N. 149 SENTENZA 14 - 21 aprile 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Enti locali - Deliberazione di dissesto - Debiti insoluti - Interessi
 - Procedure esecutive pendenti - Dichiarazione di estinzione da parte
 del  giudice - Possibilita' di differenti interpretazioni della norma
 - Non spettanza alla Corte  operare  scelta  interpretativa  peraltro
 rimessa al giudice di merito - Non fondatezza.
 
 (D.-L.  18  gennaio  1993,  n. 8, art. 21, terzo comma, convertito in
 legge 19 marzo 1993, n. 68).
 
 (Cost., artt. 24 e 25).
 
(GU n.18 del 27-4-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Gabriele PESCATORE;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco   GUIZZI,   prof.   Cesare   MIRABELLI,  prof.  Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   20   bis
 (rectius:   21),  terzo  comma,  del  d.l.  18  gennaio  1993,  n.  8
 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di   finanza   derivata   e   di
 contabilita'  pubblica),  convertito  con  legge 19 marzo 1993, n. 68
 promossi con n. 2 ordinanze emesse il 19 luglio 1993 dal  Pretore  di
 Roma,  senzione distaccata di Tivoli nei procedimenti civili vertenti
 tra la s.p.a. Spei  Leasing  ed  il  Comune  di  Guidonia-Montecelio,
 iscritte  ai  nn.  652 e 653 del registro ordinanze 1993 e pubblicate
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  44,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1993;
    Visti  gli  atti di costituzione della s.p.a. Spei Leasing nonche'
 gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nella udienza  pubblica  dell'8  febbraio  1994  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Udito  l'avv.  Antonio  Cataudella  per  la  s.p.a. Spei Leasing e
 l'Avvocato dello Stato Claudio Linda per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di due procedure esecutive promosse dalla societa'
 Spei Leasing S.p.A. nei confronti del Comune di  Guidonia-Montecelio,
 il  Pretore  di Roma, sezione distaccata di Tivoli, ha sollevato (con
 due ordinanze del 19 luglio 1993  di  identico  contenuto)  questione
 incidentale  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  20- bis
 (rectius: 21), comma 3, d.l. 18 gennaio 1993  n.  8,  convertito  con
 legge  19  marzo 1993 n. 68, nella parte in cui prevede che in deroga
 ad  ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione del dissesto
 (nella specie, del Comune)  i  debiti  insoluti  non  producono  piu'
 interessi,  rivalutazioni  monetarie  od  altro;  sono poi dichiarate
 estinte dal giudice,  previa  liquidazione  dell'importo  dovuto  per
 capitale,  accessori  e  spese, le procedure esecutive pendenti e non
 possono essere proposte nuove azioni esecutive.
    Osserva il Pretore rimettente che - pur avendo il Comune esecutato
 chiesto la sospensione dell'esecuzione per consentire  l'espletamento
 della  procedura  commissariale  di  cui al cit. art. 21 - occorre in
 realta' procedere alla declaratoria  di  estinzione  della  procedura
 esecutiva  e  alla  preventiva  liquidazione  dell'importo dovuto per
 capitale, accessori e spese. Tale liquidazione  non  puo'  che  avere
 natura  di  atto  di  cognizione  finalizzato ad operare una completa
 definizione di tutte le posizioni debitorie del Comune, venendo cosi'
 necessariamente ad assumere la natura e  la  funzione  di  definitivo
 accertamento  della  stessa esistenza del credito cosi' da costituire
 un nuovo ed autonomo  titolo  in  base  al  quale  gli  organi  della
 procedura  di liquidazione dovrebbero pagare i creditori. In tal modo
 pero' si ha come conseguenza la  violazione  del  diritto  di  difesa
 (art.  24 Cost.) perche' il giudice dell'esecuzione, se e' chiamato a
 svolgere un'attivita' di cognizione, non puo' che decidere allo stato
 degli atti non potendo  certamente  svolgere  attivita'  istruttorie,
 sicche'  le  parti  vedrebbero preclusa la continuazione di eventuali
 processi di opposizione o di eventuali  giudizi  di  legittimita'  su
 pronunzie in grado di appello.
    Inoltre - secondo il giudice rimettente - e' ravvisabile anche una
 violazione  del  principio  del  giudice naturale (art. 25 Cost.) dal
 momento che il giudice dell'esecuzione verrebbe chiamato a  conoscere
 dei  giudizi di opposizione e dei giudizi di merito o di legittimita'
 relativi al titolo esecutivo.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che   la   questione   sia   dichiarata   inammissibile   o  comunque
 manifestamente infondata.
    In  via  pregiudiziale  l'Avvocatura  eccepisce  il   difetto   di
 rilevanza  della  questione  atteso  che  l'esame  della legittimita'
 costituzionale  della  norma  dovrebbe  avere  luogo  in   una   fase
 successiva,  ossia  in  occasione  dell'istanza  di  estinzione della
 procedura esecutiva e non  gia'  della  istanza  di  sospensione  per
 consentire  l'espletamento  della  procedura  commissariale,  che  e'
 chiesta in forza di norme che non risultano contestate.
    Nel merito la questione - secondo l'Avvocatura -  non  e'  fondata
 perche'  il  giudice rimettente parte dell'erroneo presupposto che il
 legislatore abbia configurato un potere  di  cognizione  del  giudice
 dell'esecuzione sull'an e sul quantum del debito, laddove nulla nella
 normativa impugnata autorizza tale interpretazione.
    Invece  la  estinzione  e' dichiarata dal giudice dell'esecuzione,
 ogni  qualvolta  non  vi  sia   contestazione,   sulla   base   della
 liquidazione  (che  sta  per  pagamento)  di  quanto  risulta  dovuto
 dall'ente territoriale; quindi non sono alterati i normali poteri del
 giudice dell'esecuzione.
    3. - Si e' costituita la societa' Spei  Leasing  S.p.A.  chiedendo
 che la questione sia dichiarata non fondata.
    La  difesa  della  societa' contesta essenzialmente il presupposto
 interpretativo dal quale muove il giudice rimettente per  la  ragione
 che  nella  norma  censurata  l'uso  del  termine  "liquidazione" non
 implica alcuna novazione del titolo che viene eseguito,  ma  soltanto
 la  ricognizione  del  medesimo da parte del giudice dell'esecuzione,
 senza pregiudizio per i procedimenti pendenti nel merito.  Quindi  il
 giudice  dell'esecuzione  e'  chiamato  soltanto  a cristallizzare la
 statuizione  contenuta   nel   titolo   provvisoriamente   esecutivo,
 quantificandola  in  un'entita' precisa per poi dichiarare estinta la
 procedura  esecutiva.  Ma  cio'  non   significa   che   il   giudice
 dell'esecuzione  debba  (o possa) porre in essere una nuova pronuncia
 che assorba ed annulli il titolo in corso di esecuzione  sicche'  gli
 (eventuali)  giudizi  di  cognizione  aventi  ad  oggetto  la pretesa
 azionata in via esecutiva  non  sono  toccati  dal  provvedimento  di
 "liquidazione"  del  giudice  dell'esecuzione,  ne'  tanto  meno sono
 dichiarati estinti.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale -
 in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. - dell'art. 20- bis (rectius:
 21), comma 3, decreto  legge  18  gennaio  1993  n.  8  (Disposizioni
 urgenti  in  materia di finanza derivata e di contabilita' pubblica),
 convertito con legge 19 marzo 1993  n.  68,  nella  parte  in  cui  -
 prevedendo  che  in  deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di
 deliberazione del dissesto dell'ente locale  i  debiti  insoluti  non
 producono   piu'   interessi,  rivalutazioni  monetarie  od  altro  -
 prescrive  che  sono   dichiarate   estinte   dal   giudice,   previa
 liquidazione  dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese, le
 procedure esecutive pendenti e  non  possono  essere  proposte  nuove
 azioni esecutive, per sospetta violazione:
       a)  del  diritto  di difesa perche' il giudice dell'esecuzione,
 nel procedere alla "liquidazione dell'importo dovuto", non  puo'  che
 decidere  allo  stato  degli  atti  pregiudicando la continuazione di
 eventuali  altri  giudizi  instaurati   con   atto   di   opposizione
 all'esecuzione ovvero con ricorso per cassazione;
       b)  del  principio  del  giudice  naturale  perche'  il giudice
 dell'esecuzione verrebbe chiamato a conoscere dei giudizi suddetti.
    2.  -  Riuniti  i   giudizi   per   identita'   di   oggetto,   va
 pregiudizialmente   respinta   l'eccezione  di  inammissibilita'  per
 difetto di rilevanza sollevata  dall'Avvocatura  di  Stato  sotto  il
 profilo  che la questione di costituzionalita', come sopra posta, non
 sarebbe  rilevante  atteso  che  la  norma  censurata  puo'   trovare
 applicazione  soltanto  in  una  fase  successiva, ossia in occasione
 dell'istanza (nella specie non ancora proposta) di  estinzione  della
 procedura  esecutiva,  e  non  gia'  della  istanza  (quale quella in
 realta' formulata dalla difesa del Comune esecutato)  di  sospensione
 della   stessa   per   consentire   l'espletamento   della  procedura
 commissariale.
    Il giudice rimettente ha puntualmente motivato in  ordine  a  tale
 punto,  ritenendo  che  la declaratoria di estinzione (d'ufficio) del
 procedimento esecutivo in ragione dell'intervenuta  dichiarazione  di
 dissesto  si  sovrapponga  alla mera sospensione dell'esecuzione, pur
 richiesta dal Comune esecutato, e l'assorba; ritiene quindi, con  una
 motivazione  non implausibile, di dover fare applicazione della norma
 censurata,  che  peraltro,  nella  sua  formulazione  letterale,  non
 condiziona la declaratoria di estinzione ad alcuna istanza del Comune
 esecutato.  In  mancanza di un diritto vivente diversamente orientato
 questa Corte non ha ragione di censurare, al solo fine della verifica
 della  rilevanza  della  questione   di   costituzionalita',   l'iter
 logico-argomentativo  del giudice rimettente ed in particolare l'aver
 egli pretermesso di esaminare preliminarmente l'istanza del Comune di
 sospensione dell'esecuzione.
    3. - Nel merito  la  questione,  sotto  il  profilo  dell'allegata
 violazione dell'art. 24 della Costituzione, non e' fondata.
    Il  dubbio di costituzionalita' prospettato dal giudice rimettente
 implica necessariamente che l'art. 21 censurato sia insuscettibile di
 ricevere interpretazione diversa da quella secondo cui e' il  giudice
 dell'esecuzione che e' tenuto ad effettuare, allo stato degli atti ed
 in riferimento al rapporto sostanziale espresso dal titolo esecutivo,
 un'attivita'  di cognizione che conseguentemente verrebbe in tal modo
 a  sovrapporsi  ad  eventuali   giudizi   pendenti   di   opposizione
 all'esecuzione  o  di  impugnazione  e  ne  pregiudicherebbe la piena
 cognizione. Ma e' questa un'interpretazione che, superando la lettera
 della disposizione che nulla prescrive in  ordine  all'incidenza  del
 provvedimento di liquidazione su tali giudizi, appare diretta proprio
 a far emergere il denunciato vizio di costituzionalita', vizio che in
 effetti  -  sulla  premessa  ermeneutica  cosi'  ricostruita  - viene
 prospettato dal giudice a quo non implausibilmente, posto  che  -  se
 vera la premessa - la procedura esecutiva, in modo anomalo e senza la
 piena   garanzia   del  diritto  di  difesa,  sarebbe  deviata  verso
 un'attivita' di cognizione della spettanza  dell'importo  dovuto  per
 capitale,  accessori  e  spese  dal  debitore  esecutato al creditore
 procedente.
    Ma  il  giudice  rimettente,  nell'operare  la  ricognizione   del
 contenuto  normativo  della disposizione, deve sempre e costantemente
 essere guidato dall'esigenza di rispetto dei precetti  costituzionali
 e  quindi,  ove  un'interpretazione appaia confliggente con alcuno di
 essi, e' tenuto - soprattutto in mancanza di  diritto  vivente  -  ad
 adottare  letture  alternative  maggiormente  aderenti  al  parametro
 costituzionale altrimenti vulnerato.
    Nella  specie   si   ha   appunto   che   sono   possibili   altre
 interpretazioni,  quali quelle sostenute - come riferito in narrativa
 - dall'Avvocatura di Stato e dalla difesa della parte costituita,  le
 quali  (seppur  tra  loro  diverse)  hanno  un  punto  in  comune: il
 provvedimento di "liquidazione" lascia in  ogni  caso  impregiudicate
 tutte  le  eventuali questioni (di merito) in ordine alla sussistenza
 della  pretesa  creditoria  ovvero  alla  legittimita'   del   titolo
 esecutivo,  questioni  la  cui  cognizione rimane devoluta al giudice
 competente secondo i criteri dettati dal codice  di  rito  e  con  le
 ordinarie  garanzie del contraddittorio e nel rispetto del diritto di
 difesa. Tanto e' sufficiente per ritenere non fondata la  censura  di
 costituzionalita'  nei  termini  in cui e' stata proposta, mentre non
 spetta a questa  Corte  operare  ogni  altra  scelta  interpretativa,
 rimessa al giudice del merito nel giudizio a quo e, piu' in generale,
 all'elaborazione giurisprudenziale.
    4. - Neppure fondata e' la censura di violazione del principio del
 giudice  naturale  (art. 25 della Costituzione) giacche' questa Corte
 in numerose pronunce (sent. n. 217 del 1993, n. 269 del 1992, ord. n.
 375 del 1991) ha puntualizzato che deve ritenersi  precostituito  per
 legge  l'organo  giudicante  istituito sulla base di criteri generali
 fissati  in anticipo e non gia' in vista di determinate controversie.
 Nella specie da una parte la competenza ad emettere il  provvedimento
 di   estinzione   della   procedura   esecutiva   e  di  liquidazione
 dell'importo dovuto per capitale, accessori  e  spese,  e'  demandata
 secondo   una   regola   generale   fissata   con  legge  al  giudice
 dell'esecuzione, a sua volta gia' individuato  secondo  gli  ordinari
 criteri  di  competenza  dettati  dal  codice  di  rito,  sicche'  il
 principio del giudice naturale e' rispettato; d'altra  parte  -  come
 gia'  osservato  -  in  nessun  modo  il  giudice  dell'esecuzione e'
 chiamato ad un'attivita' di  cognizione  della  quale  sia  stato  in
 ipotesi  investito altro giudice con opposizione all'esecuzione o con
 impugnazione della sentenza provvisoriamente esecutiva.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondate   le   questioni   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 21, comma 3, decreto legge 18
 gennaio 1993  n.  8  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  finanza
 derivata  e  di contabilita' pubblica), convertito con legge 19 marzo
 1993 n. 68, sollevate, in  riferimento  agli  artt.  24  e  25  della
 Costituzione,  dal Pretore di Roma, Sezione distaccata di Tivoli, con
 le ordinanze in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1994.
                       Il Presidente: PESCATORE
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 21 aprile 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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