N. 201 ORDINANZA 12 - 26 maggio 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Militari  -  Situazioni  di  assenza  di  rapporto  di  impiego   con
 l'amministrazione  militare  ovvero  di  cessazione  dal  servizio  -
 Procedimento penale - Applicazione automatica della  pena  accessoria
 della  rimozione  dal  grado  - Prospettazione della questione in via
 puramente ipotetica - Richiamo alla sentenza della Corte n.  197/1993
 e all'ordinanza n. 137/1994 - Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.M.P., art. 29).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.23 del 1-6-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro
 FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
 prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.    Cesare
 MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott.
 Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 29  del  codice
 penale  militare  di  pace, promosso con ordinanza emessa il 6 luglio
 1993 dal Tribunale militare  di  Padova  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Spinelli Cosimo ed altro, iscritta al n. 605 del registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  23 marzo 1994 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto che il Tribunale militare di Padova,  nell'ambito  di  un
 giudizio  penale  a  carico  di un brigadiere dei carabinieri e di un
 carabiniere, entrambi in servizio permanente,  imputati  di  concorso
 nel reato di violata consegna aggravata, ha sollevato con l'ordinanza
 in  epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  29  del  codice   penale
 militare   di   pace,   nella  parte  in  cui  detta  norma  consente
 l'applicazione automatica della pena accessoria della  rimozione  dal
 grado  nei riguardi dei militari non legati da un rapporto di impiego
 con l'amministrazione militare nonche' nei riguardi dei militari  non
 piu' in servizio;
      che,  secondo  la  prospettazione del giudice a quo, l'accennata
 possibilita' si porrebbe in contrasto con il parametro costituzionale
 invocato,  nel  raffronto  con  la  situazione  del  militare  legato
 all'amministrazione  da  un  rapporto  di  pubblico  impiego al quale
 viceversa -  sempre  secondo  il  rimettente  -  la  richiamata  pena
 accessoria  non  sarebbe  applicabile,  giacche' l'art. 29 denunciato
 risulterebbe  "parzialmente  abrogato"  dall'art.  9  della  legge  7
 febbraio  1990,  n.  19, e precisamente non sarebbe piu' operante nei
 confronti dei militari che, legati da un rapporto di impiego in  atto
 con  l'amministrazione,  sarebbero  soggetti  (soltanto)  alla  nuova
 disciplina della destituzione quale recata dalla citata legge  n.  19
 del  1990;  una  disciplina,  quest'ultima,  che  avrebbe in tal modo
 interferito  sulla  materia  delle  pene  accessorie,   delimitandone
 l'automatismo  ai  soli casi in cui non sia operante l'istituto della
 destituzione e il correlativo necessario procedimento disciplinare;
      che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in
 subordine, non fondata;
    Considerato che, secondo la stessa prospettazione del  rimettente,
 la  questione sollevata potrebbe assumere rilievo, relativamente alla
 posizione del militare rivestito del grado di brigadiere, solo  se  e
 quando  quest'ultimo  dovesse  subi're l'esecuzione della sentenza di
 condanna "per la revoca della (sospensione) condizionale"  e  "in  un
 momento in cui egli abbia cessato dal servizio";
      che   la   configurazione   doppiamente  condizionata  rende  la
 questione, cosi' come impostata dal rimettente,  puramente  ipotetica
 ed  anzi,  a  contrario,  presuppone da parte del medesimo giudice la
 avvenuta prognosi di  concessione  del  beneficio  della  sospensione
 condizionale  della  pena  che,  come  tale,  si  estende  alle  pene
 accessorie (art. 166, primo  comma,  del  codice  penale,  nel  testo
 modificato  dall'art.  4  della  gia'  citata legge n. 19 del 1990) e
 dunque anche a quella della rimozione dal grado;
      che, peraltro, deve essere ribadito  quanto  gia'  osservato  da
 questa  Corte  (sent.  n.  197 del 1993 e, da ultimo, ord. n. 137 del
 1994) in merito alla  assoluta  estraneita'  della  nuova  disciplina
 della  destituzione  dei  pubblici dipendenti, introdotta dall'art. 9
 della  legge  n.  19  del  1990,  rispetto  a   quella   che   regola
 l'applicazione delle pene accessorie anche di carattere interdittivo;
      che  il rilievo che precede da un lato rende privo di fondamento
 l'assunto interpretativo dal quale muove  il  giudice  a  quo,  nella
 delimitazione   dell'ambito   applicativo   dell'impugnato   art.  29
 c.p.m.p., non risultando questa norma ricollegabile all'essere o meno
 in atto un rapporto di impiego; dall'altro implica la  individuazione
 di  altra  norma,  non  denunciata dal giudice a quo, quale eventuale
 origine del problema da  questi  dedotto,  concernente  l'automatismo
 applicativo  delle pene accessorie, e precisamente l'art. 58, secondo
 comma, c.p.m.p., che e' applicabile nei  riguardi  del  militare  che
 concorra  nel  reato  con  l'inferiore  e  che  sia condannato a pena
 detentiva (una situazione, questa, verificatasi  appunto  nell'ambito
 del  processo  principale);  mentre l'art. 29 impugnato contiene, nel
 primo  comma,  soltanto  la  descrizione  del  contenuto  della  pena
 accessoria  in  argomento, nonche', nel secondo comma, una ipotesi di
 sua  applicazione,  collegata  all'entita'  di  pena   applicata   in
 concreto, che e' estranea al giudizio a quo;
      che sotto entrambi i profili accennati la questione si rivela in
 conclusione  manifestamente  inammissibile, perche' assume, nella sua
 formulazione, carattere ipotetico,  e  perche'  investe,  nella  piu'
 esatta  configurazione  dei suoi presupposti argomentativi, una norma
 da cui comunque non deriva il vizio di incostituzionalita' lamentato;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 29 del codice penale militare
 di pace, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal
 Tribunale militare di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 26 maggio 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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