N. 317 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 1993- 18 maggio 1994
N. 317 Ordinanza emessa l'11 marzo 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 18 maggio 1994) dal giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale per i minori di Napoli nel procedimento penale a carico di Chiacchio Aniello Processo penale - Richiesta di applicazione della pena - Patteggiamento - Inammissibilita' nel processo minorile - Fondamento della norma, anche per la dottrina, nella presunta incapacita' del minore, in quanto tale, a valutare le possibili conseguenze negative, oltre che i possibili benefici che la richiesta di applicazione della pena comporta - Contestata validita' di tali ragioni alla luce di altre disposizioni del codice, e particolarmente di quella che, nel consentire al minore di presentare la richiesta, neppur essa esente da rischi, di giudizio abbreviato, gli riconosce, al riguardo, una piena capacita' processuale - Conseguente ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai maggiorenni imputati, e ancor piu' se coimputati, per gli stessi fatti - Deviazione dai principi, desumibili anche da statuizioni internazionali (come le "Regole di Pechino"), della massima rapidita' possibile e della utilizzazione delle valenze, anche sostanziali, del processo minorile a vantaggio del minore. (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 25). (Cost., art. 3).(GU n.23 del 1-6-1994 )
IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE Ha pronunziato, all'udienza in camera di consiglio dell'11 marzo 1992 la seguente ordinanza nel proc. pen. 1398/91 g.u.p. a carico di Chiacchio Aniello, di Tommaso e di Laezza Immacolata, nato a Casandrino (Napoli) il 24 luglio 1976 ivi residente via Luigi di Giuseppe n. 11, libero presente, imputato del delitto p. e p. dagli artt. 56, 624, 625 n. 2 e 7 del c.p., per avere, con violenza sulle cose, posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi dell'autovettura Fiat 500 tg. RE/136316, parcheggiata sulla pubblica via, non riuscendo nell'intento per l'intervento della Polizia di Stato. In Napoli il 25 marzo 1991. FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con segnalazione del 25 marzo 1991 l'ufficio prevenzione generale presso la Questura di Napoli denunziava alla competente Procura, in stato di liberta', il minore Chiacchio Aniello colto nella flagranza del tentativo di sottrazione di una Fiat 500 ed, in specie nell'atto in cui, ancora in pigiama (per essersi allontanato dal vicino nosocomio Loreto mare ove trovavasi ricoverato per frattura ad una spalla), il predetto era intento alla manomissione del quadro elettrico di accensione all'evidente fine di procedere all'avviamento del motore ed al successivo asporto del veicolo. Con richiesta depositata il 14 ottobre 1991 il p.m.m. chiedeva il rinvio a giudizio del Chiacchio. All'udienza preliminare del 1$ marzo 1993 l'imputato, ancora minorenne, nel comparire chiedeva applicarsi ex art. 444 e seg. del c.p.p. la pena pecuniaria di lire 475.000 in sostituzione della pena detentiva di giorni 18 di reclusione e lire 18.000 di multa. A tale istanza il p.m.m. si opponeva rilevando la impraticabilita' nel rito minorile della procedura del c.d. patteggiamento. Il difensore di fiducia dell'imputato, avv. Mario Covelli, chiedeva sollevarsi eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 25 del cod. proc. pen. min. per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nella parte relativa alla inapplicabilita' di tale rito alternativo e dei benefici processuali ad esso connessi nel procedimento penale minorile, riservandosi il deposito di note a sostegno dello eccepito contrasto. All'odierna udienza il difensore si e' riportato alle note depositate in data 8 marzo 1993 laddove il p.m.m. ha ribadito di non potere concedere il suo assenso alla pena richiesta in virtu' del divieto espresso di legge. Il tribunale ha pronunziato, all'esito delle conclusioni sulla predetta questione incidentale, la seguente ordinanza. Motivi della decisione La proposta questione di costituzionalita', oltre che rilevante nel caso concreto all'attenzione di questo giudice, appare non manifestamente infondata sotto il profilo piu' strettamente tecnico- giuridico. Sotto il profilo della rilevanza della questione nel caso di spe- cie, basti osservare il certificato penale aggiornato al 21 dicembre 1992 del Chiacchio per rendersi conto della impossibilita' da parte sua di ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena, avendo egli gia' riportato anteriormente tre precedenti condanne a pene detentive sfornite della clausola sospensiva ex art. 163 del c.p. Piu' in particolare, il minore imputato e' portatore di uno specifico ed assai concreto interesse ad ottenere, con la riduzione per il patteggiamento, l'applicazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva, nelle forme di cui all'art. 30 del c.p.p.m., della minima sanzione detentiva applicabile. Ancora maggiormente il Chiacchio ha interesse ad ottenere una pronunzia dichiarativa della responsabilita' nelle specifiche forme di cui all'art. 444 del c.p.p., non costituente sentenza di condanna a tutti gli effetti, dal momento che, come evidenziato nella memoria difensiva depositata l'8 marzo 1993, una sentenza di siffatto ultimo tipo produrrebbe automaticamente la decadenza dall'affidamento in prova al Servizio sociale in corso presso il locale tribunale di sorveglianza in ordine a condanna pregressa. Si aggiunga che anche l'eventuale sostituzione con pena pecuniaria della pena detentiva eventualmente inflitte all'esito di ipotetica richiesta di giudizio abbreviato appare rimessa alla esclusiva discrezionalita' del giudice, sicche', in teoria, l'imputato dovrebbe, richiedendo ed ottenendo l'ammissione a tale rito alternativo (e, quindi, in sostanza ammettendo l'addebito contestato) affidarsi ciecamente alle valutazioni del collegio, cosi', indirettamente, rinunziando alle possibilita' di difendersi provando nella naturale sede dibattimentale e di conseguire, in ipotesi, una pronunzia per lui assolutoria. La richiesta di sanzione patteggiata appare qui, in altri termini, indissolubilmente collegata con la contestuale sostituzione della pena stessa, la quale se certa in caso di accoglimento del patteggiamento appare, per converso, del tutto eventuale ed incerta in sede di giudizio abbreviato. Di qui l'assoluta specificita' dell'interesse ad ottenere una pronunzia negli esatti sensi proposti. Ne', piu' in generale, deve dimenticarsi come l'interesse ad ottenere una pronunzia ex art. 444 del c.p.p. parrebbe, invero, del tutto indiscutibile in ogni caso in cui una siffatta richiesta venisse avanzata, poiche' l'equiparazione di tale pronunzia alla sentenza di condanna risulta del tutto limitata: basti pensare oltre che ai casi in cui la condanna stricto sensu puo' inferire su eventuali provvedimenti di esecuzione di pene definitive, anche all'indubbio interesse ad ottenere (per chiunque) una pronunzia che ai sensi dell'art. 689, secondo comma n. 5 del c.p.p. non comporti la trascrizione nei certificati penali e nei certificati generali, necessari, spesso, anche al fine della instaurazione o prosecuzione di rapporti di lavoro dipendente o autonomo. Peraltro, la pena richiesta dall'imputato potrebbe anche considerarsi congrua in rapporto alla natura del reato ed alla attribuibilita' della diminuente obbligatoria della minore eta' da valutarsi con prevalenza rispetto alle aggravanti, apparendo, altresi', degna di valutazione anche la richiesta applicazione delle attenuanti generiche in riferimento alle particolari modalita' esecutive del fatto, cosi' come descritte nella parte del presente provvedimento precedente alla motivazione. Sotto il profilo giuridico la questione di costituzionalita' non appare di certo manifestamente infondata, facendo, anzi, sorgere seri dubbi circa la consapevolezza delle scelte del legislatore delegato in ordine alle conseguenze di natura strettamente processuale derivate dalla opzione di esclusione del procedimento ex art. 444 del c.p.p. dal rito minorile. Ed invero, il legislatore, pur sottolineando, nelle relazioni al progetto preliminare ed al progetto definitivo, in modo chiaro ed inequivoco la necessita' della piu' rapida possibile fuoriuscita del minore dal circuito penale, quale fonte di possibile disarticolazione del processo educativo e di socializzazione in via di formazione - si' da canalizzare ed utilizzare le valenze sostenziali del processo vantaggio del minore e non a suo danno, cos' eliminando il rischio di sitmolazioni inutilmente negative e valorizzando, invece, le possibili stimolazioni positive - se, da un lato, ha ritenuto di favorire la realizzazione di siffatto risultato mediante la introduzione dei nuovi istituti della "irrilevanza del fatto" (art. 27 del c.p.p.m.) e della sospensione del procedimento a seguito di messa alla prova (art. 28 c.p.p.m. e 27 delle disp. att. del c.p.p.m.) per converso, mediante la disposizione di cui all'art. 25 del c.p.p.m. ha notevolmente ridotto il potenziale deflattivo - rispetto all'ordinario carico dibattimentale - dei riti speciali previsti per gli imputati maggiorenni, precludendo nel procedimento minorile l'applicazione del c.d. patteggiamento e del giudizio per decreto e sottoponendo, inoltre, il giudizio direttissimo al compimento degli accertamenti sulla personalita' del minore di cui all'art. 9 del c.p.p.m. Ma, nonostante la formulazione dell'art. 25, le esigenze di meccanismi processuali semplificati e di riti speciali che definiscono anticipatamente il processo sono fortemente avvertite e non soltanto per ragioni di economia processuale. Sul piano generale, l'accelerazione delle procedure e' considerata espressamente sia dalle Regole minime uniformi per l'amministrazione della giustizia minorile (c.d. Regole di Pechino) approvate dall'O.N.U. nel novembre 1985 sia dalla Raccomandazione sulle reazioni sociali alla delinquenza minorile, approvata dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa nel settembre 1987. In ambedue le risoluzioni suddette si sottolineava la assoluta indispensabilita' della massima rapidita' possibile delle procedure relative ad illeciti penali commessi da minori risultando, in caso contrario, "piu' difficile, se non impossibile, collegare concettualmente e psicologicamente il procedimento e la decisione sul reato". La piu' celere reazione giudiziaria al comportamento deviante puo' far si' che "meglio potra' essere percepito il collegamento tra condotta e decisione giudiziaria e quest'ultima potra' avere un'azione educativa efficace". Alla luce di tali criteri ispiratori fatti propri dal legislatore delegato attraverso la formulazione dell'art. 3 della legge delega v'e' da chiedersi se le deroghe alla praticabilita' di alcuni dei riti differenziati per cosi' dire "ordinari" siano o meno funzionali al raggiungimento degli scopi del procedimento minorile ed inoltre se tali preclusioni siano conformi al dettato costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza della discriminazione circa la possibilita' di fruire di conclusioni processuali piu' rapide e vantaggiose a fronte di situazioni oggettive del tutto identiche (medesima condotta lesiva del precetto penale) diversificate soltanto dall'essere state poste in essere da soggetti in eta' superiore ovvero inferiore agli anni diciotto. La deroga piu' evidente effettuata dall'art. 25 del c.p.p.m. riguarda il c.d. patteggiamento, che e' stato escluso dal processo minorile perche' (come testualmente precisa la relazione al progetto preliminare) "l'applicazione della pena su richiesta delle parti presuppone nell'imputato una capacita' di valutazione e di decisione che richiedono piena maturita' e consapevolezza di scelte". Autorevoli commentatori hanno aderito a tale opzione legislativa argomentando che dal momento che sia sulla base dell'art. 98 del c.p. che sull'onda del costante indirizzo della Suprema Corte, la capacita' di intendere e di volere non e' mai presunta ma va accertata caso per caso ed in connessione con il tipo di reato commesso e poiche' l'art. 3, lett. c) della legge delega prescrive al giudice di valutare compiutamente la personalita' del minore sotto l'aspetto psichico, sociale ed ambientale, l'inconciliabilita' del patteggiamento col processo minorile risulterebbe palese. Da tale illustre opinione al giudicante sia consentito, per vario ordine di ragioni, dissentire. Innanzitutto, l'esame testuale dell'art. 9 del c.p.p.m. ribadisce la assoluta obbligatorieta' della raccolta di dati relativi alla personalita' del minore statuendo letteralmente che "il p.m. ed il giudice acquisiscono (e non gia' 'possono' acquisire) tali elementi, sicche' appare doveroso per ogni procedimento penale iscritto a carico di infradiciottenni raccogliere (dagli organi a cio' preposti o da persone in rapporti significativi col soggetto - cfr. comma secondo dell'art. 9 cit.) tutti gli elementi utili alla piu' completa conoscenza delle urgenze e delle singole necessita' del minore. Cio' importa, evidentemente, la assoluta "doverosita'" di acquizione di tali informazioni anche nelle ipotesi in cui, per avventura, venga richiesta dal minore la pena c.d. patteggiata. D'altronde, la natura dei reati suscettibili di patteggiamento (quelli con pena concretamente applicabile non superiore a due anni, tenuto conto della diminuzione di un terzo ex art. 444 del c.p.p.) e l'obbligo che, nel caso di consenso del p.m., il giudice formuli un proprio giudizio circa la mancanza della possibilita' di assoluzione ex art. 129 del c.p.p., la qualificazione giuridica dei fatti e la comparazione delle circostanze e, quindi, a maggior ragione, anche sulla capacita' del soggetto al momento della commissione del reato, non fanno insorgere alcun pericolo di decisioni affrettate, imponderate, immotivate o del tutto acquiescenti alle richieste delle parti. L'unico sindacato formalmente precluso in origine - quello relativo alla congruita' della pena -, pur, nella pratica informalmente gia' esercitato dal giudice, e' stato ritenuto ammissibile eseguito dalla sentenza n. 313 del 2 luglio 1990 della Corte costituzionale. Siffatta questione ha portata rilevantissima siccome attinente alle facolta' esercitabili dal minore nel procedimento penale, giacche' si e' ritenuto che il particolare tipo di procedimento non sia coscientemente eleggibile da parte del minorenne, ed inoltre concerne il tipo di "specialita'" caratterizzante i procedimenti differenziati. Sotto il primo aspetto va osservato che l'analisi complessiva dei compiti attribuiti alle varie figure di assistenza evidenzia che nel nuovo processo minorile il soggetto infradiciottenne ha piena capacita' processuale. Le altre figure intervengono per aiutarlo ad integrare la sua autodifesa, non si sostituiscono a lui. Si ha una situazione opposta, invece, nel settore civile dove, al contrario, il minorenne non e' capace di disporre dei propri diritti e di assumere impegni mediante manifestazioni di volonta', ma e' affidato a genitori o tutore il compito di provvedere ai suoi interessi e di avere cura di lui, rappresentandolo o assistendolo nel compimento degli atti e amministrandone i beni. Non c'e' per l'esercente la potesta' una norma, come l'art. 99 del c.p.p. per il difensore, che prevede che allo stesso competono le facolta' che la legge riconosce all'imputato minorenne. Tutti i diritti sono riservati personalmente all'imputato minorenne e l'esercente la potesta' ed il genitore intervengono solo per integrazione della difesa, non per sostituirsi alle scelte del minorenne. Non costituiscono eccezioni a tale principio le norme sull'impugnazione da parte dell'esercente la potesta' e sulla nomina di un difensore da parte del prossimo congiunto dell'arrestato o fermato, trattandosi, chiaramente, di interventi ad integrazione dell'autodifesa. E, a conferma, l'art. 34 cpv. del c.p.p.m. nullifica l'impugnazione contro la sentenza dell'esercente in caso di contraddittorieta' con l'impugnazione proposta dal minore distintamente, ribadendo, cosi', la assoluta prevalenza della volonta' del minore su quella di tutti gli altri "cointeressati" alla vicenda. Tra tutte le facolta' esercitabili esclusivamente dal minore, senza il necessario consenso dei genitori, acquista particolare rilevanza (oltre la richiesta di giudizio immediato e quella di pubblicita' dell'udienza dibattimentale) la possibilita' di richiedere (personalmente o a mezzo di procuratore speciale) il giudizio abbreviato, in ordine a cui, come e' noto, non e' sufficiente - anzi e' giuridicamente irrilevante - la istanza del difensore. La rilevanza - ai fini della valutazione circa la ragionevolezza dell'esclusione del patteggiamento - e' insita nella natura del giudizio in questione e nelle regole di valutazione degli atti processuali proprie di tale rito particolare. Ripetutamente la suprema Corte di cassazione (cfr. tra le altre, Cass. VI sez. pen. 29 novembre 1991, Palumbo n. 12216) ha ribadito che "con la scelta del rito abbreviato l'imputato, in cambio di un trattamento sanzionatorio piu' favorevole - riduzione di un terzo della pena -, accettando di esercitare il proprio diritto di difesa nelle forme piu' limitate previste per la udienza preliminare, conferisce al giudice il potere di definire il processo allo stato degli atti senza, quindi, l'osservanza delle limitazioni probatorie imposte in dibattimento". Il divieto di lettura e, quindi, di utilizzazione a fini di decisione, degli atti di cui all'art. 514 del c.p.p. (verbali di p.g. o di indagini del p.m.) non opera in sede di giudizio abbreviato, essendo questo un giudizio che, per sua natura viene compiuto ex actis, salva, ovviamente, la inutilizzabilita' degli atti compiuti in violazione di legge. Cio' non toglie che anche nel giudizio abbreviato (Cass., V, 15 luglio 1991, n. 7604) il giudice e' tenuto a sottoporre le risultanze degli atti ad una attenta analisi e ad una valutazione critica in modo da stabilirne la esatta valenza probatoria. Invero, il principale effetto processuale prodotto dall'accoglimento della richiesta di rito abbreviato riguarda il re- gime della prova. Dal momento in cui si instaura il rito abbreviato, la regola fondamentale di cui all'art. 526 del c.p.p. secondo cui il giudice non puo' utilizzare, ai fini della deliberazione, prove di- verse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento rimane definitivamente travolta. Si tratta di conseguenza logicamente conseguente al fatto che nel giudizio abbreviato sparisce, appunto, il dibattimento. Cio' comporta la conseguenza di non poco momento che tutto cio' che fa parte del fascicolo del p.m., eccetto le prove illegittimanente acquisite ex art. 191 del c.p.p., e' utilizzabile ai fini della decisione. In altri termini, dal momento dell'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato il procedimento sara' regolato, in tutti i suoi gradi e vicende da regole del tutto diverse da quelle proprie del giudizio ordinario, pur essendo pacifico che la semplificazione del rito consiste nella procedura e che, sebbene sommario sia il procedimento non altrettanto deve dirsi per quanto attiene alla decisione ossia all'accertamento del fatto storico imputato. Si consideri, ancora, che prima dell'intervento della Corte costituzionale, le sentenze di condanna a pena sospesa non apparivano impugnabili e si avra' il quadro del rischio processuale cui si espone il minore all'atto della richiesta di rito abbreviato e lo si raffronti col possibile pregiudizio del patteggiamento e si confrontino, ancora, le difficolta' delle scelte - implicanti la selezione di un diverso regime probatorio - correlabili ai due riti. In definitiva, nel patteggiamento il minore imputato rischierebbe, al piu', il rigetto della richiesta - che puo' essere anche subordinata alla concessione della pena sospesa -, ma in caso di accoglimento si vedra' applicare la pena predeterminata con tutti gli eventuali benefici cui l'applicazione puo' essere subordinata. Viceversa, nell'abbreviato, la situazione e' di gran lunga piu' pregiudizievole, rimanendo rimesso al prudente apprezzamento del giudicante sia l'entita' della pena che la concessione dei benefici di legge e risultando, inoltre, irrimediabilmente compromessa la facolta' di difendersi provando, essendo stata dichiarata costantemente dalla suprema Corte impraticabile in sede di appello il rimedio della rinnovazione del dibattimento, dal momento che in primo grado tale fase e' assolutamente mancata. A cio' si aggiunga la assoluta maggiore rigorosita' del termine per la richiesta di rito abbreviato rispetto a quello per la richiesta di pena "patteggiata": la prima formulabile non oltre l'inizio della udienza preliminare, la seconda addirittura fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Ne scaturisce che, laddove per qualsivoglia motivo il minore (per indolenza, impreviggenza o per mancata esplicazione di una difesa tecnica tempestiva ed efficace) abbia lasciato decorrere inutilmente tale limite processuale invalicabile, nessuna possibilita' di influire sulla quantificazione della pena gli rimane, mentre, paradossalmente, al contrario, tale facolta' risulta ancora ampiamente praticabile al maggiorenne, magari coimputato. In buona sostanza, l'esclusione operata dal legislatore del patteggiamento nel procedimento penale minorile, appare ottemperante, in modo del tutto irrazionale, a principi quanto mai vaghi, confusi e generici, operando una imbarazzante situazione di disparita', rilevante sul piano costituzionale, siccome in violazione dell'art. 3 della Costituzione sia nella comparazione tra diritti processuali riconosciuti all'imputato minorenne rispetto al maggiorenne, sia nella omessa valutazione della assai maggiore "pericolosita'" - anche a fini sostanziali - di altri riti differenziati ritenuti, viceversa, ammissibili e, quindi, della necessita', per una piu' corretta valutazione circa una opzione in loro favore, di un grado di maturita' e consapevolezza delle conseguenze giuridiche senz'altro maggiore di quello utile per la richiesta di applicazione di pena patteggiata. E se tale opinione venisse giudicata corretta, delle due l'una: o l'esclusione del patteggiamento dal rito minorile dovrebbe essere giudicata incostituzionale oppure, in ossequio ai medesimi principi implicanti la legittimita' costituzionale di tale esclusione, anche l'esperimento del giudizio abbreviato (nonche' la richiesta di rito immediato su istanza dell'imputato ex art. 419, quinto comma, del c.p.p.) dovrebbe essere precluso al minore in quanto "processualmente incapace". Sussistono, pertanto, tutti i presupposti per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale ai fini della decisione sul dubbio di costituzionalita' sopra evidenziato.
P. Q. M. Letti ed applicati gli artt. 23 e seg. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone trasmettersi gli atti del procedimento alla Corte costituzionale affinche' valuti la conformita' al dettato costituzionale di cui all'art. 3 della Costituzione dell'art. 25 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, nella parte in cui esclude la applicabilita' alla procedura penale minorile delle disposizioni di cui al titolo II del libro VI del cod. proc. pen. ordinario (artt. 444 e 448 del c.p.p.); Sospende il procedimento penale in corso sino alla comunicazione della decisione della Corte costituzionale in merito; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al minore imputato, agli esercenti la potesta genitoriale, al difensore di fiducia, al p.m.m. in sede ed al u.s.s.m. in sede; Ordina, altresi', che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento della Repubblica. Napoli, addi' 11 marzo 1993 Il presidente estensore: PIERANTONI 94C0602