N. 317 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 1993- 18 maggio 1994

                                N. 317
 Ordinanza emessa l'11 marzo 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale
 il 18 maggio 1994) dal giudice  dell'udienza  preliminare  presso  il
 tribunale  per i minori di Napoli nel procedimento penale a carico di
 Chiacchio Aniello
 Processo  penale  -  Richiesta   di   applicazione   della   pena   -
 Patteggiamento  - Inammissibilita' nel processo minorile - Fondamento
 della norma, anche per la dottrina, nella  presunta  incapacita'  del
 minore, in quanto tale, a valutare le possibili conseguenze negative,
 oltre che i possibili benefici che la richiesta di applicazione della
 pena  comporta  -  Contestata  validita' di tali ragioni alla luce di
 altre disposizioni del codice, e particolarmente di quella  che,  nel
 consentire  al  minore di presentare la richiesta, neppur essa esente
 da rischi, di giudizio abbreviato, gli riconosce,  al  riguardo,  una
 piena  capacita'  processuale - Conseguente ingiustificata disparita'
 di trattamento rispetto ai maggiorenni  imputati,  e  ancor  piu'  se
 coimputati,   per   gli  stessi  fatti  -  Deviazione  dai  principi,
 desumibili anche da statuizioni internazionali (come  le  "Regole  di
 Pechino"),  della  massima  rapidita' possibile e della utilizzazione
 delle valenze, anche sostanziali, del processo minorile  a  vantaggio
 del minore.
 (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 25).
 (Cost., art. 3).
(GU n.23 del 1-6-1994 )
                  IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE
    Ha  pronunziato,  all'udienza in camera di consiglio dell'11 marzo
 1992 la seguente ordinanza nel proc. pen. 1398/91 g.u.p. a carico  di
 Chiacchio  Aniello,  di  Tommaso  e  di  Laezza  Immacolata,  nato  a
 Casandrino (Napoli) il 24 luglio 1976  ivi  residente  via  Luigi  di
 Giuseppe  n.  11, libero presente, imputato del delitto p. e p. dagli
 artt. 56, 624, 625
 n. 2 e 7 del c.p., per avere,  con  violenza  sulle  cose,  posto  in
 essere  atti  idonei  diretti  in  modo non equivoco ad impossessarsi
 dell'autovettura Fiat 500 tg. RE/136316, parcheggiata sulla  pubblica
 via,  non  riuscendo  nell'intento  per l'intervento della Polizia di
 Stato.
    In Napoli il 25 marzo 1991.
                   FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con segnalazione del 25 marzo 1991 l'ufficio prevenzione  generale
 presso  la  Questura di Napoli denunziava alla competente Procura, in
 stato di liberta', il minore Chiacchio Aniello colto nella  flagranza
 del  tentativo di sottrazione di una Fiat 500 ed, in specie nell'atto
 in cui,  ancora  in  pigiama  (per  essersi  allontanato  dal  vicino
 nosocomio  Loreto  mare  ove trovavasi ricoverato per frattura ad una
 spalla),  il  predetto  era  intento  alla  manomissione  del  quadro
 elettrico di accensione all'evidente fine di procedere all'avviamento
 del motore ed al successivo asporto del veicolo.
    Con  richiesta depositata il 14 ottobre 1991 il p.m.m. chiedeva il
 rinvio a giudizio del Chiacchio. All'udienza preliminare del 1$ marzo
 1993 l'imputato, ancora minorenne, nel comparire chiedeva  applicarsi
 ex  art.  444 e seg. del c.p.p. la pena pecuniaria di lire 475.000 in
 sostituzione della pena detentiva di giorni 18 di reclusione  e  lire
 18.000  di  multa.  A tale istanza il p.m.m. si opponeva rilevando la
 impraticabilita'  nel  rito  minorile  della   procedura   del   c.d.
 patteggiamento.
    Il   difensore  di  fiducia  dell'imputato,  avv.  Mario  Covelli,
 chiedeva  sollevarsi  eccezione  di   illegittimita'   costituzionale
 dell'art.  25  del  cod.  proc.  pen. min. per contrasto con l'art. 3
 della Costituzione nella parte relativa alla inapplicabilita' di tale
 rito alternativo e dei benefici  processuali  ad  esso  connessi  nel
 procedimento  penale  minorile,  riservandosi  il  deposito di note a
 sostegno dello eccepito contrasto.
    All'odierna  udienza  il  difensore  si  e'  riportato  alle  note
 depositate  in data 8 marzo 1993 laddove il p.m.m. ha ribadito di non
 potere concedere il suo assenso alla pena  richiesta  in  virtu'  del
 divieto espresso di legge.
    Il  tribunale  ha  pronunziato,  all'esito delle conclusioni sulla
 predetta questione incidentale, la seguente ordinanza.
                        Motivi della decisione
    La proposta questione di costituzionalita',  oltre  che  rilevante
 nel  caso  concreto  all'attenzione  di  questo  giudice,  appare non
 manifestamente infondata sotto il profilo piu' strettamente  tecnico-
 giuridico.
    Sotto  il profilo della rilevanza della questione nel caso di spe-
 cie, basti osservare il certificato penale aggiornato al 21  dicembre
 1992  del  Chiacchio per rendersi conto della impossibilita' da parte
 sua di ottenere il beneficio  della  sospensione  condizionale  della
 pena,   avendo  egli  gia'  riportato  anteriormente  tre  precedenti
 condanne a pene detentive sfornite della clausola sospensiva ex  art.
 163  del c.p. Piu' in particolare, il minore imputato e' portatore di
 uno  specifico  ed  assai  concreto  interesse  ad  ottenere,  con la
 riduzione per  il  patteggiamento,  l'applicazione  di  una  sanzione
 pecuniaria  sostitutiva, nelle forme di cui all'art. 30 del c.p.p.m.,
 della minima sanzione detentiva applicabile. Ancora  maggiormente  il
 Chiacchio  ha  interesse ad ottenere una pronunzia dichiarativa della
 responsabilita' nelle  specifiche  forme  di  cui  all'art.  444  del
 c.p.p., non costituente sentenza di condanna a tutti gli effetti, dal
 momento  che, come evidenziato nella memoria difensiva depositata l'8
 marzo  1993,  una  sentenza  di  siffatto  ultimo  tipo   produrrebbe
 automaticamente  la  decadenza  dall'affidamento in prova al Servizio
 sociale in corso presso il locale tribunale di sorveglianza in ordine
 a condanna pregressa. Si aggiunga che anche l'eventuale  sostituzione
 con  pena  pecuniaria  della  pena  detentiva  eventualmente inflitte
 all'esito  di  ipotetica  richiesta  di  giudizio  abbreviato  appare
 rimessa  alla  esclusiva  discrezionalita'  del  giudice, sicche', in
 teoria, l'imputato dovrebbe, richiedendo ed ottenendo l'ammissione  a
 tale  rito  alternativo (e, quindi, in sostanza ammettendo l'addebito
 contestato)  affidarsi  ciecamente  alle  valutazioni  del  collegio,
 cosi',  indirettamente,  rinunziando  alle possibilita' di difendersi
 provando nella naturale  sede  dibattimentale  e  di  conseguire,  in
 ipotesi,  una pronunzia per lui assolutoria. La richiesta di sanzione
 patteggiata appare qui, in altri termini, indissolubilmente collegata
 con la contestuale sostituzione della pena stessa, la quale se  certa
 in  caso di accoglimento del patteggiamento appare, per converso, del
 tutto eventuale ed incerta in sede di  giudizio  abbreviato.  Di  qui
 l'assoluta  specificita'  dell'interesse  ad  ottenere  una pronunzia
 negli esatti sensi proposti. Ne', piu' in generale, deve dimenticarsi
 come l'interesse ad ottenere una pronunzia ex  art.  444  del  c.p.p.
 parrebbe,  invero,  del  tutto  indiscutibile in ogni caso in cui una
 siffatta richiesta venisse avanzata, poiche' l'equiparazione di  tale
 pronunzia alla sentenza di condanna risulta del tutto limitata: basti
 pensare  oltre  che  ai  casi  in  cui la condanna stricto sensu puo'
 inferire su eventuali provvedimenti di esecuzione di pene definitive,
 anche all'indubbio interesse ad ottenere (per chiunque) una pronunzia
 che ai sensi dell'art. 689, secondo  comma  n.  5  del  c.p.p.    non
 comporti  la  trascrizione  nei  certificati penali e nei certificati
 generali, necessari, spesso, anche  al  fine  della  instaurazione  o
 prosecuzione di rapporti di lavoro dipendente o autonomo.
    Peraltro,   la   pena   richiesta   dall'imputato  potrebbe  anche
 considerarsi congrua in  rapporto  alla  natura  del  reato  ed  alla
 attribuibilita'  della  diminuente  obbligatoria della minore eta' da
 valutarsi  con  prevalenza  rispetto  alle   aggravanti,   apparendo,
 altresi',  degna di valutazione anche la richiesta applicazione delle
 attenuanti  generiche  in  riferimento  alle  particolari   modalita'
 esecutive  del  fatto,  cosi' come descritte nella parte del presente
 provvedimento precedente alla motivazione.
    Sotto il profilo giuridico la questione di  costituzionalita'  non
 appare di certo manifestamente infondata, facendo, anzi, sorgere seri
 dubbi  circa  la consapevolezza delle scelte del legislatore delegato
 in  ordine  alle  conseguenze  di  natura  strettamente   processuale
 derivate dalla opzione di esclusione del procedimento ex art. 444 del
 c.p.p. dal rito minorile.
    Ed  invero,  il legislatore, pur sottolineando, nelle relazioni al
 progetto preliminare ed al progetto definitivo,  in  modo  chiaro  ed
 inequivoco  la necessita' della piu' rapida possibile fuoriuscita del
 minore dal circuito penale, quale fonte di possibile disarticolazione
 del processo educativo e di socializzazione in via  di  formazione  -
 si'  da canalizzare ed utilizzare le valenze sostenziali del processo
 vantaggio del minore e non a suo danno, cos' eliminando il rischio di
 sitmolazioni  inutilmente  negative  e   valorizzando,   invece,   le
 possibili  stimolazioni  positive  -  se,  da un lato, ha ritenuto di
 favorire  la  realizzazione  di  siffatto   risultato   mediante   la
 introduzione  dei  nuovi istituti della "irrilevanza del fatto" (art.
 27 del c.p.p.m.) e della sospensione del procedimento  a  seguito  di
 messa  alla  prova  (art.  28  c.p.p.m.  e  27  delle  disp. att. del
 c.p.p.m.) per converso, mediante la disposizione di cui  all'art.  25
 del  c.p.p.m.  ha  notevolmente  ridotto  il  potenziale deflattivo -
 rispetto all'ordinario carico  dibattimentale  -  dei  riti  speciali
 previsti  per  gli imputati maggiorenni, precludendo nel procedimento
 minorile l'applicazione del c.d. patteggiamento e  del  giudizio  per
 decreto   e   sottoponendo,  inoltre,  il  giudizio  direttissimo  al
 compimento degli accertamenti sulla personalita' del  minore  di  cui
 all'art. 9 del c.p.p.m.
    Ma,  nonostante  la  formulazione  dell'art.  25,  le  esigenze di
 meccanismi  processuali  semplificati  e   di   riti   speciali   che
 definiscono  anticipatamente  il processo sono fortemente avvertite e
 non soltanto per ragioni di economia processuale. Sul piano generale,
 l'accelerazione delle  procedure  e'  considerata  espressamente  sia
 dalle  Regole  minime  uniformi per l'amministrazione della giustizia
 minorile (c.d. Regole di Pechino) approvate dall'O.N.U. nel  novembre
 1985   sia   dalla   Raccomandazione   sulle  reazioni  sociali  alla
 delinquenza  minorile,  approvata  dal  Consiglio  dei  Ministri  del
 Consiglio  d'Europa  nel  settembre  1987.  In ambedue le risoluzioni
 suddette si sottolineava la assoluta indispensabilita' della  massima
 rapidita'  possibile  delle  procedure  relative  ad  illeciti penali
 commessi da minori risultando, in caso contrario, "piu' difficile, se
 non impossibile,  collegare  concettualmente  e  psicologicamente  il
 procedimento e la decisione sul reato".
    La piu' celere reazione giudiziaria al comportamento deviante puo'
 far  si'  che  "meglio  potra'  essere  percepito il collegamento tra
 condotta  e  decisione  giudiziaria  e  quest'ultima   potra'   avere
 un'azione educativa efficace".
    Alla  luce di tali criteri ispiratori fatti propri dal legislatore
 delegato attraverso la formulazione dell'art. 3  della  legge  delega
 v'e'  da  chiedersi  se  le deroghe alla praticabilita' di alcuni dei
 riti differenziati per cosi' dire "ordinari" siano o meno  funzionali
 al raggiungimento degli scopi del procedimento minorile ed inoltre se
 tali  preclusioni  siano  conformi al dettato costituzionale sotto il
 profilo  della  ragionevolezza   della   discriminazione   circa   la
 possibilita'  di  fruire  di  conclusioni  processuali  piu' rapide e
 vantaggiose a fronte di  situazioni  oggettive  del  tutto  identiche
 (medesima condotta lesiva del precetto penale) diversificate soltanto
 dall'essere  state  poste  in  essere  da  soggetti in eta' superiore
 ovvero inferiore agli anni diciotto.
    La deroga piu'  evidente  effettuata  dall'art.  25  del  c.p.p.m.
 riguarda  il  c.d.  patteggiamento, che e' stato escluso dal processo
 minorile perche' (come testualmente precisa la relazione al  progetto
 preliminare)  "l'applicazione  della  pena  su  richiesta delle parti
 presuppone  nell'imputato una capacita' di valutazione e di decisione
 che  richiedono  piena  maturita'  e   consapevolezza   di   scelte".
 Autorevoli  commentatori  hanno  aderito  a  tale opzione legislativa
 argomentando che dal momento che sia sulla base dell'art. 98 del c.p.
 che  sull'onda  del  costante  indirizzo  della  Suprema  Corte,   la
 capacita'  di  intendere  e  di  volere  non  e'  mai  presunta ma va
 accertata caso per caso ed  in  connessione  con  il  tipo  di  reato
 commesso e poiche' l'art. 3, lett. c) della legge delega prescrive al
 giudice  di  valutare  compiutamente la personalita' del minore sotto
 l'aspetto psichico, sociale ed  ambientale,  l'inconciliabilita'  del
 patteggiamento col processo minorile risulterebbe palese.
    Da  tale illustre opinione al giudicante sia consentito, per vario
 ordine  di  ragioni,  dissentire.  Innanzitutto,   l'esame   testuale
 dell'art.  9 del c.p.p.m. ribadisce la assoluta obbligatorieta' della
 raccolta di dati relativi  alla  personalita'  del  minore  statuendo
 letteralmente  che  "il  p.m.  ed il giudice acquisiscono (e non gia'
 'possono' acquisire) tali elementi, sicche' appare doveroso per  ogni
 procedimento penale iscritto a carico di infradiciottenni raccogliere
 (dagli  organi a cio' preposti o da persone in rapporti significativi
 col soggetto -  cfr.  comma  secondo  dell'art.  9  cit.)  tutti  gli
 elementi  utili  alla  piu' completa conoscenza delle urgenze e delle
 singole  necessita'  del  minore.  Cio'  importa,  evidentemente,  la
 assoluta "doverosita'" di acquizione di tali informazioni anche nelle
 ipotesi  in  cui,  per  avventura, venga richiesta dal minore la pena
 c.d. patteggiata.
    D'altronde, la natura dei  reati  suscettibili  di  patteggiamento
 (quelli  con pena concretamente applicabile non superiore a due anni,
 tenuto conto della diminuzione di un terzo ex art. 444 del c.p.p.)  e
 l'obbligo  che,  nel caso di consenso del p.m., il giudice formuli un
 proprio giudizio circa la mancanza della possibilita' di  assoluzione
 ex  art.  129  del c.p.p., la qualificazione giuridica dei fatti e la
 comparazione delle circostanze e, quindi, a  maggior  ragione,  anche
 sulla  capacita' del soggetto al momento della commissione del reato,
 non  fanno  insorgere  alcun  pericolo   di   decisioni   affrettate,
 imponderate, immotivate o del tutto acquiescenti alle richieste delle
 parti.  L'unico  sindacato  formalmente  precluso in origine - quello
 relativo  alla  congruita'  della  pena   -,   pur,   nella   pratica
 informalmente   gia'   esercitato  dal  giudice,  e'  stato  ritenuto
 ammissibile eseguito dalla sentenza n. 313 del 2  luglio  1990  della
 Corte  costituzionale.  Siffatta  questione ha portata rilevantissima
 siccome  attinente  alle  facolta'  esercitabili   dal   minore   nel
 procedimento  penale, giacche' si e' ritenuto che il particolare tipo
 di procedimento  non  sia  coscientemente  eleggibile  da  parte  del
 minorenne,   ed   inoltre   concerne   il   tipo   di   "specialita'"
 caratterizzante i procedimenti differenziati.
    Sotto il primo aspetto va osservato che l'analisi complessiva  dei
 compiti  attribuiti alle varie figure di assistenza evidenzia che nel
 nuovo  processo  minorile  il  soggetto  infradiciottenne  ha   piena
 capacita'  processuale.  Le altre figure intervengono per aiutarlo ad
 integrare la sua autodifesa, non si sostituiscono a lui.  Si  ha  una
 situazione opposta, invece, nel settore civile dove, al contrario, il
 minorenne  non e' capace di disporre dei propri diritti e di assumere
 impegni  mediante  manifestazioni  di  volonta',  ma  e'  affidato  a
 genitori  o  tutore  il  compito di provvedere ai suoi interessi e di
 avere cura di lui, rappresentandolo  o  assistendolo  nel  compimento
 degli atti e amministrandone i beni.
    Non c'e' per l'esercente la potesta' una norma, come l'art. 99 del
 c.p.p.  per  il  difensore,  che prevede che allo stesso competono le
 facolta' che la  legge  riconosce  all'imputato  minorenne.  Tutti  i
 diritti   sono   riservati  personalmente  all'imputato  minorenne  e
 l'esercente  la  potesta'  ed  il  genitore  intervengono  solo   per
 integrazione  della  difesa,  non  per  sostituirsi  alle  scelte del
 minorenne. Non costituiscono eccezioni  a  tale  principio  le  norme
 sull'impugnazione  da parte dell'esercente la potesta' e sulla nomina
 di un difensore da parte  del  prossimo  congiunto  dell'arrestato  o
 fermato,  trattandosi,  chiaramente,  di  interventi  ad integrazione
 dell'autodifesa. E, a conferma, l'art. 34 cpv. del c.p.p.m. nullifica
 l'impugnazione  contro  la  sentenza  dell'esercente   in   caso   di
 contraddittorieta'    con    l'impugnazione   proposta   dal   minore
 distintamente,  ribadendo,  cosi',  la  assoluta   prevalenza   della
 volonta' del minore su quella di tutti gli altri "cointeressati" alla
 vicenda.  Tra  tutte  le  facolta'  esercitabili  esclusivamente  dal
 minore,  senza  il  necessario  consenso   dei   genitori,   acquista
 particolare  rilevanza  (oltre  la  richiesta di giudizio immediato e
 quella di pubblicita' dell'udienza dibattimentale) la possibilita' di
 richiedere (personalmente o  a  mezzo  di  procuratore  speciale)  il
 giudizio   abbreviato,  in  ordine  a  cui,  come  e'  noto,  non  e'
 sufficiente - anzi e' giuridicamente irrilevante  -  la  istanza  del
 difensore.  La  rilevanza  -  ai  fini  della  valutazione  circa  la
 ragionevolezza dell'esclusione del patteggiamento - e'  insita  nella
 natura  del giudizio in questione e nelle regole di valutazione degli
 atti processuali proprie di tale rito particolare.  Ripetutamente  la
 suprema Corte di cassazione (cfr. tra le altre, Cass. VI sez. pen. 29
 novembre  1991,  Palumbo n. 12216) ha ribadito che "con la scelta del
 rito abbreviato l'imputato, in cambio di un trattamento sanzionatorio
 piu' favorevole - riduzione di un terzo della pena -,  accettando  di
 esercitare  il  proprio  diritto  di difesa nelle forme piu' limitate
 previste per la udienza preliminare, conferisce al giudice il  potere
 di  definire  il  processo  allo  stato  degli  atti  senza,  quindi,
 l'osservanza delle limitazioni probatorie imposte  in  dibattimento".
 Il  divieto  di  lettura  e,  quindi,  di  utilizzazione  a  fini  di
 decisione, degli atti di cui all'art. 514 del c.p.p. (verbali di p.g.
 o di indagini del p.m.) non opera in  sede  di  giudizio  abbreviato,
 essendo  questo  un  giudizio  che,  per sua natura viene compiuto ex
 actis, salva, ovviamente, la inutilizzabilita' degli atti compiuti in
 violazione  di  legge.  Cio'  non  toglie  che  anche  nel   giudizio
 abbreviato (Cass., V, 15 luglio 1991, n. 7604) il giudice e' tenuto a
 sottoporre  le  risultanze degli atti ad una attenta analisi e ad una
 valutazione  critica  in  modo  da  stabilirne  la   esatta   valenza
 probatoria.   Invero,  il  principale  effetto  processuale  prodotto
 dall'accoglimento della richiesta di rito abbreviato riguarda il  re-
 gime  della prova. Dal momento in cui si instaura il rito abbreviato,
 la regola fondamentale di cui all'art. 526 del c.p.p.  secondo cui il
 giudice non puo' utilizzare, ai fini della deliberazione,  prove  di-
 verse  da  quelle  legittimamente  acquisite  nel dibattimento rimane
 definitivamente  travolta.  Si  tratta  di  conseguenza   logicamente
 conseguente  al  fatto che nel giudizio abbreviato sparisce, appunto,
 il dibattimento. Cio' comporta la conseguenza di non poco momento che
 tutto  cio'  che  fa  parte  del fascicolo del p.m., eccetto le prove
 illegittimanente acquisite ex art. 191 del c.p.p., e' utilizzabile ai
 fini della decisione. In altri termini,  dal  momento  dell'ordinanza
 ammissiva  del giudizio abbreviato il procedimento sara' regolato, in
 tutti i suoi gradi e vicende da regole del tutto  diverse  da  quelle
 proprie   del   giudizio  ordinario,  pur  essendo  pacifico  che  la
 semplificazione del rito consiste  nella  procedura  e  che,  sebbene
 sommario  sia  il  procedimento non altrettanto deve dirsi per quanto
 attiene alla  decisione  ossia  all'accertamento  del  fatto  storico
 imputato.
    Si  consideri,  ancora,  che  prima  dell'intervento  della  Corte
 costituzionale, le sentenze di condanna a pena sospesa non apparivano
 impugnabili e si avra' il  quadro  del  rischio  processuale  cui  si
 espone  il minore all'atto della richiesta di rito abbreviato e lo si
 raffronti  col  possibile  pregiudizio  del   patteggiamento   e   si
 confrontino,  ancora,  le  difficolta'  delle  scelte - implicanti la
 selezione di un diverso regime probatorio - correlabili ai due  riti.
 In definitiva, nel patteggiamento il minore imputato rischierebbe, al
 piu',  il rigetto della richiesta - che puo' essere anche subordinata
 alla concessione della pena sospesa -, ma in caso di accoglimento  si
 vedra'  applicare  la  pena  predeterminata  con  tutti gli eventuali
 benefici  cui  l'applicazione  puo'  essere  subordinata.  Viceversa,
 nell'abbreviato, la situazione e' di gran lunga piu' pregiudizievole,
 rimanendo  rimesso  al  prudente  apprezzamento  del  giudicante  sia
 l'entita' della pena che la  concessione  dei  benefici  di  legge  e
 risultando,  inoltre,  irrimediabilmente  compromessa  la facolta' di
 difendersi provando, essendo  stata  dichiarata  costantemente  dalla
 suprema  Corte  impraticabile  in  sede  di  appello il rimedio della
 rinnovazione del dibattimento, dal momento che in  primo  grado  tale
 fase  e'  assolutamente  mancata.  A  cio'  si  aggiunga  la assoluta
 maggiore rigorosita' del termine per la richiesta di rito  abbreviato
 rispetto  a  quello  per la richiesta di pena "patteggiata": la prima
 formulabile non oltre l'inizio della udienza preliminare, la  seconda
 addirittura  fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Ne
 scaturisce che,  laddove  per  qualsivoglia  motivo  il  minore  (per
 indolenza,  impreviggenza  o  per  mancata esplicazione di una difesa
 tecnica tempestiva ed efficace) abbia lasciato decorrere  inutilmente
 tale   limite   processuale  invalicabile,  nessuna  possibilita'  di
 influire  sulla  quantificazione  della  pena  gli  rimane,   mentre,
 paradossalmente,   al   contrario,   tale   facolta'  risulta  ancora
 ampiamente praticabile al maggiorenne, magari coimputato.
    In  buona  sostanza,  l'esclusione  operata  dal  legislatore  del
 patteggiamento nel procedimento penale minorile, appare ottemperante,
 in modo del tutto irrazionale, a principi quanto mai vaghi, confusi e
 generici,   operando   una  imbarazzante  situazione  di  disparita',
 rilevante sul piano costituzionale, siccome in violazione dell'art. 3
 della Costituzione sia nella  comparazione  tra  diritti  processuali
 riconosciuti  all'imputato  minorenne  rispetto  al  maggiorenne, sia
 nella omessa valutazione della assai maggiore "pericolosita'" - anche
 a fini sostanziali - di altri riti differenziati ritenuti, viceversa,
 ammissibili e,  quindi,  della  necessita',  per  una  piu'  corretta
 valutazione  circa  una  opzione  in  loro  favore,  di  un  grado di
 maturita' e consapevolezza delle  conseguenze  giuridiche  senz'altro
 maggiore  di  quello  utile  per la richiesta di applicazione di pena
 patteggiata. E se tale opinione venisse giudicata corretta, delle due
 l'una: o l'esclusione del patteggiamento dal rito  minorile  dovrebbe
 essere  giudicata  incostituzionale  oppure,  in ossequio ai medesimi
 principi  implicanti   la   legittimita'   costituzionale   di   tale
 esclusione,  anche  l'esperimento del giudizio abbreviato (nonche' la
 richiesta di rito immediato su istanza  dell'imputato  ex  art.  419,
 quinto  comma,  del  c.p.p.)  dovrebbe  essere  precluso al minore in
 quanto "processualmente incapace".
    Sussistono, pertanto, tutti i presupposti per la rimessione  degli
 atti  alla Corte costituzionale ai fini della decisione sul dubbio di
 costituzionalita' sopra evidenziato.
                               P. Q. M.
    Letti ed applicati gli artt. 23 e seg. della legge 11 marzo  1953,
 n. 87;
    Dispone   trasmettersi   gli  atti  del  procedimento  alla  Corte
 costituzionale   affinche'   valuti   la   conformita'   al   dettato
 costituzionale  di cui all'art. 3 della Costituzione dell'art. 25 del
 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448,  nella  parte  in  cui  esclude  la
 applicabilita'  alla  procedura penale minorile delle disposizioni di
 cui al titolo II del libro VI del cod. proc.  pen.  ordinario  (artt.
 444 e 448 del c.p.p.);
    Sospende  il  procedimento penale in corso sino alla comunicazione
 della decisione della Corte costituzionale in merito;
    Ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza  sia
 notificata al minore imputato, agli esercenti la potesta genitoriale,
 al difensore di fiducia, al p.m.m. in sede ed al u.s.s.m. in sede;
    Ordina,  altresi',  che  la  presente  ordinanza sia notificata al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri  e  comunicata  ai  Presidenti
 delle due Camere del Parlamento della Repubblica.
      Napoli, addi' 11 marzo 1993
                  Il presidente estensore: PIERANTONI

 94C0602