attraverso  la  previa
 determinazione, con legge, dei principi  ai  quali  il  Governo  deve
 attenersi.  Poiche'  il  primo  comma  dell'art.  2  non  soddisfa  i
 requisiti    accennati,    ne    va    dichiarata    l'illegittimita'
 costituzionale.
    18. - Merita, altresi', accoglimento la censura rivolta avverso il
 terzo  comma  del  medesimo art. 3, la' dove prevede che il direttore
 dell'istituto sia nominato dalla regione dove esso  ha  sede  legale,
 d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
 regioni e le province autonome.
    La  incongruita'  di  una  siffatta  disposizione sta nel fatto di
 contemplare il coinvolgimento della Conferenza  -  sede  privilegiata
 del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le regioni
 (e  province  autonome) su argomenti che investono in via generale la
 materia regionale - per una scelta che riguarda  la  singola  regione
 interessata.
    19.  -  Fondata e' da ritenere, inoltre, la censura avverso l'art.
 3, quarto comma, nella parte in cui  attribuisce  al  Ministro  della
 sanita'  e  al Ministro del tesoro il potere di designare due dei tre
 componenti del collegio dei revisori. La strumentalita' che lega  gli
 istituti  sia  allo  Stato  che alle regioni e alle province autonome
 esige, infatti, che la presenza dei vari  componenti  dell'organo  di
 revisione   si   ispiri   a   criteri   che  escludano,  quanto  alle
 designazioni, la prevalenza di una delle componenti.
    20. - Non fondata e', per contro,  la  doglianza  che  la  Regione
 Emilia-Romagna  e  la Provincia autonoma di Trento propongono avverso
 il primo comma dell'art. 5, nella parte  in  cui  dispone  che,  "con
 decreto  del  Ministro  della  sanita',  d'intesa  con  la Conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
 autonome, sono stabilite le prestazioni erogate dagli istituti per le
 quali  e'  prevista  la  corresponsione  di  un corrispettivo, e sono
 individuati i criteri per la determinazione, da parte delle  regioni,
 delle   relative   tariffe".   La  presenza  di  interessi  nazionali
 infrazionabili  giustifica,  infatti,  la  riserva  di  una  siffatta
 competenza  allo  Stato,  secondo  le  modalita' previste dalla norma
 impugnata,   anche  in  ragione  di  esigenze  di  uniformita'  nelle
 prestazioni rese a pagamento.
    21. - Non fondata e', infine, la doglianza avanzata contro  l'art.
 6,  primo  comma,  lettera  a)  la' dove prevede che il finanziamento
 degli istituti sia, in  parte,  assicurato  dallo  Stato,  attraverso
 mezzi tratti dal Fondo sanitario nazionale.
    In  ordine al primo profilo, relativo alla violazione dell'art. 76
 della Costituzione, in quanto le norme di  riordino  emanate  con  il
 decreto  in  parola  non  avrebbero  dovuto comportare oneri a carico
 dello Stato, e' sufficiente osservare che la disposizione  impugnata,
 lungi dal configurarsi come norma autorizzativa di spesa, si limita a
 prevedere  meccanismi  di  erogazione  finanziaria  finalizzati  alle
 attivita' degli istituti. Quanto poi all'altro  profilo  di  censura,
 con  il  quale,  con  riferimento all'art. 119 della Costituzione, si
 lamenta la lesione  dell'autonomia  finanziaria  regionale,  a  causa
 della  destinazione  agli  istituti  di una quota del Fondo sanitario
 nazionale che la legge  assegnerebbe  alle  regioni,  e'  sufficiente
 rammentare  che  l'autonomia finanziaria e' riconosciuta alle regioni
 dalla Costituzione, "nelle forme e  nei  limiti  stabiliti  da  leggi
 della Repubblica".
    Invero,  non  e' dato scorgere in quale modo essa risulti lesa dal
 decreto qui impugnato, per il fatto  che  si  assegni  agli  istituti
 zooprofilattici  -  ricondotti  come  fa  il terzo comma dell'art. 1,
 nell'ambito del Servizio sanitario nazionale - una  quota  del  Fondo
 sanitario  nazionale,  costituito  come  e'  noto da mezzi finanziari
 facenti parte del bilancio dello Stato; oltretutto seguendo  in  cio'
 un   criterio   non  nuovo,  come  dimostrano,  anche  per  gli  anni
 precedenti, i provvedimenti che hanno destinato agli istituti  stessi
 mezzi tratti, per l'appunto, dal predetto Fondo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
       a) dichiara l'illegittimita' costituzionale:
       dell'art.  2,  primo  comma,  del decreto legislativo 30 giugno
 1993,  n.   270   (Riordinamento   degli   istituti   zooprofilattici
 sperimentali,  a  norma  dell'art.  1, primo comma, lettera h), della
 legge 23 ottobre 1992, n. 421), nella parte in cui dispone  che,  con
 atto   di  indirizzo  e  coordinamento,  il  Ministro  della  sanita'
 determina i requisiti minimi strutturali, tecnologici e stabilisce  i
 criteri   organizzativi   uniformi   ai  quali  gli  istituti  devono
 conformarsi;
       dell'art. 3, terzo comma, del  predetto  decreto,  n.  270  del
 1983,  nella  parte  in  cui  richiede  per  la  nomina del direttore
 generale dell'istituto zooprofilattico  l'intesa  con  la  Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
 autonome;
       dell'art. 3, quarto comma, nella parte in cui dispone che,  dei
 tre  membri del collegio dei revisori degli istituti zooprofilattici,
 uno e' designato dal Ministro della sanita' e uno  dal  Ministro  del
 tesoro;
       b)   dichiara   non   fondate   le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale:
       degli  artt. 1, primo, quarto e quinto comma; 2, secondo comma;
 3, secondo e sesto comma; 5, primo comma, 6, primo comma, lettera  a)
 e  10,  primo  comma,  del  decreto  stesso,  sollevate dalla Regione
 Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118, 119  e  76  della
 Costituzione;
       degli  artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; 2, secondo
 e quinto comma; 3, primo, secondo, quinto e sesto comma, del  decreto
 predetto sollevate dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt.
 117, 118 e 76 della Costituzione;
       degli  artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; 2, secondo
 e quinto comma; 3, primo, secondo, quinto e sesto comma; 4;  5  e  10
 del  decreto stesso, sollevate dalla Provincia autonoma di Trento, in
 riferimento agli artt. 8, numero 21; 9, numero 10 e 16 del d.P.R.  31
 agosto  1972,  n.  670  (Approvazione  del  testo  unico  delle leggi
 costituzionali concernenti lo Statuto speciale per  il  Trentino-Alto
 Adige)  e  delle  relative  norme di attuazione, nonche' dell'art. 76
 della Costituzione.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 24 marzo 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: VARI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 7 aprile 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C0399