N. 198 SENTENZA 12 - 26 maggio 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Acquisizione di prove -  Perizia  effettuata  nelle
 forme  dell'incidente  probatorio  nel  corso di diverso procedimento
 penale a carico di altri imputati - Partecipazione  del  difensore  -
 Esclusione  -  Peculiarita' tecnica della perizia non assimilabile ad
 altri  atti  - Richiamo alla sentenza interpretativa di rigetto della
 Corte n. 181/1994 - Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (C.P.P., art. 238, primo comma, nel testo sostituito  dall'art.    3,
 primo  comma,  del  d.-l.  8  giugno  1992,  n.  306, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.23 del 1-6-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI, prof.
 Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,   prof.
 Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
 avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  238,  primo
 comma,  del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
 il 14 maggio 1993 dal Tribunale di Pistoia nel procedimento penale  a
 carico  di  Milanini  Valentino,  iscritta  al  n.  410  del registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso  del  dibattimento  penale  a  carico  di  Milanini
 Valentino,  imputato  del reato di cui all'art. 479 c.p., il Pubblico
 ministero richiedeva, ai sensi dell'art. 238, primo comma, del codice
 di  procedura  penale,  introdotto  dall'art.  3,  primo  comma,  del
 decreto-legge 8 giugno 1992, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n.
 356,  con modificazioni, l'acquisizione della perizia espletata nelle
 forme dell'incidente probatorio in altro  procedimento  a  carico  di
 altre  persone,  indagate "per reati diversi da quello per cui ora si
 procede".
    Il difensore dell'imputato si opponeva alla richiesta in quanto la
 prova si era formata senza la  sua  partecipazione,  con  conseguente
 inutilizzabilita'  della perizia ai sensi dell'art. 403 del codice di
 procedura penale.
    Il  giudice  a quo premette che il precetto di cui viene richiesta
 l'applicazione da parte del Pubblico ministero rappresenta una vera e
 propria deroga al principio stabilito dall'art.  403  del  codice  di
 procedura  penale.  In favore di una simile interpretazione sarebbero
 invocabili  una  serie  di  univoci  rilievi.  Anzi  tutto,  non   si
 comprenderebbe  la  diversa disciplina rispetto alle prove assunte in
 dibattimento  ovvero  nel  giudizio  civile  (entrambe  assoggettate,
 invece,  al  medesimo  regime, ai sensi del primo e del secondo comma
 dell'art. 238); inoltre, dovendosi "utilizzare prove formate  in  una
 situazione  generalmente  analoga  a  quella regolata dall'art. 403",
 l'assenza di un esplicito richiamo a tale  disposizione  indicherebbe
 chiaramente   che  il  legislatore  del  1992  ha  voluto  escluderne
 l'applicabilita';  ancora,  perche'  la  finalita'  perseguita  dalla
 modifica  normativa sarebbe, appunto, nel senso di non disperdere gli
 elementi di prova, di realizzare l'economia dei giudizi e "di evitare
 la naturale diminuzione dell'efficacia  rappresentativa  delle  prove
 orali che consegue di solito alla loro ripetizione in vari processi":
 un  principio  la  cui  operativita'  resta, peraltro, limitata dalla
 possibilita'   di   rinnovare   l'assunzione   delle   sole    "prove
 dichiarative"  quando  cio'  risulti  necessario  e che si giustifica
 proprio a tutela  delle  parti  che  non  siano  state  in  grado  di
 partecipare  al  processo  nel quale la prova e' stata assunta. Senza
 contare che la tesi sostenuta dalla difesa  ridurrebbe  drasticamente
 l'ambito  di  operativita'  dell'art.  238  del  codice  di procedura
 penale, dato che solo in ipotesi marginali si potra' avere  identita'
 di parti nei due processi e, quindi, applicazione anche dell'art. 403
 dello stesso codice.
    Tutto  cio'  premesso,  il  giudice a quo ha, con ordinanza del 14
 maggio 1993, sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,  questione  di legittimita' dell'art. 238, primo comma,
 del  codice  di  procedura  penale,  "nella  parte  in  cui  consente
 l'acquisizione  agli atti del processo della perizia assunta in altro
 procedimento  nelle  forme  dell'incidente  probatorio,   anche   nei
 confronti  delle  parti  i cui difensori non abbiano partecipato alla
 sua assunzione".
    In relazione alla dedotta violazione del diritto di difesa, rileva
 il rimettente che, se e' vero che tale diritto "non va esteso fino  a
 garantire,  sempre  e  comunque,  il contraddittorio nella formazione
 della prova", e' anche vero che, alla  stregua  della  giurisprudenza
 costituzionale  pronunciatasi  relativamente a precetti dell'abrogato
 codice   di   rito,   puo'    porsi    rimedio    all'inosservanzadel
 contraddittorio  soltanto  attraverso  "la  ripetibilita' dell'atto",
 mentre per la perizia non e' "previsto il diritto alla rinnovazione".
 Oltre  tutto,  si  tratta  di  un  "mezzo  di  prova  particolarmente
 articolato e complesso" riguardo al quale il contributo della difesa,
 anche  mediante  la  nomina  di consulenti tecnici, puo' risultare di
 particolare   importanza,   purche'   venga   assicurata    la    sua
 partecipazione  "nella  fase  del  conferimento  dell'incarico  ed in
 quella delle operazioni peritali,  e  non  solo  successivamente  con
 l'eventuale  esame  del perito e degli eventuali consulenti tecnici".
 Ne' un simile dubbio potrebbe  essere  superato  facendo  appello  al
 potere   del  giudice  di  procedere  di  ufficio  alla  rinnovazione
 dell'atto, venendo in considerazione il diritto alla  prova,  qui  da
 ritenere  compresso  oltre  il  limite  consentito dall'art. 24 della
 Costituzione.
    Il principio di eguaglianza risulterebbe  compromesso  perche'  la
 diversita'  di protezione del diritto di difesa resta commisurato, in
 materia di indagini collegate, alla scelta - del tutto  insindacabile
 -  del  Pubblico  ministero  di procedere o no unitariamente, "con la
 concreta conseguenza che, nel primo caso,  la  perizia  di  cui  alla
 attuale  richiesta  del  P.M.  non  sarebbe  stata  utilizzabile  nei
 confronti  dell'attuale  imputato  se  anche  la  sua  difesa  -  con
 l'eventuale consulente tecnico di parte - non vi avesse partecipato",
 mentre nel caso opposto resterebbe comunque utilizzabile.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo   che   la  questione  venga  dichiarata  inammissibile  o,
 comunque, non fondata.
    L'inammissibilita'  conseguirebbe  ad  un'errata   interpretazione
 della norma censurata, interpretazione per giunta contraddetta da una
 consolidata giurisprudenza.
    L'infondatezza  dal non essere ipotizzabile la violazione di alcun
 parametro costituzionale: non dell'art. 24,  "poiche'  con  la  detta
 disposizione  si  e' inteso garantire il diritto alla difesa tecnica,
 diritto che appare adeguatamente tutelato nel caso  di  specie";  non
 dell'art.  3,  "poiche'  non  si  vede come, sia pure ipoteticamente,
 possa essere configurata una disparita' di trattamento nelle garanzie
 difensive quando la diversita' di disciplina deriverebbe comunque  da
 fatti imputabili alla stessa parte".
                        Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale di Pistoia dubita, in riferimento agli artt. 3 e
 24 della Costituzione, della legittimita' dell'art. 238, primo comma,
 del  codice  di  procedura  penale, nel testo introdotto dall'art. 3,
 primo comma, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, "nella parte in cui
 consente l'acquisizione agli atti del processo della perizia  assunta
 in  altro  procedimento  nelle forme dell'incidente probatorio, anche
 nei confronti delle parti i cui  difensori  non  abbiano  partecipato
 alla sua assunzione".
    Di   fronte   ad   una  richiesta  del  Pubblico  ministero  volta
 all'acquisizione agli atti del processo della perizia espletata nelle
 forme dell'incidente probatorio in un diverso procedimento penale nei
 confronti  di  altre  persone  e  relativo  a  reati  privi  di  ogni
 collegamento  con quelli per cui attualmente si procede, acquisizione
 alla quale  si  era  opposto  il  difensore  dell'imputato  deducendo
 l'inutilizzabilita'  dell'atto per l'ostacolo derivante dall'art. 403
 del   codice   di   procedura   penale,   il   Tribunale,    ritenuta
 l'utilizzabilita'  della  perizia  nel  processo  a quo, ha ravvisato
 nella disciplina risultante dalla  norma  denunciata  violazione  del
 principio  di  eguaglianza,  sotto  il  profilo  della  disparita' di
 trattamento, e del diritto di difesa.
    Il   rimettente   muove   dal   presupposto   che    l'intervenuta
 "novellazione"  della  norma  oggetto  di censura comporti una deroga
 alle  disposizioni  di  garanzia  previste  in  tema   di   incidente
 probatorio:  sia  perche'  "non  si  comprenderebbe  il  motivo della
 diversa disciplina, sul punto, tra le  prove  assunte  nell'incidente
 probatorio  e  quelle  assunte  nel dibattimento" ovvero nel giudizio
 civile,    relativamente    alle   quali   "quella   condizione   sul
 contraddittorio non e' prevista";  sia  perche'  la  mancanza  di  un
 esplicito  richiamo all'art.  403 del codice di procedura penale con-
 duce a ritenere la sicura inapplicabilita'di tale disposizione;  sia,
 infine,  perche'  l'utilizzazione  della  prova assunta con incidente
 probatorio in deroga alle previsioni  di  garanzia  corrisponde  alla
 finalita'  perseguita dal legislatore che e' quella di non disperdere
 i mezzi di prova, di realizzare l'economia dei giudizi e "di  evitare
 la  naturale  diminuzione  dell'efficacia rappresentativa delle prove
 orali  che  consegue  di  solito  alla  loro  ripetizione  nei   vari
 processi",  una finalita' che resterebbe drasticamente ridimensionata
 ove si affermasse la necessaria concomitante  applicazione  dell'art.
 403,  riducendosi  l'operativita'  dell'art.  238,  primo  comma, del
 codice di procedura penale,  ai  soli  casi  di  identita'  di  parti
 nell'uno e nell'altro procedimento.
    2.  -  Proprio con riguardo a tale lettura della norma denunciata,
 l'Avvocatura Generale dello Stato, nel suo atto di intervento per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri, ha preliminarmente espresso le
 sue  riserve,  addebitando alla questione proposta di fondarsi su una
 non corretta interpretazione del "novellato" art. 238 del  codice  di
 procedura    penale,   da   intendersi,   invece,   nel   senso   che
 l'utilizzabilita' "esterna"  dei  verbali  resterebbe  in  ogni  caso
 condizionata    all'osservanza   delle   disposizioni   di   garanzia
 relativamente alle persone nei confronti delle quali i verbali stessi
 vengono fatti valere.
    L'eccezione, cosi' come proposta, deve essere disattesa.
    L'interpretazione  avanzata  dal  giudice   a   quo,   nel   senso
 dell'utilizzabilita'  della prova assunta con incidente probatorio in
 altro procedimento pur in assenza del difensore dell'imputato appare,
 infatti,  non  superabile  attraverso  il  semplice   richiamo   alle
 disposizioni  di  "garanzia"  in  tema di incidente probatorio. Sulla
 base di una completa verifica dell'integrale  contesto  normativo  in
 cui e' venuto ad inserirsi l'art. 238 del codice di procedura penale,
 non  potrebbe altrimenti scorgersi, relativamente all'acquisizione in
 altri processi dei verbali di assunzione anticipata della  prova,  il
 significato  delle  "novellazioni"  che,  in  forza  dell'art.  3 del
 decreto-legge n. 306 del 1992, convertito  dalla  legge  n.  356  del
 1992, hanno attinto la norma ora oggetto di censura.
    Il  raffronto  fra  la  vigente  e  l'abrogata  disciplina  sembra
 confermare che il nuovo testo dell'art. 238 del codice  di  procedura
 penale    ha   effettivamente   modificato   il   tessuto   normativo
 disciplinante il  regime  di  utilizzazione  in  altri  processi  dei
 verbali  di  prova assunta con incidente probatorio. Il tutto proprio
 riscontrando le "novellazioni" che hanno coinvolto, non soltanto,  la
 norma  oggetto  di censura, ma anche le ulteriori disposizioni che in
 qualche modo a tale norma si collegano.
    Relativamente al primo comma dell'art. 238 la  novazione  riguarda
 soprattutto la parte che consentiva l'"acquisizione di prove di altro
 procedimento  penale"  (si  parla  ora  di  "verbali  di prova", e la
 modifica, oltre che dettata da esigenze di ammodernamento formale, e'
 forse anche destinata ad accentuare la  valenza  della  trasposizione
 del   contenuto   della  prova  nella  scrittura)  "se  le  parti  vi
 consentono" e si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio  o
 nel  dibattimento  "ovvero  di  verbali  di cui e' stata data lettura
 durante  lo  stesso".  Il  terzo comma del medesimo art. 238 (che nel
 testo precedente rendeva "comunque  consentita  l'acquisizione  della
 documentazione  di  atti  che  non  sono  ripetibili")  risulta, poi,
 riformulato in modo tale da autorizzare anche l'acquisizione di  atti
 divenuti  irripetibili  per  cause sopravvenute, mentre il suo quarto
 comma autorizza, "se le parti  vi  consentono",  l'utilizzazione  nel
 dibattimento  dei  verbali di dichiarazioni; in mancanza del consenso
 delle parti l'uso dei verbali rimane circoscritto alle  contestazioni
 a  norma  degli  artt.  500  e 503, ferma restando l'acquisizione dei
 verbali di prove e della documentazione previsti nei primi tre  commi
 dello stesso art. 238. Per le sole dichiarazioni, poi, "resta fermo",
 alla  stregua  del  quinto  comma  (del  tutto  assente  prima  della
 "novellazione"),  "il  diritto  delle  parti  di  ottenere  a   norma
 dell'art.  190" (e salvo quanto previsto dall'art. 190- bis) "l'esame
 delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a  norma  dei
 commi 1, 2 e 4 del presente articolo".
    3.  - Il panorama normativo ora ricordato pare, dunque, enucleare,
 con riferimento all'utilizzazione di verbali  di  prove  assunte  con
 l'incidente  probatorio  -  piu'  specificamente,  con  riguardo alla
 perizia, in ordine alla quale l'ordinanza di rimessione  incentra  le
 sue  doglianze  -  un  regime derogatorio alle regole stabilite dalla
 legge quanto alla possibilita' di ammettere che  la  prova  acquisita
 anticipatamente  in  un  processo  divenga  utilizzabile  in un altro
 processo. Il fatto che il "vecchio" testo dell'art. 238, primo comma,
 subordinasse l'acquisizione dell'incidente al di fuori  del  processo
 nel  corso  del  quale  era  stato assunto al consenso delle parti si
 fondava, senza alcun dubbio, su una ratio  volta  ad  estendere  alla
 prova  anticipata  il  regime  delle  prove  assunte in dibattimento,
 secondo il principio, gia' affermato da questa Corte (sentenze n. 559
 del 1990 e n. 74 del 1991), in base al  quale  -  "addivenendosi  con
 l'incidente  probatorio  "all'assunzione anticipata di mezzi di prova
 destinati ad  acquisire  la  forza  probatoria  propria  delle  prove
 espletate   in  dibattimento"  -  l'"interpretazione  letterale"  del
 disposto del quinto comma dell'art. 401 (ove  si  prescrive,  in  via
 generale,  che  "le  prove  sono assunte nelle forme stabilite per il
 dibattimento") "rende chiaro che le modalita' di espletamento"  della
 prova  "nell'incidente  probatorio sono quelle stesse che valgono per
 la fase dibattimentale", con estensione del contraddittorio anche  al
 profilo oggettivo di assunzione della prova.
    La  possibilita'  di  assegnare  all'incidente probatorio anche il
 ruolo di veicolo  per  la  formazione  della  prova  in  procedimenti
 connessi   o  collegati,  purche',  ovviamente,  venisse,  pure  qui,
 assicurato  nel  suo  espletamento  un  pieno   contraddittorio,   si
 coordinava,  quindi,  al regime di utilizzazione della prova in altri
 processi, comunque subordinata al  consenso  delle  parti;  il  tutto
 coerentemente  a  quanto  disposto  in  relazione all'acquisizione di
 prove assunte "nel dibattimento ovvero di verbali  di  cui  e'  stata
 data lettura nello stesso".
    4.  -  La  norma  denunciata sembrerebbe, dunque, derogare a varie
 disposizioni  relative  all'acquisizione  delle  prove  assunte   con
 incidente  probatorio. In primo luogo, all'art. 403 che, nel rispetto
 del principio del contraddittorio, insito nell'osservanza (art.  401,
 quinto  comma)  delle  norme  stabilite  per il dibattimento (normale
 punto di arrivo dell'incidente) prescrive  che  nel  dibattimento  le
 prove  assunte  con l'incidente probatorio sono utilizzabili soltanto
 nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla
 loro assunzione:  un  precetto  contrassegnato  dalla  caratteristica
 fisionomia   della   fase  ove  la  prova  viene  assunta  e  la  cui
 riferibilita' soggettiva puo' dilatarsi in corrispondenza dei singoli
 momenti procedimentali che precedono la definitiva presa di  contatto
 del Pubblico ministero con il giudice, fino a coinvolgere persone cui
 non  risulta  assegnata  una  specifica  qualita' nel procedimento in
 corso ma che rivestono, o potrebbero rivestire, un ruolo  processuale
 definito  in  altro  procedimento.  In secondo luogo, con l'art. 401,
 sesto comma, che (salvo  per  i  casi  di  estensione  dell'incidente
 probatorio)  fa  divieto  di  ampliare  la  prova da assumere a fatti
 riguardanti persone diverse da quelle  i  cui  difensori  partecipano
 all'incidente  probatorio e di verbalizzare dichiarazioni riguardanti
 tali soggetti. Infine, al regime previsto dall'art. 402 che  concerne
 l'estensione  dell'incidente  probatorio,  autorizzata solo dopo aver
 provveduto alle necessarie notifiche  alla  persona  sottoposta  alle
 indagini,  alla persona offesa e ai difensori (art. 398, terzo comma)
 cosi' da  consentire  la  loro  partecipazione  all'assunzione  della
 prova.
    5.  -  Non  sembra inopportuno rimarcare come il sistema delineato
 dal  "nuovo"  art.  238  riveli  una  peculiare   predisposizione   a
 disciplinare  l'utilizzazione  in  altri  processi  delle  prove  che
 consistono in dichiarazioni. Con specifico riferimento,  indotto  dai
 limiti  del  thema  decidendum,  ai  verbali  di  prova  assunta  con
 incidente probatorio, la regolamentazione dettata dalla norma oggetto
 di censura si coniuga, infatti (se si eccettui il regime delle  prove
 assunte   con  le  modalita'  previste  dall'art.  190-bis),  con  il
 principio,  pur  esso  risultante  dalla   disciplina   dettata   dal
 legislatore del 1992, in base al quale le prove che vengano riversate
 in  un  altro  processo perdono - in un certo senso - la loro valenza
 originaria, restando "fermo il diritto di ottenere ai sensi dell'art.
 190 l'esame delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a
 norma dei commi 1 (2  e  4)  del  presente  articolo".  Rimane  cosi'
 assicurato  il  contraddittorio  sulla  prova,  la  quale  non  resta
 un'entita' immota,  acquisita  come  tale  nel  processo,  divenendo,
 invece,  oggetto  della  dialettica  dibattimentale  in  forza  della
 presenza della difesa tecnica dei nuovi  soggetti  interessati.  Cio'
 non  soltanto  per  una  ragione  connaturata  alla  morfologia della
 dichiarazione,  ma  anche  (e  soprattutto)  perche',  a  norma   del
 combinato disposto degli artt. 511 e 511- bis del codice di procedura
 penale (quest'ultimo aggiunto dall'art. 8 comma 1- bis della legge n.
 356  del  1992),  la  lettura  dei  verbali  delle dichiarazioni (che
 costituisce il veicolo attraverso  il  quale  la  dichiarazione  resa
 nell'incidente  probatorio  diviene utilizzabile nell'altro processo)
 "e' disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese" (v. art.
 511, secondo comma, appositamente richiamato dall'art. 511- bis).
    Dal fatto che venga evocato l'art.  511,  secondo  comma,  emerge,
 ancora,  che  il  nuovo regime dettato dall'art. 238 si presenta come
 speciale rispetto a quello riguardante le dichiarazioni acquisite nel
 processo nel quale la prova viene formata,  cosi',  da  un  lato,  da
 scongiurare  un'inerte acquisizione di verbali di atti, e, dall'altro
 lato, da assicurare l'osservanza pure per tali atti del principio  di
 oralita' garantito, appunto, dall'art. 511, secondo comma, del codice
 di procedura penale.
    6.  -  Poiche'  le  censure  del  rimettente  risultano incentrate
 sull'utilizzazione della perizia, non pare inopportuno sottolineare -
 anche se un simile rilievo  non  immuta  di  molto  i  termini  della
 questione   -   come   dal   raffronto   tra  il  regime  predisposto
 relativamente alla  lettura  degli  atti  in  dibattimento  e  quello
 concernente  le  prove assumibili con incidente probatorio pare debba
 ricavarsi una qualche distinzione tra  gli  atti  che  consistono  in
 dichiarazioni  e gli atti di natura diversa, tra i quali deve appunto
 annoverarsi la perizia, soprattutto nei casi - come quello di  specie
 -  in cui l'acquisizione anticipata della prova sia legittimata dalle
 ragioni indicate  nell'ultimo  comma  dell'art.  392  del  codice  di
 procedura  penale.  Il  fatto che l'art. 511, terzo comma, stabilisca
 che la lettura della relazione peritale e' disposta solo dopo l'esame
 del perito non sembra, infatti, implicare alcuna assimilazione tra la
 perizia e la dichiarazione, essendo la prima un mero  parere  tecnico
 che,  oltre  tutto,  nel  caso  in  cui  sia  stata  disposta a norma
 dell'art. 392, ultimo comma, del codice di  procedura  penale,  resta
 enucleata   nella  relazione  che,  acquisita  al  fascicolo  per  il
 dibattimento a norma dell'art. 431 del codice  di  procedura  penale,
 rimane,  pur  nel  regime  di  oralita'  assicurato,  oltre che dalle
 disposizioni in tema di incidente probatorio,  dall'art.  511,  terzo
 comma,  il  mezzo  di  prova  concretamente riversato nell'istruzione
 dibattimentale.
    D'altra parte, a differenza della dichiarazione, la perizia  resta
 designata  -  soprattutto  quando  provenga da incidente probatorio -
 dall'attivazione di un sub-procedimento che,  per  la  necessita'  di
 svolgere indagini o acquisizioni di dati o valutazioni che richiedono
 specifiche  competenze tecniche, scientifiche o artistiche (art. 220,
 primo comma), postula l'esplicazione massima  del  contraddittorio  e
 l'esigenza  di  assicurare, proprio in quella fase, tutte le garanzie
 connesse  all'esercizio  della  difesa   tecnica   (si   pensi   alla
 possibilita'  di  nomina,  ad opera delle parti, di propri consulenti
 tecnici, al regime della ricusazione, ecc.).
    Ed in effetti, che il legislatore del 1992 - certo attento piu' al
 regime delle dichiarazioni che non a  quello  degli  altri  mezzi  di
 prova  relativamente  ai quali e' ammessa l'acquisizione anticipata -
 abbia finito per contemplare per l'utilizzazione  in  altro  processo
 della  perizia  assunta  con  incidente  probatorio una disciplina in
 parte peculiare risulta proprio dal disposto del gia' richiamato art.
 511- bis.
    Con tale norma si e' estesa alle dichiarazioni acquisite  ex  art.
 238  del codice di procedura penale la disciplina delle dichiarazioni
 acquisite  nello  stesso  procedimento,   espressamente   evocandosi,
 attraverso  il rinvio all'art. 511, secondo comma, la prescrizione in
 base alla quale la lettura di verbali di dichiarazioni (quindi, anche
 di quelle provenienti da un incidente probatorio)  e'  disposta  solo
 dopo  l'esame  della  persona  che le ha rese, a meno che l'esame non
 abbia  luogo.  Una  regola  che,  invece,  risulterebbe   del   tutto
 inadeguata   in   relazione   alla  perizia  derivante  da  incidente
 probatorio assunto ex art. 392, ultimo comma.  Non  a  caso,  quindi,
 l'art.  511-  bis,  nella sua ultima parte, non reca, con riferimento
 alla perizia, alcun richiamo all'art. 511, terzo comma,  in  base  al
 quale  la  lettura  della  relazione  peritale  e' disposta solo dopo
 l'esame del perito.
    Dunque,  la perizia assunta con incidente probatorio penetra in un
 altro processo con il solo veicolo della lettura a norma della  prima
 parte  dell'art.  511-  bis.  Il  che  sembra  confermare  come,  con
 riferimento  a  tale  mezzo  di  prova,  il  legislatore  non   abbia
 predisposto  neppure quelle stesse garanzie di oralita' che assistono
 le dichiarazioni. Tuttavia ad una tale omissione resterebbe possibile
 - ma solo in parte  -  porre  riparo  attraverso  l'esercizio,  anche
 officioso  (v.  art.  224 del codice di procedura penale), del potere
 del  giudice  di  disporre  una   nuova   perizia,   ferma   restando
 l'utilizzazione  del  precedente mezzo di prova nonostante che al suo
 espletamento la parte non abbia potuto partecipare.
    7. - Cosi' precisati gli elementi  di  sicura  novita'  che  hanno
 coinvolto,   in  conseguenza  del  decreto-legge  n.  306  del  1992,
 convertito dalla legge n. 356 del 1992, non soltanto l'art.  238  del
 codice  di  procedura  penale, ma il sistema tutto dell'utilizzazione
 delle prove assunte in altri procedimenti - una precisazione che vale
 a disattendere, dunque, sotto  ogni  ulteriore  aspetto,  l'eccezione
 dell'Avvocatura  Generale  dello Stato - resta ora da stabilire se la
 lettura complessiva della norma denunciata proposta dal giudice a quo
 sia da ritenere corretta anche alla luce  dei  presupposti  richiesti
 dalla  legge  perche' la prova assunta attraverso la procedura di cui
 all'art. 392 e seguenti del codice di procedura  penale  possa  dirsi
 (prima  ancora  che  utilizzabile)  validamente formata nonostante la
 mancata partecipazione del difensore del soggetto interessato.
    Il rimettente, muovendo dal rilievo - nel quale resta enucleato lo
 stesso giudizio negativo circa la legittimita'  costituzionale  della
 norma  denunciata  - che, a se'guito della novellazione dell'art. 238
 del codice di procedura penale, la prova (nella  specie  la  perizia)
 assunta con incidente probatorio sia comunque utilizzabile nell'altro
 processo,  "anche  nei  confronti  delle  parti  i  cui difensori non
 abbiano partecipato alla sua assunzione", incentra  la  sua  verifica
 interpretativa  esclusivamente  sulla  utilizzazione  "esterna" della
 prova. Ma, cosi'  operando,  sembra  trascurare  l'esigenza  che  una
 esatta  lettura  dell'art. 238 "novellato" postula che vengano, prima
 ancora, individuati  i  presupposti  implicitamente  richiesti  dalla
 legge  perche' l'utilizzazione possa comunque aver luogo. Di talche',
 cosi'  come  proposta,  la  questione   appare   la   risultante   di
 un'interpretazione   della   norma   censurata  non  attenta  ad  una
 condizione indispensabile  per  procedere  alla  stessa  verifica  di
 costituzionalita': quella, cioe', riguardante il momento in cui sorge
 il  dovere  dell'ufficio  di  avvisare  il  difensore dell'assunzione
 dell'incidente probatorio e del corrispondente diritto del  difensore
 stesso di essere avvisato dell'assunzione anticipata della prova. Una
 condizione  che,  implicando un indissolubile collegamento (oltre che
 una, almeno  apparente,  deroga)  con  tutte  le  norme  di  garanzia
 predisposte  dal legislatore in materia di incidente probatorio, deve
 essere oggetto di una verifica dimostrativa, non potendo  presupporsi
 come un vero e proprio enunciato dogmatico.
    Il  regime  derogatorio  finisce,  infatti,  per  coinvolgere  non
 soltanto l'art. 403, direttamente chiamato in causa  dal  rimettente,
 ma  pure  gli  artt. 393, primo comma, lettera b) (quale risultante a
 se'guito della sentenza n. 436 del 1990), 398, secondo comma, lettera
 b), 401, primo e sesto comma, e 402 del codice di  procedura  penale,
 disposizioni  tutte  che  disciplinano  il contraddittorio nella fase
 immediatamente successiva alla richiesta di assunzione della prova.
    8. - Ogni ulteriore accertamento interpretativo -  pur  necessario
 considerato  il  petitum  avuto  di mira dal rimettente - deve allora
 essere preceduto da una  diversa  operazione  ermeneutica  avente  ad
 oggetto,  prima  che  i  riverberi  della prova assunta con incidente
 probatorio in altri processi, i presupposti dai quali desumere  se  -
 nel sistema previsto dall'art. 392 e seguenti del codice di procedura
 penale  -  la  prova  formata anticipatamente possa dirsi validamente
 assunta e, quindi, legittimamente utilizzabile nello stesso  processo
 nonostante  che  il  difensore  della  persona  interessata non abbia
 partecipato alla sua formazione; non  foss'altro  perche'  condizione
 implicitamente  ricavabile  dalla  norma oggetto di censura e' che la
 procedura  delineata  dalle  disposizioni  ora  ricordate  sia  stata
 osservata,  cosi' da consentire (almeno) una qualche utilizzazione in
 quel processo dell'incidente espletato.
    9. - Questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla conformita'  agli
 artt.  3  e  112  della  Costituzione  dell'art.  403  del  codice di
 procedura penale, sottoposto al vaglio di legittimita' nella parte in
 cui non prevede l'utilizzabilita', nei confronti di  imputati  i  cui
 difensori  non  hanno  partecipato  all'incidente  probatorio,  della
 perizia disposta a norma dell'art.  392,  primo  comma,  lettera  f),
 dello stesso codice, ove il giudice per le indagini preliminari abbia
 denegato,  per  sopravvenuta  modifica  dello  stato  dei  luoghi, la
 richiesta di estensione dell'incidente probatorio  a  tali  soggetti,
 ha,  con  la  sentenza  interpretativa  di  rigetto  n. 181 del 1994,
 dichiarato non  fondata  la  questione,  indicando  all'interprete  i
 criteri  da  adottare  ai  fini  di  una  corretta  applicazione  sia
 dell'art. 403 sia di tutte le altre norme legate alla prima e tra  di
 loro  da  un  rapporto  di  vicendevole  interdipendenza  - dettate a
 garanzia dei soggetti nei confronti dei quali la prova cosi'  assunta
 e' utilizzabile.
    Nella  suddetta  sentenza  la  Corte  ha precisato come "la regola
 dell'inutilizzabilita' soggettiva" rappresenti una conseguenza  della
 "violazione del principio del contraddittorio, in funzione del quale,
 come  si  esprime  la  relazione  al  progetto  preliminare  (p. 99),
 l'istituto dell'incidente  probatorio  e'  stato  costruito".  Almeno
 nell'ambito di uno stesso procedimento, dunque, l'art. 403 del codice
 di  procedura penale in tanto e' in grado di impedire l'utilizzazione
 della prova nei confronti di imputati i  cui  difensori  non  abbiano
 partecipato  all'incidente  probatorio  in  quanto  il  principio del
 contraddittorio di cui  la  norma  costituisce  diretta  applicazione
 venga  effettivamente  vulnerato. Il che si verifica solo nel caso in
 cui i soggetti nei confronti dei  quali  la  prova  e'  destinata  ad
 essere  utilizzata abbiano gia' assunto la qualita' di indagati e non
 anche   quando   l'utilizzazione   riguardi   soggetti   "che    solo
 successivamente all'assunzione della prova" ovvero proprio sulla base
 di  essa  "sono stati raggiunti da indizi di colpevolezza, atteso che
 nei loro confronti nessun contraddittorio poteva essere  assicurato".
 Il  tutto  seguendo  le linee interpretative gia' tracciate da questa
 Corte, attenta a rimarcare come "nel processo penale prima che esista
 una notizia di reato e che essa si soggettivizzi nei confronti di una
 determinata persona, non puo' esistere  un  problema  di  diritto  di
 difesa",  in  quanto  "all'indagato  ancora  ignoto non e' assicurato
 alcun  tipo di difesa tecnica": un principio di cui la Corte ha fatto
 reiteratamente applicazione relativamente all'assetto  normativo  non
 piu'  vigente,  e che "non puo' che essere ribadito nel nuovo sistema
 processuale" (cosi', ancora, la sentenza n. 181 del 1994).
    10. - Gli approdi cui  e'  pervenuta  la  detta  decisione  aprono
 prospettive  di indubbia valenza interpretativa con riferimento anche
 alla questione ora sottoposta all'esame della Corte.
    Alla tematica  affrontata  dalla  sentenza  n.  181  del  1994  si
 sovrappone,  peraltro,  nella  fattispecie  ora all'esame, un dato di
 rilevante significato, costituito dal provenire la prova assunta  con
 incidente  probatorio  senza  la  presenza  del difensore da un altro
 processo, relativo ad un diverso reato e a diverse persone (e, per di
 piu', celebratosi davanti ad una diversa autorita' giudiziaria).
    Il  passaggio  all'applicazione  del  decisum  proveniente   dalla
 sentenza n. 181 del 1994 non puo' essere, dunque, cosi' lineare, come
 pure un'identica ratio decidendi sembrerebbe imporre.
    E'  di  ostacolo,  infatti, ad un'immediata soluzione nei medesimi
 termini la circostanza che la questione risulti incentrata  sull'art.
 238,  primo comma, del codice di procedura penale, e solo di riflesso
 sull'art. 403 dello stesso codice.  Viene  cosi'  in  considerazione,
 oltre che il diverso quesito concernente l'utilizzazione dei "verbali
 di  prova  di  altri  processi",  anche la problematica relativa alla
 parcellizzazione dei procedimenti. Il tutto in un regime  nel  quale,
 mentre,  per  un  verso,  la  connessione  (i  cui  casi  sono  stati
 consistentemente ridimensionati rispetto all'abrogato codice di rito,
 con esclusione, fra l'altro, proprio dell'ipotesi di connessione c.d.
 probatoria prevista dall'art. 45, numero 4, del codice  di  procedura
 penale  del  1930)  ha  assunto  il  ruolo  di  criterio  autonomo di
 attribuzione della competenza, per un altro verso, la  riunione  (fra
 le  cui ipotesi e' compresa proprio la situazione corrispondente alla
 soppressa "connessione probatoria") opera soltanto una volta che  sia
 stata esercitata l'azione penale (articoli 18 del codice di procedura
 penale  e  2  delle  norme  di  attuazione, approvate, con il decreto
 legislativo 28 luglio 1989, n. 271).
    A tali considerazioni non puo', pero', farsi a meno di  aggiungere
 che  l'incidente  probatorio,  quale istituto tipico della fase delle
 indagini preliminari,  resta  contrassegnato  dalla  possibilita'  di
 utilizzazione   congiunta   della   prova   in  processi  diversi.  A
 circoscrivere i rischi - inevitabilmente derivanti dai limiti imposti
 per  il  processo   cumulativo   -   di   dispersione   delle   prove
 anticipatamente assunte, il legislatore, consapevole che la prova nel
 corso  delle  indagini e' suscettibile di dilatazioni quanto alla sua
 dimensione  soggettiva,  ha  appunto  previsto  la  possibilita'   di
 estensione dell'incidente, un istituto riferibile anche ad ipotesi in
 cui  la  prova  debba  essere utilizzata non nello stesso ma in altro
 procedimento.
    Tutto cio', ovviamente  -  almeno  nell'originaria  tessitura  del
 codice  del  1988  -  alla  condizione  che all'esigenza "di compiuta
 formazione della prova" facesse da  indispensabile  contrappunto  "la
 salvaguardia, al tempo stesso, dei diritti delle persone interessate"
 (v. relazione al progetto preliminare, p. 220). Ove cio' non si fosse
 verificato,   sul   piano   dei   riverberi   della  prova  in  altri
 procedimenti, l'art. 238 del codice di procedura  penale,  nel  testo
 antecedente alla "novella" del 1992, subordinava l'acquisizione della
 prova  assunta  nell'incidente probatorio al consenso delle parti; in
 tal modo sicuramente comprendendo, non soltanto l'ipotesi  in  cui  i
 difensori  non  avessero  partecipato  all'assunzione  dell'incidente
 probatorio perche' non avvertiti dell'atto da compiere,  ma  pure  il
 caso  -  oggetto  della sentenza n. 181 del 1994 - che non risultasse
 ancora individuata la persona nei  confronti  della  quale  la  prova
 avrebbe  potuto o dovuto essere utilizzata: un'evenienza, certo, piu'
 frequente quando vengano in  considerazione  processi  caratterizzati
 anche  da diversita' di imputati, di reati o di autorita' giudiziarie
 procedenti.
    L'art. 238 rappresentava, pertanto, la risultante di una  profonda
 revisione  rispetto  alla  disciplina  dell'utilizzazione delle prove
 acquisite in altri processi delineata dal codice di procedura  penale
 del  1930,  introdotta  allo  scopo  di  non  squilibrare  un sistema
 congegnato in modo da realizzare lo scopo di garantire  l'oralita'  e
 l'immediatezza  del  dibattimento  e  che  sarebbe risultato eluso da
 un'automatica acquisizione di  verbali  di  prove  assunte  in  altri
 procedimenti.
    Il  novum derivante dall'art. 3 del decreto-legge n. 306 del 1992,
 convertito dalla legge n. 356 del 1992 sta, quindi, nell'esigenza  di
 valorizzare  la  prova  scritta,  consentendo l'acquisizione di prove
 assunte in altri procedimenti a prescindere dal consenso delle parti;
 una innovazione senza dubbio  significativa  in  quanto  parzialmente
 derogatoria  proprio  di quel principio di oralita' (e di conseguente
 immediatezza) proclamato dall'art. 2, numero 2, della legge-delega 16
 febbraio 1987, n. 81.
    11. - Ricondotte le "novellazioni" che hanno attinto  l'art.  238,
 primo  comma, del codice di procedura penale a ricomprendere anche la
 soppressione  del  consenso  delle   parti   quale   condizione   per
 l'acquisizione  della prova assunta con incidente probatorio in altro
 processo,  la  norma  denunciata  deve,  allora,  attestarsi  su   di
 un'interpretazione  che  -  non diversamente da quanto ritenuto dalla
 piu'  volte  ricordata  sentenza  n.  181  del  1994  -   la   ancori
 all'osservanza  "della  salvaguardia del contraddittorio, espressione
 del piu' generale diritto di difesa". Con la conseguenza  che  l'art.
 238,  primo  comma,  in  tanto  potra' ricevere applicazione, pure di
 fronte ad  una  prova  assunta  con  incidente  probatorio  senza  la
 presenza  del difensore, in quanto i soggetti nei confronti dei quali
 la prova dovra' essere utilizzata non avessero o non potessero ancora
 assumere la qualita' di persone sottoposte  alle  indagini,  per  non
 essere  "stati  raggiunti  da indizi di colpevolezza, atteso che, per
 definizione, nessun contraddittorio poteva essere nei loro  confronti
 assicurato".
    L'ambito di operativita' dell'art. 238, primo comma, del codice di
 procedura  penale, nel punto denunciato dal giudice a quo viene cosi'
 a saldarsi con i limiti (solo apparenti) di applicabilita'  dell'art.
 403  del codice di procedura penale, consentendo, di conseguenza, una
 lettura della norma denunciata in un'ottica  interpretativa  coerente
 alla costante giurisprudenza di questa Corte attenta a rimarcare come
 "un  problema  di  diritto di difesa" puo' porsi soltanto in presenza
 della soggettivizzazione di una notitia criminis nei confronti di una
 persona gia' individuata.
    Interpretata in questi termini la norma denunciata non lede alcuno
 dei  parametri invocati: non l'art. 3 della Costituzione, non potendo
 certo affermarsi l'irragionevolezza di una diversita' di  trattamento
 fra  colui  che  abbia assunto la qualita' di persona sottoposta alle
 indagini e  colui  che,  invece,  non  sia  stato  ancora  come  tale
 identificato;  non  l'art.  24  della Costituzione stessa, potendo il
 diritto di difesa riferirsi soltanto ad un soggetto nei cui confronti
 sussistono elementi di colpevolezza e non anche nei confronti di  chi
 non sia stato raggiunto da indizi di responsabilita'.
    12. - Tutto cio' non puo' esimere questa Corte dalla necessita' di
 rimarcare  come  la  qualita' di persona sottoposta alle indagini non
 deve discendere dalle valutazioni soggettive dell'organo  inquirente,
 dipendendo  essa  da  dati oggettivi spesso agevolmente riscontrabili
 sulla  base  degli  atti,  a  prescindere   dalla   separazione   dei
 procedimenti:  una  vicenda che "discende, nella gran parte dei casi,
 da  scelte  o  valutazioni   contingenti   di   natura   strettamente
 processuale"  (v.  sentenza n. 254 del 1992), ma la cui appartenenza,
 di norma, alla fase successiva all'esercizio dell'azione penale, vale
 a rendere esigui i rischi (ai  quali  e'  sempre  comunque  possibile
 porre  riparo)  prospettati  dal rimettente. D'altro canto, qualsiasi
 comportamento omissivo addebitabile al pubblico ministero  quanto  al
 momento  della  individuazione  della qualita' di indagato potra' dar
 luogo a conseguenze di ordine processuale, ivi inclusa,  appunto,  la
 possibilita'  di  sindacare  la  concreta utilizzabilita' della prova
 assunta senza la presenza  del  difensore;  il  tutto  in  una  linea
 diretta  anche  a  valorizzare  l'interesse  dell'imputato a disporre
 della prova che si riveli per  lui  favorevole  pure  se  assunta  in
 violazione del combinato disposto degli artt. 238, primo comma, e 403
 del codice di procedura penale.
    13.   -  Dalla  casualita'  che  deve,  di  norma,  contrassegnare
 l'impossibilita'di partecipazione del difensore all'assunzione  della
 prova per non essere il suo assistito ancora individuato come persona
 sottoposta  alle indagini deriva che le conseguenze che ne discendono
 non devono esorbitare dall'ambito  della  utilizzazione  della  prova
 stessa in un altro processo. Essa non puo', certo, precludere, "in un
 sistema processuale imperniato su un ampio riconoscimento del diritto
 alla  prova  e  nel  quale l'acquisizione del materiale probatorio e'
 rimessa in primo luogo all'iniziativa  delle  parti"  (art.  190  del
 codice  di  procedura  penale;  sentenza  n. 241 del 1992) il diritto
 della parte di richiedere  e  di  conseguire  la  rinnovazione  della
 prova,  una  rinnovazione  -  diversamente  da  quanto  affermato dal
 giudice a quo - riferibile, proprio per le considerazioni  che  hanno
 condotto  a delinearne una qualche divergenza di trattamento rispetto
 alle dichiarazioni, anche alla perizia. A cio' va aggiunto il  potere
 del  giudice di disporre, laddove la prova sia (come nel caso di spe-
 cie) assumibile d'ufficio, la rinnovazione nel dibattimento,  pur  in
 assenza  di  richiesta  di  parte, fino a prospettare l'utilizzazione
 anche a  tali  scopi,  del  precetto  dell'art.  507  del  codice  di
 procedura   penale.   Senza  contare  la  possibilita'  di  valutare,
 nell'esercizio del libero convincimento,  la  valenza  di  una  prova
 assunta  con  incidente  probatorio  anche  in funzione della mancata
 partecipazione del difensore dell'imputato alla sua formazione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 238, primo comma, del codice
 di  procedura  penale, nel testo sostituito dall'art. 3, primo comma,
 del  decreto-legge  8  giugno   1992,   n.   306,   convertito,   con
 modificazioni,   dalla   legge  7  agosto  1992,  n.  356,  questione
 sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della  Costituzione,  dal
 Tribunale di Pistoia con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 12 maggio 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 26 maggio 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C0608