N. 320 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1994

                                N. 320
 Ordinanza  emessa  il  15  marzo  1994  dal  giudice  per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Perugia nel procedimento penale  a
 carico di Ginocchietti Claudio ed altri
 Processo  penale - Connessione - Limiti - Non operativita' in caso di
 reati commessi in tempi diversi quando  l'imputato  era  minorenne  e
 successivamente  quando  fosse  diventato  maggiorenne  - Conseguente
 inapplicabilita'   delle   norme   del   procedimento   minorile    -
 Irragionevolezza - Compressione del diritto di difesa.
 (C.P.P.  1988, art. 14, secondo comma; legge 16 febbraio 1987, n. 81,
 art. 3, lett. a)).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.23 del 1-6-1994 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Visti gli atti;
                             O S S E R V A
    Gli imputati:  1)  Ginocchietti  Claudio  nato  a  Perugia  il  20
 febbraio  1974,  2)  Gigliotti Simone nato a Citta' della Pieve il 13
 giugno 1972, 3) Febbroni Simone nato a Perugia il giorno 8  settembre
 1973,  4)  Bovari  Andrea nato a Perugia il 29 marzo 1974, 5) Biagini
 Roberto nato a Fano il 30 marzo 1974, sono chiamati a  rispondere  di
 violenza  carnale  in  relazione  a tre episodi commessi, in danno di
 Chiara Guercini, tra il 26 marzo 1992 e il 27 aprile 1992.
    I reati sono contestati in concorso con altri, minorenni all'epoca
 dei fatti e per questo gia' giudicati dal tribunale dei minorenni  di
 Perugia.
    Due  degli imputati, Bovari Andrea e Biagini Roberto, erano minori
 alla data del primo episodio 26 marzo 1992 ma maggiorenni  alla  data
 dei due successivi episodi.
    Il  difensore  di  Ginocchietti  Claudio  ha  richiesto  che venga
 sollevata dal giudice questione di legittimita' costituzionale  degli
 artt. 8, 9, 28 e 29 del d.P.R. n. 448/1988 (disposizione sul processo
 penale  a  carico  di imputati minorenni) nonche' degli artt. 14, 67,
 529,  533  del  c.p.p.:  in  relazione  agli  artt.  3  e  27   della
 Costituzione.
    La  questione  proposta  attiene  all'esclusione, per gli imputati
 maggiorenni anche se infraventunenni, dalla possibilita' di avvalersi
 delle forme di definizione del processo previsto per i minorenni,  e,
 in  particolare,  di  quelle sub artt. 28 e 29 del d.P.R. n. 448/1988
 che prevedono l'estinzione del reato per esito positivo  del  periodo
 di  messa alla prova, previo (art. 9) accertamento sulla personalita'
 del minore.
    Il  difensore  del  Ginocchietti  rileva  che   tale   preclusione
 contrasta   con  i  principi  costituzionali  stabiliti  dalle  norme
 predette  tanto  piu'  che,   per   gli   imputati   infraventunenni,
 l'ordinamento   (art.   163,   terzo  comma,  del  c.p.)  prevede  un
 trattamento  diverso  da  quello  degli  ultraventunenni,  con   cio'
 riconoscendo  la  necessita'  di  diversi criteri sanzionatori ed, in
 particolare, la previsione di una discrezionalita'  del  giudice  dai
 margini piu' ampi rispetto a quella stabilita per i casi ordinari.
    La   questione,  sotto  il  profilo  proposto,  e'  manifestamente
 infondata.
    La radicale differenza tra le  finalita'  del  processo  penale  a
 carico   di   imputati   minorenni  rispetto  a  quello  relativo  ai
 maggiorenni e' sancita nel nostro ordinamento  in  modo  chiarissimo.
 L'intera  struttura  del  processo  minorile  e la specificita' delle
 norme processuali sono fondate sulla concezione del processo non come
 strumento di realizzazione della pretesa punitiva dello Stato ma,  al
 contrario,  come  strumento  di recupero e reinserimento sociale e di
 promozione dei diritti soggettivi dei minori.
    La legge di delega per il nuovo codice di procedura  penale  (art.
 3)  sancisce  questo  principio  implicitamente  ricollegandosi  alla
 sentenza della Corte costituzionale n. 222 del  19  luglio  1983  che
 sanci'  la  non  operativita'  della  connessione  tra procedimenti a
 carico di imputati maggiorenni e minorenni.
    Il minore ha diritto ad un proprio specifico processo oltre che ad
 un proprio giudice, in considerazione  delle  particolari  condizioni
 psicologiche  del  minore, della sua maturita' e delle esigenze della
 sua educazione.
    La diversita' del processo a carico di minori (e delle conseguenti
 pronunce del giudice) consiste nel riconoscimento del diritto  ad  un
 processo  in  cui trovino posto tutte le garanzie ordinarie in favore
 dell'imputato, ma non solo quelle vedi rel. Min. al Codice minorile).
    In  questo  contesto   le   norme   impugnate   perfettamente   si
 inseriscono,   prevedendo   per   i   minori,  oltre  alle  soluzioni
 sanzionatorie ordinarie sempre consistite al giudice, un ventaglio di
 ulteriori e diverse conclusioni specifiche.
    La questione, fissata cosi'  la  legittimita',  (anche  alla  luce
 dell'art.   31,   secondo  comma,  della  Costituzione)  e  la  piena
 ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) di una maggior tutela  del
 minore  nel processo penale, altro non e' che quella della fissazione
 del limite di eta' entro cui contenere l'applicazione delle norme del
 diritto minorile ovvero, in termini diversi, entro cui consentire  al
 giudice di applicare all'imputato istituti penalistici (sostanziali e
 processuali)  diversi  da  quelli  finalizzati alla pura applicazione
 della sanzione penale.
    In tal senso e' evidente che da un lato una simile valutazione  di
 fatto  sfugge  al controllo di legittimita' costituzionale, attenendo
 alla libera valutazione del legislatore; dall'altro, che l'eta' di 18
 anni oggi fissata e' tutt'altro che  irragionevole,  coincidendo  con
 quella  del  termine massimo di vita scolastica e con l'ingresso - in
 teoria - nel mondo del lavoro.
    Coincidendo, puo' dirsi, con la fine dell'adolescenza, ovvero  del
 periodo  di passaggio dall'infanzia all'eta' adulta, e con il momento
 iniziale dell'esercizio di una serie di diritti civili. La  questione
 e' invece non manifestamente infondata sotto altro profilo.
    L'art.  14,  secondo  comma,  del  c.p.p., in ossequio all'art. 3,
 all'art. 3,  lett.  a),  della  legge  n.  81/1987,  prevede  la  non
 operativita'  della  connessione  tra procedimenti per reati commessi
 dallo stesso imputato quando era minore e quando era  maggiore  degli
 anni 18.
    Alla  luce  dei principi sopra richiamati e in conseguenza di essi
 tale disposizione appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione
 sia sotto il profilo  del  principio  di  uguaglianza  sia  sotto  il
 profilo di ragionevolezza.
    Se  e'  infatti  vero  che  il  processo  a carico di imputati che
 abbiano commesso i fatti quando erano infradiciottenni  ha  finalita'
 di  tutela dei diritti del minore, di reinserimento e di recupero; se
 e' vero che la specificita' delle  norme  processuali  e  sostanziali
 applicabili  ai minori ha imposto la creazione di un giudice ad hoc e
 la posizione di norme specifiche in considerazione  della  necessita'
 di prevedere un processo che riconosca tutte le garanzie ordinarie in
 favore  dell'imputato  ma  anche  un ulteriore ventaglio di soluzioni
 affidate   alla   specifica   professionalita'   del   giudice,    in
 considerazione  delle particolari condizioni psicologiche del minore,
 non si vede quale ragionevolezza possa consentire che in relazione  a
 quel medesimo soggetto, le cui esigenze di tutela e le cui condizioni
 psicologiche   naturalmente   non   cambiano  a  secondo  della  sede
 processuale, si applichino poi le norme ordinarie per fatti  commessi
 da maggiorenni.
    Naturalmente  non  si  fa  qui  riferimento ai casi di connessione
 meramente soggettiva ma a quella unisoggettiva prevista dall'art. 12,
 lett. B), ultima ipotesi, unica peraltro ad  assumere  rilevanza  nel
 presente  processo in relazione alla posizione degli imputati Biagini
 e Bovari.
    E' in tali casi in cui il disegno criminoso unitario  che  lega  i
 fatti  commessi  prima  o  dopo il compimento dei 18 anni e' maturato
 quando il soggetto era minorenne, che la disposizione  dell'art.  14,
 secondo comma, appare irragionevole perche' assolutamente disancorata
 dal  lato  fattuale e dalle effettive esigenze di tutela del soggetto
 in volta in volta interessate.
    E' evidente che in  tal  modo  tutto  il  complesso  di  strumenti
 processuali  e  sanzionatori previsti per il minorenne viene di fatto
 vanificato per la temporanea sussistenza di  un  procedimento  penale
 nel quale il giudice non dispone che del rito ordinario. La relazione
 ministeriale   al  codice  minorile  del  1988  richiama  le  solenni
 enunciazioni dell'Assemblea generale dell'O.N.U. note come "Regole di
 Pechino"  o  regole  minime  per  l'amministrazione  della  giustizia
 minorile, emanata  nel  1985,  e  la  raccomandazione  n.  87/20  del
 Consiglio d'Europa.
    In  esse si segnalano i rischi e i pregiudizi che possono derivare
 al minore dal contatto con l'apparato della giustizia e dall'ingresso
 nel circuito  penale  e  si  sollecitano  misure  che  riducano  tale
 rischio, che favoriscano la chiusura anticipata del processo nei casi
 piu'  lievi, che consentano il ricorso ed interventi di sostegno e di
 messa alla prova, che assicurino la specializzazione degli  operatori
 di giustizia minorile.
    Il  nuovo codice minorile (d.P.R. n. 448/1988) ha accolto in pieno
 questi suggerimenti, che pero' nei confronti del minore  rimarrebbero
 mera  declamazione  ove,  nel  contempo,  egli  venisse  sottoposto a
 procedimento penale ordinario per fatti  commessi  in  esecuzione  di
 medesimo  disegno,  e dunque nelle medesimo condizioni personali e di
 fatto.
    Non va poi dimenticato che  la  indicata  situazione  comprime  il
 diritto  di  difesa  dell'imputato  cui  viene  negata  una  unitaria
 valutazione dei fatti.
    Sotto  tale  profilo  appare  esservi  contrasto  della  norma  in
 questione con il principio di cui l'art. 24 della Costituzione.
    E'  evidente  che  -  anche  a  seguito della sentenza della Corte
 costituzionale n. 22/1983 - la soluzione normativa che  si  prospetta
 come  praticabile  non  e'  quella  dell'attrazione presso il giudice
 ordinario dei procedimenti per reati commessi quando  l'imputato  era
 minorenne, ma quella esattamente contrria.
    Obiezioni  a  tale soluzione potrebbero muoversi solo basandosi su
 una concezione della giurisdizione minorile come un minus rispetto  a
 quello  ordinaria, visione per altro inaccettabile anche alla luce di
 tutte le osservazioni sopra svolte.
    Il punto di rilevanza si segnala che all'esame dello scrivente  e'
 la  posizione  processuale  degli  imputati  Biagini Roberto e Bovari
 Andrea gia' sottoposti a procedimento penale avanti al tribunale  dei
 minorenni  di  Perugia  e  ora  imputati avanti a questo tribunale in
 virtu' delle norme impugnate.
                               P. Q. M.
    Dichiara manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
 dagli artt. 8, 9, 28 e 29 del d.P.R. n. 448/1988;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art. 14, secondo comma, del c.p.p. approvato con
 d.P.R. n. 447/1988 e dell'art. 3, lett. a), della legge n. 81/1987 in
 relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui non
 prevedono che, nel caso previsto dall'art. 12, lett. b), del  c.p.p.,
 la  connessione  operi  tra  procedimenti per i reati commessi quando
 l'imputato era minorenne e quando l'imputato era maggiorenne;
    Manda  alla  cancelleria  per  le  notificazioni  alle  parti  non
 presenti,   al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  per  la
 comunicazione al Presidente della Camera e del Senato;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina la sospensione del procedimento.
      Perugia, addi' 15 marzo 1994
                          Il giudice: MATERIA
 94C0605