N. 163 SENTENZA 14 - 28 aprile 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Espropriazione per  pubblico  interesse  -  Occupazione  d'urgenza  -
 Proroga  dei  termini  di  scadenza per le occupazioni autorizzate ai
 sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 -  Difetto  di
 rilevanza  -  Richiamo  dalle  sentenze nn. 244/1993 e 365/1992 della
 Corte - Congruenza e non arbitrarieta' della disciplina in  relazione
 al  fine perseguito - Insussistenza di compromissione dei diritti del
 proprietario anche in riferimento
 all'indennita' di espropriazione  o  al  risarcimento  del  danno  -
 Inammissibilita' - Non fondatezza.
 
 (Legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 5;d.-l. 22 dicembre 1984, n. 901,
 art.  1,  comma 5-bis, convertito in legge 1 marzo 1985, n. 42; d.-l.
 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, secondo comma, convertito in legge
 28 febbraio 1988, n. 47; legge 20 maggio 1991, n. 158, art. 22).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 42, secondo e terzo comma, e 97).
 
(GU n.19 del 4-5-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, prof. Antonio BALDASSARRE, avv.
    Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI,  dott.  Renato
    GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
    Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.  Massimo  VARI,
    dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5 della legge
 29  luglio  1980,  n.  385  (Norme  provvisorie  sulla  indennita' di
 espropriazione di aree edificabili nonche' modificazioni  di  termini
 previsti  dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 5 agosto 1978, n. 457 e
 15 febbraio 1980, n. 25); 1, comma quinto- bis, del decreto-legge  22
 dicembre  1984,  n.  901  (Proroga della vigenza di alcuni termini in
 materia di lavori pubblici), convertito nella legge 1 marzo 1985,  n.
 42;  14,  secondo  comma,  del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534
 (Proroga  dei  termini  previsti  da  disposizioni   legislative   ed
 interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito nella
 legge  28  febbraio  1988, n. 47; e 22 della legge 20 maggio 1991, n.
 158 (Differimento dei termini previsti da disposizioni  legislative),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  22 aprile 1993 dal Tribunale di
 Agrigento nel procedimento civile vertente tra  Sgarito  Giuseppe  ed
 altri,  iscritta  al  n. 556 del registro ordinanze 1993 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 26  gennaio  1994  il  Giudice
 relatore Massimo Vari;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un procedimento civile - promosso nei confronti
 del Comune di Favara  dai  proprietari  di  alcuni  terreni  occupati
 d'urgenza,  avente  ad  oggetto  il  risarcimento  dei  danni  per la
 sopravvenuta illegittimita'  dell'occupazione  stessa,  a  causa  del
 decorso  dei termini entro i quali la procedura espropriativa avrebbe
 dovuto essere completata, e per  l'ormai  irreversibile  destinazione
 dei  terreni  occupati  alla  realizzazione  dell'opera pubblica - il
 Tribunale di Agrigento ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,
 42, secondo e terzo comma, e  97  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 5 della legge 29 luglio 1980,
 n.  385;  5-  bis,  del  decreto-legge  22  dicembre  1984,  n.  901,
 convertito nella legge 1 marzo 1985, n. 42; 14,  secondo  comma,  del
 decreto-legge  29  dicembre  1987,  n. 534, convertito nella legge 28
 febbraio 1988, n. 47; e 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158.
    2. - Premette il  Tribunale  che  il  periodo  massimo  di  durata
 dell'occupazione  d'urgenza, originariamente previsto in due anni, e'
 stato portato a ben cinque anni dall'art. 20 della legge n.  865  del
 1971.  Tale  termine  massimo e' stato prorogato dalle leggi speciali
 della cui legittimita' costituzionale si dubita, per  le  occupazioni
 in  corso alla data della loro rispettiva entrata in vigore, sicche',
 nel  caso  oggetto   del   giudizio   a   quo,   l'occupazionestessa,
 originariamente  fissata  in cinque anni, a decorrere dal 15 dicembre
 1983, per effetto delle suddette  proroghe,  tutte  applicabili  alla
 fattispecie  salvo  la  prima, ed operanti automaticamente per legge,
 sarebbe venuta a scadere in data 15 dicembre  1993,  con  una  durata
 pari ad un decennio.
    3.  - Secondo il giudice remittente, le disposizioni di proroga si
 pongono, innanzitutto, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione,
 in relazione all'art. 42, terzo comma, lasciando il proprietario  del
 bene  occupato  privo,  per un lungo e non definito tempo, del giusto
 ristoro e paralizzato nella  difesa,  senza  poter  ottenere  ne'  la
 determinazione  dell'indennizzo, attesa la mancanza del provvedimento
 ablatorio, ne' il risarcimento del danno,  in  quanto  l'occupazione,
 benche' ormai irreversibile, e' da ritenere ancora legittima.
    Le  disposizioni  impugnate  contrasterebbero, inoltre, con l'art.
 42, secondo comma, della Costituzione, per  la  operata  compressione
 della  posizione del proprietario, che non presenta i caratteri della
 straordinarieta' e della temporaneita',  nonche'  con  il  successivo
 terzo   comma   del   medesimo  articolo,  non  essendo  prevista  la
 corresponsione di  un  indennizzo  per  il  periodo  successivo  agli
 originari termini di durata dell'occupazione.
    Si deduce, poi, violazione del principio del buon andamento di cui
 all'art.  97  della  Costituzione,  in quanto il processo di graduale
 deformazione  legislativa  dell'istituto  dell'occupazione  d'urgenza
 finirebbe  col  favorire  il rallentamento del procedimento ablativo,
 togliendo ogni incentivo a concluderlo e innescando forti diseconomie
 e maggiori oneri a  carico  dell'ente  pubblico  espropriante.  Anche
 sotto   un   altro   aspetto  la  normativa  di  proroga,  nella  sua
 irrazionalita' ed arbitrarieta', si porrebbe in contrasto con  l'art.
 97   della   Costituzione,   visto  in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione, essendo coinvolti solo i  procedimenti  di  occupazione
 per  i  quali,  al momento dell'entrata in vigore delle proroghe, non
 sono ancora scaduti i termini di durata, con violazione dei  principi
 di uguaglianza e di imparzialita' della pubblica amministrazione.
    4.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata manifestamente
 infondata.
    Rammentato il contenuto della sentenza di questa Corte n. 244  del
 1993,   a   confutazione,   tra   l'altro,  dei  dedotti  profili  di
 illegittimita' concernenti l'art. 42, secondo e  terzo  comma,  della
 Costituzione,  l'Avvocatura  nega  che  il  sistema  non  assicuri la
 pienezza  del  ristoro  per  tutto   l'arco   della   perdita   della
 disponibilita'  del  bene  fino  all'indennizzo  (o  al risarcimento)
 definitivo.
    Quanto alla lamentata violazione del principio del buon andamento,
 si osserva che il meccanismo legislativo denunciato  e'  giustificato
 da  riconosciute  esigenze  obiettive,  preordinate alla introduzione
 della nuova disciplina dell'indennita' di espropriazione.
    In ordine alla disparita' di trattamento  tra  i  proprietari  dei
 fondi,   si   richiamano   la   complessita'   della   materia  e  le
 particolarita' delle singole fattispecie  che  rendevano  inevitabili
 percorsi differenziati, ma non per questo arbitrari.
    Rilevato,  poi,  che  la  legittimita'  delle proroghe esclude che
 siano ingiustamente impedite forme di tutela  altrimenti  azionabili,
 si  osserva  che  comunque  l'art.  24  della  Costituzione esige non
 l'immediatezza bensi' l'effettivita' della tutela.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  e'  chiamata  a  decidere   sulla   legittimita'
 costituzionale  degli  artt. 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385; 5-
 bis (rectius: 1, comma 5- bis) del decreto-legge 22 dicembre 1984, n.
 901, convertito nella legge 1 marzo 1985, n. 42; 14,  secondo  comma,
 del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 28
 febbraio  1988, n. 47; 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158; i quali
 hanno prorogato i termini di  scadenza  delle  occupazioni  d'urgenza
 autorizzate  ai  sensi  dell'art.  20 della legge 22 ottobre 1971, n.
 865.
    2.  -  Per  un  piu'  chiaro inquadramento delle questioni portate
 all'esame della Corte, va rammentato che l'art.  20,  secondo  comma,
 della  legge  22  ottobre  1971,  n.  865,  dispone che l'occupazione
 d'urgenza "puo' essere protratta fino a cinque  anni  dalla  data  di
 immissione nel possesso".
    I   termini   di  cui  sopra  sono  stati  prorogati  dalle  norme
 denunciate,  per  le  occupazioni  in  corso  alla  data  della  loro
 rispettiva entrata in vigore. Piu' precisamente: l'art. 5 della legge
 29  luglio  1980, n. 385, ha prorogato di un anno il detto termine di
 cinque anni;  l'art.  1,  comma  5-  bis,  aggiunto  dalla  legge  di
 conversione  1  marzo 1985, n. 42, al decreto-legge 22 dicembre 1984,
 n. 901, lo ha prorogato di un altro anno; l'art. 14,  secondo  comma,
 del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 28
 febbraio  1988, n. 47, ha disposto una ulteriore proroga di due anni;
 quindi l'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, ha prorogato  il
 termine stesso di altri due anni.
    3.   -  Secondo  il  giudice  a  quo,  le  proroghe  in  questione
 contrasterebbero:
       a) con l'art. 24, in relazione all'art. 42, terzo comma,  della
 Costituzione,  in  quanto,  per  effetto di esse, il proprietario del
 bene  occupato  ed  irreversibilmente  trasformato  per  l'esecuzione
 dell'opera  pubblica,  resta  per un lungo e non definito tempo privo
 del giusto ristoro, non potendo agire per ottenere la  determinazione
 dell'indennizzo,  in quanto, in mancanza del provvedimento ablatorio,
 e' ancora formalmente titolare del bene, e nemmeno puo'  chiedere  il
 risarcimento  del  danno,  nonostante  la  perdita  del  bene stesso,
 poiche' l'occupazione deve considerarsi ancora legittima;
       b) con l'art. 42, secondo comma, della  Costituzione,  a  causa
 della  compressione della posizione giuridica del proprietario, priva
 di quei caratteri di straordinarieta' e temporaneita', che  i  limiti
 legali al diritto di proprieta' devono presentare, per non violare la
 posizione   soggettiva  del  titolare  del  bene,  costituzionalmente
 garantita;
       c) con l'art. 42, terzo comma, della  Costituzione,  in  quanto
 alla  compressione  delle  facolta'  dominicali,  posta in essere dal
 provvedimento di occupazione in modo pressoche' totale, e con  durata
 assolutamente   incerta   ed   indeterminata,   non   corrisponde  la
 previsione, nelle medesime leggi di proroga, della corresponsione  di
 un  indennizzo  per  il  periodo di occupazione prorogato, successivo
 alla  scadenza  degli  originari  termini  di  occupazione,  ne'   la
 previsione  che  l'indennita'  spettante  al privato sia liquidata in
 relazione alla maggior durata dell'occupazione;
       d)  con  il  principio  del  buon  andamento   della   pubblica
 amministrazione  di  cui all'art. 97 della Costituzione, in quanto la
 costante  tendenza  legislativa   alla   deformazione   dell'istituto
 dell'occupazione  d'urgenza finisce col favorire il rallentamento del
 procedimento ablatorio e toglie ogni  incentivo  a  concluderlo,  con
 l'emanazione   del   decreto   definitivo  di  espropriazione;  donde
 diseconomie e piu' gravi oneri a carico dell'ente pubblico, che sara'
 tenuto a corrispondere, invece dell'indennita' di espropriazione, una
 maggior somma a titolo di risarcimento del danno;
       e)  con  l'art.  97,  in  collegamento  con  l'art.  3,   della
 Costituzione,  sotto il profilo della irrazionalita' ed arbitrarieta'
 della normativa di proroga, essendo violati i principi costituzionali
 di uguaglianza  dei  cittadini  e  di  imparzialita'  della  pubblica
 amministrazione, in quanto non vengono coinvolti tutti i procedimenti
 di  occupazione  in  corso,  ma  solo  quelli per i quali, al momento
 dell'entrata in vigore delle proroghe,  non  sono  ancora  scaduti  i
 termini di durata dell'occupazione stessa.
    4.  -  La  questione, in quanto riferita all'art. 5 della legge 29
 luglio 1980, n. 385, va  dichiarata  inammissibile  per  irrilevanza,
 giacche' l'occupazione d'urgenza di cui si discute nel giudizio a quo
 si  e'  realizzata  in epoca successiva all'emanazione della legge in
 parola, sicche' non ha formato oggetto della proroga da  quest'ultima
 disposta, cosi' come del resto riconosce lo stesso remittente.
    5.  - Quanto alle altre disposizioni impugnate, la questione e' da
 reputare non fondata, per le stesse ragioni che la Corte ha  posto  a
 base  della precedente sentenza n. 244 del 1993, con la quale ha gia'
 ritenuto   di   non   accogliere   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  14,  secondo  comma,  del decreto-legge 29
 dicembre 1987, n. 534, e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991,  n.
 158, in relazione agli artt. 24 e 42 della Costituzione.
    Tale  giudizio  va riconfermato anche in questa sede, estendendolo
 alle ulteriori  disposizioni  oggetto  di  impugnativa,  giacche'  le
 prospettazioni  addotte  dal  giudice  remittente, benche' fondate in
 parte su nuovi parametri,  non  sono  tali  da  indurre  la  Corte  a
 rivedere il proprio precedente avviso.
    6.  -  Come gia' rilevato nella predetta sentenza n. 244 del 1993,
 le norme impugnate sono state emanate (secondo quanto si evince anche
 dai lavori parlamentari) al fine  di  protrarre  la  validita'  delle
 occupazioni  dei  suoli  connesse  ai  procedimenti espropriativi, in
 attesa che il  Parlamento  procedesse  all'approvazione  della  nuova
 disciplina  delle  indennita'  di  esproprio, dopo la declaratoria di
 illegittimita' costituzionale - da parte della sentenza n. 5 del 1980
 - dei criteri di determinazione delle stesse.
    La nuova normativa in  materia,  nonostante  la  sua  urgenza,  ha
 avuto,  pero', una elaborazione particolarmente faticosa e complessa,
 anche perche' la prima disciplina dettata  dalla  legge  n.  385  del
 1980,  dopo  la  declaratoria  di  incostituzionalita'  di  cui  alla
 menzionata sentenza n. 5  del  1980,  fu,  a  sua  volta,  dichiarata
 incostituzionale  con  sentenza n. 223 del 1983, per violazione degli
 artt. 42 e 136 della Costituzione. Il lungo e laborioso  iter  si  e'
 finalmente  concluso  con la legge 8 agosto 1992, n. 359 (art. 5- bis
 aggiunto, in sede di conversione, al decreto-legge 11 luglio 1992, n.
 333).
    Dai riferimenti di cui sopra si deduce, conclusivamente, che, come
 gia' la Corte ha  avuto  occasione  di  osservare  nella  piu'  volte
 richiamata  sentenza  n.  244  del  1993,  le  leggi di proroga hanno
 investito  un  periodo  di  tempo  sicuramente  lungo,  che  non   ha
 consentito   la   tempestiva   liquidazione  ed  il  pagamento  delle
 indennita' di espropriazione, nonche'  l'esperibilita'  delle  azioni
 per  il  risarcimento  dei  danni da occupazione illegittima. Ma tali
 ritardi, determinati da riconosciute esigenze obiettive, sorrette  da
 motivi  di pubblico interesse, non possono essere considerati tali da
 compromettere i diritti  del  proprietario  garantiti  dall'art.  42,
 secondo comma, della Costituzione.
    D'altro  canto, le norme impugnate, pur protraendo la legittimita'
 delle occupazioni e determinando alcune remore temporali  nell'ambito
 del procedimento espropriativo, non producono, per la giustificazione
 che esse trovano nella peculiarita' della situazione alla quale hanno
 inteso  provvedere,  nemmeno  lesione  dell'art.  42, terzo comma, in
 relazione all'art. 24 della  Costituzione,  sotto  il  profilo  della
 compressione   della  tutela  spettante  al  proprietario  del  bene.
 Infatti, una volta verificata  la  legittimita'  delle  proroghe,  in
 ragione  delle esigenze che le giustificano, e' fuor di luogo dolersi
 per le remore che esse possono determinare  per  le  azioni  volte  a
 conseguire, a seconda dei casi, l'indennita' di espropriazione ovvero
 il risarcimento del danno.
    Sempre  con  riguardo  all'art.  42, terzo comma, e' da osservare,
 poi, che le norme sospettate di  incostituzionalita'  si  limitano  a
 prorogare  i  termini  dell'occupazione,  ma  non escludono, solo per
 questo, che il periodo di proroga dia titolo ad indennizzo. Vanno, in
 proposito, ancora richiamate le considerazioni della sentenza n.  365
 del  1992,  secondo la quale il predetto articolo della Costituzione,
 nello statuire che  la  proprieta'  privata  puo'  essere,  nei  casi
 previsti  dalla  legge,  espropriata per motivi d'interesse generale,
 "da'  fondamento  e  disciplina,   con   le   relative   implicazioni
 costituzionali,   non  soltanto  agli  atti  espropriativi  in  senso
 proprio,  ma  pure  a  quelli  inerenti  all'occupazione  del   bene,
 imponendo   un   giusto  indennizzo  anche  per  la  durata  di  tale
 occupazione, che impedisce al proprietario  la  disponibilita'  e  il
 godimento del bene".
    Restano da esaminare i prospettati profili di ipotizzato contrasto
 delle norme impugnate con l'art. 97, in se' considerato, e con l'art.
 97, in relazione all'art. 3, della Costituzione.
    Quanto  al  primo  profilo,  occorre osservare che l'art. 97 della
 Costituzione va interpretato come criterio di  congruenza  e  di  non
 arbitrarieta'  della  disciplina posta in essere in relazione al fine
 che si vuole perseguire, secondo quanto e' dato, invero, riscontrare,
 nella specie, ove si consideri che le  leggi  denunciate  trovano  la
 loro giustificazione in situazioni del tutto peculiari.
    Quanto,  poi,  alla  dedotta violazione dell'art. 97, in relazione
 all'art. 3, della  Costituzione,  e'  sufficiente  rilevare  come  la
 lamentata  differenza  di regime giuridico, alla quale puo' dar luogo
 la denunciata  normativa  -  a  seconda  che  si  tratti  o  meno  di
 occupazioni  in  corso al momento della legge di proroga - si traduce
 in disparita' di fatto che, potendo insorgere in sede applicativa  di
 norme  di per se' non discriminatorie ne' irragionevoli, non rilevano
 ai fini del giudizio di costituzionalita'.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  5  della  legge  29  luglio  1980,  n.  385, sollevata, in
 riferimento agli artt. 3, 24, 42, secondo e terzo comma, e  97  della
 Costituzione,  dal  Tribunale di Agrigento, con l'ordinanza di cui in
 epigrafe;
    Dichiara non fondata la questione di  legittimita'  costituzionale
 degli  articoli  1, comma 5- bis, del decreto-legge 22 dicembre 1984,
 n. 901, convertito nella legge 1  marzo  1985,  n.  42;  14,  secondo
 comma,  del  decreto-legge  29  dicembre  1987, n. 534, convertito in
 legge 28 febbraio 1988, n. 47 e 22 della legge  20  maggio  1991,  n.
 158,  sollevata  dallo  stesso  Tribunale, in riferimento ai medesimi
 articoli della Costituzione.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: VARI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 28 aprile 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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