N. 304 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 1994

                                N. 304
 Ordinanza emessa il 24 febbraio  1994  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  per  l'Abruzzo,  sezione  staccata di Pescara, sul ricorso
 proposto  da  Veri  Bonifacio  ed  altri  contro  la  Presidenza  del
 Consiglio dei Ministri ed altri
 Impiego  pubblico  -  Indennita' giudiziaria stabilita dalla legge 19
 febbraio 1981, n. 27 - Estensione di detta  indennita'  (inizialmente
 attribuita  al  solo personale della magistratura) al personale delle
 cancellerie  e  segreterie  giudiziarie  -   Previsione   con   norma
 autoqualificata   interpretativa   che   a   quest'ultimo   personale
 l'indennita' sia corrisposta nella misura vigente al 1$ gennaio  1988
 senza l'adeguamento triennale stabilito per il personale togato della
 magistratura, in difformita' dall'interpretazione giurisprudenziale -
 Incidenza sui principi di uguaglianza, adeguatezza e proporzionalita'
 della  retribuzione,  certezza  dei  diritti maturati, del diritto di
 difesa,   della    sindacabilita'    degli    atti    amministrativi,
 dell'indipendenza  e  della autonomia delle funzioni giurisdizionali,
 dell'imparzialita' e buon andamento della p.a.
 (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, n. 61).
 (Cost., artt. 3, 24, 36, 73, 97, 101, 108 e 113).
(GU n.23 del 1-6-1994 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 611/1992,
 proposto  da  Veri  Bonifacio,  Lamonaca  Bruno,  Flamminio  Luciano,
 Pietropaoli  Francesco,  Cericola Nicola, Procida Nicola, Cripezzi M.
 Teresa, Paduano Giuseppe, Sigalotti Roberta, Mantolini  Maria,  Raspa
 Roberto e Di Marcantonio Elio, tutti rappresentati e difesi dall'avv.
 Giulio  Cerceo, elettivamente domiciliati presso il proprio difensore
 in Pescara, via N. Fabrizi, 31, contro la  Presidenza  del  Consiglio
 dei  Ministri,  il  Consiglio di Stato ed il tribunale amministrativo
 regionale per l'Abruzzo, in persona dei  rispettivi  presidenti  pro-
 tempore,  rappresentati  e  difesi dall'avvocatura distrettuale dello
 Stato  di  L'Aquila   presso   cui   per   legge   domiciliano,   per
 l'annullamento del silenzio-rifiuto serbato dalle amministrazioni in-
 timate sull'atto di messa in mora notificato il 18 aprile 1992;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio della Presidenza del
 Consiglio dei Ministri,  del  Consiglio  di  Stato  e  del  tribunale
 amministrativo regionale per l'Abruzzo;
    Vista  la  memoria  prodotta  dalle  amministrazioni  resistenti a
 sostegno delle proprie ragioni;
    Visti gli atti tutti del giudizio;
    Data per letta alla pubblica  udienza  del  24  febbraio  1994  la
 relazione  del  consigliere  Michele  Eliantonio  e  uditi, altresi',
 l'avv. Giulio Cerceo per la parte ricorrente  e  l'avv.  dello  Stato
 Diego Giordano per le amministrazioni resistenti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    I  ricorrenti, tutti dipendenti della Presidenza del Consiglio dei
 Ministri in servizio presso questa sezione staccata  di  Pescara  del
 tribunale   amministrativo   per   l'Abruzzo,   riferiscono  di  aver
 notificato all'amministrazione di appartenenza atto di messa in  mora
 al fine di ottenere la corresponsione dell'indennita' di cui all'art.
 1  della  legge  22  giugno 1988, n. 221, maggiorata degli incrementi
 percentuali determinati ai sensi dell'art. 3 della legge 19  febbraio
 1981, n. 27.
    Con  il  ricorso in esame hanno impugnato dinanzi questo tribunale
 il susseguente silenzio-rifiuto, deducendo la censura  di  violazione
 degli  artt.  1 della legge 15 febbraio 1989, n. 51, 1 della legge 22
 giugno 1988, n. 221, e 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27.
    Osservano in  merito  che  la  legge  n.  51/1989  nell'attribuire
 l'indennita' di cui all'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221, al
 personale  amministrativo  dei tribunali amministrativi regionali non
 ha inteso attribuire un emolumento fisso nel tempo, ma un  emolumento
 maggiorato  degli  incrementi  determinati ai sensi dell'art. 3 della
 legge 19 febbraio 1981, n. 27.
    La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Consiglio di Stato ed
 il  tribunale  amministrativo  regionale  per   l'Abruzzo   si   sono
 costituiti  in  giudizio  a  mezzo dell'avvocatura distrettuale dello
 Stato  di  L'Aquila,  che  con  memoria  del  27  dicembre  1993   ha
 diffusamente  contestato  il  fondamento  della  richiesta  di cui al
 gravame.
                             D I R I T T O
    Con il ricorso in esame - come sopra esposto - i ricorrenti, tutti
 dipendenti  della  Presidenza  del Consiglio dei Ministri in servizio
 presso   questa   sezione   staccata   di   Pescara   del   tribunale
 amministrativo  per  l'Abruzzo,  chiedono  nella  sostanza  che venga
 riconosciuto il loro diritto a percepire l'indennita' di cui all'art.
 1 della legge 22 giugno 1988, n.  221,  maggiorata  degli  incrementi
 percentuali  determinati ai sensi dell'art. 3 della legge 19 febbraio
 1981, n. 27.
    Detta richiesta in base alla normativa alla data  di  proposizione
 del ricorso sarebbe fondata.
    Infatti,  la  questione  dell'interpretazione  del predetto art. 1
 della legge n. 221/1988 e' gia' stata costantemente risolta nel senso
 di cui al ricorso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo
 e per tutti Cons. St., IV, 22 ottobre 1993, n.  923,  e  16  novembre
 1993, n. 1023). Con tali decisioni e' stato in merito chiarito che il
 predetto  art. 1 della legge n. 221/1988 nell'attribuire al personale
 delle  cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie   "l'indennita'
 stabilita  dall'art.  2  della  legge  19 febbraio 1981, n. 27, nella
 misura vigente al 1$ gennaio 1988" ha inteso estendere  al  personale
 delle  amministrazioni  giudiziarie  la medesima indennita', adeguata
 ogni tre anni, gia' attribuita al personale delle Magistrature dal 1$
 luglio 1980. Per cui, in definitiva,  la  disposizione  in  esame  e'
 stata  gia'  costantemente  interpretata  nel  senso  che con essa il
 legislatore non abbia  voluto  attribuire  un  emolumento  fisso  nel
 tempo,  ma  nel far riferimento all'indennita' in parola abbia inteso
 effettuare un rinvio anche alle  modalita'  di  adeguamento  di  tale
 indennita', atteso che tale adeguamento e' connaturato all'indennita'
 stessa.   Tale   interpretazione  -  peraltro  conforme  ai  principi
 costituzionali di uguaglianza e  di  adeguatezza  e  proporzionalita'
 della  retribuzione  -  e'  stata,  infine,  riconosciuta  pienamente
 coerente con i lavori parlamentari.
    Purtuttavia, nelle more del giudizio  con  la  legge  24  dicembre
 1993,  n.  537,  recante "interventi correttivi di finanza pubblica",
 all'art. 3, n. 61, e' stato disposto che "l'art.  1  della  legge  22
 giugno  1988,  n.  221,  si  interpreta  nel senso che il riferimento
 all'indennita' di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27,
 e' da considerare relativo alle misure  vitgenti  alla  data  del  1$
 gennaio 1988, espressamente richiamata dalla disposizione stessa".
    In  base,  cioe', a tale norma "interpretativa" sopravvenuta si e'
 espressamente esclusa la possibilita' di  corrispondere  l'indennita'
 in parola maggiorata dell'adeguamento triennale.
    Alla  luce  di  tali  considerazioni il ricorso in esame dovrebbe,
 pertanto, essere respinto.
    Ritiene, tuttavia,  il  collegio  di  sollevare  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  del predetto art. 3, n. 61, della legge
 24 dicembre 1993, n. 537, recante "interventi correttivi  di  finanza
 pubblica",  con  il  quale  e'  stata  introdotta  un'interpretazione
 autentica dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221.
    Invero,  tale  norma  sembra  presentare  specifici  elementi   di
 contrasto  con  gli  artt.  3,  24,  36, 73, 97, 101, 108 e 113 della
 Costituzione.
    Sembra,  infatti,  al  Collegio  che  la  norma  in  parola,   pur
 formalmente strutturata come una norma "interpretativa", abbia inteso
 -  al  fine  di  disporre  un  contenimento  della  spesa  pubblica -
 rideterminare con effetto retroattivo il  trattamento  economico  del
 personale  di  segreteria  e  di  cancelleria,  superando le predette
 decisioni rese in merito dalla giurisprudenza amministrativa.
    Tale  norma,  per  il  suo  contenuto  retroattivo  e   falsamente
 interpretativo, appare in definitiva viziata da irragionevolezza e da
 eccesso  di  potere  legislativo,  non essendo fondata su un'adeguata
 causa giustificativa avendo l'unico fine di disporre un  contenimento
 della  spesa  pubblica,  in quanto i supposti problemi interpretativi
 che avrebbe inteso dirimere  gia'  erano  stati  ampiamente  superati
 dalla giurisprudenza.
    Si   presenta,   inoltre,   lesiva   dei  principi  costituzionali
 dell'uguaglianza,dell'adeguatezza  e  della  proporzionalita'   della
 retribuzione,  della  trasparenza dei rapporti tra Stato e cittadini,
 della certezza dei diritti maturati, del  diritto  di  difesa,  della
 sindacabilita'   degli   atti   amministrativi,  dell'indipendenza  e
 dell'autonomia della funzione giurisdizionale,  dell'imparzialita'  e
 del  buon  andamento  dell'amministrazione,  in  quanto  il  disposto
 intervento retroattivo su diritti di  natura  economica  connessi  al
 rapporto  di  pubblico  impiego  appare  irragionevole  ed  introduce
 ingiustificate diseguaglianze tra pubblici dipendenti.  Infatti,  non
 sembra  ravvisarsi  alcuna  ragionevole giustificazione per ammettere
 l'indicizzazione dell'indennita' in  parola  solo  per  il  personale
 togato  e  negarla  a quello di cancelleria e segreteria, considerato
 altresi' che a  detto  emolumento  e'  stato  da  tempo  riconosciuto
 carattere   di  componente  normale  del  trattamento  economico  del
 personale beneficiario. Inoltre, con la norma in parola si e'  inciso
 su diritti gia' maturati o questiti alla luce del diritto vivente, di
 fatto  vanificando  le  statuizioni  rese  in merito dal Consiglio di
 Stato; con la norma in  parola  si  e'  menomata,  per  altro  verso,
 l'autonomia riconosciuta al potere giurisdizionale nella applicazione
 del  diritto  oggettivo  ed  i  ricorrenti  sono stati nella sostanza
 privati di una effettiva tutela giurisdizionale dei loro diritti.
    Sembra, infine, che una tale norma sia  suscettibile  di  produrre
 un'ingiustificata  disparita'  tra  coloro  che  hanno  ottenuto  una
 sentenza favorevole prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.
 537/1993  ed hanno gia' percepito l'indennita' in parola rivalutata e
 coloro  che  non  possono  piu'  invece  conseguirla.   Infatti,   il
 riconoscimento  del  diritto  all'adeguamento triennale gia' statuito
 prima dal t.a.r. Lazio e da  ultimo  con  le  predette  sentenze  del
 Consiglio  di  Stato  a  favore di molteplici dipendenti della stessa
 amministrazione cui appartengono  i  ricorrenti  introduce  ulteriore
 diseguaglianza  retributiva  a  fronte  di pari attivita' lavorativa.
 Inoltre,  la  circostanza  che  il  gravame  proposto  dagli  attuali
 ricorrenti  sia stato introitato a decisione successivamente a quello
 proposto da altri colleghi non puo' risolversi in danno degli stessi,
 apparendo illogico ed ingiusto che la  durata  del  processo  si  sia
 risolta in loro danno.
    In  definitiva,  in  base  alle  considerazioni  che  precedono il
 sospetto di illegittimita' costituzionale del predetto art. 3, n. 61,
 appare non manifestamente infondato.
    Circa la rilevanza  della  questione  ai  fini  del  decidere,  va
 evidenziato  che  la  sorte  del  ricorso  - come gia' detto - appare
 indissolubilmente legata all'esito del giudizio di  costituzionalita'
 della  norma predetta, dal momento che la domanda dei ricorrenti puo'
 essere  accolta solo in quanto risulti fondata la sollevata questione
 di legittimita' costituzionale.
    Questo collegio ritiene, quindi, di sollevare  nei  limiti  e  nei
 sensi  sopra  indicati  la  questione  di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, n.  61,  della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537,  in
 riferimento  agli  artt.  3,  24,  36,  73,  97, 101, 108 e 113 della
 Costituzione, con contestuale sospensione del presente giudizio  sino
 all'esito di quello incidentale di legittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n.  87,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,   in
 relazione  agli  artt.  3,  24,  36,  73,  97,  101,  108 e 113 della
 Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
 3,   n.   61,   della   legge  24  dicembre  1993,  n.  537,  recante
 interpretazione autentica dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988,  n.
 221;
    Sospende  il  giudizio  instaurato  dai  ricorrenti con il ricorso
 specificato  in  epigrafe  fino  alla  conclusione   della   deferita
 questione  di  legittimita'  costituzionale e dispone la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della segreteria di questo tribunale la presente
 ordinanza sia notificata alle parti in causa  ed  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti delle due Camere
 del Parlamento.
    Cosi' deciso nella camera di consiglio del 24 febbraio 1994.
                        Il presidente: LAURITA
   Il consigliere relatore: ELIANTONIO
                                               Il consigliere: CARINCI
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