N. 342 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1994

                                N. 342
 Ordinanza   emessa  il  15  marzo  1994  dal  tribunale  militare  di
 sorveglianza di Roma  nel  procediento  di  sorveglianza  relativo  a
 Bazzica Graziano
 Ordinamento penitenziario - Condannato per il reato di rifiuto del
    servizio   militare  di  leva  per  motivi  di  coscienza  -  Pene
    alternative  -  Possibilita'  di  affidamento  in  prova  ad  ente
    pubblico  non  militare  e,  per  giurisprudenza  della  Corte  di
    cassazione,  preclusione  all'affidamento  in  prova  al  servizio
    sociale - Violazione dei principi di eguaglianza e della finalita'
    di rieducazione della pena - Richiamo alla sentenza n. 358/1993.
 (Legge 29 aprile 1983, n. 167, artt. 1, primo comma, ultima parte, e
    3, terzo comma).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.25 del 15-6-1994 )
                 IL TRIBUNALE MILITARE DI SORVEGLIANZA
    Ha  pronunciato,  all'udienza  del  15  marzo  1994,  la  seguente
 ordinanza in tema di affidamento  in  prova  ad  un  ufficio  o  ente
 pubblico  non  militare  ancor prima dell'inizio della detenzione, ai
 sensi della legge 29 aprile 1983, n. 167, e successive modifiche, nei
 confronti del condannato militare Bazzica Graziano, nato a  Marsciano
 il 30 dicembre 1973 ed ivi residente in via Lenin n. 13/A, condannato
 alla pena di mesi tre di reclusione militare inflittagli con sentenza
 in  data  12  ottobre 1993 del g.i.p. presso il tribunale militare di
 Torino per il reato di rifiuto del servizio militare di leva (art. 8,
 secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772).
    1. - In ordine  alla  domanda  indicata  in  epigrafe  osserva  il
 tribunale  che  ne sussistono i presupposti di ammissibilita', che il
 giudizio prognostico  sulla  riuscita  dell'affidamento  puo'  essere
 formulato  con riferimento al comportamento serbato dal condannato in
 liberta' successivamente alla data del reato e che  dalle  risultanze
 in  atti  (informazioni  dei  carabinieri  e relazione del competente
 Centro di servizio sociale per adulti) tale comportamento appare  con
 connotazioni   atte   a   far   presumere  che  per  la  rieducazione
 dell'interessato e per prevenire che egli compia  altri  reati  siano
 sufficienti talune prescrizioni limitative della liberta'.
    Quanto  alla tipologia dell'affidamento applicabile e quindi delle
 prescrizioni da  impartire,  le  parti,  all'odierna  udienza,  hanno
 formulato  divergenti conclusioni, prospettando questioni sulle quali
 occorre soffermarsi.
    2. - Con la  sentenza  n.  358/1993  la  Corte  costituzionale  ha
 stabilito  che  la  sostituzione,  per egual durata, della reclusione
 militare alla reclusione, prevista nell'art. 27 del c.p.m.p. nei casi
 in  cui  alla  condanna  per  il  reato  militare  non  consegua   la
 degradazione, non deve operare rispetto alle condanne per il reato di
 rifiuto del servizio militare di leva per motivi di coscienza, di cui
 all'art.  8, secondo comma della legge n. 772/1972; e in tal senso ha
 dichiarato la parziale  illegittimita'  costituzionale  dello  stesso
 art. 27.
    Ha  infatti rilevato la Corte che "la legge non puo', senza cadere
 in  palese  contraddizione,  basare  sull'adduzione  di  giustificati
 motivi  di  coscienza  un  trattamento  punitivo  per  il rifiuto del
 servizio militare  all'esito  del  quale  si  prevede  l'esonero  dal
 servizio  militare  stesso e, nello stesso tempo, far consistere quel
 trattamento in  modalita'  volte  prevalentemente  nel  recupero  del
 soggetto al servizio militare".
    Nella  stessa  sentenza  non  si rinvengono, pero', considerazioni
 attinenti alle conseguenze sul piano del regime  penitenziario  della
 disposta   deroga  al  principio  generale  contenuto  nell'art.  27;
 segnatamente, nulla si ricava in ordine al problema  della  ulteriore
 applicabilita'  ai  condannati  per  il  reato  de quo dello speciale
 affidamento in prova previsto nella legge 29 aprile 1983, giacche' la
 Corte si e'  sul  punto  limitata  a  dichiarare  inammissibile,  per
 estraneita'  al  tema  della  decisione,  la  sollevata  questione di
 costituzionalita' anche dell'art. 3, terzo  comma,  della  legge  ora
 citata.
    Secondo  tale  disposizione,  invero,  "i  condannati  per i reati
 militari originati da obiezione di coscienza possono essere  affidati
 esclusivamente   ad   un   ufficio  o  ente  pubblico  non  militare,
 determinato dal  Ministro  della  difesa,  per  prestarvi  servizio".
 Stante  il  tenore tassativo della norma, e il suo indubbio connotato
 di specialita', si potrebbe pensare  che  essa  valga  a  prescindere
 dalla  natura  della  pena  inflitta  ai condannati di cui trattasi e
 quindi si ponga ora come deroga a quanto stabilito, per  l'esecuzione
 della   pena   detentiva   tout   court,  dell'art.  47  della  legge
 penitenziaria (n. 354/1975  e  successive  modificazioni):  in  luogo
 dell'affidamento  in  prova al servizio sociale, per gli obiettori di
 coscienza c.d. totali,  sarebbe  previsto  un  affidamento  in  prova
 "esclusivamente"  presso un ente pubblico non militare, allo scopo di
 adempiere a una prestazione di servizio riconducibile ai  compiti  di
 quell'ente.  Evidente  il  diverso  contenuto  e la diversa incidenza
 pratica della "prova" nei due casi.
    Parve,  tuttavia,  a  questo  tribunale,  dopo  un   significativo
 contrasto  di  decisioni,  che  maggiormente  in linea con lo spirito
 della sentenza n.  358/1993  della  Corte  costituzionale  fosse  una
 interpretazione   della  norma  dell'art.  3,  terzo  comma,  citata,
 inserita all'interno della legge che la contiene, la quale disciplina
 l'affidamento in prova speciale nei casi di condanna alla  reclusione
 militare.  Posto che tale ultima circostanza emerge con chiarezza per
 via dei continui riferimenti allo  "stabilimento  militare  di  pena"
 operati  dalla  legge  (cfr. artt. 1, primo comma, 2, primo comma, 7,
 primo e terzo comma, e 8) sembro' al tribunale di dover affermare che
 l'operativita' del disposto dell'art. 3, terzo comma,  nei  confronti
 dei condannati per il reato di cui al citato art. 8, dipendesse dalla
 premessa  che anche a costoro veniva inflitta la reclusione militare,
 per effetto dell'art. 27 del c.p.m.p.; ne doveva conseguire che,  una
 volta  venuta  meno,  per  la dichiarata parziale incostituzionalita'
 della norma, tale premessa,  lo  stesso  art.  3,  terzo  comma,  non
 avrebbe  piu'  potuto  avere  applicazione  nei  confronti  dei  c.d.
 obiettori totali e quindi  che  per  costoro  riprendesse  vigore  il
 regime  di  affidamento  in prova ordinario, di cui all'art. 47 della
 legge penitenziaria.
    Invero, parve che la previsione in discorso si giustificasse  come
 correttivo  specifico della regola fondamentale statuita con la legge
 n. 167/1983, secondo la quale si introduceva l'affidamento  in  prova
 come  misura  alternativa  alla reclusione militare e la si correlava
 allo svolgimento del servizio militare, in  linea  con  il  contenuto
 precipuo  che  la  reclusione  militare  possiede  rispetto alla pena
 detentiva comune e che la stessa Corte  costituzionale  ha  ravvisato
 consistere  nel  "prevalente  recupero  del  condannato  al  servizio
 militare" (cfr. sentenza n. 414/1991).
    Parve,  cioe', a questo tribunale che il "servizio civile" in fase
 di  affidamento  in  prova  per  i  condannati  obiettori  fosse  uno
 strumento  istituito per dar modo anche a costoro di scontare la pena
 al  di  fuori  del  carcere  militare,  senza  dover  necessariamente
 recedere  dalla posizione che li aveva portati a commettere il reato.
 Del resto tale preoccupazione aveva ragione di nascere solo in quanto
 anche per il reato di rifiuto operava la conversione della reclusione
 in  reclusione  militare,  ex  art.  27,  giacche',  diversamente,  i
 condannati  obiettori  non  avrebbero  avuto  davanti  a  loro stessi
 l'alternativa secca carcere-servizio militare.
    La lettura sistematica qui sinteticamente riassunta non  e'  stata
 condivisa dalla Corte di cassazione, sezione I, che con piu' pronunce
 in  data  21  gennaio  1994  ha  imposto  al  tribunale  militare  di
 sorveglianza di ripristinare nei  casi  in  questione  l'operativita'
 dell'istituto   dell'affidamento   in  prova  ad  ente  pubblico  non
 militare.
    3. - Per effetto della ricostruzione operata dalla Corte  suprema,
 dunque,  il dondannato alla pena della reclusione per il reato di cui
 al citato art.  8  non  puo'  godere  dell'affidamento  in  prova  al
 servizio  sociale,  ma deve venire affidato esclusivamente ad un ente
 pubblico per prestarvi servizio. Ne risulta un regime di  affidamento
 ben  piu'  gravatorio  rispetto a quello previsto per qualsiasi altro
 condannato a pena detentiva diversa dalla reclusione militare, oppure
 anche per il condannato alla reclusione militare che sia in  congedo,
 cioe' non abbia "ancora obblighi di servizio militare" (art. 1, primo
 comma,  della  legge  n.  167/1983):  si  prevede  una prestazione di
 servizio (non militare) obbligatoria, da svolgere al di  fuori  della
 sfera  sociale  propria  del condannato, con possibile pregiudizio di
 posizione affettive, familiari, di studio o, addirittura, di lavoro.
    Una norma scritta in favore  dei  c.d.  obiettori  totali,  si  e'
 insomma  trasformata, per il mutare del quadro di riferimento, in una
 previsione capace di rendere deteriore il trattamento di costoro.
    Su questa  sensibile  diversificazione  del  regime  ordinario  di
 affidamento  si  inserisce  un aspetto che sembra renderla ancor piu'
 stridente con i criteri di ragionevolezza e che aveva convinto infine
 questo tribunale ad adottare la soluzione ora cassata dal giudice  di
 legittimita':   la   pretesa   deroga  riguarda  soltanto  l'istituto
 dell'affidamento in prova e non anche le altre misure  alternative  o
 gli  altri  strumenti  rieducativi  previsti  per  le  pene detentive
 diverse  dalla  reclusione  militare.  Sicche',  mentre  prima  della
 sentenza  n. 358/1993 della Corte costituzionale il condannato per il
 reato  di  cui  all'art.  8  aveva  a  disposizione  il  ridottissimo
 campionario  rieducativo  che  la legislazione vigente prevede per il
 condannato  alla  reclusione  militare,  non  potendo,  per  esempio,
 accedere a permessi premio (art. 30 della legge penitenziaria) e solo
 in  casi  marginali godere del beneficio della detenzione domiciliare
 (art. 47- ter della legge penitenziaria, in relazione  alla  sentenza
 n.  411/1991  della  Corte  costituzionale),  attualmente, poiche' il
 regime derogatorio di cui al piu' volte citato art. 3,  terzo  comma,
 riguarda  esclusivamente  l'affidamento in prova, costui - condannato
 alla reclusione - ha la possibilita' di scontare la pena  secondo  le
 modalita'  previste  dalla  legge  penitenziaria, fatta eccezione per
 l'affidamento in prova. Cosi', per esempio, se  opta  per  il  regime
 intramurario,  sconta  la  pena in una comune casa circondariale o di
 reclusione, sottoponendosi al trattamento  rieducativo  previsto  per
 qualsiasi condannato; ovvero, avendone i requisiti, puo' godere della
 detenzione  domiciliare  che  gli consente di non recidere i rapporti
 con la propria sfera sociale e, in ipotesi, di conservare un rapporto
 di lavoro. Mentre, solo se decide di chiedere l'affidamento in  prova
 va incontro a un trattamento del tutto peculiare e deteriore.
    Sembra al Tribunale che sia di ragionevolezza un sistema normativo
 che  rinunci  a  chiedere  al condannato in questione una particolare
 rieducazione, riconoscendo cio' non  imprescindibile  corollario  del
 tipo  di reato commesso, cosi' come rinuncia a chiedere l'adempimento
 della prestazione del servizio militare, una volta  espiata  la  pena
 (art.  8,  terzo  comma,  della  legge  n.  772/1972),  mentre  nella
 previsione di un solo istituto  penitenziario  si  faccia  carico  di
 differenziare  la  posizione  dell'obiettore da quella del condannato
 per altri reati, imponendogli l'onere di una prestazione di servizio,
 ai fini dell'estinzione della pena.  Simile sistema normativo, che la
 Corte   di   cassazione   ritiene   tuttora    applicabile,    sembra
 contemporaneamente   realizzare   la   violazione  del  principio  di
 eguaglianza sancito nell'art. 3 della Costituzione  e  integrare  una
 ingiustificata  deroga  al  principio  del  tendenziale  orientamento
 rieducativo della pena di cui all'art. 27.  Sotto il  primo  profilo,
 dopo  la  piu'  volte  ricordata sentenza n.   358/1993, la posizione
 dell'obiettore condannato non  va  piu'  riguardata  in  relazione  a
 quella  del  militare avente obblighi di servizio, ma confrontata con
 quella  del  condannato  alla  reclusione,  o  anche   del   militare
 condannato   alla  reclusione  militare,  ma  privo  di  obblighi  di
 servizio; ne risulta una disciplina discriminatoria  dell'affidamento
 in  prova  non fondata su alcuna ragionevole differente situazione di
 fondo, giacche' la prognosi di recupero del  reo  deve  svolgersi  in
 tali  casi  tenendo  conto  delle "sole prescrizioni" da impartire al
 condannato (cosi' art. 2, primo comma, della legge  n.  167/1983,  in
 relazione con l'art. 47 secondo comma, della legge n. 354/1975) e non
 anche  di  elementi  aggiuntivi  necessitati  da  specifiche esigenze
 rieducative (del tipo di quello indicato nell'art.  2,  primo  comma,
 della  legge n. 167/1983, per coloro che hanno obblighi di servizio).
 Sotto  il  secondo  profilo,  infatti,   prevedere   come   contenuto
 dell'affidamento  la  prestazione  di un servizio "civile", una volta
 escluse  le  direzionalita'  rieducative  specifiche   che   venivano
 segnalate  dalla scelta di una sanzione penale peculiare, come quella
 della reclusione militare, significa caricare la  misura  alternativa
 di  un onere affatto sganciato dalle ambizioni rieducative della pena
 e riconducibile esclusivamente ad  una  logica  afflittivo-catartica;
 vieppiu',  si ribadisce, se si considera che tale aggiunzione risulta
 inspiegabilmente   prevista   solo   per   la   misura    alternativa
 dell'affidamento in prova.
    Il  tribunale  ha  presente  che  il contenuto della pena non puo'
 interamente spiegarsi alla luce del  teleologismo  rieducativo;  cio'
 pero'   non   significa  che  il  legislatore  possa  arbitrariamente
 innestare sulle modalita' esecutive della pena connotati asistematici
 e discriminatori che a quel principio  costituzionale  non  siano  in
 alcun modo riducibili.
    4.  -  Le  considerazioni sopra svolte inducono il collegio, sulla
 domanda di  affidamento  in  prova  in  epigrafe,  a  dubitare  della
 conformita' alla Costituzione dello speciale affidamento in prova per
 gli  obiettori  di  coscienza  condannati  per  il  reato di rifiuto,
 delineato   nell'art.  3,  terzo  comma,  della  legge  n.  167/1983,
 richiamato dall'art. 1,  primo  comma,  ultima  parte,  della  stessa
 legge.  La  questione  di  costituzionalita', cosi' come prospettata,
 oltre a essere non manifestamente infondata, e' anche  rilevante  nel
 caso   di   specie,   dovendosi  stabilire  se  la  richiesta  misura
 alternativa debba svolgersi come prescritto nell'indicato art.  3  o,
 invece, alla stregua della disciplina ordinaria prevista dall'art. 47
 della legge n. 354/1975;
                                P.Q.M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    In accoglimento dell'eccezione formulata dalla difesa;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 1, primo comma, ultima parte,
 e 3, terzo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167,  per  contrasto
 con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale e
 sospende il giudizio in corso;
    Dispone  inoltre  che,  a  cura  della  cancelleria,  la  presente
 ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Roma, addi' 15 marzo 1994
                        Il presidente: FABRETTI
                                     Il magistrato estensore: BRUNELLI
 94C0641