N. 271 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 1993

                                N. 271
 Ordinanza emessa il 25 giugno 1993  (pervenuta  il  21  aprile  1994)
 dalla  commissione tributaria di secondo grado di Venezia sul ricorso
 proposto da U.T.E. di Venezia contro Bianchi Giulia
 Catasto - Ripristino fino al 31 dicembre 1993 del sistema di
    determinazione delle tariffe d'estimo gia' previsto  dal  d.m.  20
    gennaio  1990  poi annullato - Previsione per il centro storico di
    Venezia di tariffe d'estimo piu' elevate di quelle stabilite per i
    centri  storici  di  altre  citta'  italiane  -   Adozione   dello
    sttrumento   del   decreto-legge   in  assenza  dei  requisiti  di
    necessita' ed urgenza - Violazione dei principi di  uguaglianza  e
    di  capacita'  contributiva per l'imposizione ai contribuenti, sia
    pure in via provvisoria, del pagamento  di  imposte  nella  misura
    stabilita  con  atti  amministrativi  -  Incidenza  sul diritto di
    difesa in giudizio.
 (D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito in legge 24 marzo
    1993, n. 75).
 (Cost., artt. 3, 24, 53, 70, 77, 101, 102 e 104).
(GU n.21 del 18-5-1994 )
              LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO
    Ha emesso la seguente ordinanza sul seguente fascicolo: R.G. fasc.
 n. 713/93 contenente: appello principale n.  1953/1992  presentato  a
 mano  in  data  7 novembre 1992 con ricevuta n. 5989/92 da: U.T.E. di
 Venezia (controparte Bianchi Giulia, residente a Venezia in San Marco
 3717/B) contro la decisione n.  206/7/1992  pronunciata  in  data  11
 luglio  1992  (atti  citati:  avv.  classamento  n.  imposta:  contr.
 catastali - decisioni pronunciate  dalla  commissione  tributaria  di
 primo grado di Venezia).
    A  seguito  della  decisione  in  atti con la quale la commissione
 tributaria di primo grado di Venezia, sezione settima, accoglieva  il
 ricorso  del  contribuente, e' stato tempestivamente proposto ricorso
 in via di impugnazione dall'ufficio tecnico  erariale  con  un  unico
 motivo,  di  carattere  evidentemente  processualistico,  diretto  ad
 ottenere  la  pronuncia  di  difetto  di  giurisdizione  delle  adite
 commissioni tributarie.
    Tale  tesi  trarrebbe  fondamento  dal  disposto  dell'art. 16 del
 d.P.R. 26 ottobre  1972,  n.  636  (anche  in  riferimento  al  testo
 novellato dell'art. 7 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739).
    L'assunto  difensivo  in  parola  e'  stato contestato a suo tempo
 dalla difesa della parte ricorrente,  e  la  pronuncia  emessa  dalla
 commissione  di  prima  istanza,  con  motivazione del tutto chiara e
 coerente, offre sicura dimostrazione delle ragioni per  le  quali  e'
 stata ritenuta la sussistenza della competenza del giudice adito.
    La  motivazione in esame, con ampi richiami alla nota sentenza del
 TAR  del  Lazio  che  ha  affermato  l'illegittimita'   dei   decreti
 ministeriali  di  cui  si  discute, si appalesa del tutto appagante e
 quindi immeritevole delle censure esposte.
    Tali  censure,  peraltro,  nella  loro  estrema  sinteticita',  si
 limitano, a ben guardare, al richiamo del primo comma dell'art. 2 del
 d.l.  24  settembre 1992, n. 388. Tale disposizione, invero, tendeva
 (attraverso il richiamo espresso ai decreti  ministeriali  dichiarati
 illegittimi),  a  superare  il problema della violazione del disposto
 costituzionale  che  vieta  imposizioni  tributarie  in  assenza   di
 disposizioni  normative  tipiche  degli  organi  legislativi.  A tale
 proposito, peraltro, deve considerarsi che  il  menzionato  d.l.  n.
 388/1992 non e' stato poi convertito nei termini, sicche' gli effetti
 in  precedenza  prodotti sono venuti meno con la scadenza del termine
 utile finale per la convertibilita'. Quanto  sopra  premesso,  questa
 commissione  deve  necessariamente  ricordare  che,  gia' con la nota
 sentenza n. 313/1985, la  Corte  costituzionale  aveva  enunciato  il
 principio che l'elencazione dei casi di ricorso contenuta all'art. 16
 del  d.P.R. n. 636/1972 ha carattere non gia' tassativo, ma meramente
 esemplificativo, con la  possibilita'  quindi  di  un'interpretazione
 estensiva  delle  ipotesi di ricorribilita' in relazione alle materie
 affidate    alla    giurisdizione    tributaria.    Tale    indirizzo
 giurisprudenziale  e'  chiaramente conforme all'orientamento costante
 delle  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  (successivamente
 confermato  con decisioni consolidate della sezione prima civile) sul
 principio fondamentale che l'ambito della giurisdizione, speciale (in
 ragione della materia assegnata) ma e' di carattere  generale  -  (in
 parallelo  con  quella  attribuita  ai  tribunali ordinari in materia
 civile) - per la generalita' delle vertenze  riguardanti  la  materia
 tributaria indicata all'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972.
    Sulla base dei principi teste' indicati non sembra controvertibile
 che  l'elemento determinante, al fine della delimitazione dell'ambito
 della giurisdizione in esame, sia da identificarsi nella denuncia  di
 violazione di diritti soggettivi. Precisato, invero, dalle menzionate
 sezioni  unite che le questioni inerenti all'applicazione dei tributi
 erariali rappresentano materia  di  lesione  di  diritti  soggettivi,
 quando una questione di tale genere sia realmente dedotta dalla parte
 interessata (contribuente) col ricorso introduttivo, non sembra possa
 ragionevolmente   negarsi   (alla   stregua   del   sistema  vigente)
 l'appartenenza del relativo problema alla giurisdizione, come  dianzi
 ricordato di carattere generale, delle commissioni tributarie.
    Occorre  a  questo punto rilevare che la decisione in esame ha non
 soltanto  espressamente  riaffermato  le  soluzioni  di  legittimita'
 (giudicate   incidenter   tantum  in  questa  sede)  addottate  dalla
 ricordata pronuncia del TAR del Lazio, ma ha altresi'  giudicato  nel
 merito   ritenendo   applicabili,  nel  caso  esaminato,  le  tariffe
 catastali valide per il precedente periodo di imposta.
    Questa soluzione potrebbe apparire prima facie criticabile  quando
 si  consideri  che  la  determinazione  delle  rendite dei fabbricati
 urbani e' ancorata alle quantificazioni  risalenti  al  lontano  anno
 1939;  peraltro  il  sistema  di  aggiornamento  all'evolversi  delle
 situazioni relative alla svalutazione  monetaria,  (ed  al  mutamento
 delle  redditivita'  degli immobili urbani) attraverso le percentuali
 di adeguamento stabilite dal Ministero, (nei periodi piu' recenti)  a
 cadenza biennale, non poteva trascurare gli effetti del protrarsi del
 sistema del blocco dei canoni delle locazioni.
    Invero   l'ordinamento   relativo  risalente  all'epoca  fascista,
 continuato durante la guerra, nel  periodo  della  "ricostruzione"  e
 ancora   all'epoca  del  sopraggiungere  del  cosi'  detto  "miracolo
 economico"    (che    trasformo'    l'economia    italiana,    ancora
 prevalentemente  agricola,  in  un  sistema  industriale e produttivo
 altamente modernizzato e su una  linea  tendenziale  di  livellamento
 alle  piu'  progredite nazioni industriali dell'occidente) ha trovato
 poi  ulteriore   e   (secondo   posizioni   critiche)   anacronistico
 rafforzamento  con  la  legge  n.  392/1978, tutt'ora vigente, che ha
 bloccato drasticamente il mercato delle locazioni (con le conseguenze
 ben note).
    E' proprio in relazione alle conseguenze  della  citata  legge  n.
 392/1978, rimasta immutata nonostante il decorrere di ben tre lustri,
 che la Corte costituzionale ha piu' volte diretto al Governo richiami
 per  evidenziare  l'incompatibilita'  del  prolungato protrarsi della
 normativa di blocco dei canoni con il  sistema  di  "libero  mercato"
 che, dall'entrata dell'Italia nell'organizzazione unitaria della CEE,
 costituisce  ormai  il  sistema inderogabile per l'ordinato svolgersi
 delle attivita' economico-produttive  delle  aziende  operanti  nello
 Stato italiano.
    A  questo  punto,  proprio  sulla  base  della decisione di merito
 anzidetta, questa commissione non  puo'  esimersi  dal  rilevare  che
 nelle  more del giudizio si e' verificata una "novazione legislativa"
 di decisivo impatto ai fini della soluzione del problema: va  infatti
 ricordato  che, con la legge 24 marzo 1993, n. 75, di conversione del
 d.l.  n.  16/1993,  gli  organi  legislativi  hanno   stabilito   la
 definitiva  applicazione  delle  rendite  catastali determinate sulla
 base dei prospetti di tariffa determinati in esecuzione del  d.m.  20
 gennaio  1990  con decorrenza dal 1 gennaio 1992, sino all'entrata in
 vigore del successivo decreto contenente le nuove tariffe e le  nuove
 rendite e comunque entro e non oltre il 31 dicembre 1993.
    Divenuti  obbligatori ex lege i prospetti di tariffa sulle rendite
 immobiliari urbane, quale conseguenza della  ricezione  del  d.m.  27
 settembre  1991, in una norma espressa, essi sono non piu' soggetti a
 disapplicazione del giudice tributario  ex  art.  16  del  d.P.R.  n.
 636/1972   realizzandosi   la  lesione  diretta  ed  immediata  delle
 situazioni soggettive dedotte nel giudizio, in quanto gli interessati
 sono privati di ogni possibilita' di sottrarsi  alla  quantificazione
 tariffaria   della   rendita   del   loro   immobile,   come  attuata
 dall'amministrazione e denunciata di illegittimita'.
    La fonte dell'efficacia erga omnes delle tariffe di  estimo  sorge
 infatti  dalla  norma  primaria  e  non piu' dall'atto amministrativo
 generale: suddetta norma  pertanto  sposta,  direttamente,  l'oggetto
 della presente controversia.
    Per  effetto,  invero,  dell'art. 2 citato del d.l. n. 16/1993 la
 rendita dell'immobile  del  contribuente  viene  determinata  in  via
 definitiva ed irrevocabile sia con riferimento alla dichiarazione dei
 redditi  da  presentare  alle scadenze degli anni 1993 e 1994, sia in
 riguardo a  qualsivoglia  atto  di  negoziazione  rilevante  ai  fini
 fiscali.
    In  siffatta  situazione  non e' dato vedere come possa negarsi la
 competenza del giudice adito dal momento che la  controversia  incide
 irrefutabilmente  su  una questione di diritto soggettivo (secondo la
 gia' menzionata giurisprudenza delle sezioni unite della  Cassazione)
 anche  sotto  il riflesso che a seguito dell'adozioe del criterio del
 valore patrimoniale dell'immobile (a fronte  del  precedente  fondato
 sulla  redditualita'),  non  e'  neppur invocabile il principio: qui'
 continuat non adtentat all'incontro  valido  fino  a  che  i  decreti
 ministeriali  aggiornavano  le  rendite  attraverso i coefficienti di
 adeguamento.
    E' invero significativo  che  venuta  meno  l'intermediazione  del
 provvedimento   amministrativo  generale,  l'obbligazione  tributaria
 relativa alla singola unita' immobiliare diviene ipso  facto  liquida
 ed  esigibile  per  determinazione tariffaria, rispetto alla quale il
 provvedimento  di  classamento  (nella  specie  non  modificato)   ha
 carattere  essenzialmente  prodromico  e  senza diretta efficacia, in
 quanto il contribuente non puo' sottrarsi agli effetti  tabellari  se
 non  violando  esplicitamente  la  norma di legge. (Tanto piu' che il
 sistema  dell'auto  tassazione  non  ammette  deroghe).   L'interesse
 all'impugnazione  della  tariffa  sorge,  pertanto,  con l'entrata in
 vigore della legge medesima che produce l'automatica  assunzione  del
 nuovo  valore tabellare a regola vincolante ed insuperabile. Solo per
 completezza di motivazione non sembra superfluo aggiungere  che  ogno
 diversa  soluzione  priverebbe il contribuente di qualsivoglia tutela
 giurisdizionale avverso la stima del valore delle unita'  immobiliari
 urbane  a destinazione ordinaria (categorie A, B e C) con conseguente
 insorgere del dubbio di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  16
 del  d.P.R.  n. 636/1972 (sotto il profilo gia' esaminato dalla Corte
 costituzionale con la sentenza n. 9/1993)  ovvero  dell'art.  2,  del
 citato d.l. n. 16/1993 e relativa legge di conversione, in quanto in
 sistema   di  determinazione  delle  rendite  catastali,  cosi'  come
 introdotto in via transitoria con la "legificazione"  della  tariffa,
 resta   preclusa   la  possibilita'  di  adire  qualsivoglia  giudice
 tributario o amministrativo che sia.
    L'art. 2 del richiamato d.l.  n.  16/1993  non  si  sottrae,  del
 resto, ad ulteriori dubbi di legittimita' costituzionale alla stregua
 di  principi  che  regolano  la formazione delle leggi e l'iniziativa
 relativa alla loro emanazione.
    Il legislatore, invero, avrebbe dovuto considerare la possibilita'
 di prevedibili e probabili  straripamenti  di  potere  nell'esercizio
 dell'attivita' di formazione delle tabelle, affidata ai locali U.T.E.
    Al proposito devesi ricordare che, precisamente per quanto attiene
 alla  situazione del centro storico di Venezia, e' stato unanimemente
 riconosciuto dalle elaborazioni dei dati valutativi eseguite da  noti
 studiosi  della materia e pubblicati nei piu' accreditati giornali di
 informazione quotidiana (ed in particolare  da  quelli  specializzati
 nelle  problematiche  dell'economia,  esempio  Il Sole 24 ore) che le
 tariffe relative sono enormemente  piu'  elevate  rispetto  a  quelle
 stabilite  per  i centri storici similari delle citta' di Palermo, di
 Napoli e di Firenze (con maggiori valutazioni, per Venezia,  tali  da
 superare  perfino  il doppio di quelle di raffronto). Tale eccesso ha
 portato, come e' noto, a generalizzate  proteste  dei  rappresentanti
 parlamentari  locali  e in generale del Veneto, ed, a quanto riferito
 (nei manifesti comunali) ad una precisa presa di posizione  del  Capo
 del  Governo  (favorevole  alla  revisione di tali abnormita'). Ed e'
 significativo  che  nei  giorni  scorsi si e' appreso (dai quotidiani
 nazionali) che il ricorso proposto dal comune di  Venezia  avanti  la
 commissione  censuaria  provinciale (secondo il disposto dell'art. 2,
 comma primo- bis del citato d.l. 23 gennaio 1993, n. 16), tendente a
 conseguire una rilevante diminuzione delle quantificazioni  tabellari
 ha  conseguito  esito favorevole sia per il centro storico di Venezia
 sia per la  parte  relativa  alla  zona  di  Mestre  (anche  se  tale
 pronuncia   e'  soggetta,  tutt'ora,  all'eventuale  controllo  della
 commissione censuaria centrale).
    Tanto  premesso  sembra  non  improprio  sottolineare   come   non
 palesemente  infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale
 delle tabelle relative al comune di Venezia  (considerato  nelle  sue
 varie  costituenti)  in riferimento all'art. 3 della Costituzione che
 garantisce a tutti i cittadini quell'uguaglianza di trattamento  che,
 nella specie, sembra sia stata irreparabilmente violata.
    Altro  rilevante  profilo  di incostituzionalita', non puo' essere
 sottaciuto: va considerato, infatti, che la legge del 24 marzo  1993,
 n.  75  di  conversione  del  d.l. n. 16/1993 rappresenta il momento
 conclusivo della  vicenda  relativa  alla  revisione  generale  degli
 estimi  del  C.E.U.,  a seguito della sentenza del t.a.r. del lazio 6
 maggio 1992 che annullava il d.m. 27 settembre 1991.
    Successivamente  ad  essa  il  contenuto  del   suddetto   decreto
 ministeriale  venne  dal  Governo  trasfuso  nel  d.l.  n. 298/1992,
 successivamente  sostituito  dal  d.l.  n.  348/1992,  a  sua  volta
 reiterato  con  d.l.  n.  388/1992  e sostituito ancora con d.-l. n.
 455/1992, tutti non convertiti (allo scopo, evidente,  di  conservare
 il  nuovo  criterio  di  calcolo delle rendite immobiliari secondo il
 valore unitario di mercato ordinariamente ritraibile  (stabilito  nel
 d.m.   1990)   in  luogo  del  reddito  dell'immobile  ordinariamente
 ricavabile.
    In breve il Governo con la legge  di  conversione  n.  75/1993  ha
 convalidato  il  sistema  di  imposizione  sulle  rendite immobiliari
 secondo criteri volti ad  incidere  il  patrimonio  dei  proprietari,
 condizionando,    quindi,    le    scelte    del    Parlamento    con
 l'irreversibilita'  delle  situazioni  nel  frattempo  intervenute  e
 quindi   influenzandone  la  libera  formazione  del  consenso  circa
 l'opportunita' di convertire o meno il decreto in  parola.  La  serie
 continua   di  decreti  legge  emanati  a  seguito  dell'annullamento
 giurisdizionale  della  determinazione  delle   tariffe,   applicate,
 inoltre,  in via transitoria dall'art. 7 del d.l. 11 luglio 1982, n.
 333, per la determinazione dell'imposta straordinaria sugli immobili,
 hanno infatti  posto  le  Camere  nella  condizione  ineluttabile  di
 convertire il decreto n. 16/1993 ed esonerare cosi' l'esecutivo dalla
 responsabilita'  (sia  pur  politica)  assunta riproducendo in via di
 decretazione  d'urgenza  le  tariffe   stesse,   con   la   sanatoria
 dell'attivita'  di  prelievo  fiscale  nel frattempo operata.   Si e'
 cosi' realizzata un'evidente pressione  sulla  volonta'  parlamentare
 rimasta  privata  della liberta' di autodeterminarsi in senso diverso
 dalla conversione, perche'  consapevole  delle  conseguenze  che  una
 decisione   sfavorevole   ad  essa  avrebbe  potuto  provocare  sugli
 equilibri  economici  dello  Stato.    L'azione  governativa  si   e'
 discostata,  in  tal  modo,  anche  dalla finalita' che ha assunto la
 conversione nelle piu' recenti legislature, di consolidare sul  piano
 degli  effetti  gli  atti  di normativa emanati in forza dell'art. 77
 della  Costituzione non tanto sotto la spinta della straordinarieta',
 quanto in adesione ad iniziative  legislative  da  attuare  in  breve
 tempo.  Siffatto  fenomeno gia' di per se inaccettabile sul piano dei
 principi che regolano i rapporti  fra  organi  istituzionali,  lo  e'
 ancor di piu' se esso riguardi le norme tributarie per le particolari
 garanzie   da   cui   esse   sono   assistite   dalla   stessa  Carta
 costituzionale.
    Con i  gia'  menzionati  presupposti  di  completa  sovranita'  ed
 indipendenza non e' compatibile una decisione assunta sotto l'impulso
 di   situazioni   contingenti   ed   indifferibili   che  hanno  reso
 irreversibile  la  determinazione   di   convalidare   le   modifiche
 introdotte  dal d.l. 20 gennaio 1990 dirette ad accentuare il carico
 fiscale sugli immobili urbani in relazione a radicali  mutamenti  nel
 modo  di  concepire il presupposto dell'imposizione; mutamenti la cui
 ascrivibilita' al sostanziale volere  del  solo  Esecutivo  viola  il
 principio  della certezza del diritto che si esprime anche in termini
 della fiducia del contribuente costituzionalmente tutelata.
    Da quanto dianzi accennato e' poi  evidente  la  violazione  degli
 artt. 3 e 53 della Costituzione non potendo ritenersi conforme ne' al
 criterio  della  capacita'  contributiva  ne'  tantomeno  a quella di
 progressivita' che informa il sistema, la  tassazione  delle  rendite
 immobiliari   sulla  ipotesi  di  fruttuosita'  del  valore  capitale
 dell'immobile costruito in base a criteri di tipo  patrimoniale,  che
 la  stessa  norma  abbandona  per  i  periodi  di  imposta successivi
 all'anno   1994   palesando,   quindi,    la    propria    intrinseca
 irrazionalita'.    Il  carattere  transitorio  di  applicazione della
 tabella annullata dal t.a.r., disposta dalla  norma  in  parola,  non
 vale,  infine, ad esimerla dalla denunciata violazione degli artt. 3,
 24 e 53 della Costituzione perche' differendo  al  periodo  d'imposta
 successivo  all'entrata  in  vigore dei nuovi estimi, le possibilita'
 recuperatorie del  contribuente  e  il  correlativo  contenzioso,  si
 realizza  concretamente,  medio  tempore, una tassazione avulsa dalla
 capacita' contributiva e ripristinatoria di una  forma  di  solve  et
 repete,   assolutamente   incompatibile   col  sistema  istituzionale
 vigente.  Sulla base delle suesposte considerazioni le  questioni  si
 palesano rilevanti ai fini del decidere la presente causa.
    E'   conseguenziale,   pertanto,  l'esigenza  di  sospensione  del
 presente giudizio ai sensi della legge 11 marzo 1953 n. 87 rimettendo
 alla Corte  costituzionale  l'esame  della  questione  relativa  alla
 compatibilita'  con le dianzi indicate norme costituzionali dell'art.
 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16 convertito nella  legge  24  marzo
 1993, n. 75 nella parte in cui si dispone che: "fino alla data del 31
 dicembre 1993 restano in vigore e continuano ad applicarsi le tariffe
 d'estimo  e  le  rendite  gia'  determinate in esecuzione del d.m. 20
 gennaio 1990".
                                P. Q. M.
    Visti gli artt. 134, della Costituzione, 1, legge costituzionale 9
 febbraio 1948 n. 1, e segg., legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata  ai  fini  del
 decidere, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del
 d.l.  23  gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1993,
 n. 75, nella parte in  cui  dispone  che:  "fino  alla  data  del  31
 dicembre  1993,  restano  in  vigore  e  continuano  ad applicarsi le
 tariffe d'estimo e le rendite gia' determinate in esecuzione del d.m.
 20  gennaio  1990"  in relazione agli artt. 70, 77 secondo comma, 24,
 101, 102 e 104, 3 e 53 della Costituzione,  nei  termini  di  cui  in
 motivazione;
    Sospende ogni pronuncia sul ricorso in epigrafe;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale affinche' essa si pronunci sulla predetta questione;
    Dispone,  altresi'  che  la  presente  ordinanza,  a  cura   della
 segreteria,  sia  notificata a tutte le parti in causa, al Presidente
 del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai  Presidenti  dei  due
 rami del Parlamento.
      Venezia, addi' 25 giugno 1993
                   Il presidente relatore: CASIROLI
                                                  Il segretario: DANEO
 94C0533