N. 305 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 1994
N. 305 Ordinanza emessa il 26 marzo 1994 dal tribunale di Sassari nel prodecimento civile vertente tra Pinna Angela e ditta E. Cesaraccio Lavoro (rapporto di) - Facolta' del lavoratore di avvalersi del diritto di opzione a continuare il rapporto di lavoro fino al sessantacinquesimo anno di eta' - Mancata previsione dell'applicabilita' della tutela della reintegrazione nel posto di lavoro di cui all'art. 18 della legge n. 300/1970 anche ai lavoratori (che abbiano optato per la continuazione del rapporto di lavoro) dipendenti da impresa con meno di quindici dipendenti - Violazione del principio di uguaglianza, in quanto la condizione previdenziale dei lavoratori viene a dipendere, a parita' di mansioni e di retribuzione, dalle dimensioni occupazionali dell'impresa. (D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 84). (Cost., art. 3).(GU n.23 del 1-6-1994 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti e le deduzioni delle parti, a scioglimento della riserva che precede, ha emesso la seguente ordinanza. Con ricorso depositato il 18 novembre 1988, Pinna Angela conveniva dinanzi al pretore del lavoro di Sassari la ditta E. Cesaraccio del dott. Gavino Cesaraccio e, premesso di aver lavorato alle sue dipendenze dal 1$ gennaio 1956 come impiegata di secondo livello e che con raccomandata del 10 novembre 1987, ricevuta dal destinatario il giorno successivo, aveva tempestivamente comunicato al datore di lavoro la sua volonta' di avvalersi del diritto di opzione per la durata di cinque anni ai sensi dell'art. 6 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54, al fine di raggiungere l'anzianita' contributiva massima, lamentava che, nonostante cio', con lettera del 9 maggio 1988 veniva licenziata con preavviso. Impugnava pertanto il provvedimento espulsivo, chiedendo che il Pretore adito ne dichiarasse l'illegittimita' previo accertamento del valido esercizio, da parte sua, della facolta' di opzione, e che ordinasse alla ditta convenuta il ripristino del rapporto di lavoro o in subordine adottasse i provvedimenti di cui all'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. In corso di causa chiedeva, con esito sfavorevole, di essere autorizzata a modificare le conclusioni nel senso di chiedere l'applicabilita' dell'art. 18 della legge n. 300/1970. Il contenuto si costituiva eccependo, ai fini che in questa sede interessano, di aver agito nell'ambito della libera recedibilita', occupando meno di quindici dipendenti e chiedendo il rigetto del ricorso. Il pretore con la sentenza impugnata dinanzi a questo tribunale, dopo aver accertato il legittimo esercizio, da parte della lavoratrice, del diritto di opzione, ha peraltro ritenuto che la disposizione applicata prevedesse soltanto la tutela obbligatoria, escludendo, in ogni caso, anche la tutela reale. Il primo giudice, infatti, pur condividendo le considerazioni e motivazioni della sentenza della Corte di cassazione 23 novembre 1990, n. 11311, che aveva esteso con dovizia di argomentazioni di carattere letterale e logico la tutela reale prevista dall'art. 18 della legge n. 300/1970 alla ipotesi di lavoratrice, che aveva esercitato il diritto di opzione ai sensi dell'art. 4 della legge n. 903/1977, a prescindere dal numero dei dipendenti dell'impresa, non ne accoglieva le coerenti conclusioni, affermando che mentre l'art. 4 della legge n. 903/1977 dispone all'ultimo comma che, nell'ipotesi di continuazione da parte della donna di attivita' lavorativa fino al limite di eta' previsto per gli uomini, trovano applicazione le disposizioni della legge n. 604/1966 e successive modifiche ed integrazioni (leggasi art. 18 della legge n. 300/1970) in deroga all'art. 11 della legge n. 604/1966, analogamente non dispone l'art. 6 del d.l. 791/1981, il quale, pur essendo intervenuto dopo la legge n. 903/1977, non fa alcun riferimento alle successive modifiche ed integrazioni della legge n. 604/1966, tra le quali, appunto, l'art. 18 della legge n. 300/1970. Il pretore, pertanto, ne ha dedotto che nel silenzio della norma e nel raffronto fra le due disposizioni (art. 4 della legge n. 903/1977 ed art. 6 del d.l. n. 791/1981) il citato art. 6 non estende ai lavoratori che abbiano esercitato la facolta' di opzione la tutela reale di cui all'art. 18 della legge n. 300/1970. Tale interpretazione, che si attiene rigorosamente alla dizione letterale della norma che ci interessa, ha fatto sorgere nell'appellante il sospetto di illegittimita' costituzionale della stessa nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della tutela reintegratoria, omissione che vanifica la stessa ratio della disposizione, visto che per maturare la massima anzianita' contributiva e' necessaria la concreta prosecuzione del rapporto di lavoro. Questo collegio ritiene la questione non manifestamente infondata e la rimette al giudice delle leggi al fine di sottoporla, nella parte in cui il legislatore ha omesso ogni riferimento alle modificazioni ed integrazioni della legge n. 604/1966, al vaglio di costituzionalita'. Cio' in quanto: 1) premesso che la finalita' della norma e' quella di far raggiungere attraverso la prosecuzione dell'attivita' lavorativa la massima anzianita' contributiva al lavoratore che abbia gia' raggiunto l'eta' pensionabile, e premesso pertanto che la disposizione configura una speciale tutela in favore della situazione soggettiva del lavoratore e che per tale finalita' appare del tutto irrilevante la dimensione dell'impresa presso la quale e' occupato, si ritiene che l'omessa previsione della tutela reale configuri una palese violazione dell'art. 3 della Costituzione sia nel caso in cui la disposizione de quo sia interpretata nel modo piu' letterale (v. pretore del lavoro di Sassari nella sentenza impugnata), escludendosi comunque, anche per le imprese che ne abbiano i requisiti dimensionali, la possibilita' di emettere l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro; sia nel caso in cui, in osservanza del sistema sanzionatorio generale, la norma venga interpretata subordinando le conseguenze di un eventuale licenziamento intimato nella sua violazione, al numero dei lavoratori occupati nell'impresa. Nella prima interpretazione, la irragionevole disparita' di trattamento si profila nella concreta inattuabilita' della legge stessa, visto che il raggiungimento dell'anzianita' contributiva massima sara' rimesso all'orientamento contingente del datore di lavoro e si potranno pertanto verificare situazioni in cui alcuni dipendenti, proseguendo il rapporto di lavoro potranno godere di un maggiore cespite da pensione, mentre altri, soggetti all'applicazione del medesimo C.C.N.L., con le stesse mansioni e la stessa anzianita', essendo stati licenziati dovranno accontentarsi di un complessivo indennizzo economico, certamente non compensativo del maggiore cespite pensionistico in ipotesi realizzabile. Anche con la seconda interpretazione prospettata, il principio di uguaglianza appare compromesso, giacche' la condizione previdenziale di ogni lavoratore e quindi il raggiungimento attraverso la propria attivita' di una maggiore serenita' economica in vecchiaia, verrebbe a dipendere a parita' di mansioni e di retribuzione, dalle dimensioni occupazionali dell'impresa. Sotto tali aspetti, gia' velatamente segnalati dalla sentenza 23 novembre 1990, n. 11311, della Corte di cassazione, la questione sollevata appare non manifestamente infondata e, poiche' il giudizio in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla sua soluzione, se ne dispone la sospensione rimettendo gli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ed art. 295 del c.p.c.; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina altresi' che la stessa ordinanza venga comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato. Sassari, addi' 26 marzo 1994 Il presidente: BAGELLA Il giudice estensore: DI FLORIO 94C0590