N. 134 SENTENZA 25 marzo - 13 aprile 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Lavoratore non abbiente  -  Definizione  di
 tale  condizione  -  Limite  reddituale annuo - Adeguamento al mutato
 potere di acquisto del denaro - Mancata previsione -  Abrogazione  di
 norme   prevedenti   nei   giudizi   in   materia   previdenziale  la
 compensazione delle spese in caso di  soccombenza  del  lavoratore  -
 Indiscriminata ed irragionevole eliminazione di qualunque distinzione
 tra  abbienti  e  non  abbienti  -  Illegittimita'  costituzionale  -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 11 agosto 1973, n. 533, art. 11; d.l. 19  settembre  1992,  n.
 384, art. 4, comma 2)
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 38).
 
(GU n.17 del 20-4-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  ultimo
 comma, del d.-l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia
 di  previdenza, di sanita' e pubblico impiego e disposizioni fiscali)
 convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438 e dell'art. 11,  secondo
 comma,   della  legge  11  agosto  1973,  n.  533  (Disciplina  delle
 controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di
 previdenza e  di  assistenza  obbligatorie)  promosso  con  ordinanza
 emessa il 15 luglio 1993 dal Pretore di Parma nel procedimento civile
 vertente tra Marenghi Giovanni ed il Ministero dell'Interno, iscritta
 al  n.  672  del  registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 46,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1993;
    Visto  l'atto  di costituzione di Marenghi Giovanni nonche' l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1994 il Giudice  relatore
 Renato Granata;
    Uditi  l'avv.  Franco  Agostini per Marenghi Giovanni e l'Avvocato
 dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  In  un  giudizio  promosso  da  un  lavoratore invalido nei
 confronti del Ministro dell'Interno per ottenere l'erogazione di  una
 indennita'  di  accompagnamento,  l'adito  Pretore  di  Parma  -  sul
 presupposto (implicito) della probabile soccombenza del ricorrente  -
 ha   sollevato,   con   ordinanza  del  15  luglio  1993,  "questione
 incidentale di legittimita' costituzionale, in relazione  agli  artt.
 3, 24 e 38 della Costituzione, dell'art. 4, ultimo (rectius: secondo)
 comma  del  d.-l.  19  settembre  1992 n. 384, convertito in legge 14
 novembre 1992 n. 438, nella parte in cui, nell'abrogare gli artt.  57
 legge 30 aprile 1969 n. 153 e 152 disp. att. cod. proc. civ. (in tema
 di  esonero  del lavoratore dagli oneri di soccombenza), non ha fatto
 salva la situazione dei lavoratori non  abbienti,  nonche'  dell'art.
 11,  comma  2,  legge  11  agosto 1973 n. 533, nella parte in cui non
 prevede (ai fini appunto della definizione della  condizione  di  non
 abbiente)  che venga adeguato al mutato potere di acquisto del denaro
 il limite di reddito (di due milioni annui) ivi contenuto".
    1 a. Nessun dubbio vi sarebbe innanzitutto,  secondo  il  Pretore,
 sulla  applicabilita'  ratione  temporis  del  denunciato  art.  4 al
 giudizio a quo, alla luce della disposizione transitoria  di  cui  al
 terzo  comma  dello stesso art. 4 legge 384/92 (all'uopo partitamente
 esaminata ed interpretata), anche in considerazione  del  fatto  che,
 comunque,   il   procedimento   giudiziario  e'  stato  nella  specie
 instaurato dopo l'entrata in vigore del citato decreto.
    1 b. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 della  norma  abrogatrice  sarebbe  poi,  a  sua  volta,  logicamente
 implicata  dalla  sequenza dei precedenti giurisprudenziali (sentenze
 nn.  23/1973;  60,  85/1979;  135/1987)  relativi  ad   entrambe   le
 disposizioni  da  quella abrogata: tutti convergenti nel sottolineare
 l'indispensabilita'  del  meccanismo  di  esonero  dalle   spese   di
 soccombenza  ai  fini  della  eliminazione  del  rischio processuale,
 suscettibile  di  vanificare  la  tutela  del  diritto   fondamentale
 all'assistenza.
    In  particolare,  neppure la piu' recente pronunzia n. 135/1987 si
 sarebbe discostata da tale indirizzo: e lo avrebbe  anzi  ancora  una
 volta  confermato,  sia  pur con la precisazione che da detto esonero
 avrebbero potuto escludersi i lavoratori "abbienti".
    Per  modo  che  -  ne  inferisce  conclusivamente  il Pretore - se
 effettivamente con il beneficio in parola era stato rimosso uno degli
 ostacoli  di  ordine  economico  e  sociale  che  di  fatto  creavano
 situazioni   di  diversita'  fra  i  cittadini,  dando  in  tal  modo
 attuazione agli artt. 24 e 38 alla luce dell'art. 3,  commi  1  e  2,
 della  Costituzione,  la sua eliminazione avrebbe potuto operarsi nei
 soli limiti di una eventuale esclusione dall'esonero  dei  lavoratori
 "abbienti",   individuati   secondo   criteri  all'uopo  fissati  dal
 legislatore nell'esercizio della sua discrezionalita', mentre,  nella
 sua  attuale  ed  indiscriminata  estensione,  l'abrogazione  de  qua
 creerebbe appunto una irragionevole disparita'  di  trattamento,  con
 contestuale  vulnerazione  dei  precetti di cui agli artt. 3, 24 e 38
 Costituzione.
    1 c.  Peraltro  -  ove  la  censura  di  incostituzionalita',  nei
 confronti della norma cosi' denunciata, dovesse reputarsi fondata per
 la  sola  parte  in  cui  questa  non fa salva la condizione dei "non
 abbienti" - lo stesso  Pretore  estende  allora  l'impugnativa  anche
 all'art.  11  della  legge  1973  n.  533  (nel  quale si rinviene la
 definizione della condizione  di  "non  abbiente"  agli  effetti  del
 gratuito  patrocinio,  con  specifico riguardo alle cause di lavoro e
 previdenziali), "nella parte in cui detta disposizione,  nel  fissare
 il  limite di reddito di due milioni di lire" (all'epoca adeguato, ma
 oggi irrisorio anche perche', ai  sensi  del  successivo  art.  12  i
 redditi  dei  coniugi  vanno cumulati) "non ha previsto un sistema di
 adeguamento automatico al mutato valore del denaro".
    2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si  e'  costituita  la  parte
 privata  ed e' intervenuta l'Avvocatura dello Stato per il Presidente
 del Consiglio dei ministri, formulando - entrambe -  varie  eccezioni
 di  inammissibilita'  (di  cui  in  prosieguo  piu' specificamente si
 dira') e concludendo, in subordine, rispettivamente, la prima, per la
 fondatezza e, la seconda,  per  la  non  fondatezza  delle  questioni
 sollevate.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Pretore  di  Parma  solleva  testualmente "questione di
 legittimita', in relazione agli artt. 3, 24 e 38 della  Costituzione,
 dell'art.  4, ultimo (rectius: secondo) comma, del d.-l. 19 settembre
 1992 n. 384, convertito in legge 14 novembre  1992  n.  438  -  nella
 parte  in cui, nell'abrogare gli artt. 57 legge 30 aprile 1969 n. 153
 e 152 disp. att. cod. proc. civ., non ha fatto  salva  la  situazione
 dei  lavoratori  non  abbienti - nonche' dell'art. 11, comma secondo,
 della legge 11 agosto 1973 n. 533, nella parte in cui non prevede che
 venga adeguato al mutato potere di acquisto del denaro il  limite  di
 reddito ivi contenuto".
    Ma,  come  e'  fatto  chiaro  dalla parte motiva dell'ordinanza di
 rinvio, l'impugnativa cosi'  proposta  ha  in  realta'  un  contenuto
 complesso  ed  a  scansione  logicamente  gradata,  denunciandosi  in
 sostanza dal giudice a quo:
      in linea principale, il citato art. 4, comma 2, legge n. 438/92,
 nella sua interezza, in quanto prevede una abrogazione "generalizzata
 ed  indiscriminata"  delle   precedenti   disposizioni   esonerative,
 pretermettendo  irrazionalmente  qualunque distinzione fra abbienti e
 non abbienti;
      ed, in via (implicitamente)  subordinata,  il  medesimo  art.  4
 "nella  (sola  parte)  in  cui  non  fa  salva  (dall'abrogazione) la
 posizione dei lavoratori non abbienti":  con  estensione,  in  questo
 secondo  caso,  della  impugnativa  anche all'art. 11, comma 2, della
 legge  11  agosto  1973  n. 533, quanto alla mancata previsione di un
 meccanismo di adeguamento del limite di reddito,  ivi  stabilito,  ai
 fini appunto della definizione della condizione di non abbiente.
    2.  -  La duplicita' di struttura del quesito nei termini indicati
 (non di alternativita',  ma  di  consecutivita',  per  subordinazione
 della seconda questione al mancato accoglimento della prima) non pone
 di  per se' problemi di ammissibilita' (cfr., in fattispecie analoghe
 sentenze n. 107/74; 31/87; 69/91; 10/93).
   3.1. - Al  profilo  logicamente  pregiudiziale  dell'ammissibilita'
 attengono, e vanno percio' preliminarmente esaminate, le eccezioni di
 irrilevanza   della  questione  principale  -  per  inapplicabilita',
 ratione temporis ovvero ratione materiae, del denunciato art.  4  nel
 giudizio  a  quo  -  sollevate dalla parte privata e (la prima) anche
 dall'Avvocatura dello Stato.
    Nessuna di tali eccezioni puo' pero' trovare accoglimento.
    3.2. - Sulla applicabilita' della nuova disciplina delle spese  ex
 d.-l. 384/1992, nel giudizio in corso (pacificamente) instaurato dopo
 l'entrata  in  vigore  del predetto decreto, il Pretore rimettente ha
 infatti diffusamente motivato: tra l'altro  ritenendo,  a  tal  fine,
 appunto riferibile ai "procedimenti giudiziari" la norma transitoria,
 contenuta  nel  comma  terzo del medesimo art. 4 d.-l. cit., la' dove
 limita l'ultrattivita' delle previgenti disposizioni esonerative  nei
 procedimenti "instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore
 del presente decreto ed ancora in corso alla medesima data".
    Si  prospetta  ora,  da parte della Avvocatura dello Stato e della
 difesa  privata,   una   opposta   lettura   della   riferita   norma
 intertemporale  (che  escluderebbe  invece  l'applicazione  dello ius
 superveniens  nel  giudizio  a  quo  e  la  rilevanza  quindi   della
 correlativa  questione  di  legittimita'),  basata  sull'assunto  che
 l'espressione "procedimenti in corso" vada intesa  come  riferita  ai
 procedimenti  amministrativi per i quali, alla data di sopravvenienza
 del d.-l. n. 384/93, non fosse ancora decorso il termine di decadenza
 per la proposizione dell'azione giudiziaria.
    Si puo' prescindere  dalla  considerazione  che  tale  alternativa
 esegesi  sembra  contraddetta,  per  la parte che ne interessa, dalle
 prime  pronunzie  della  Corte  di  cassazione  (sentenze  nn.  1681,
 5304/93) e che, contrariamente a quanto si assume, essa neppure trova
 conforto  nella  sentenza  n.  20/94  di questa Corte ( che ha bensi'
 presupposto una tale accezione del termine "procedimento" sub art.  4
 comma  3,  cit.  ma  - dichiaratamente - al solo ed esclusivo fine di
 determinare la portata intertemporale della diversa norma innovativa,
 contenuta nel precedente comma primo del medesimo art. 4, che  riduce
 il termine per la proposizione dell'azione giudiziaria).
    E'  assorbente,  infatti,  il rilievo che si esula comunque, nella
 specie, dal limite del controllo sull'ammissibilita' della questione:
 che  -  come  reiteratamente  precisato  -  non  puo'   infatti   far
 disattendere  le  premesse  interpretative offerte dal giudice a quo,
 quando queste non siano (come innegabilmente non sono in questo caso)
 palesemente arbitrarie ed implausibili (cfr. 436/92; 103,  323,  345,
 416/93 ex plurimis).
    3.3.  -  A  sua volta, anche la seconda eccezione di irrilevanza -
 per assunta inapplicabilita' della norma in questione nel giudizio  a
 quo,  in  ragione  della  sua  inserzione  in  un  contesto normativo
 concernente i soli rapporti (e vertenze) con l'INPS - trova l'dentico
 sbarramento  della inammissibilita' della esegesi offerta dal giudice
 a quo; esegesi sul punto confortata anche dalla  considerazione  che,
 per  effetto  delle  sentenze  23/73 e 85/1979 l'esonero, di cui agli
 artt. 57 e 152 citati, aveva gia' esteso la sua  portata  applicativa
 oltre  l'ambito  delle  vertenze INPS e l'attuale abrogazione investe
 appunto  dette  disposizioni  nella   loro   attuale   portata,   non
 incompatibile con la collocazione della norma abrogante.
    4.  -  Una  terza eccezione di inammissibilita' e' stata formulata
 dall'Avvocatura  con   riguardo   all'arbitraria   estensione   della
 impugnativa  nei  riguardi  dell'art.  11  della  legge  533/73,  che
 disciplina  la  diversa  materia  del  gratuito  patrocinio.   Ma   -
 trattandosi  di censura che propriamente attiene alla struttura della
 seconda questione di legittimita', avente per quanto detto  carattere
 subordinato ed eventuale - il suo esame puo' riservarsi al prosieguo,
 in correlazione all'esito della questione principale.
    5. - Nel merito, la prima questione e' fondata.
    Questa  Corte  ha  invero  piu' volte sottolineato, nelle sentenze
 esattamente  al  riguardo  richiamate  dal  Pretore,  la  particolare
 valenza  del  diritto alla prestazione previdenziale ed assistenziale
 ai  sensi  dell'art.  38,  comma  2,  Costituzione  e  il   carattere
 strumentale  del regime di esonero delle spese di soccombenza ai fini
 della effettiva tutelabilita' del diritto stesso.
    In  particolare,  nella  sentenza  23  del  1973  (che  ha  esteso
 l'applicazione   dell'art.   57   della   legge   153/69  anche  alle
 controversie instaurate contro l'INAIL), all'obiezione per  cui  quel
 regime rischiava di alterare la par condicio delle parti in giudizio,
 si e' espressamente replicato che il detto esonero, .. "attraverso un
 meccanismo  di  neutralizzazione  della  notoria minor resistenza del
 lavoratore"  nel  processo  "realizza  invece   una   situazione   di
 sostanziale  parita'",  cosi' risolvendosi in un "mezzo di ripristino
 di una eguaglianza che,  se  pur  esistente  sul  piano  formale,  e'
 suscettibile   comunque  di  cadere  ove  il  rischio  del  processo,
 apparendo troppo gravoso, distolga il lavoratore dal far  valere  una
 fondata pretesa".
    A  sua  volta,  la  decisione  n.  60  del 1979, nel respingere le
 questioni di legittimita' dell'art. 152 disp. att. c.p.c.,  ha  avuto
 modo   di   precisare   come  di  per  se'  il  gratuito  patrocinio,
 condizionato a limiti reddituali e non esteso al rimborso delle spese
 in caso di soccombenza, non avrebbe  pari  attitudine  ad  eliminare,
 compiutamente, il rischio processuale per l'assicurato.
    E,  sulla  stessa  linea, la successiva sentenza n. 85/79 ha fatto
 del pari riferimento alla specialita' della garanzia dell'esonero per
 inferire l'illegittimita' del medesimo art. 152 nella  parte  in  cui
 non   ne  estendeva  l'applicazione  nei  confronti  dei  destinatari
 dell'assistenza pubblica.
    Ne' da tale indirizzo si e' da ultimo discostata  la  sentenza  n.
 135/1987,  che  lo  ha  anzi  ancora una volta confermato con l'unica
 riserva di una possibile piu' restrittiva definizione  dell'area  dei
 beneficiari  dell'esonero:  nel  senso  che - in considerazione delle
 condizioni economiche dei lavoratori, "che hanno  a  volte  raggiunto
 retribuzioni   di  entita'  notevole  e  pensioni  anche  elevate"  -
 potrebbero essere appunto esclusi, dal detto  esonero,  i  lavoratori
 "abbienti", peraltro con l'espressa avvertenza che "la determinazione
 concreta  delle  condizioni  e  degli  estremi  della  situazione  di
 "abbiente" per i fini  che  interessano  specificamente  la  materia,
 importa scelta affidate alla discrezionalita' del legislatore".
    Con  l'art.  4  comma  2  del  d.-l.  n.  384  ora  impugnato,  il
 legislatore del 1992 - disattendo tali precise indicazioni sui limiti
 di una possibile revisione riduttiva della disciplina dell'esonero  e
 sopratutto  obliterando  la  valenza,  piu'  volte  ribadita, di quel
 meccanismo ai fini dell'eliminazione del rischio processuale  per  la
 generalita'  degli  assicurati  cui  non sia riferibile una ipotetica
 condizione di abbienza -  ha  viceversa  operato  una  indiscriminata
 abrogazione  dell'esonero  stesso,  trascurando qualunque distinzione
 tra abbienti e non abbienti.
    E cio' appunto pone ora la norma stessa in insanabile contrasto  -
 nella   sua  interezza  -  con  i  precetti  costituzionali  evocati:
 risultandone, per l'effetto, indiscriminatamente (e irragionevolmente
 quindi) ripristinata la  situazione  di  disparita'  sostanziale  nel
 processo  (rispetto  all'istituto  assicuratore)  cui  avevano  posto
 rimedio le disposizioni abrogate  (art.  3);  limitata  di  fatto  la
 possibilita'  di  agire  a  tutela  dei propri diritti (art. 24); non
 tutelata a sufficienza la condizione di inabile al  lavoro  (art.  38
 Cost.).
    6.  -  Con l'accoglimento della questione principale perde rilievo
 la  questione  prospettata  in  via  subordinata.  La  quale,  quanto
 all'art.  11  legge  n.  533/1973,  va,  per  tale motivo, dichiarata
 inammissibile;  e,  quanto  all'ulteriore   profilo   di   violazione
 dell'art.  4  d.-l.  n.  384/92, e' piu' propriamente da considerarsi
 assorbita.
    7. - Assorbita rimane ovviamente anche l'eccezione  di  cui  retro
 sub 4.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 2, del
 d.-l. 19  settembre  1992  n.  384  (Misure  urgenti  in  materia  di
 previdenza,  di  sanita'  e pubblico impiego e disposizioni fiscali),
 convertito in legge 14 novembre 1992 n. 438;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 11 della legge 11 agosto  1973  n.  533  (Disciplina  delle
 controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di
 previdenza e di assistenza obbligatorie) sollevata, in relazione agli
 artt. 3, 24, 38 Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1994.
                        Il presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 13 aprile 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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